BALDUINO, Domenico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 5 (1963)

BALDUINO, Domenico (Domingo)

Gian Paolo Nitti

Nacque a Gibilterra da Carlo Filippo e da Anna Galleano il 15 marzo 1824. La famiglia lo destinò al commercio, e solo dopo avergli fatto compiere il tirocinio presso varie ditte genovesi e straniere gli affidò gradatamente le redini della "Casa Balduino", che il B. si trovò a dirigere non ancora trentenne alla morte improvvisa del padre.

L'impresa era florida e ben quotata a Genova e in tutto il Regno di Sardegna. Dapprincipio il B. nulla innovò, limitandosi a cambiare la ragione sociale in quella di "Casa D. e G. Balduino" (Domenico e il fratello Giuseppe). Fece coraggiosamente fronte agli impegni contratti dal padre. Quindi si lanciò in operazioni più o meno arrischiate, guadagnando e perdendo forti somme, ma riuscendo sempre a reintegrare il capitale aziendale. Quando era già membro della Camera di commercio di Genova, L. Torelli lo indusse a farsi rappresentante per l'Italia della Società per il taglio dell'istmo di Suez. Sin dal 1858 iniziò a raccogliere le sottoscrizioni e a trasmetterle a F. di Lesseps. Era contemporaneamente azionista delle più importanti società che operavano in Liguria. Membro della "Cassa del commercio e dell'industria di Torino", autorizzata con R. D. del 23 giugno 1853, doveva diventame il direttore nel 1860.

Le prime vicende di quest'istituto, sorto sotto il patrocinio del Cavour e destinato a diventare il nucleo della famosa "Società generale del Credito mobiliare", furono disastrose. Nel marzo del 1856, mentre Cavour si trovava ancora al congresso di Parigi, la situazione della "Cassa" costringeva il primo ministro a impegnarsi a fondo per compierne il salvataggio. D'intesa coi Rothschild, che autorizzarono il loro corrispondente a Torino a prendere accordi col banchiere L. Bolmida per finanziarne la trasformazione, Cavour scrisse a G. Lanza, che reggeva il dicastero delle Finanze, di adoperarsi per la ricostituzione della società su basi più larghe, per farne "une grande affaire italienne". Unica condizione posta, che la nuova società assumesse gli impegni contratti dalla precedente. Il capitale fu quindi portato da 8 milioni alla cifra enorme per l'epoca di 40 milioni di lire; i Rothschild si incaricarono di collocarne quasi la metà, acquistandone in proprio per una forte somma; si accordò alla società l'inusitato privilegio di poter aprire succursali dovunque in Italia, quasi a precorrere i tempi dell'unità; le si concesse infine di farsi rappresentare ufficialmente a Parigi, la vera capitale finanziaria dell'Europa continentale, direttamente dalla banca Rothschild.

Anche questa volta la gestione si rivelò fallimentare: dopo la crisi del 1857 risultava in passivo per oltre 21 milioni di lire. Il Cavour fece allora nominare una commissione d'inchiesta, che ravvisò la ragione principale del fallimento nella sproporzione dei capitale (40 milioni) "rispetto ai bisogni e al commercio della nostra piazza": tale larghezza di mezzi aveva illuso gli amministratori, che non avevano sufficientemente curato la parte delle entrate e del recupero fondi. La argomentazione della commissione nascondeva la realtà delle cose. I Rothschild avevano lanciato l'affare nel 1856, per contrastare la penetrazione del gruppo Fould e dei Fratelli Pereire in Piemonte e negli altri stati della penisola. Vista la inutilità dei loro sforzi, piccati dal fatto che Cavour era ricorso alla "Hambro" di Londra anziché a loro per negoziare un prestito dello Stato, e preoccupati dalla piega della situazione internazionale, si erano gradatamente disfatti del loro pacchetto azionario abbandonando la "Cassa" alle insufficienti risorse del mercato piemontese.

I Fratelli Pereire offrirono nel 1859 di rilevare la "Cassa" e di associarla al loro "Crédit mobilier". Ma Cavour, che voleva salvare ad ogni costo l'impresa, respinse l'idea del nuovo asservimento al capitale straniero e promosse la ricostituzione della società su basi più ristrette, imponendo la riduzione del capitale a 10 milioni di lire ed il rinnovamento dell'intero consiglio d'amministrazione (R. D., 3 marzo 1860). C. Bombrini, direttore della "Banca Nazionale degli Stati Sardi", propose la candidatura del B. a direttore della nuova società, e Cavour aderì nonostante che la posizione debitoria del B. nei confronti della "Cassa" lasciasse adito a qualche sospetto.

