COLOMBO, Domenico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 27 (1982)

COLOMBO, Domenico

Giovanni Nuti

Nacque verso il 1418 da Giovanni, originario di Moconesi, villaggio posto nella Val Fontanabuona (Genova).

Sappiamo che prima del 1429 Giovanni Colombo si trasferì presso Genova, nella "villa" di Quinto, allora compresa nella podesteria del Bisagno. Non ci è possibile, tuttavia, stabilire se il C. sia nato nel villaggio di origine del padre, precisamente nella località di Terrarossa di Moconesi (in alcuni documenti il C. è ricordato con l'appellativo "de Terrarubea", passato poi anche ai figli) o nella "villa" dove suo padre si era trasferito.

A undici anni il C. fu accordato con Guglielmo di Brabante, tessitore di panni a Genova, come "famulus et discipulus" per impararne l'arte; secondo le norme statutarie, il contratto aveva la durata di sei anni (atto del 21 febbr. 1429). Dieci anni dopo, il C. era già maestro, dato che assumeva un garzone nella sua bottega (atto del 1° apr. 1439). Il 6 sett. 1440 prendeva in affitto "in perpetuum" dal monastero di S. Stefano di Genova una casa con terra annessa posta nel "carrubeus Olivelle", che apparteneva alla "conestagia" o contrada di Portoria e che si trovava presso la porta omonima.

Da un documento del 15 dic. 1445 siamo informati che un Domenico "de Terrarubea", abitante di Quinto, vendette al tessitore di lana Benedetto di Moconesi un appezzamenio di terreno situato a Quinto. L'Harrisse ha creduto di poter identificare tale Domenico col padre di Cristoforo Colombo; questa ipotesi non è stata accolta dal Belgrano e dallo Staglieno - che difatti non compresero l'atto nel loro corpus colombiano - perché in quegli anni il C. doveva già abitare a Genova, dove possedeva bottega e dove aveva preso casa in affitto. Tuttavia, ancora in un atto del 20 aprile 1448 quando sicuramente il C. si era stabilito in modo definitivo in città) sia Domenico sia il fratello Antonio sono ricordati come "habitatores ville Quinti". Con quest'ultimo documento i due fratelli, essendo morto il loro padre Giovanni, si impegnavano a versare al cognato Pasquale "de Fritalo" la metà della somma che costituiva la dote della loro sorella Battistina, alla quale spettava anche il dono di sei cucchiai d'argento, secondo l'uso della "villa" di Quinto. Un terzo fratello del C. potrebbe essere lo "Iacobus Columbus qd. Ioanis", ricordato in un documento del 29 ottobre 1493.

Divisa la città tra i sostenitori degli Adorno e i sostenitori dei Fregoso, il C. si schierò dalla parte di questi ultimi. Il 4 febbr. 1447 dal nuovo doge Giano Fregoso fu nominato custode della torre e della porta dell'Olivella: si trattava di un ufficio di una certa delicatezza e abbastanza remunerativo, che, secondo il Taviani, avrebbe premiato nel C. l'"attivista di partito". L'anno seguente, egli fece parte del corteo funebre che accompagnò la salma del doge Fregoso alla chiesa di S. Francesco di Castelletto (16 dic. 1448). Scaduto, dopo tredici mesi, il mandato, il C. venne riconfermato nel medesimo ufficio, il 10 nov. 1450, da Pietro Fregoso, succeduto come doge allo zio Ludovico; il 25 settembre dell'anno seguente, uscì definitivamente di carica.

