CORVI, Domenico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)

CORVI, Domenico

Giuseppe Scavizzi

Figlio di Giuseppe, nacque a Viterbo il 16 sett. 1721 (O. Aracoeli, in Ferrara, 1974-75, pp. 208 s.). A quindici anni si sarebbe trasferito a Roma dove sarebbe stato allievo di F. Mancini (Lanzi, 1808), ricevendo da lui un'educazione interamente nella tradizione accademizzante. Nel 1750, principe il Mancini, vinse (22 maggio) il primo premio nel concorso Balestra dell'Accademia di S. Luca, ex aequo col francese J.-F. Vignal; nel 1753 coabitava col conterraneo V. Strigelli nella parrocchia di S. Andrea delle Fratte: della sua vita e della sua opera anteriormente al 1756 tuttavia si conosce straordinariamente poco, della sua opera anzi nulla se si eccettua la composizione (1744) di un frontespizio per gli Offizi della settimana santa (Clark, 1970).

Del 9 nov. 1756 è l'ammissione all'Accademia di S. Luca (Arch. dell'Accad., vol. 51, f. 87), che denota il riconoscimento ufficiale dell'artista; pezzo d'accoglimento (già ritenuto l'Erminia fra i pastori della stessa Accademia: attribuzione di Clark, 1970; cfr. Faldi, 1968) è ora considerato la Natività, sempre all'Accademia, che per stile "si collega agevolmente con la lezione del Giaquinto" (Rudolph, 1982, p. 7). Dello stesso 1756 sono gli affreschi del Gonfalone a Viterbo eseguiti in collaborazione con lo Strigelli. Per la parte che a lui compete, chiaramente delineata dal Faldi (1968: tondi con gli apostoli Simone e Guida e Decollazione del Battista in una lunetta), si può osservare come anche nelle più spericolate acrobazie illusionistiche lo stile suo sia solidamente disegnativo e accademico, con un tono di colore alquanto esagerato e affettato; e che perfino i vaporosi e impressionistici bozzetti, pieni di estrosità e di effetti teatrali (il Battista dinanzi a Erode; la Decollazione del Battista), rivelano, sotto la mobilità delle luci, degli schemi classicheggianti. Il Lanzi (1808) correttamente definiva il C. "pittor dotto, e da paragonarsi con pochi in notomia, in prospettiva, in disegno, che appreso dal Mancini suo educatore ha mantenuto qualche idea del gusto caraccesco". Non sorprende l'affermazione dello stesso Lanzi secondo la quale le sue accademie (disegni dal nudo) erano "pregiatissime", più ricercate delle sue stesse pitture.

Datata 1758 è una delle quattro tele oggi nella Certosa di Vedana in Val Belluna (due Storie di s. Chiara, Gedeone con il vello, il Castigo di Antioco), che tradizionalmente si riteneva provenissero da un convento romano, ma che potrebbero provenire della chiesa di S. Chiara a Palestrina (Rudolph, 1982, p. 13).

Gli scorci sono tagliati in modo illusionistico e teatrale, dal sott'in su; gli effetti di luce ricordano la tradizione caravaggesca (perciò il Lanzi, parlando di simili effetti nell'opera che egli considerava il capolavoro del pittore, la Natività già nella chiesa degli osservanti di Macerata e oggi nel Museo civico: cfr. Bonci, 1926-27, paragonava il C. a Gherardo delle Notti); i gesti vi sono magniloquenti nella più pura tradizione barocca. Ma anche il compromesso con la tradizione classica è evidente; le forme sono tornite e scultoree, il colore freddo e sottomesso. Gli echi del Mengs sono avvertibili, mentre un certo amore del dettaglio e l'osservazione della natura si richiamano alla tradizione di Batoni, Benefial, Subleyras (cfr. Rudolph, 1982, pp. 10 ss.).

Alle tele di Vedana si avvicinano opere ancora intensamente barocche, come il Sacrificio d'Isacco e il Ritrovamento di Mosè di S. Marcello a Roma, sicuramente anteriori al 1763 (L. Gigli, S. Marcello..., Roma 1977, p. 115 n. 198). La natura di queste opere induce spesso i commentatori a sottolineare i punti di contatto con il Mancini e con il Luti.

Segue quello che è senz'altro il periodo di massimo successo del C., e che comprende gli anni fra il 1760 e il 1780. L'artista produsse numerose tele da cavalletto, complessi decorativi nei palazzi della nobiltà romana, grandi tele di soggetto religioso. Fra le prime è la bella Allegoria della Pittura della Walters Art Gallery di Baltimora, del 1764 (F. Zeri, Ital. Paintings in the... Gallery, Baltimore 1976, 11, pp. 536 s., tav. 278, con bibl.). Fra i secondi sono due delle tele, entro cornici in stucco, per l'appartamento Colonna in palazzo Barberini (1764 c.), il soffitto per il palazzo Doria con David e Abigail (1770 c.), il soffitto per il palazzo Borghese (1771-72), le tele per la stanza dell'Aurora nel casino Borghese con l'Aurora ed i Crepuscoli (1782), con i monocromi già attribuiti al Marchetti. Fra i quadri religiosi, infine, - molto abbondanti a Roma e nel Lazio - sono: la Madonna con i ss. Giuseppe, Caterina d'Alessandria e Nicola da Bari, firmata e datata 1763 (Roma, Gall. naz.); la grande pala d'altare con l'Incendio di Borgo in S. Caterina da Siena in via Giulia, del 1769, e la serie di tele della parrocchiale di Soletta in Svizzera, del 1774-78 (Ultima Cena, Incoronazione di Maria, Incredulità di Tommaso, Pentecoste: studi preparatori nel Museo civico di Soletta e nel Museo di Los Angeles). Appartiene a questi anni l'Apoteosi di Andrea Doria dell'Institute of Arts di Minneapolis, studio preparatorio per una tela perduta già nel palazzo Doria, del 1770 circa.

Indubbiamente il C. si serve in questi anni di stili diversi, non sempre espressione di un ordinato e coerente sviluppo nel tempo. L'Allegoria della Pittura di Baltimora si distingue per una forma isolata e tornita, interamente batoniana. Il Sacrificio d'Ifigenia di palazzo Borghese ostenta un veronesismo arcaizzante con prominenti architetture classiche e gradinate in scorcio, contrasti di toni accesi e freddi con una splendida gamma di mezzi toni nel dettaglio delle vesti e degli ornati. Nelle pale d'altare il pathos barocco riaffiora invece con forza, spesso con gli usuali effetti di notturno e contrasti di luci e ombre. Nei bozzetti è in evidenza una sensibilità più rococò, affine piuttosto ai napoletani e ai veneziani. Ciò che queste opere hanno in comune, e che indica la progressione stilistica del C., è un senso sempre più raffinato del colore, un controllo sempre più accentuato della composizione e della forma, infine un neoclassicismo sempre più marcato. L'Immacolata di Soletta (1777) è di un purismo asciutto e levigato da far pensare al Sassoferrato; gli affreschi del casino Borghese sono del tutto assimilabili al neoclassicismo romano di quegli anni: scambi attributivi fra il C. da un lato, Mengs e i suoi seguaci dall'altro sono stati in passato abbastanza comuni.

Il C. fu attivo anche come ritrattista, e il Clark (1963 e 1970) ha provveduto ad una prima ricognizione della sua opera in questo campo. Pare che abbia ritratto soprattutto personalità straniere di passaggio a Roma, in uno stile che ricorda la monumentalità delle pose dei ritratti del Batoni e il fine modellato del Mengs, ma che conserva anche spesso un dinamismo compositivo barocco. Un esempio notevole è il Ritratto di David Allan della Scottish National Portrait Gallery di Edimburgo, firmato e datato 1774: il personaggio è rappresentato nell'atto di disegnare da un calco del Gladiatore Borghese; l'immagine è severa e intimista al tempo stesso, quasi una via di mezzo fra Fragonard e David (Scottish literary personalities..., catal., Edinburgh 1951, p. 5). La produzione diminuisce e si fa ineguale dopo il 1780, nonostante questo periodo segni la diffusione della fama del C. fuori Roma, con invio di opere in Piemonte, Toscana, Lombardia, Veneto, fino in Russia. Il Sacrificio di Polissena del Museo civico di Viterbo, con il suo bellissimo bozzetto - ora collezione Comolli (cfr. Faldi, 1970, p. 83 e fig. 324) - pieno di echi veneziani, fa ancora mostra di fervore inventivo, ma la Trinità e santi della Pinacoteca naz. di Macerata, del 1783, l'Assunta del duomo di Montecchio, del 1786, e la S. Ubaldesca del duomo di Pisa, del 1787, non sono più all'altezza delle opere precedenti. La Deposizione di Spoleto (1792) è opera fredda e povera; l'Elemosina di s. Tommaso di Villanova nella chiesa della Trinità a Viterbo (1795) mostra un'ispirazione ormai languente se non del tutto spenta. Il suo neocarraccismo diviene gelido: la decadenza avviene infatti, secondo la definizione del Faldi (1970), più per un ripensamento in chiave dottrinaria del classicismo seicentesco che attraverso l'applicazione delle teorie di Mengs e di Winckelmann, L'attività del C. incluse dei restauri, come quello degli affreschi del Lanfranco nella loggia della villa Borghese (1782; cfr. Memorie per le belle arti, I [1785], p. 62), restauro che comportò anche il completamento degli affreschi per la trasformazione della loggia stessa. Il C. ebbe talento e vocazione didattica; oltre ad avere vari incarichi nella gestione dell'Accademia di S. Luca (Ferrara, 1974-75, p. 209 n.; Rudolph, 1982, p. 16), fu più volte direttore dell'Accademia del nudo in Campidoglio (1757, 1760, 1775, 1777-78, 1792, 1801-02: v. Pirotta, 1969). Ebbe anche largo seguito (secondo il Lanzi non vi è "stata in Roma altra scuola ne' tempi ultimi più ferace di alunni" della sua), e fra i suoi allievi furono il Cades, il Landi, il Matteini e il Camuccini. Solo dopo la sua morte l'Accademia concesse l'autorizzazione a stampare un suo opuscolo, Sulle proporzioni del corpo umano e della figura (cfr. Ferrara, 1974-75, p. 211, n. 12).

Documenti nella biblioteca dell'Istituto di archeologia e storia dell'arte di Roma (Mss. Lanciani, 65), del periodo della Repubblica romana del 1798-99, comprovano che il C. "incominciò nel glaciale ad esercitare l'ufficio di Assessore delle Antichità per la pittura".

Il C. morì a Roma il 22 luglio 1803 (Roma, Arch. storico del Vicariato, S. Luigi dei Francesi, Morti, XVIII, p. 17).

Un Autoritratto relativamente giovanile è all'Accademia di S. Luca; uno tardo (1785) è agli Uffizi (Faccioli, 1971; Incisa della Rocchetta, 1979). Il 27 apr. 1763 aveva sposato Angela Maria Caccia nella chiesa di S. Maria in Campo Carleo (Roma, Arch. stor. del Vicariato, Schedario Taglioni).

Dal Giornale di V. Pacetti (Roma, Bibl. Alessandrina, ms. 321), consultato solo per gli anni 1801-02 (cc. 206r, 207rv, 212v, 213v e 214r), risulta che nel 1801 il C. aveva eseguito "per la Moscovia" un Parnaso e che tra il C. e Pacetti i rapporti erano molto stretti, tanto che quest'ultimo lo sostituiva spesso, all'Accademia del nudo, per le lezioni e anche "nella direzione". Questi rapporti già esistevano nel 1781 (c. 9v) quando Asprucci aveva ordinato dei bassorilievi al Pacetti che il C. aveva "insinuato" di sostituire con pitture.

Il periodo più fecondo dell'attività del C. - che, come si è visto, è compreso fra il 1760 e il 1780 - cade in una fase della scuola romana durante la quale le tendenze eterogenee di quello che viene variamente definito rococò italiano o barocchetto convergono nel comune moto di transizione al protoclassicismo e quindi al neoclassicismo che dominerà la scena artistica nei decenni seguenti. Il ruolo del C. in questa scuola e in questo periodo è quello non di un caposcuola ma di un artista sensibile ai mutamenti storici e sempre pronto ad adeguarsi alle nuove esigenze del gusto. Il suo stile, che all'inizio rappresenta l'ultimo sussulto del barocco, assorbe senza traumi il nuovo monumentalismo neoclassico e finisce addirittura con l'eccellere in quel "realismo drammatico" (Clark, 1981, p. 123) della nuova pittura di storia che poi si affermerà più compiutamente con pittori come il Cades, che risentono della sua lezione.