Favorita dalle circostanze politiche, benevolmente sorretta dal primo ministro, la "Cassa del Commercio e dell'Industria di Torino", sotto l'abile e spregiudicata direzione del B., rinacque a nuova vita. Il 12 genn. 1861, in occasione delle elezioni per il primo parlamento italiano, Cavour scriveva all'amico banchiere genovese E. De La Rúe che sarebbe stato il caso di manovrare il collegio elettorale di Genova per mandare il B. alla Camera. Il B., però, non fu eletto. Del resto, la situazione economico-finanziaria del paese, ora che il grave marasma derivante dall'unificazione improvvisa di vari sistemi economici apriva il campo ad ogni speculazione privata, richiedeva la massima attenzione da parte degli operatori economici.

Si profilava infatti, dietro la caduta delle antiche dinastie, il problema del rinnovamento delle grandi concessioni per la costruzione di ferrovie e di opere pubbliche conferite soprattutto ai grossi gruppi finanziari francesi. Unificare, voleva anche dire collegare i vari sistemi di viabilità ordinaria e ferroviaria, costruire nuove linee di comunicazione, impegnare le risorse dello Stato e del credito in una vigorosa politica di sviluppo delle infrastrutture civili. In ogni settore, il mercato italiano si apriva a tutte le iniziative mentre lo Stato non aveva ancora avuto il tempo di organizzare i suoi servizi amministrativi di controllo e di direzione politico-economica.

L'assalto al mercato italiano fu condotto immediatamente dai due massimi gruppi francesi, che si contendevano in Europa il monopolio delle costruzioni ferroviarie e del credito: da un lato i Rothschild, molto più legati agli ambienti della monarchia di luglio e delle vecchie dinastie; dall'altro i Fratelli Pereire, fondatori del "Crédit mobilier", personaggi chiave del grande capitale e delle finanze imperiali. Ma appena si determinò, a metà del 1862, una breve battuta d'arresto nelle trattative condotte dai Rothschild-Talabot col governo italiano per la costruzione di una grande rete ferroviaria nell'Italia centro-meridionale, il Bastogi ne approfittava dando vita ad una società italiana per la costruzione delle "Ferrovie meridionali".

Il B. partecipò alla costituzione della "Società per le Ferrovie meridionali", da cui fece acquistare dalla "Cassa" oltre 12 milioni di azioni. Dietro il B. si profilava l'ombra dei Fratelli Pereire, giacché l'attacco ai Rothschild non avrebbe potuto essere concepito senza l'intervento di altro capitale straniero. L'operazione delle "Meridionali", 1 che può considerarsi l'entrata ufficiale del nascente capitalismo italiano sulla scena europea, mise in luce il gioco del Balduino.

Il 1º giugno 1863, infatti, la "Cassa del Commercio e dell'Industria di Torino" si rinnovava completamente e si trasformava in quella "Società generale del credito mobiliare" che doveva essere per più di un trentennio, accanto alla "Banca Nazionale del Regno d'Italia", il più importante ed attivo degli istituti di credito italiani. Sorgiva come diretta filiazione del "Crédit mobilier" dei Fratelli Pereire, di cui assumeva anche il nome; portava il suo capitale a 50 milioni di lire, metà del quale riservato agli antichi azionisti della "Cassa" torinese, mentre il resto veniva attribuito ai Fratelli Pereire; modificava il proprio consiglio d'amministrazione, nel quale entravano a far parte, oltre il Bixio ed il Belinzaghi, Isacco ed Emilio Pereire, con i loro fiduciari V. Cibiel e S. Casimiro. Tutto cambiava tranne la direzione, che restava saldamente nelle mani del Balduino. Nonostante la massiccia partecipazione dei Pereire, era già una grande impresa italiana. In meno di dieci anni, infatti, scomparivano dal consiglio di amministrazione tutti i rappresentanti dell'alta finanza parigina, e, in seguito a vari contrasti, e soprattutto dopo il tracollo subito dai Pereire durante la crisi del 1866 per cui vendettero gran parte delle azioni possedute, il B. assunse il controllo di quasi tutto il capitale sociale e da allora iniziò il suo dominio che durò incontrastato per oltre venti anni.

