CIRILLO, Domenico

Enciclopedia Italiana (1931)

CIRILLO, Domenico

Giuseppe Paladino

Patriota e scienziato, nato a Grumo Nevano presso Napoli l'11 aprile 1739. Seguendo la tradizione famigliare, studiò botanica e medicina. Ottenne la laurea nel 1759 e l'anno dopo diventò professore di botanica nell'università di Napoli. Passò poi alla cattedra di patologia medica nella stessa università e infine tenne l'insegnamento di ostetricia e di clinica medica nell'ospedale degl'Incurabili. Alternava le cure dell'insegnamento con l'esercizio della professione e con frequenti viaggi nelle provincie del regno e all'estero, che gli diedero agio di raccogliere dati e osservazioni, di cui fece tesoro nelle sue pubblicazioni.

Di queste, parte riguardano la botanica e parte la medicina, una soltanto la zoologia (Entomologiae neapolitanae specimen primum, Napoli 1787, splendida edizione con dodici grandi tavole dedicata a re Ferdinando, che ne sostenne le spese). Fra le opere di botanica alcune hanno carattere didascalico (Fundamenta botanicae sive Philosophiae botanicae explicatio, voll. 2, Napoli 1785-87; Tabulae botanicae elementares quatuor priores, Napoli 1790, nelle quali è contenuto, tra l'altro, un chiaro accenno all'azione fecondante del polline, con che era screditata la teoria dell'aura fecondante); altre carattere scientifico (Plantarum rariorum Regni neapolitani, fasciculus I et II, Napoli 1788-92 dove sono esaurientemente descritte e figurate alcune specie rare o del tutto nuove; del III fascicolo, che non fu pubblicato, rimangono solo le tavole che avrebbero dovuto illustrarlo, meno una). Il C. ebbe anche degli scolari nel campo della botanica, fra i quali Saverio Macrì, Francesco Ricca ed altri, e al suo nome è intitolata la piccola famiglia delle Cirillacee.

Notevole fu pure l'orma che il C. lasciò nel campo della medicina; si levò con parole frementi contro la cattiva amministrazione delle prigioni napolitane e la pessima organizzazione degli ospedali. Fu membro della Società reale di Londra ed ebbe frequenti relazioni con i più rinomati medici inglesi del suo tempo. Introdusse la cura del bicloruro di mercurio nella lue, soltanto esternamente però (pomata del C.: cfr. la sua opera De lue venerea, Napoli 1780); studiò l'azione dei farmaci (Materia medica regni mineralis, Napoli 1792; Materia medica regni animalis, pubblicata soltanto nel 1861 da Giuseppe Maria Carusi, figlio di un discepolo del C.; la materia medica vegetale è svolta nel secondo volume dei Fundamenta botanicae già ricordati), e infine raccolse una larga messe di osservazioni cliniche sui varî casi che giorno per giorno gli si presentavano. Queste osservazioni si conservano manoscritte in due volumi nella biblioteca di S. Martino (aggregata ora alla Vittorio Emanuele III) a Napoli, e ad esse accennava il C. nella lettera che il 3 luglio 1799 scrisse mentre era sulla nave San Sebastiano, per sollecitare l'intercessione di lady Hamilton nel triste momento in cui si trovava.

Assorto com'era negli studî e nella professione di medico, il C. poco si occupò di politica. Al pari di molti dei migliori suoi contemporanei s'iscrisse alla massoneria, per lungo tempo tollerata e protetta nelle alte sfere napoletane del Settecento, e d'altra parte il nome del C. non si trova fra quelli dei numerosi associati ai clubs giacobini scoperti nel regno prima dell'arrivo dei Francesi. Allorché lo Championnet costituì la Repubblica partenopea nel gennaio 1799, chiamò il C. a far parte del governo provvisorio, ma questi rifiutò. Più tardi, nella ricostituzione operata dall'Abrial, il C. entrò nella commissione legislativa e ne fu presidente dopo Mario Pagano. In tale qualità firmò leggi importanti per la difesa della repubblica; ma più che altro durante il periodo della rivoluzione il C. si dedicò a fare il bene, a curare gli ammalati e a soccorrere i miseri. Venuta la reazione, il C. fu fatto segno all'ira dei sanfedisti, che gli bruciarono la casa. La sua alta posizione sociale, l'essersi egli schierato coi repubblicani dopo che la corte l'aveva tenuto in gran conto e chiamato al letto della regina a prestare l'opera sua di medico lo indicavano particolarmente alla vendetta borbonica. Il C. invocò l'intercessione di lady Hamilton presso il re; ma rifiutò di confessarsi colpevole. Forse, se si fosse riconosciuto reo, affidandosi alla sola clemenza sovrana, avrebbe avuto salva la vita. Morì invece sul patibolo il 29 ottobre 1799.

Bibl.: Comitato Napoletano per le onoranze centenarie a D. C., Napoli 1901; M. D'Ayala, Vita di D. C., in Arch. stor. ital., s. 3ª, XI (1870), parte 2ª, p. 106; XII (1870), parte 1ª, p. 106 segg.; B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799, Bari 1926, p. 249 segg.

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