Fonti e Bibl.: Oltre alla bibl. in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlex., VII, pp. 499 s., si veda: Arch. Segr. Vaticano, Arch. Borghese, anni 1772-82; Giornale delle belle arti …, I (1784), p. 251; II (1785), pp. 194, 361, 369; III (1786), p. 201; L. Lanzi, Storia pittor. d. Italia [1808], a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 422; Schede Vesme, I, Torino 1963, p. 368; I. Crescini, Nuova guida di Venezia, Venezia 1833. p. 160; A. Scriattoli, Viterbo nei suoi monumenti, Roma 1915-20, p. 444; H. Voss, Die Malerei des Barock in Rom, Berlin 1924, pp. 662 ss.; R. Bonci, Un quadro di D. C. nella Pinacoteca di Macerata, in Rass. marchigiana, V (1926-27), pp. 470-73; F. Schwendimann, St. Ursen ... Pfarrkirche von Solothurn, Solothurn 1928, pp. 206 s.; F. Valcanover, Opere d'arte ined. o poco conosciute nel Bellunese. Quattro dipinti di D. C. nella certosa di Vedana, in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, XXIX (1958), pp. 1 ss.; L. Salerno, in Il Settecento a Roma (catal.), Roma 1959, pp. 87 s.; C. Maltese, Storia d. arte in Italia, 1785-1943, Torino 1960, p. 60; A. M. Clark, Neoclassicism and the Roman Portrait, in Apollo, LXXVIII (1963), pp. 357 s.; Neoclassicism, Style and Motif (catal.), Cleveland 1964, n. 11; The Connoisseur, CLVIII (1965), 638, p. XLIX (sul mercato: una Madonna con Bambino e santi); O. Aracoeli, D. C., tesi di laurea, Roma, fac. di magistero, ist. di st. dell'arte, anno accad. 1966-67 (per i dati biogr.); I. Faldi, in Mostra di antichi dipinti restaurati delle raccolte accademiche, Acc. di S. Luca, Roma 1968, p. 28 n. 12; A. Kauffmann und ihre Zeitgenossen (catal.), Bregenz-Wien 1968-69, nn. 174-76; V. L. Pirotta, I direttori dell'Accad. del nudo in Campidoglio, in Strenna dei romanisti, XXX (1969), pp. 329-33r; A. M. Clark, in Painting in Italy in the Eighteenth Century ... (catal.), Chicago 1970, p. 192; I. Faldi, Pittori viterbesi di cinque secoli, Roma 1970, pp. 78-84; G. Zandri, Documenti Per S. Caterina da Siena in via Giulia, in Commentari, XXI I (1971), pp. 241, 243, 247; Christie's, Highly important pictures …, London 25 giugno 1971, p. 6 (due Allegorie delle arti, probabili modelli per affreschi); C. Faccioli, Da due note nel "Fondo Garampi" dell'Arch. Vaticano, in L'Urbe, XXXIV (1971), pp. 15 s.; P. Vignau Wilberg, Museum der Stadt Solothurn, Gemälde, Solothurn 1973, pp. 26 s.; L. Ferrara, D. C. nella Galleria Borghese, in Riv. d. Istituto naz. di archeol. e st. d. arte, n.s., XXIXXII (1974-75), pp. 169-217; S. Röttgen, A. Cavallucci: un pittore romano fra tradiz. e innovazione, in Boll. d'arte, LXI (1976), pp. 200 s.; R. J. M. Olson, Ital. 19th Century Drawings and Watercolors (catal.), New York 1976, n. 278, fig. 1 (Sacra Famiglia); Pittura del '600 e '700. Ricerche in Umbria, I, Treviso 1976, ad Indices;N. Tscherny, D. C.'s Allegory of Painting: an image of love, in Marsyas, XIX (1977-78), pp. 23-27; G. Incisa della Rocchetta, La collez. dei ritratti dell'Accademia di S. Luca, Roma 1979, pp. 156, 182, tav. XXXII; From Tintoretto to Tiepolo (catal.), London 1980, n. 20 (S. Filippo Neri invoca la Madonna); A. M. Clark, Studies in Roman Eighteenth Century Painting, Washington 1981, ad Ind.; S.Pinto, La promoz. delle arti negli Stati ital. dall'età delle riforme all'unità, in Storia dell'arte italiana, II, 2, Torino 1982, ad Ind.; S.Rudolph, Primato di D. C. nella Roma del secondo Settecento, in Labyrinthos, I (1982), pp. 1-45.

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