Il B. portò la nuova società, sin dal sorgere, ad interessarsi ad operazioni di grande importanza e ad estendere le sue attività, sempre in concorrenza con grossi gruppi finanziari stranieri, anche oltre i confini d'Italia. Nel 1863 concorse alla fondazione della "Società dell'industria e del commercio di Amsterdam", della "Società internazionale finanziaria di Londra" e, l'anno seguente, della "Società per le assicurazioni contro gli incendi in Ispagna (Phoenix Español)" e di quella del gas a Madrid.

Ma la fonte dei suoi principali guadagni restava sempre il mercato italiano. Dopo l'operazione delle "Meridionali" e della conseguente ristrutturazione della società, finanziò una serie di iniziative fin quando, allo scoppio della guerra e della crisi economica del 1866, rafforzò i suoi legami con la finanza statale prendendo attivamente parte alle operazioni del prestito nazionale e del corso forzoso, all'impresa dei viveri e dei foraggi per le forze armate, e alla Società per il dazio di consumo.

Liberatosi anche dalla pesante tutela francese, il B. ebbe campo, sin dal 1866, di svolgere una azione quasi incontrastata. Da quel momento, infatti, le linee maestre della sua politica aziendale appaiono in tutta la loro evidenza. Superato nel 1866 un run (su 23 milioni di depositi ne aveva dovuto restituire oltre 16) mercé l'aiuto del capitale straniero e della "Banca Nazionale", il B. comprese, a differenza dei Fratelli Pereire che dovevano poi subire tutte le conseguenze di questo grave errore, che il credito mobiliare può esercitarsi soltanto con capitali propri e non servendosi dei depositi liberi di terzi. Impresse perciò alla società il giusto indirizzo, ed ebbe per costante mira di mantenere sempre ottimi rapporti col massimo istituto di emissione. Quindi puntò decisamente ad estendere le attività dell'istituto in ogni settore, mirando soprattutto ad ottenere, sempre e comunque, la "comprensione" dei pubblici poteri.

Il "Credito mobiliare" attraversò quasi indenne le più gravi crisi economiche del trentennio, spesso riversando le sue passività nelle gestioni avute per conto dello Stato. Attività principali dell'istituto furono, infatti, le costruzioni ferroviarie e di altre opere pubbliche, la gestione e gli appalti di monopoli fiscali o di entrate straordinarie dello Stato, come nel caso della Regia dei tabacchi e dell'amministrazione per la vendita dei beni del Regno d'Italia; ebbe altresì una funzione preminente di mediazione fra lo Stato e l'alta banca straniera, ma fu estremamente carente nel finanziamento dell'industria manifatturiera. Il B. e il suo gruppo ebbero parte decisiva nella politica ferroviaria del governo e una parte notevole nella questione delle linee di navigazione.

Una delle ragioni della caduta della Destra storica era stata l'ostilità dimostrata dai grandi gruppi finanziari italiani e stranieri ai propositi di nazionalizzazione delle ferrovie, di cui era fautrice la Destra spaventiana. Andato al potere il Depretis (1876), le trattative precedentemente intercorse si strinsero. Forte della nuova maggioranza che il paese aveva mandato alla Camera, il capo della Sinistra affrontò il problema della costituzione di due grandi società (la "Adriatica" e la "Mediterranea") a cui affidare la gestione dell'intera rete nazionale e la costruzione di nuove linee, rivolgendosi al gruppo del B. e alla finanza estera. Sebbene il concorso richiesto a questa ultima fosse scarso (16 milioni su un totale di 200), il suo appoggio era in realtà molto più decisivo di quanto non dicano le cifre, perché difficilmente il B. si sarebbe messo nell'impresa senza di esso. Il 21 nov. 1877 il Depretis firmava col B. e l'Amilhau la convenzione per la costituzione delle due società ferroviarie, dal capitale complessivo di 200 Milioni, di cui 140 direttamente forniti dal "Credito mobiliare". Ma per una serie di vicende, soltanto dopo la crisi del quarto gabinetto Depretis, nella primavera del 1883, il gruppo del B. riuscì a conquistare l'assoluto predominio - sul ministero dei Lavori Pubblici e a riproporre al Depretis, in termini assai concreti, l'approvazione delle convenzioni.

Le convenzioni ferroviarie, discusse ed approvate dal parlamento tra la fine del 1884 e i primi mesi del 1885, diedero tutta la misura della posizione preminente che l'alta finanza aveva acquistato presso il governo e presso la maggioranza del parlamento, e si posero quasi come l'avvenimento conclusivo del trasformismo e della politica seguita dal Depretis fin dal 1876. L'intera rete venne affidata in gestione a tre società, alle quali era anche affidata la costruzione di nuove linee per oltre mille chilometri: la "Mediterranea" (capitale 180 milioni), la "Adriatica" (capitale 180 milioni) nata dalla trasformazione delle "Meridionali", la "Sicula" (capitale 30 milioni). I pentarchici ed alcune frazioni della Destra si schierarono contro perché ostili al gruppo del B. e fautori di piccole società non legate allo Stato.