In questi anni, tuttavia, il C. non interruppe la sua attività di tessitore, ai cui proventi poté aggiungere anche lo stipendio di custode della torre e della porta dell'Olivella. Fu un periodo di relativa agiatezza per il C., che riuscì ad acquistare un appezzamento di terreno a Quarto, pagato parte in denaro, parte con una pezza di stoffa e affittato successivamente al venditore (atto del 26 marzo 1450). L'incarico di custode doveva obbligarlo a risiedere costantemente nella casa della Olivella da lui presa in affitto e abitata insieme con la moglie Susanna, figlia di Giacomo di Fontanarossa, un tessitore domiciliato nella Val Bisagno. Dato che non è possibile stabilire la data in cui sposò Susanna (che compare per la prima volta in un atto del 25 maggio 1471), resta una semplice ipotesi l'affermazione pure ricorrente nella letteratura storica, che il C. possa avere avuto dalla moglie altri figli, poi morti, prima della nascita di Cristoforo, dato alla luce probabilmente proprio nella casa dell'Olivella. Nel 1455 il C. si vide riconosciuto da Giacomo Fieschi, fratello e procuratore del cardinale Giorgio Fieschi, commendatario del monastero di S. Stefano, l'acquisto di una casa di proprietà del monastero sita nel borgo di S. Stefano, "in carrubeo recto", cioè nel vico Dritto posto fuori della porta di S. Andrea, dove egli dovette trasferire la sua abitazione e la sua bottega di tessitore. In borgo S. Stefano si erano concentrate, fin dai primi tempi del Comune, le botteghe artigiane collegate all'arte della lana, perché in questa zona scorreva un ruscello (il "Rivoturbidus" delle fonti medievali), le cui acque potevano essere utilizzate nei processi lavorativi collegati all'attività di quell'arte. Non abbiamo altre notizie sul C. sino al 1462, quando appare come fideiussore in un documento del 15 marzo. Due anni dopo, come "formaiarius" acquistò una partita di formaggi del cui prezzo si dichiarava debitore (atto del 5 luglio 1464). È probabile che gli affari del C. come tessitore avessero allora cominciato a ridursi in coincidenza della crisi economica che colpì Genova in quegli anni, tanto da spingerlo a nuove attività. In due documenti del 1465, rispettivamente del 9 gennaio (una procura a cui il C. fu teste) e del 14 settembre (una sentenza arbitrale in cui egli intervenne come testimone), il C. appare infatti con la qualifica di formaggiaio, mentre nel 1466 è ricordato come esercitante la sua professione di tessitore in un documento steso il 17 gennaio nella sua bottega posta fuori della porta di S. Andrea.

Più che la megalomania (Desimoni) o il dinamismo dovuto ad uno "espirito inquieto y emprendedor" (Ballestreros Beretta), furono dunque le necessità economiche a spingere il C. a tentare nuove occupazioni per incrementare i suoi introiti, i quali, del resto, tranne nel periodo in cui poté unirvi lo stipendio di custode della torre e della porta dell'Olivella, non dovettero mai essere molto rilevanti. D'altro canto, le condizioni di un tessitore (lavoratore autonomo, ma economicamente dipendente dal lanerius, il mercante che commissionava il lavoro, pagandolo talora in liquido, più spesso in merci stimate al di sopra del loro valore reale) non dovevano essere facili in un periodo in cui l'arte della lana si trovava in piena crisi a Genova, scossa, dalla perdita dei mercati d'Oriente. Lungi dall'indicare somiglianze psicologiche tra il padre e Cristoforo, le vicende del C. si spiegano più semplicemente col tentativo (comune, del resto, ad altri tessitori, anche all'interno della stessa famiglia Colombo, un cui membro, Matteo, nipote del C., da tessitore di seta divenne taverniere) di abbandonare un mestiere faticoso, poco remunerativo e in piena decadenza - almeno per quel che riguarda l'arte della lana - per intraprenderne un altro più lucroso.

Due documenti, segnalati di recente, mostrano il C. in lite con un Guglielmo Fontanarossa, abitantein Zinestrato e forse parente di sua moglie, dato che Susanna era anch'essa originaria di Fontanarossa. Il 9 ag. 1469 i due affidarono al giudizio arbitrale le vertenze sopra una terra con casa data in affitto dal C. a Guglielmo che, con sentenza del 20 novembre dello stesso anno, si vide costretto a pagargli una certa somma, come pensione residua. Tuttavia, le difficoltà economiche dovettero continuare a perseguitare il C.: nel settembre dell'anno seguente, egli fu addirittura incarcerato, anche se poi riconosciuto non colpevole e posto in libertà sotto fideiussione per intervento del giudice dei malefici, davanti al quale, nello stesso giorno, sottoscrisse un compromesso con un suo creditore, Gerolamo "de Portu", nominando come arbitro Giovanni Agostino "de Goano". La sentenza arbitrale condannava il C. al pagamento di una certa somma entro un anno (atto del 28 settembre del 1470).

Che l'incarcerazione del C. fosse dovuta al timore che egli potesse lasciare Genova senza saldare il suodebito e che la successiva liberazione fosse da attribuirsi all'accordo col "de Portu", fu già prospettato dallo Staglieno, il quale peraltro non mancò di sottolineare anche i motivi che potevano invalidare tale ipotesi. Nella sentenza sifa infatti riferimento al giudice dei malefici enon al giudice civile, come ci si aspetterebbe in una causa di questa natura; si allude, inoltre, a "certe cause" non meglio precisate, nelle quali il C. è riconosciuto non colpevole. La somma dovuta al "de Portu" non fu, tuttavia, pagata, tanto che sia Cristoforo (nel testamento del 1506) sia il nipote Diego (nel testamento del 1523) lasciarono disposizioni perché l'antico creditore venisse soddisfatto.

Per far fronte alle difficoltà economiche in cui allora si dibatteva, il C. fu spesso costretto ad attingere al patrimonio della moglie. Così facendo, però, egli si trovò coinvolto in spiacevoli vicende giudiziarie, come avvenne intorno al 1470, quando la vendita di alcuni beni immobili che costituivano una parte della dote della moglie Susanna provocò la reazione dei parenti di lei (in particolar modo del fratello Goagnino di Fontanarossa) che reclamarono parte di tali sostanze. Susanna (che, significativamente, appare negli atti notarili sempre per avallare le operazioni finanziarie del marito, costretto a vendere beni a lei lasciati in dote), nonostante l'opposizione dei parenti e autorizzata dal vicario del podestà, acconsentì con atto del 25 maggio 1471 alla vendita di terre e case costituenti la sua dote, terre e case che il C. aveva ceduto ai fratelli Giuliano e Stampino "de Caprili" l'anno precedente. Cinque giorni dopo, il C. e suo cognato Goagnino si accordavano per affidare la soluzione delle loro vertenze finanziarie a due arbitri. Si poté così giungere ad un accordo, che fu perfezionato l'anno seguente: Goagnino si vide riconosciuta la proprietà delle terre, compreso l'appezzamento su cui vi era lite tra i due davanti al giudice dei malefici di Genova, mentre il C. ottenne dal cognato la somma che egli aveva pattuito coi due fratelli "de Caprili".

Nel febbraio del 1470, insieme con Antonio "de Garibaldo", dall'arte dei tessitori di panni di lana di Genova fu inviato a Savona per stipulare con la corrispondente arte di quella città un accordo relativo all'assunzione di garzoni e di apprendisti: portate a termine le trattative, l'accordo fu ratificato dai consoli e dai rappresentanti genovesi il 13 marzo successivo. Durante il suo soggiorno savonese, il C. assunse al suo servizio Bartolomeo Castagneli di Fontanabuona, in precedenza suo garzone e suo debitore di una certa somma di denaro. Il giovane - come si desume da un atto del 2 marzo - si impegnava a servire il C. in lavori spettanti all'arte del tessitore e in altre attività lecite, forse connesse con il nuovo ramo commerciale in cui risulta essersi impegnato in quel torno di tempo il C. (con ogni probabilità nel tentativo di aumentare le sue fonti di guadagno e i suoi redditi), quello di taverniere. Con tale qualifica, infatti, egli viene ricordato sia nel già citato documento del 2 marzo 1470, sia in un contratto del 31 ottobre di quello stesso anno, relativo all'acquisto di una partita di vino - pagata solo in parte - compiuto dal figlio Cristoforo, definito anch'egli, come il padre, "tabernarius".

Egli continuava tuttavia ad esercitare anche il suo antico mestiere, alternando i suoi soggiorni genovesi con quelli savonesi. A Savona si trovava nell'ottobre del 1470, per l'acquisto di panno (atto del 25 ottobre), mentre il 28 novembre successivo si trovava a Genova, come risulta da un documento in cui dichiarava di impegnarsi a rispettare, come membro dell'arte dei tessitori di lana, le decisioni della sua arte volte ad opporsi alle pressioni dei "lanerii" per una riduzione delle paghe dei tessitori. A Genova era ancora nella primavera dell'anno successivo (atti del 25 e del 30 maggio 1471), mentre gia in un documento del 10 sett. 1471 citato in regesto dal Belloro, appare ricordato come abitante in Savona; tuttavia, non è possibile stabilire l'attendibilità di questa notizia, dato che il documento che la riportava non è giunto sino a noi. Ad ogni modo, è certo che il C. dovette maturare tra il 1470 ed il 1471 il proposito di trasferirsi stabilmente con la famiglia a Savona, progetto attuato tra la fine del 1471 e la prima metà dell'anno successivo: il primo documento certo in cui appare come "habitator Saone" è infatti del 9 giugno 1472.

Il trasferimento del C. fu facilitato anche dalla politica liberale nei confronti delle maestranze straniere adottata dall'arte dei tessitori di lana di Savona. Alla base della scelta del maestro tessitore genovese dovette esservi la speranza di poter accrescere in quella piazza i propri guadagni, allargando il campo delle sue attività commerciali ed ampliando il volume dei suoi affari. Negli atti rogati a Savona il C. appare infatti indicato con la qualifica di "lanerius".

A Savona il C. si stabilì con la famiglia in via di S. Giuliano, dove si trovavano le botteghe dei "lanerii", ai quali apparteneva anche la chiesa omonima, ed iniziò una vivace attività commerciale, testimoniataci da numerosi documenti. Il 9 giugno 1472 acquistò una partita di lana di Saffi da pagare con due pezze di lana di Savona; il 26 agosto, insieme col figlio Cristoforo, comprò lana "de Sorlinis et Biolante", che pagò in "blancheti". Il 12 febbr. 1473 acquistò ancora lana di Saffi da pagare in panni bianchi di Savona; il 4 giugno si impegnò a dare in cambio della lana comprata alcune pezze di panno bianco. Vivace fu pure la sua partecipazione alla vita della corporazione, come quando, il 12 marzo 1473, fu tra gli "homines de arte lane" di Savona, che nominarono un "lanerius" loro procuratore. Il fatto che sia ricordato anche fra i "textores", che si impegnarono ad esigere dai "lanerii" pagamenti parte in merce e parte in denaro, rende plausibile l'ipotesi che egli non avesse ancora rinunziato all'antico mestiere di tessitore di lana, esercitandolo, questa volta in proprio e tentando di controllare l'intero ciclo produttivo, di cui in precedenza egli costituiva un semplice anello.

Infatti, il "lanerius" controllava gli artigiani collegati all'arte della lana, dato che si collocava all'inizio della produzione con l'acquisto della materia prima e alla fine di essa con la vendita del tessuto; una attività di questo genere, tuttavia, richiedeva notevoli capitali, per consentire gli investimenti e l'immobilizzo del liquido che essa imponeva. L'urgenza di reperire il denaro necessario spinse il C. a cedere la casa sita in Genova in contrada dell'Olivella, sulla quale la moglie vantava un'ipoteca: il 7 ag. 1473 Susanna, insieme con i figli Cristoforo e Giovanni Pellegrino (con ogni probabilità il secondogenito), acconsentì alla vendita. L'anno seguente il C. acquistò da un Corrado "de Cuneo" una casa con appezzamento di terreno nella "villa" di Legino in Valcalda pagabile in panni entro il termine di cinque anni (atto del 19 ag. 1474) ed ottenne la concessione in affitto della terra dal canonico della Chiesa savonese, da cui essa dipendeva. Ciononostante, le condizioni economiche del C., i cui crediti potevane venir riscossi in genere con un certo ritardo, si dovevano mantenere precarie. È significativo, a questo proposito, il fatto che il C., non riuscendo a saldare in altro modo i propri debiti nei confronti del notaio Francesco di Camogli, sia stato costretto a cedergli, il 5 nov. 1476, il credito che vantava nei confronti di tale Nicola "Malium", un suo affittuario; e che solo nel 1480 egli abbia potuto veder saldata la somma dovutagli per la vendita della casa dell'Olivella. Paradossalmente, si potrebbe osservare che furono proprio gli assillanti bisogni finanziari del C. e il fallimento delle sue iniziative commerciali a far sì che suo figlio Cristoforo, invece di un onesto e benestante taverniere o formaggiaio o mercante di panni, si desse alla navigazione e raggiungesse quella conoscenza dei segreti del mare, che gli avrebbe permesso di ideare e di portare a termine la sua grande impresa. Nel 1477 il C. decise di vendere anche la sua casa sita in contrada S. Andrea a Genova ed ottenne il necessario assenso della moglie, che vantava un'ipoteca anche su di essa; finì tuttavia - forse in seguito ad un temporaneo miglioramento della sua situazione economica - col tornare sulla sua decisione (atti del 23 gennaio e del 18 marzo). Nell'agosto del 1481 affittò a un certo Giovanni Picasso la casa in Valcalda: è probabile che già allora pensasse a trasferirsi nuovamente a Genova, dove risulta risiedere nel gennaio del 1483. Aveva lasciato a Savona il figlio Giacomo, che, per imparare il mestiere paterno, si accordò con un tessitore di pannidi quella città.

Il motivo del ritorno a Genova deve con ogni probabilità venir ricercato nelle difficoltà finanziarie che continuavano ad assillarlo: nel 1501, Sebastiano di Corrado "de Cuneo" ricorreva in giudizio presso il vicario di Savona per ottenere dagli eredi del C. la somma di cui questi era debitore nei confronti del padre per la vendita delle terre di Legino.

A Genova il C. non esercitò, almeno in un primo momento, il suo antico mestiere: in un atto del 27 genn. 1483 viene infatti ricordato come "olim textor pannorum". Doveva versare allora in gravi difficoltà economiche, perché fu costretto ad affittare ad un calzolaio la bottega e buona parte della casa in vico Dritto nel borgo di S. Stefano, riducendosi ad abitare nel piano superiore e nel viridarium (27 genn. 1483). Sappiamo tuttavia che in seguito riprese l'attività di tessitore, ma senza particolare fortuna, tanto che quando nel 1489 sua figlia Bianchinetta sposò il formaggiaio Giacomo Bavarello, non fu in grado di versare al genero la dote pattuita. Il Bavarello trascinò in giudizio il C., che dovette cedergli, per saldare l'estimo a lui sfavorevole, la casa in vico Dritto (21 luglio 1489). Mortagli la moglie Susanna prima di questa data, il C. visse da solo a Genova, dove è citato come "textor" in atti del 23 ag. 1490 e del 15 nov. 1491. Nel novembre del 1491 si recò a Savona per riscuotere una somma dovutagli (atto del 17 nov. 1491, segnalato dal Belloro, ma non pervenutoci). Non è possibile accertare se in questi anni abbia mantenuto i rapporti col figlio Cristoforo, allora in Spagna: è pura ipotesi l'affermazione, pure ricorrente nella letteratura storica, che quello gli abbia inviato aiuti finanziari. Ormai quasi ottantenne, il C. dovette cessare di svolgere il suo mestiere, dato che in un documento del 30 nov. 1494 - l'ultimo in cui egli appaia come ancora vivente - si parla di lui come "olim textor pannorum".

Si ignora la data esatta della morte del C., avvenuta in ogni caso tra il dicembre del 1494 e l'8 apr. 1500, quando i suoi figli vengono ricordati come eredi del fu Domenico.

Il C. aveva avuto cinque figli dalla moglie Susanna di Fontanarossa: Cristoforo, Giovanni Pellegrino (morto prima del 21 luglio 1489, perché in un atto rogato in quel giorno non viene citato tra i figli, di cui il C. stesso appare amministratore), Bartolomeo, Giacomo e Bianchinetta.

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