GATTILUSIO, Domenico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GATTILUSIO, Domenico

Enrico Basso

Figlio secondogenito di Dorino (I), signore di Focea Vecchia e di Lesbo, e di Orietta Doria, nacque probabilmente a Focea Vecchia, sulla costa dell'Asia Minore, dopo il 1420. La sua famiglia, genovese di origine, nel 1355 aveva ricevuto in feudo l'isola greca di Lesbo dall'imperatore bizantino Giovanni V Paleologo.

Nel 1449, essendo già morto il fratello maggiore Francesco (III), venne chiamato a esercitare le responsabilità di governo di Lesbo in nome del padre, confinato a letto da gravi problemi di salute, proprio nel momento in cui la minaccia turca andava facendosi sempre più pressante: nel 1450 l'isola subì infatti un primo, devastante attacco da parte della flotta ottomana. Ciò nonostante, il G. riuscì a gestire con grande abilità i rapporti con i Turchi: inviato nel 1453 a rendere omaggio a Maometto II dopo la conquista di Costantinopoli, ottenne dal sultano, in cambio di un aumento del tributo annuo, la signoria dell'isola di Lemno, dove fino a quel momento i Gattilusio avevano posseduto soltanto il castello di Kokkinos; mentre nel giugno 1455 si assicurò, in cambio di ricchi doni, le simpatie dell'ammiraglio Hamza Pasha, ancorato con la propria flotta di fronte al porto di Mitilene, ottenendo il rispetto della neutralità dell'isola.

Il 30 giugno 1455, alla morte del padre, il G. assunse ufficialmente il potere e poco dopo inviò il proprio segretario, lo storico bizantino Ducas, alla corte ottomana per rendere omaggio al sultano e pagare il tributo annuale; giunto ad Adrianopoli il 1° di agosto, l'ambasciatore si sentì però invitare, in termini estremamente perentori, a far comparire al più presto il G. alla presenza del sultano per rendergli omaggio, perché solo Maometto avrebbe potuto investirlo legittimamente della signoria di Lesbo e dunque una sua mancata presentazione alla corte sarebbe stata considerata alla stregua di una ribellione. Tornato a Mitilene in tutta fretta, Ducas ne ripartì poco dopo in compagnia del G. e di una delegazione dei maggiorenti dell'isola, ma l'epidemia di peste scoppiata nel frattempo in Tracia rese il viaggio lento e difficoltoso, e solo dopo varie peripezie l'ambasceria raggiunse la corte ottomana, nel frattempo trasferitasi a Zlatica, in Bulgaria. In questa località, il G. poté finalmente rendere omaggio al sultano e riceverne ufficialmente l'investitura della signoria di Lesbo e Lemno, ma, oltre a dover accettare l'aumento del tributo annuo da 3000 a 4000 ducati d'oro, dovette anche piegarsi a cedere ai Turchi la ricca isola di Taso, ottenendo in contraccambio la signoria delle isole di Skiros, Skiathos e Skopulos, in quel momento contese fra Turchi e Veneziani, per le quali avrebbe dovuto pagare un tributo di altri 3000 ducati. Avendo accettato tutte queste condizioni, il G. ricevette poi una veste d'onore e altri doni dal sultano ma, temendo per la propria incolumità, si affrettò a ripartire insieme con i suoi compagni. Mentre la delegazione si trovava ancora in viaggio, la situazione a Lesbo andava precipitando: il nuovo ammiraglio turco, Junus Pasha, era entrato in urto con il fratello minore del G., Niccolò, lasciato come reggente a Mitilene, poiché questi si era rifiutato di consegnargli una nave di proprietà dei Gattilusio, sulla quale viaggiava la suocera dello stesso G., moglie di Paride Giustiniani. Non avendo forze sufficienti per assalire l'isola, l'ammiraglio turco scelse allora come bersaglio Focea Nuova, sulla costa asiatica, amministrata per conto della Maona di Chio dal suocero del G., che venne fatto prigioniero insieme a molti altri mercanti genovesi e a centinaia di abitanti della località.

Tornato a Mitilene, il G. si affrettò a inviare nuovamente Ducas dal sultano per protestare e chiedere la liberazione dei prigionieri; Maometto rispose chiedendo l'immediato pagamento di un tributo di 10.000 ducati, minacciando in caso contrario la guerra, e, alla risposta negativa di Ducas a questo ultimatum, fece occupare dalle sue truppe, nel dicembre del 1455, Focea Vecchia, dichiarando quindi chiuso l'incidente. Il G. fu costretto ad accettare il fatto compiuto, ma si affrettò a scrivere al governo genovese per illustrare la situazione e chiedere soccorsi, una richiesta alla quale a Genova si rispose con l'istituzione della "compera Metilini", l'emissione cioè di una serie di titoli di debito pubblico destinata alla raccolta di fondi per la difesa di Mitilene, grazie alla quale poté in breve tempo essere armata una grande nave con rifornimenti e truppe da inviare in aiuto al Gattilusio. A rafforzare il clima di cooperazione fra il signore di Lesbo e la patria dei suoi avi contribuì indubbiamente anche la missione diplomatica dell'arcivescovo di Mitilene, il domenicano Leonardo di Chio, giunto in Occidente nell'agosto del 1456 per perorare la causa del suo signore anche nei confronti di Venezia, che aveva occupato Skiros, Skopulos e Skiathos sottraendole al Gattilusio. Nei mesi precedenti, tuttavia, il G. aveva subito una perdita ben più grave: in coincidenza con la campagna invernale con la quale Maometto II aveva conquistato i domini del ramo cadetto dei Gattilusio di Enos, Imbro e Samotracia, una rivolta era scoppiata in Lemno contro il governo tirannico di Niccolò Gattilusio, al quale il G. aveva affidato l'isola, e il piccolo contingente di truppe che il signore di Lesbo era stato in grado di inviare in soccorso al fratello era stato sbaragliato dai Turchi chiamati in aiuto dai ribelli. Niccolò stesso era stato così costretto a fuggire a Lesbo, mentre Lemno veniva occupata dai Turchi di Hamza Pasha e i comandanti della spedizione mitilenese, catturati, sfuggirono al patibolo solo grazie all'intervento di Ducas, inviato in tutta fretta presso il sultano. Nell'autunno del 1456, Lemno, Taso e Samotracia furono riconquistate dalla flotta pontificia guidata dal cardinale Ludovico Scarampo, patriarca di Aquileia, ma non vennero restituite al G., che si era rifiutato di partecipare alla guerra; sempre il G. dovette inoltre sopportare i fulmini dell'ira del sultano, convinto di una sua responsabilità negli avvenimenti: nell'agosto del 1457, una flotta turca guidata da Ismail Pasha attaccò la città di Mólivos, nel Nordovest dell'isola di Lesbo e si ritirò dopo vari giorni di assedio, dopo averne devastato i dintorni.

Di fronte a questo nuovo campanello d'allarme, il G. si affrettò a pagare il tributo al sultano, ma avvertì anche le autorità genovesi che, qualora non fossero concretamente intervenute in suo aiuto in modo più massiccio, egli sarebbe stato costretto a cercare qualche protettore più efficace. Genova - impegnata in quel periodo in una guerra senza quartiere con il regno d'Aragona per il controllo economico del Mediterraneo occidentale - con uno sforzo supremo riuscì, grazie all'intervento del Banco di S. Giorgio, a raccogliere i fondi necessari all'invio di altri 300 balestrieri, in aggiunta a un contingente già inviato poco tempo prima, ma il G. non visse però abbastanza per vedere questi soccorsi: verso la fine del 1458, infatti, il fratello Niccolò (II), accusandolo di voler consegnare Lesbo ai Turchi, lo depose usurpando la signoria e, pochi giorni dopo, lo fece strangolare in carcere in presenza della moglie, Maria Giustiniani.

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