La differenza rispetto alle trattative del '77 stava nel fatto che il Depretis trattava ormai l'affare non più con il solo gruppo del B., che restava tuttavia il massimo interessato, ma con altri gruppi. Il significato politico delle convenzioni era quello di legare al carro del governo il maggior numero possibile di questi gruppi finanziari che si erano nel frattempo formati, soprattutto attraverso le grandi speculazioni edilizie. Maggiore fu il ricorso al capitale straniero e specialmente a quello tedesco. Lo spostamento che ne derivò contribuì certamente a scuotere il gruppo del B. dalla posizione di supremazia finora avuta.

Quanto al settore della speculazione marittima, il B. non aveva mai perso i contatti con l'ambiente genovese ed era in corrispondenza attiva col Rubattino, anch'egli legatissimo a C. Bombrini, direttore della "Banca nazionale", e agli altri grandi speculatori liguri. Nel 1867 aveva invano offerto al Rubattino, in seguito ad un colloquio avuto in Firenze col ministro della Marina, di organizzare una linea transatlantica con legni di proprietà dello Stato. Era stato comunque presente alle spalle del Rubattino in tutti i suoi tentativi di penetrazione africana. Nel 1877 gli procurò gran parte dei mezzi occorrenti per stabilire, in concorrenza con le "Messaggerie Francesi", una linea di navigazione per collegare l'Italia alla Tunisia. Nel 1880 gli fornì i capitali per l'acquisto della ferrovia Goletta-Tunisi e, dopo il passaggio della Tunisia sotto protettorato francese (1881), entrò in compartecipazione nei tentativi di prendere piede in Tripolitania e nella baia di Assab. Sempre nel 1881 favorì la fusione della Società Rubattino (38 legni) con la concorrente palermitana Vincenzo Florio (43 legni), intermediari F. Crispi e G. Orlando, nonostante che l'opposizione avesse impegnato in parlamento una battaglia diretta ad impedire la costituzione di questo nuovo e minaccioso monopolio della navigazione sovvenzionata.

Se meno fortunata fu la partecipazione del B. alle grandi speculazioni edilizie di Roma e del risanamento di Napoli, alle acciaierie di Terni (fondate nel 1884) e ad altri minori speculazioni, ancora nel 1881 ebbe una parte di primo piano nella abolizione del corso forzoso dei biglietti di emissione, che era stato dichiarato nel 1866, in occasione della terza guerra d'indipendenza.

In pratica, il corso forzoso era un debito che lo Stato aveva contratto col consorzio delle grandi banche italiane autorizzate ad emettere biglietti di emissione. Il Depretis non voleva estinguerlo abolendo il debito, ma contraendone un altro con il grande capitale straniero. Ciò corrispondeva egualmente allo interesse dei grandi istituti bancari alle quali fu lasciato il privilegio del corso legale. Il B., attraverso il "Credito mobiliare", partecipò all'operazione con 244 milioni raccolti in gran parte all'estero, mentre il "Comptoir d'escompte" del Ruiz con 200 milioni e la "Hambro Baring" di Londra con somma eguale coprivano il resto dell'operazione.

La concorrenza si faceva ormai pesantemente sentire e diventava sempre più difficile, per il B., controllare l'infiltrazione del capitale straniero e soprattutto germanico. Logorato dall'intensità dell'opera svolta, accentratore ed autoritario, pretese conservare la direzione di tutte le operazioni e non curò di mascherare il nessun conto in cui teneva i deliberati dei consigli di amministrazione ai quali apparteneva. Qualche anno dopo M. Pantaleoni doveva scrivere che, da un punto di vista strettamente tecnico, la sua opera di banchiere, allora più che mai, non fu sempre inattaccabile, e che spesso le sue valutazioni furono confermate soltanto dal caso o dalla fortuna.

Il B. conduceva vita solitaria assieme alla moglie Teresa Bertuzzi, vedova Tinozzi, dalla quale non aveva avuto figli. La sua ricchezza privata si faceva ascendere fra i sedici e i venti milioni di lire.

Il 22 luglio 1885 moriva a Roncegno (Trento), dove si recava annualmente per le cure termali. Gran parte del suo ingente patrimonio passò in eredità al fratello Giuseppe, che era rimasto in Genova, titolare dell'antica casa patema.

Il grande istituto che aveva saputo creare e sviluppare, sfruttando i contrasti dell'alta finanza italiana e straniera, non gli sopravvisse a lungo. Crollò rovinosamente sul finire dei 1893, trascinando nella sua caduta la grande famiglia delle società collegate.

Fonti e Bibl.: Manca una biografia esauriente del B., nonostante i due buoni contributi di M. Pantaleoni (La caduta della Società generale di credito mobiliare italiano,in Giorn. degli economisti,aprile, maggio e novembre 1895: ripubblicato in M. Pantaleoni, Studi storici di economia,Bologna 1936, pp. 217-469) e di E. Piscitelli (Figure di grandi banchieri italiani: D. B.,in Bancaria, XIV [1958], pp. 1299-1298). Documenti sul B. nell'Arch. della Camera di Commercio di Genova, nelle Carte Rubattino dell'Arch. del Museo del Risorgimento di Genova e presso l'Arch. storico del Segretariato generale della Banca d'Italia a Roma. Scarsi i necrologi: anonimo, Ilcommendatore D. B.,in La Rass. naz., VII (1885), pp. 159-161; D. B.,in Rass. di scienze sociali e politiche, III, vol. 1 (1885), pp. 605 s. Poche notizie biografiche in F. Resasco, La necropoli di Staglieno,Genova 1892, pp. 59-61; E. Corbino, Annali dell'economia italiana,Città di Castello 1931, 1, pp. 361 s. (tratte dal saggio di M. Pantaleoni); Past., D. B.,in Genova. Rivista del Comune, XXII, 1 (1942), pp. 25 s. Molte notizie sulle operazioni della "Cassa Balduino" Prima dell'unità nei carteggi cavouriani e specialmente in C. Cavour, Nouvelles lettres inédites, recueuillies et publiées avec notes historiques Par Amédée Bert,Torino 1889, v. Indice. Sulla partecip. dei B. alla sottoscrizione per il taglio dell'istmo di Suez, cfr. A. Monti, Gliitaliani e il canale di Suez,Roma 1937, pp. 204, 205, 207 e passim. Di utile consultazione per lo sviluppo delle attività creditizie e, soprattutto, per le vicende della "Cassa dell'Industria e del Commercio di Torino" nel decennio cavouriano: V. Pautassi, Gliistituti di credito e assicurati. vi. e la borsa in Piemonte dal 1831 al 1861, Torino 1961, p. 373 e nota, con bibliografia aggiornata. Di fondamentale importanza per la ricostruzione dei rapporti tra l'alta finanza francese e quella piemontese di quel periodo: B. Gille, Les capitaux français au Piémont (1849-1859), in Histoire des eritreprises,maggio 1959, n. 3. Per l'espansione economica della "Cassa" dall'unità in poi vedansi notizie nei volumi dei carteggi cavouriani e nell'opuscolo, piuttosto raro: Cassa del Commercio e dell'Industria - Credito mobiliare - Torino. Adunanza generale ordinaria degli azionisti tenuta il 23 febbr. 1861, Torino 1861. Per la storia dell'operazione delle "Meridionali", determinante ai fini della ristrutturazione della "Cassa" in "Società generale del Credito mobiliare" : G. Capodaglio, Storia di un investimento di capitale. La società italiana Per le strade ferrate meridionali (1862-1897), in Riv. ital. di scienze economiche, X (1938), pp. 171-173, e documenti in Atti della commissione d'inchiesta sull'esercizio delle Ferrovie, Roma 1881-1883, pubblicati negli Atti parlamentari. Scarsissime notizie sulla lotta che i grossi gruppi italo-francesi, e principalmente il gruppo Balduino-Pereire, impegnarono contro i Rothschild in C. G. Corti, Der Aufstieg des Hauses Rothschild, 1770-1871, 2 voll., Leipzig 1927-1928. Per la storia economica e politica d'Italia nel periodo in cui il B. fu direttore dei "Credito mobiliare" sono di essenziale consultazione, proprio per individuare i rapporti che legavano il B. al mondo della Politica e dell'alta finanza: G. Carocci, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887,Torino 1956, v. Indice,e G. Luzzatto, L'economia italiana dal 1861 al 1914, 1 (1861-1894), Milano 1963, pp. 59, 66, 72 s., 86-88, passim.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE