BRAMANTE, Donato

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BRAMANTE, Donato (Donnino o Donino, come lo chiamavano i suoi genitori e Leonardo da Vinci)

Arnaldo Bruschi

Figlio di Angelo di Antonio di Renzo da Farneta e di Vittoria di Pascuccio da Monte Asdrualdo, nacque quasi certamente a Monte Asdrualdo (Fermignano), nello Stato di Urbino, nel 1444 (come si ricava dalla notizia del Vasari, IV, p. 146, che egli morì a settanta anni nel 1514).

Da Pascuccio, detto Bramante, il genero Angelo e i suoi figli presero il cognome. La designazione da Casteldurante (Serlio, III, c. 64v; Vasari, ibid.; Lomazzo, 1590, p. 117) così come il cognome Lazzari sembrano fraintendimenti (Sangiorgi, 1970). Il B. stesso si dichiarava "hastrubaldino" in un documento del 1510 conservato a Roma (Arch. Stor. Notarile Capitolino, LXVI, Reg. X, Lib. Instrum., ff. 131r-133, pubblicato da A. Presutti nel Giornale d'Italia, 19 marzo 1914). Più volte è genericamente detto di Urbino. Le famiglie del padre e del nonno del B. (Sangiorgi, 1970) non dovevano essere del tutto prive di risorse economiche, derivanti da proprietà agricole di una certa consistenza; sicché Angelo, oltre tutto erede del suocero Pascuccio, non doveva essere, al contrario di quanto afferma il Vasari (p. 147), "una povera persona... che aveva bisogno che e' guadagnasse". Tuttavia il B., abbandonando la famiglia e l'attività agricola dei suoi per rispondere alla sua vocazione artistica, dovette rinunciare completamente, come dimostrano i testamenti dei suoi genitori (Sangiorgi, 1970, pp. 102, 108), ad ogni eredità: a ragione, probabilmente, il Cesariano, forse informato direttamente dal B. suo maestro, potrà chiamarlo "patiente filio de paupertate" e, forse riferendosi soprattutto ai suoi esordi in Lombardia, precisare che "sufferse longissimamente la paupertate".

Secondo il Vasari il B. "nella sua fanciullezza, oltre il leggere e lo scrivere, si esercitò grandemente nello abaco" e, sempre secondo la dubbia testimonianza vasariana, lo stesso padre, "vedendo che egli si dilettava molto del disegno, lo indirizzò ancora fanciulletto all'arte della pittura"; ma anche, continua più attendibilmente il Vasari, "egli sempre si dilettò dell'architettura e della prospettiva" e, inizialmente, "studiò egli molto le cose di fra' Bartolomeo, altrimenti fra' Carnovale da Urbino, pittore e architetto". Secondo Saba da Castiglione, il B. fu "cosmografo, poeta volgare, et pittore valente, come discepolo del Mantegna et gran prospettivo come creato di Piero del Borgo" (Piero della Francesca). In ogni caso, forse come aiuto e collaboratore di fra' Carnevale e di Piero, il B. si dovette formare, inizialmente, nell'ambiente urbinate che, nella seconda metà del '400, stava diventando un centro umanistico di primaria importanza. Con parecchi degli artisti che lo frequentavano, il B. dovette da giovane essere in contatto e studiarne le opere; ed è anche possibile che con alcuni di essi egli collaborasse. Nulla di sicuro è tuttavia documentato prima del 1477, quando, ormai trentatreenne, lo troviamo a Bergamo. Negli anni precedenti il soggiorno lombardo, come è sicuramente deducibile dalla sua successiva opera, oltre che con Piero della Francesca, con fra' Carnevale, col Laurana e probabilmente con l'Alberti e con Melozzo, il B. ebbe verosimilmente rapporti diretti o mediati con l'ambiente ferrarese (Ercole De' Roberti) e quasi certamente studiò le opere dell'Alberti (Rimini, Mantova) e quelle del Mantegna: tanto che non è improbabile un suo soggiorno a Ferrara (dove avrebbe potuto fornire il disegno per il portale del palazzo Schifanoia eseguito nel 1474 da Ambrogio Barocci, anche attivo in Urbino e forse in contatto col B. anche in altre opere: cfr. Bruschi, 1969, p. 91), né un suo soggiorno a Mantova. Già all'inizio del periodo lombardo (S. Maria presso S. Satiro) il B. sembra aver conoscenza anche dell'opera del Brunelleschi e non è da escludere un suo, pur breve, soggiorno fiorentino.

Di questi anni, anteriori al 1477, la critica, basandosi, in mancanza di documenti, su confronti stilistici e circostanze di ordine storico, ha indicato alcune realizzazioni che, con maggiore o minore attendibilità, possono essere riferite al Bramante. Fra le più plausibili appaiono le prospettive architettoniche poste sullo sfondo di almeno quattro degli otto pannelli della Nicchia di S. Bernardino (1473) a Perugia (Museo Nazionale), nelle quali tuttavia le figure sono dipinte da diversi pittori (cfr. Bruschi, 1969, pp. 53 ss., 728 s.); le intelaiature architettonico-prospettiche dello "studiolo" di Federico e quelle della biblioteca, con la serie delle Arti Liberali, del palazzo ducale di Urbino, a cui forse è da aggiungere la Conferenza (ora a Windsor). Alcuni attribuiscono al B. anche l'architettura dello sfondo della pala di Brera di Piero della Francesca, e più plausibilmente il progetto della cappella del Perdono (quasi certamente eseguita da Ambrogio Barocci) e della cappella delle Muse nel palazzo urbinate. Caso incerto è anche il progetto della chiesa di S. Bernardino ad Urbino, realizzata tuttavia, e precisata nei particolari, certamente da Francesco di Giorgio. In tutte queste opere sono individuabili alcuni caratteri e motivi che trovano riferimento nella successiva produzione bramantesca; né l'attribuzione di queste architetture, dipinte o costruite, ad altri maestri risulta pienamente soddisfacente; tuttavia si tratta di opere di carattere diverso tra loro; pertanto per ricondurle al B. bisognerebbe pensare che egli, in questo periodo, fosse soprattutto un progettista ed un disegnatore e pittore di architetture in prospettiva, che poi altri artisti, talvolta interpretandole, inserivano nei loro quadri o realizzavano in opere costruite. Questa ipotesi, per quanto azzardata possa sembrare, può essere convalidata dalla considerazione della sua accertata perizia nel campo della pittura prospettica, attestata dalle fonti e confermata fin dalle sue prime opere. Certamente un'attività di questo tipo deve aver ancora in parte impegnato il B. in Lombardia, limitandosi egli talvolta a fornire a pittori disegni di architettura in prospettiva (come certamente nel caso dell'incisione Prevedari) o - probabilmente a capo di una équipe di aiuti -, realizzando, come pittore, egli stesso i suoi progetti.

Nal 1477 il B., come testimonia Marcantonio Michiel (1525 c., ed. Frimmel, 1888, p. 62), lavorava agli affreschi della facciata del palazzo del podestà di Bergamo, su incarico di Sebastiano Badoer pretore e Giovanni Moro prefetto della città, che rappresentano melozzesche figure di Filosofi inserite in un'inquadratura archittetonica dipinta che riplasma illusionisticamente il fronte di costruzioni medievali. Non sappiamo esattamente per quali ragioni il B. si fosse ormai stabilito in Lombardia (ma non ancora, forse, a Milano). Secondo il Vasari, "condottosi in Lombardia, andava ora in questa, ora in quella città lavorando il meglio che e' poteva, non però cose di grande spesa o di molto onore, non avendo ancora né nome né credito"; e, prosegue il Vasari, "deliberatosi di vedere almeno qualche cosa notabile, si trasferì a Milano per vedere il Duomo" (dove vari maestri mandavano avanti la costruzione) e "considerata che egli ebbe questa fabbrica e conosciuti questi ingegneri, s'inanimì di sorte, che egli si risolvé del tutto darsi all'architettura". La sua presenza a Milano è per la prima volta documentata da un atto del 24 ott. 1481 per il quale l'incisore milanese Bernardo Prevedari s'impegna, su incarico del pittore Matteo Fedeli, a "fabricare [...] stampam unam cum hedifitijs et figuris [...] secundum designum in papiro factum per magistrum Bramantem de Urbino..." (Beltrami, 1917, p. 194).

Questa incisione, conservataci in due esemplari (British Museum e collezione Perego, Milano) e rappresentante un tempio in rovina popolato di figure, può anche esser considerata una vera e propria opera di architettura (la prima certa). Essa ci documenta l'originaria formazione urbinate e albertiana del B. oltre che i suoi debiti, specie nelle figure, con la pittura ferrarese e soprattutto con l'opera del Mantegna.

Secondo alcuni, precedente a quest'opera, intorno al 1479-80, è un disegno (Louvre) di facciata di chiesa, forse non autografo e certamente non riferibile, come è stato supposto (Beltrami, 1901; Förster, 1956, p. 101), a S. Maria presso S. Satiro. In quest'ultima chiesa, che costituisce la prima opera costruita a Milano, il B. risulta certamente attivo almeno da quando, il 4 dic. 1482, egli, abitante a Milano nella parrocchia di S. Giovanni alle Quattro Facce, figura come testimone di un atto riguardante la chiesa stessa (anche per i successivi documenti su S. Satiro, cfr. Baroni, 1968; Palestra, 1969).

È probabile tuttavia che egli abbia iniziato precedentemente ad occuparsi di questo edificio (forse già intorno al 1478) e in ogni caso la sua presenza è più volte documentata in seguito. Ad esempio nel marzo 1483 (quando Agostino De Fonduti è incaricato di eseguire decorazioni scultoree e statue in terracotta per la chiesa e per la sua sacrestia, già realizzata su disegno del B., "secundum apparere... magistri Donati dicti Barbanti de Urbino"); e ancora nel settembre 1486 (quando Giovanni Antonio Amadeo è incaricato di eseguire "fatiatam marmoream de illis coloribus quibus videbitur magistro Donato de Urbino dicto Bramante"). Ancora da lettere patenti di Ludovico il Moro e della cancelleria ducale, del dicembre 1497, si sa che è "dato la impresa ad Bramante nostro ingegnere de farne in Sancto Satyro una capella de Sancto Theodoro", cappella che è attualmente scomparsa.

Forse del periodo 1480-85 è anche la decorazione ad affresco di una sala di casa Panigarola (frammenti nella Pinacoteca di Brera), nella quale elementi architettonici dipinti e raffigurazioni di Uomini d'arme qualificavano illusionisticamente l'ambiente sovrapponendo una realtà rappresentata sulle pareti alla realtà fisica della sala preesistente, così come già nello "studiolo" e nella biblioteca di Urbino e, a Milano, nel "finto coro" di S. Satiro. Probabilmente di questo stesso periodo è, se del B. (Lomazzo, 1590, p. 133), la facciata, pure dipinta illusionisticamente, di casa Fontana, ora Silvestri (per Lomazzo: Pirovani) a Milano (corso Venezia 10; cfr. G. Rosa-F. Reggiori, La casa Silvestri, Milano 1962, ad Indicem);e, come vuole il Mazzini (1964), forse tra il 1580 e il 1584 il B. poté dare a D., Montorfano disegni per gli sfondi architettonici di alcuni affreschi in S. Pietro in Gessate. Un documento del 16 sett. 1485 P. Canetta, Cronologia dell'ospedale..., Milano 1884, p. 11) dà notizia di un pagamento "Bramanti depictori pro disegnio dicti hospitalis [Maggiore di Milano] dato ambasciatori Venetorum": si tratta probabilmente soltanto di un disegno di rilievo. Il 22 ag. 1488 il B. è consultato, insieme a Cristoforo Rocchi, all'Amadeo - già impegnati nella costruzione - e ad altri, per redigere "certum designum seu planum" del duomo di Pavia, il cui committente era Ascanio Sforza, cardinale vescovo della città e fratello del duca Ludovico (R. Maiocchi, Codice diplomatico artistico di Pavia..., I, Pavia 1937, pp. 328 ss., n. 1372). Nel dicembre dello stesso anno ricevette un pagamento per i soggiorni compiuti a Pavia per la nuova costruzione del duomo (Malaspina, p. 27, doc. 8): secondo il suo disegno fu quasi certamente eseguita la cripta e almeno la parte basamentale dell'edificio poi proseguito da altri con successive varianti.

A Pavia gli è pure attribuito (F. Malaguzzi Valeri, 1915, p. 128; E. Arslan, 1956, pp. 662 s.) il disegno per il palazzo Carminali, poi Bottigella (almeno il piano terreno) in via Cavour. Nel giugno 1490 sono anche consultati sul duomo di Pavia Leonardo e Francesco di Giorgio. Soprattutto a partire da questi anni, come ha rilevato A. M. Brizio nel Congresso del 1970, debbono essere stati intensi i rapporti e gli scambi con Leonardo (come è attestato dai disegni e da esplicite citazioni di Leonardo). Dal fiorentino il B. deve essere stato stimolato ad un vivo interesse per l'opera del Brunelleschi che, insieme a quella dell'Alberti, egli sembra tuttavia già conoscesse prima, verosimilmente, dell'incontro con Leonardo; questi peraltro si era stabilito a Milano solo nel 1482.

Più o meno contemporaneamente a Leonardo, e probabilmente prima di Francesco di Giorgio, il B. si occupò del problema, assai discusso in quegli anni (1487-90), della costruzione del tiburio del duomo di Milano e redasse una relazione in proposito (Bramanti opinio super domicilium seu templum magnum, in Annali... del Duomo..., III, Milano 1880, pp. 62-64), nella quale esamina criticamente diverse soluzioni presentate e ne propone una sua, originalissima, forse in parte riportata in un disegno del trattato del Cesariano (c. 15r), che costituisce l'unico e significativo documento delle sue idee teoriche sull'architettura, accentuatamente legate a quelle dell'Alberti. Ormai il B., malgrado che egli, in un suo sonetto (Beltrami, 1884; Natali, 1914, p. 13), scherzi sulle sue non floride condizioni economiche a Milano (come ci informa anche il Cesariano), era al servizio di casa Sforza. Qui sembra godesse il favore di Ludovico e di Ascanio, oltre che di cortigiani influenti come il Bergonzio e Marchesino Stanga. Alla corte sforzesca egli era inoltre in contatto con umanisti, poeti e artisti; in particolare, sembra con i poeti Antonio Cammelli e Gaspare Visconti (cfr. Renier, 1885 e 1886), al quale ultimo egli stesso dedica versi e dal quale è celebrato nel De Paulo e Daria amanti del 1495. Al servizio degli Sforza il B. faceva l'architetto, il pittore (in un elenco degli ingegneri attivi a Milano al tempo di Ludovico, degli ultimi anni del secolo, egli è detto "ingegnerius et pinctori) e, come Leonardo, l'allestitore di spettacoli. Così, ad esempio, il 15 maggio 1492 Bartolomeo Calco, segretario di Ludovico, scriveva da Milano al duca (che lo aveva sollecitato "perché la giornata del baptismo fusse ornata da qualche digno spectaculo") di avere pensato "di mandare per Bramante per avere da lui qualche digna fantasia da mettere in spectaculo" e che il B. aveva assicurato che, malgrado il poco tempo a disposizione, "lui se sforzerà... darli qualche rappresentatione alla brigata", che sembra dovesse consistere nello "ornamento dell'offerta che gli abitanti alle porte Orientali et Tonsa" fecero in quella occasione. Si tratta forse, come pensava il Malaguzzi Valeri (1915, p. 132), di archi trionfali o di altre fantasie architettoniche. Già dai tempi di Urbino, il B. doveva infatti essere esperto anche di allestimenti scenici e, come nota l'Ackerman (1954, p. 125), non è forse un caso che diverse rappresentazioni prospettiche, disegnate o dipinte, spesso dalla critica messe in relazione con il teatro, possano essere riferibili più o meno direttamente alla suaattività o almeno al suo ambiente.

In particolare un'incisione, della quale esistono numerose copie e riproduzioni (Hind, 1938, II, pp. 634-36), forse risalente a un disegno o almeno a idee bramantesche (Murray, 1962), sembra costituire un prototipo fondamentale per la scenografia cinquecentesca dal Peruzzi al Serlio. Del resto la componente "scenica", a Milano e a Roma, è sempre elemento fondamentale nelle realizzazioni del Bramante. Ancora intorno al 1490e successivamente, ed ancora a Roma, egli non sembra tuttavia aver abbandonato l'esercizio della pittura, per lo più applicata all'architettura, per dedicarsi esclusivamente a quest'ultima. Unica pittura su tavola che gli è dubitativamente attribuita, seguendo la tarda testimonianza del Lomazzo (1590, p. 133), è il Cristo alla colonna, proveniente dall'abbazia di Chiaravalle ed ora a Brera, che, se sua, può essere stata eseguita intorno al 1490 (?).Altre pitture ad affresco, ora perdute, gli sono poi attribuite da fonti cinquecentesche: come una Pietà nella chiesa di S. Pancrazio a Bergamo (Michiel, p. 62); una figura del poeta Ausonio ed "altre figure colorate" in una facciata in piazza dei Mercanti a Milano (Lomazzo, 1584, p. 227), ecc. Così pure al B. sono attribuiti, con maggiore o minore attendibilità, alcuni disegni figurativi sparsi in diverse collezioni. Per conto di Ludovico il Moro, in un periodo collocabile tra il 1490 e il 1492-93, il B., probabilmente con l'aiuto del Bramantino suo scolaro, dipinse un affresco con la rappresentazione di Argo (?) entro una complessa intelaiatura architettonica, sulla porta della sala del Tesoro nella rocchetta del castello Sforzesco di Milano (l'opera, non documentata, è da alcuni [Longhi, 1955, p. 57]attribuita al Bramantino). Forse, pure tra il 1492 e il 1493, il B. (ma il suo intervento è contestato) diede anche disegni (?) per la decorazione architettonico-illusionistica a fresco del transetto e delle cappelle maggiori della certosa di Pavia, forse eseguita però da Ambrogio da Fossano o da altri.Già almeno dal febbraio 1492 (v. C. Baroni, 1940, pp. 43-49, anche per i successivi documenti) il B., su incarico di Ludovico e di Ascanio Sforza, si occupò della ricostruzione della canonica di S. Ambrogio a Milano. Il suo nome compare più volte nei documenti contabili: ad esempio l'11 sett. 1492, quando si dichiara che "fu fato mutatione del claustro, como ordinò Bramante"; il 19 settembre dello stesso anno, quando "lo illustrissimo signore Lodovico ch'el vene qui in canonicha et ordinò in presentia del capitolo che B. designasse et inginiasse questa canonicha como li pareva a luye, et luye fece lo dessegnio", ecc. La presenza del B., pur non continua (l'esecuzione dell'opera fu affidata a Giacomo Solari e a Cristoforo Negri), è documentata più volte fino all'anno 1497.

La costruzione, che già nel '97 procedeva a rilento, fu proseguita, anche dopo la caduta del Moro, per molti anni, ma già verso la metà del '500 si era rinunciato a completarla nella sua interezza in forma di chiostro quadrato, del quale rimaneva realizzato il solo lato addossato al fianco della chiesa.

Nello stesso tempo o un po' prima dell'inizio dei lavori della canonica, e sempre su incarico di Ludovico, deve essere posto il progetto per la ricostruzione di S. Maria delle Grazie (la prima pietra fu posta il 29 marzo 1492), della quale fu realizzata la tribuna, in forma di organismo centrico, da utilizzarsi come mausoleo sepolcrale degli Sforza, ma che sembra prevedesse la demolizione e la ricostruzione della quattrocentesca chiesa solariana e, certamente, l'erezione di una nuova facciata.

La paternità bramantesca non è certificata da sicuri documenti d'archivio ma solo dai caratteri dell'edificio (per tutta la questione e i documenti cfr. Baroni, 1968, pp. 19-31).In realtà il duca Ludovico - secondo antiche fonti, come, G. Gattico che sembra utilizzare documenti successivamente perduti - si dovette valere, nella costruzione, del parere di più "peritissimi architeti" (probabilmente l'Amadeo e forse, come è stato più volte sostenuto, Leonardo, ecc.), tra cui il Bramante. A lui verosimilmente risalgono l'idea e il progetto dell'organismo d'insieme - sviluppo e ingigantimento del tema della sacrestia vecchia di S. Lorenzo a Firenze e della cappella Portinari in S. Eustorgio a Milano - e forse anche il disegno di massima della decorazione dell'interno a graffito; mentre l'esecuzione e la precisazione e la rifinitura dell'esterno, salvo forse la parte basamentale, deve essere in gran parte di maestri lombardi, come l'Amadeo e il De Fonduti, ed estranea in larga misura al controllo del Bramante. A lui risalirebbe anche, ma non è documentato e più incerto, il progetto della sacrestia e del chiostro antistante. Sempre in S. Maria delle Grazie, non è improbabile che egli prestasse la sua collaborazione anche a pittori come il Montorfano, per quanto riguarda gli sfondi architettonicì delle loro pitture (affreschi nella cappella Bolla, 1495 c.; Crocifissione, 1495).

Tra il 1492 e il 1494 il B. era occupato contemporaneamente in parecchi lavori e tuttavia sembra si sia assentato parecchie volte da Milano. Infatti nel maggio 1492 (due mesi dopo la posa della prima pietra a S. Maria delle Grazie) il segretario ducale Bartolomeo Calco riferiva in una lettera al duca su ricerche intraprese fuori della città per rintracciare l'architetto che era assente da Milano. Qui egli tuttavia si trovava certamente nel settembre di quello stesso anno, come si può dedurre dal libro dei conti della fabbrica di S. Ambrogio (cfr. i già citati documenti dell'11 e 19 settembre 1492 in Baroni, 1940, pp. 45 s.).

In considerazione dell'accentuatocarattere brunelleschiano di questo edificio, è stato supposto che nell'estate del 1492 il B. si fosse recato a Firenze ed anzi che ciò abbia portato a una "mutatione" del progetto della canonica di S. Ambrogio attestata dallo stesso documento dell'11 sett. 1492.

Nell'autunno 1492 il B. era certamente in Milano e nell'ottobre il capitolo di S. Ambrogio (Malaguzzi Valeri, 1915, p. 138) gli commissionò una figura della Vergine per la vicina chiesa di S. Clemente (demolita). Il 29 giugno 1493 il B. firmò una relazione (Geymüller, 1875, II, tav. 54 fig. 1; Malaguzzi Valeri, 1915, p. 155) sulle fortificazioni di Crevola in Val d'Ossola (sopra Domodossola) la cui efficienza, difensiva sembrava messa in pericolo dalla costruzione di un edificio ad opera di un G. Battista del Ponte, patrizio ossolano. Ludovico, non soddisfatto del parere del B., che si era recato sul posto ma se l'era cavata con una relazione in realtà un po' evasiva, dispose l'invio di persone "più a proposito quanto alla professione del ministero de guerra". Il 23 luglio dello stesso anno Bartolomeo Calco attestava la presenza del B. in città; ma, verso la fine dell'anno, era nuovamente assente da Milano. L'11 dic. 1493 Giovanni Stefano Castiglioni intimava nuove ricerche "in Florentia e per Toschana" e una missiva ducale del 25 dicembre a Stefano Taverna chiedeva notizie del B. a Roma (per queste assenze da Milano cfr. Malaguzzi Valeri, 1915, passim). Il 16 febbr. 1494 era tuttavia nuovamente nel ducato milanese e riceveva colonne e marmi per la porta del castello di Milano e per Vigevano (Maiocchi, cit., II, Pavia 1949, p. 29). Per rilevare marmi dalle cave ducali, da portare ai lavori sforzeschi in corso di realizzazione a Vigevano il B. ottenne un permesso ducale ("dedimus negocium Bramanti architecto nostro") il 24 febbr. 1494 (Malaguzzi Valeri, 1915, p. 161).Il 4 marzo 1495 Bianchino da Palude scriveva al duca citando una "camera nova che fa depinzere Bramante, che è appresso alla strada" (ibid., pp. 161 s.) e fornendo anche un resoconto dei lavori che, molto verosimilmente sotto la direzione del B., venivano fatti nel castello di Vigevano, tra l'altro anche nella camera e nell'anticamera della duchessa. Per portare avanti queste opere di pittura (che si badi bene egli "fa depinzere", cioè non dipinse, almeno in ogni loro parte, egli stesso), il B. si dovette recare a Pavia per "cavare alcuni disegni"; il viaggio è documentato da una lettera del 5 marzo 1495 di Giacomo da Pusterla, castellano di Pavia, indirizzata al Moro (C. Magenta, I Visconti e gli Sforza..., Milano 1883, p. 570).

Già precedentemente, con ogni probabilità, il B. si doveva essere interessato ai lavori che Ludovico faceva compiere a Vigevano.

Forse a lui si devono l'impostazione urbanistica della piazza (realizzata tra il 1492 e il 1494, poi non poco rimaneggiata alla fine del sec. XVII) e lo schema della decorazione dipinta (1494)sulle facciate che la delimitano, con l'inserzione di finti archi trionfali, posti, come suggerisce l'Alberti, là dove le strade danno accesso al "foro". Nelle altre costruzioni del complesso di Vigevano è difficile individuare la mano del B., salvo forse nel palazzo delle Dame e nell'impostazione d'insieme della torre e della gradinata di accesso al castello che in origine, interrompendo il porticato, si affacciava direttamente (Lotz, in Atti del Congresso di studi bramanteschi,1970)sulla piazza (la torre, del 1492, viene attribuita al B. da Gaudenzio Merula, 1556). L'attività anche architettonica del B. a Vigevano è ricordata dal Cesariano (1521, lib. VII, cap. II, c. cxiii) e da Simone dal Pozzo che nel 1551 conferma la partecipazione del B. ai lavori e ne critica l'imprudente tecnica costruttiva (in Barucci, 1909). Ma a Vigevano il B. era impegnato anche in altre opere, o perdute ("una cappella de la Conceptione" per i frati di S. Francesco: cfr. lettera al duca del 13 luglio 1494 di Guglielmo da Camino, in Arch. di Stato di Milano, Autogr. Architetti,Bramante)o nemmeno identificabili ("il disegno de lo altare per collocare le reliquie e cfr. lettera del 5 sett. 1496al duca, ibid.). Forse più o meno in questo periodo (1495-96), il B., secondo il Cesariano (1521, lib. I, c. xxi v), costruì una "ponticella" nel castello Sforzesco identificata (Geymüller, 1875, p. 48; Beltrami, 1903, p. 16)con buona probabilità con la cosiddetta ponticella di Ludovico il Moro (circa 1494-96).È molto probabile che fosse opera sua anche la porta Ludovica (intorno al 1493-96). Didata incerta e di attribuzione contestata (cfr. Bruschi, pp. 802 s.), ma assai probabile opera bramantesca, è anche, a Milano, la cappella della cascina detta la Pozzobonella.

Del 1497, come risulta da una data incisa su di un sottarco, è inoltre la realizzazione della facciata della chiesa di S. Maria Nascente ad Abbiategrasso, la cui paternità bramantesca non è certificata da documenti, ma è da tutti accettata. Tra il 1497 e il 1498 sono anche registrate, nel libro dei conti di S. Ambrogio (Malaguzzi Valeri, 1915, p. 137), le spese per la costruzione di una cappella nella chiesa (sembra l'attuale cappella del battistero, adiacente al campanile, poi trasformata). In questi anni si lavorava anche, su incarico di Ascanio Sforza, al nuovo convento di S. Ambrogio.

Il nome del B. compare più volte nei documenti contabili del 1498 (Casati, 1870, pp. 48-50, 104-108;Malaguzzi Valeri, 1915, pp. 135 ss.; Baroni, 1940, pp. 43-49; Beltrami, 1912, pp. 12 ss.; Bondioli, 1935, anche per i docc. seguenti), e il 20 dic. 1498 (o secondo alcuni 1497) egli è pagato "per la spexa de uno modello de legname" mentre, nel corso dell'anno, si devono costruire il refettorio, una libreria e diversi locali al piano terreno e al primo piano "secondo le fogie et garbo [che] ordinerà magistro Abramante". Alla fine dell'anno la costruzione doveva essere abbastanza avanzata, ma i lavori si interruppero nel 1499, con la caduta del Moro, e vennero ripresi tra il 1504 e il 1508 dagli stessi imprenditori e con il vecchio progetto bramantesco, realizzato tuttavia solamente in parte.Nel periodo milanese più di una volta il B. dovette assentarsi dalla Lombardia. La già registrata assenza del 1493 e il sospetto che egli si trovasse a Roma, forse per assolvere a qualche incarico per conto di Ascanio Sforza, può essere circostanza utile per riaffermare una possibile partecipazione alla definizione del romano palazzo della Cancelleria (cfr. Bruschi, pp. 842-848) e, secondo antiche fonti (G. Grimaldi, 1621) ma con minore probabilità, del tabernacolo della Sacra Lancia, distrutto, già nella vecchia basilica di S. Pietro (1490-95). In un sonetto dedicato al poeta Gaspare Visconti, il B. dichiara (Beltrami, 1884) di essere di ritorno da un viaggio nel quale era passato da Genova, Savona, Nizza, Alba, Asti, Acqui e Tortona e di esser giunto a Pavia. Altri suoi versi, come ricorda il Malaguzzi Valeri (1915, p. 232), sono datati "a dì prima di setembre 1497 in Taracina". In una poesia anteriore al 1499 il poeta Cammelli saluta poi il B., assente da Milano (cfr. E. Percopo, Antonio Cammelli e i suoi "Sonetti faceti", in Studi di letter. ital., IV [1904-06], pp. 808 s.; e I sonetti faceti di A. Cammelli, Napoli 1908). Del resto anche dall'esame delle sue opere si ha la sensazione che egli fosse a conoscenza delle realizzazioni di molti centri culturali italiani specie dell'area centrosettentrionale.

Nel periodo lombardo, già probabilmente reduce da fondamentali esperienze culturali, il B. appare tutt'altro che chiuso a stimoli locali. Esamina con interesse le testimonianze della tradizione medievale romanico-gotica lombarda ma soprattutto, come ha messo in evidenza il Murray (in Atti delCongresso), è attratto dall'architettura tardoantica. probabilmente anche per un suggestivo richiamo forse anche politico dopo l'avvento di Ludovico il Moro, alla Milano imperiale del tempo di Teodosio, di Ambrogio e di Agostino. Il suo interesse si estende tuttavia fino alle opere del tempo di Ansperto. Edifici come il S. Lorenzo di Milano con gli annessi sacelli e il sacello di S. Satiro resteranno anche successivamente esperienze fondamentali per il B., che peraltro non rimane indifferente alle affermazioni a lui precedenti del Rinascimento in Lombardia: dalle opere del Filarete (anche probabilmente attraverso il trattato) a quelle di Michelozzo, alla pittura del Foppa (cappella Portinari in S. Eustorgio); néè insensibile alle proposte di quanti operano intorno a lui, come l'Amadeo (già quello della cappella Colleoni a Bergamo). Con quest'ultimo e con molti altri maestri locali egli fu in contatto fin dall'inizio dell'attività lombarda e con essi non disdegnava di collaborare pur riservandosi, sembra, la parte di organizzatore e di "regista". Sul piano locale l'attività del B. a Milano è fondamentale per gli sviluppi lombardi e in genere padani dell'architettura del Rinascimento. Parecchi edifici realizzati in Lombardia da altri architetti quando il B. era a Milano o dopo la sua partenza fanno pensare a possibili prototipi progettuali dell'Urbinate al quale sono stati talvolta attribuiti con maggiore o minore attendibilità: S. Maria in Canepanova a Pavia (cfr. P. Borlini, in Architettura, X [1964], 2, pp. 125 s.), S. Magno a Legnano, Incoronata di Lodi, il santuario di S. Maria della Croce a Crema (cfr. E. Rossi, in Architettura, XI [1965-66], pp. 472-478), edicola del SS. Sacramento nella parrocchiale di Caravaggio, ecc. Forse alla sua presenza è dovuto, in ambiente settentrionale, anche un accentuato interesse per Vitruvio e per studi teorici sull'architettura. Sono stati anche notati, ad esempio dal Gombrich (1951), misteriosi rapporti tra alcuni motivi bramanteschi e l'Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna.Per gli sviluppi, in generale, dell'architettura del '500 e, in particolare, per quelli dell'opera del B. a Roma, è da considerarsi poi di straordinaria importanza storica il rapporto a Milano tra il B. e Leonardo e il loro incontro, tra il 1490 e gli ultimi anni del secolo, con Francesco di Giorgio, Luca Fancelli, Giuliano da Sangallo e con il matematico e teorico Luca Pacioli, con documentabili scambi e reciproci arricchimenti che porteranno al superamento delle scuole locali o regionali dell'ultimo Quattrocento e all'affermazione, avvenuta proprio con il B. romano, di un'architettura italiana e poi europea di valore "universale".

La presenza del B. a Milano sembra documentata per l'ultima volta alla fine del 1498; ma un taccuino di Leonardo (ms. M., f. 53 b) del 1499 mostra un noto schizzo di ponte levatoio "che mj mostro donnjno" [mi mostrò Donato], che ricompare, come ha indicato il Pedretti (in Atti del Congresso)nel codice Atlantico (284r-a) con la data 1º apr. 1499. Secondo il Vasari (p. 153) - che appare in generale bene informato, forse per indicazione di testimoni diretti, sull'attività romana del B. - questi, "partitosi da Milano [forse nell'estate del 1499], se ne venne a Roma innanzi lo anno Santo del MD, dove conosciuto da alcuni suoi amici e del paese e lombardi, gli fu dato da dipingere a S. Giovanni Laterano, sopra la porta santa che si apre per il Giubileo, un'arme di papa Alessandro VI lavorata in fresco, con angeli e figure che la sostengono" (affresco distrutto nel '600; ma uno schizzo del Borromini [Vienna, Albertina, Dis. Arch., n. 388, pubbl. da H. Egger, 1932] ce ne dà un ricordo). Prosegue il Vasari: "Servì Bramante ne' suoi principii per sotto architettore di papa Alessandro VI alla fonte di Trastevere, e parimenti a quella che si fece in su la piazza di San Pietro" (principio dell'anno 1500; parzialmente riutilizzata nell'attuale fontana di destra della piazza). Ancora: "Trovossi al consiglio dell'accrescimento di S. Iacopo degli Spagnuoli in Navona [primi mesi del 1500] e parimenti alla deliberazione di S. Maria de anima fatta condurre poi da uno architetto tedesco"... "trovossi ancora... con altri eccellenti architettori alla resoluzione di gran parte del palazzo di S. Giorgio [poi della Cancelleria] e della chiesa di S. Lorenzo in Damaso, fatto fare da Raffaello Riario cardinale di S. Giorgio, vicino a campo di Fiore... del quale... fu esecutore un Antonio Montecavallo... Fu suo disegno ancora il palazzo del cardinale Adriano da Corneto in Borgo Nuovo, che si fabbricò adagio, e poi finalmente rimase imperfetto per la fuga di detto cardinale".

Non esistono documenti o testimonianze inequivocabili che ci confermino la paternità bramantesca di questo gruppo di opere. Del resto il Vasari solo nel caso del palazzo di Adriano Castellesi di Corneto (poi Giraud-Torlonia, oggi via della Conciliazione) scrive esplicitamente che "fu suo disegno". Negli altri casi egli impiega invece espressioni meno precise che possono indicare anche solo una partecipazione a titolo di consulenza o di collaborazione. Né dalle opere realizzate è possibile desumere con certezza di quale entità sia stato il non improbabile - specie nella fontana di S. Pietro e nel palazzo di Corneto - intervento del Bramante. È possibile del resto che a Roma, durante il pontificato di Alessandro VI e specie negli anni 1502-04, rallentasse l'attività progettuale per dedicarsi alla meditazione e allo studio. "Aveva Bramante - dice il Vasari (p. 154) - recato di Lombardia, e guadagnati in Roma a fare alcune cose certi danari, i quali con una masserizia [moderazione nello spendere, risparmio] grandissima spendeva, desideroso poter vivere del suo, ed insieme, senza avere a lavorare, poter agiatamente misurare tutte le fabbriche antiche di Roma. E messovi mano, solitario e cogitativo se n'andava; e fra non molto spazio di tempo misurò quanti edifizi erano in quella città e fuori per la campagna; e parimenti fece fino a Napoli, e dovunque e' sapeva che fossero cose antiche. Misurò ciò che era a Tiboli ed alla Villa Adriana e... se ne servì assai".

Forse, come sembra suggerire il Vasari, in relazione a questo studio delle antichità il B. venne in contatto con Oliviero Carafa, cardinale di Napoli, ricchissimo e molto influente alla corte romana, oltre che appassionato di lettere, arti ed antichità, che rappresentava gli interessi del re di Napoli e del partito spagnolo a Roma. E può essere politicamente spiegabile che in questi primi tempi del soggiorno romano il B. sia stato particolarmente introdotto presso influenti personaggi spagnoli, committenti o curatori di almeno alcune delle sue prime certe o possibili opere romane (fontana di S. Maria in Trastevere, S. Giacomo degli Spagnoli, ecc.). In ogni caso il Carafa fu il committente, come racconta anche il Vasari, della prima opera sicura del B. a Roma, il chiostro e il convento di S. Maria della Pace, per il quale, il 17 ag. 1500, Bartolomeo di Francesco scalpellino s'impegna "de lavorare et perficere octo colone quadre... cum soi capitelli bassi idest ionico... secundo la forma del disegno restato in mano de maestro B. architectore" (C. Ricci, 1915). I lavori si protrassero almeno fino al 1504. Una lapide nella cripta del tempietto di S. Pietro in Montorio certificherebbe che il "sacellum Apostolor[um] princi[pis]" fu fondato ("possuerunt") nell'anno 1502 dai reali di Spagna (curatore dell'opera era lo spagnolo card. Carvajal).

Questa data sembra contrastare con il carattere maturo dell'edificio, tanto che il De Angelis d'Ossat (1966), in una conferenza tenuta nel 1944, successivamente seguito da altri studiosi, ha proposto di spostare la datazione agli anni successivi al 1505-06. In considerazione dello svolgimento tutt'altro che lineare ed omogeneo della produzione del B., è difficile prendere con sicurezza una posizione in merito; abbiamo tuttavia proposto che la data 1502 possa costituire quella dell'incarico e dei lavori della cripta e che la parte in elevazione possa essere spostata di qualche anno (forse dopo il 1509).

Il 1º nov. 1503 fu eletto papa Giulio II, probabilmente conosciuto dal B. quand'era cardinale. Il B. appare quasi subito impegnato al suo servizio nel rinnovamento del complesso vaticano, facendosi interprete del sogno politico e "trionfalistico" di renovatio imperii del papa. Forse già intorno al 1504, certamente prima dell'estate del 1505 quando i lavori furono iniziati (Ackerman, 1954, pp. 41, 50), il B. progettò il collegamento del vecchio palazzo papale, "abbracciando una valletta che era in mezzo" - scrive il Vasari - con la preesistente villa di Innocenzo VIII, mediante il cortile del Belvedere e il cortile delle statue.

L'impresa era così vasta che alla morte del papa e a quella del B. (1514) l'opera era lontana dal completamento; eppure il Vasari afferma (e la rapidità dei lavori è confermata da documenti e testimonianze) che "questa muraglia di Belvedere fu da lui con grandissima prestezza condotta; ed era tanta la furia di lui, che faceva, e del papa, che aveva voglia che tali fabbriche non si murassero ma nascessero, che i fondatori portavano di notte la sabbia e il pancone fermo della terra, e la cavavano di giorno in presenza a B., perch'egli senza vedere faceva fondare" (tanto che un tratto del "corridore" verso est crollò al tempo di Clemente VII e successivamente tutto il cortile inferiore fu sfigurato da opere di rinforzo).

Qui il B., oltre il cortile di Belvedere vero e proprio, articolato su tre livelli e concluso dall'emiciclo (nell'avanzato sec. XVI trasformato in "nicchione"), progettò anche il "cortile delle statue" (primo nucleo del Museo Vaticano) e la sua rampa elicoidale su colonne; si occupò di portare l'acqua per le sue fontane e, lui stesso quasi certamente, progettò una cupola lignea (1509), a coronamento della torre Borgia (Ackerman, 1949-51).

Dal 1505, in concorrenza, poi sembra in collaborazione, con Giuliano da Sangallo (architetto di papa Giulio quand'era cardinale) e fra' Giocondo, il B. fu impegnato nella progettazione della nuova basilica vaticana. Il 18 apr. 1506 il papa pose la prima pietra, dopo che un primo progetto del B., come attesta Egidio da Viterbo, venne scartato. Il B., come capomastro della fabbrica, demolì parte della vecchia basilica (guadagnandosi il nome di mastro Ruinante o Guastante) e, fatto un nuovo progetto, iniziò rapidamente i lavori che lo tennero impegnato fino alla morte, quando non tutti i problemi progettuali dovevano essere stati risolti e la costruzione era abbozzata nel suo nucleo centrale. A protezione della tomba di s. Pietro e dell'altare papale il B. progettò e iniziò a costruire (1513) il cosiddetto "tegurio", una cappella di ordine dorico, successivamente demolito (J. Shearman, in Atti del Congresso).

Dopo l'incontro con Giulio II, già in Belvedere ma soprattutto in S. Pietro, l'ormai sessantenne B. fu impegnato in uno sforzo di rinnovamento che ha pochi confronti nella storia dell'architettura. Nasce la "grande maniera" del '500 alla quale faranno da ora in poi diretto riferimento seguaci e continuatori. I contemporanei e i trattatisti del '500 - Raffaello, Serlio, Vasari, Palladio, ecc. - riferendosi alle opere romane che, insieme a quelle dell'antichità, verranno proposte a modello per gli architetti, concordano, impiegando quasi le stesse parole, nel giudicare il B. come "inventore e luce della buona et vera architettura" (Serlio, Tutte l'opere..., ed. Venezia 1619, l. IV, c. 139r).

Il papa lo nominò, non si sa esattamente in quale anno, sovrintendente generale di tutte le costruzioni papali e "ingegnere" al servizio delle sue imprese militari oltre che, come ricorda il Vasari, "degno dell'ufficio del Piombo". Forse intorno al 1504-06 il B., secondo il Vasari, "fece un disegno grandissimo per restaurare e dirizzare il palazzo del papa" venendo incontro al desiderio di Giulio II di riprendere l'idea di Niccolò V di un totale rinnovamento del Vaticano, tale da emulare la grandezza imperiale di Roma antica (forse rispecchiato nel dis. Uffizi, Arch. 287 o in una planimetria con S. Pietro nel taccuino della collezione Mellon). Intanto nel 1505 il B. era impegnato in lavori per l'acquedotto di Monte Mario. Probabilmente tra il 1505 e il 1507 progettò l'ampliamento del coro di S. Maria del Popolo (il B. è citato in un documento del 1509 [in E. Lavagnino, S. Maria del Popolo, Roma s.d., ma 1928, p. 7], dal quale risulta che i lavori erano pressoché compiuti). Nel 1506 il B. figura in un contratto per il restauro e ampliamento della rocca di Viterbo e ancora nel 1508 è pagato per spese "in reparatione arcis Viterbii" (G. Signorelli, Viterbo nella st. della Chiesa, Viterbo 1938, II, p. 34 e nota 51). Nel 1506 - "cum sociis suis" - era a Bologna per lavori non precisati, forse militari. Scrive infatti il Vasari: "Andò Bramante... a Bologna, quando l'anno 1506 ella tornò alla Chiesa; e si adoperò in tutta la guerra della Mirandola a molte cose ingegnose e di grandissima importanza". A Bologna gli si attribuisce (Malaguzzi Valeri, 1899) la cordonata del palazzo degli Anziani.

Nell'ottobre 1506 figura in documenti riguardanti lavori, forse di sola manutenzione, in castel S. Angelo (Borgatti, 1931; Giovannoni, 1931, p. 98 n. 30). Più o meno direttamente connessa con i progetti vaticani e nel quadro di una ristrutturazione della città secondo il disegno politico "imperiale" di Giulio II è l'attività urbanistica del B., ricordata anche da Egidio da Viterbo. Via Giulia (dal ponte Sisto al Vaticano attraverso l'antico ponte Trionfale che doveva essere ricostruito) fu, dice il Vasari, "da Bramante indirizzata".

Il piano del B., previe demolizioni iniziate intorno al 1508, comportava (come sembra indicare uno schizzo forse autografo segnalato dal Frommel, in Atti del Congresso)una grande piazza in corrispondenza del gigantesco palazzo dei Tribunali pure progettato dal B. (1508), rimasto incompiuto e poi quasi completamente demolito. In questo palazzo, che incorporava la chiesa di S. Biagio, sporgente con la sua abside dal corpo dell'edificio sul lato opposto alla strada verso il Tevere, il B. introdusse l'opera rustica, come nella Porta Julia di Belvedere, e probabilmente l'ordine gigante, novità linguistiche fondamentali per l'architettura successiva; e progettò un grande cortile che costituisce l'antecedente di quello del palazzo Farnese di Antonio da Sangallo il Giovane.

Via della Lungara, pure sistemata dal B., doveva, secondo Andrea Fulvio, collegare mediante un rettifilo la città leonina e la "platea Sancti Petri", oltre porta Settimiana ed oltre Trastevere, con le attrezzature portuali di Ripa. L'allargamento di via dei Banchi (ora via del Banco di S. Spirito), dove avevano sede le più importanti banche del tempo, doveva collegare il ponte S. Angelo con il tessuto viario della città fino, forse, a ricollegarsi a via Giulia. L'intento politico e "trionfalistico" di Giulio II è attestato da una lapide del 1512, posta all'angolo di via dei Banchi, in cui si giustifica l'intervento "pro maiestate imperii". Su questa stessa strada il B., intorno al 1509, progettò e cominciò a realizzare la chiesa dei SS. Celso e Giuliano, non finita, poi distrutta ma nota attraverso disegni (come quello al f. 12 del cod. Coner, del Museo Soane di Londra; quelli ai ff. 56v-57v del codice di Menicantonio de' Chiarellis, della collezione Mellon). Altri minori interventi urbanistici del B. sembra riguardassero la rettifica di via delle Botteghe Oscure e quella della via Rua (poi Judaeorum) nella zona del futuro ghetto. Uno schizzo, forse autografo (Uffizi, Arch. 104), mostra poi la sistemazione urbanistica di S. Pietro con la nuova basilica al centro di una grande piazza quadrata circondata da edifici porticati, secondo un'idea concettualmente analoga a quella prevista, in scala assai ridotta, per la sistemazione del tempietto di S. Pietro in Montorio progettato - come riporta il Serlio (cc. 67r-68v) e conferma il Vasari - al centro di un cortile circolare. Tra il 1508 e il 1511 (ma per alcuni tra il 1501 e il 1503) probabilmente il B. realizzò, come ha proposto il Frommel (1968), il "ninfeo" di Genazzano. Intorno al 1508-1509 il B., dice il Vasari - e non è impossibile -, "ordinò i casamenti che poi tirò di prospettiva" per lo sfondo della Scuola d'Atene di Raffaello il quale a sua volta lo raffigurò, nello stesso affresco, in veste di Euclide. Il 14 dic. 1508 (Guglielmotti, 1880, pp. 195 s.), Giulio II pose la prima pietra del forte a mare di Civitavecchia, realizzato, quasi certamente su progetto del B., con una certa rapidità, forse con l'assistenza di Antonio da Sangallo il Giovane, assai probabilmente nell'ambito di un progetto d'insieme di rinnovamento del porto e forse della città (come appare in alcuni schizzi del 1514-15, di Leonardo: cod. Atlant. ff. 271r, f; 97r, b; 113v, b). Infatti, ancora nel 1513, Giulio Massimi doveva scavare la darsena secondo il "judicio di frate Bramante" (Guglielmotti, 1880, p. 197). Forse utilizzando un disegno del B. nel 1508 si diede inizio a S. Maria della Consolazione a Todi, i cui lavori, protratti per moltissimi anni, videro il succedersi di diversi maestri e la trasformazione del primitivo progetto (che è attribuito al B. nel Liber visitationis apostolicae del 1574 [c. 286] conservato nell'Archivio vescovile di Todi). Nel 1509 si stava attuando anche il fronte a ovest del palazzo vaticano (ora lato del cortile di S. Damaso) attuando un progetto, come attesta il Vasari (p. 362), preparato, forse qualche tempo prima, dal B. e poi ripreso e modificato da Raffaello.

Intanto il 25 nov. 1507 è notificata al governatore della S. Casa di Loreto la decisione di Giulio II di "voler far cose magne ad S.ta Maria di Loreto et presto mandare Bramante per disegnare le opere che vuole e resarcire quello bisogna" (Gianuizzi, 1884; 1888; 1907: anche per i successivi documenti). Più documenti di archivio del 1508-09 nominano il B. attivo a Loreto e nel 1509 fu coniata una medaglia (G. F. Hill, A Corpus of It. Ren. medals, London 1933, n. 868) con il suo progetto per la facciata della chiesa. In un documento sottoscritto dallo stesso B. si parla di un "modello" pagato l'11 giugno 1509. Il 27 febbr. 1510 si paga ancora "il resto del modello della capella [il rivestimento marmoreo della S. Casa] e del modello del palazzo che si fa inanzi a detta chiesa per commissione [...] di ma[estro] B. architettore del papa". Il modello della cappella fu inviato nell'aprile del 1513 a Leone X per l'approvazione.

Il 10 luglio del 1510 il cardinal Soderini chiedeva consigli al B. riguardo al suo palazzo sito nella via Alessandrina in Borgo. Una lettera del 13 dic. 1510, da Bologna (Luzio, 1908), attesta che Giulio II, già malato, "sta ognor meglio et parmi si voglia far docto in Dante, chè ogni sera si fa legere Dante e dichiarar da B. architecto doctissimo". In epoca incerta (probabilmente tarda: 1509-10, o dopo [?], ma secondo alcuni, come il Frommel, 1970, nel 1500-1501), il B. realizzò il palazzo Caprini in Borgo, successivamente (1517) acquistato da Raffaello e più tardi trasformato e demolito. Su incarico di Enrico Bruno, segretario di papa Giulio II, il B. verso il 1509 fornì probabilmente un disegno per la chiesa di Roccaverano (Asti) che, riprendendo l'impianto del S. Celso a Roma, presenta una soluzione di facciata con ordine gigante che anticipa quella peruzzesca della Sagra di Carpi e preannuncia soluzioni palladiane.

Forse - ma riporta la notizia solo una tarda fonte (A. Bacci, Del Tevere..., Venetia 1576, p. 289) - il B., alla fine del 1513, presentò a Leone X un audacissimo progetto per evitare le inondazioni del Tevere, che, secondo F. B. Bonini (Il Tevere incatenato, Roma1663, lib. IV), che lo illustra in dettaglio, comportava l'apertura di un "gran canale" di troppo pieno e si risolveva in un intervento di notevole significato urbanistico (cfr. Bruschi, p. 632 n. 40). In ogni caso è certo che il B., come Leonardo, s'intendeva di idraulica. Nello stesso periodo, da un documento del 19 ag. 1513, risulta che si lavorava ai "fossi della Magliana" (dove Giuliano. da Sangallo aveva progettato una villa papale) "con consentimento di m. frate Bramante" (Bianchi, 1942).Alla fine del 1513 il B. fu consultato per il duomo di Foligno (vi lavorava Cola da Caprarola attivo anche a Todi) ma, in cattive condizioni di salute, declinò l'incarico (Faloci Pulignani, 1914). Negli ultimi anni infatti, dice il Vasari (V, Firenze 1880, p. 449), il B. "ch'era vecchio, e dal parletico impedito le mani, non poteva come prima operare"; Antonio da Sangallo (oltre a B. Peruzzi e altri) fu chiamato - prosegue il Vasari - "a porgergli aiuto ne' disegni che si facevano... dandogli B. l'ordine che voleva, e tutte le invenzioni e componimenti che per ogni opera s'avevano a fare".

Già forse prima, dopo S. Pietro, occupatissimo in tanti e così impegnativi lavori, il B. si era fatto affiancare da collaboratori. Nacque così quella che il Giovannoni (1914) chiama la "ditta Bramante" e venne organizzato, forse per la prima volta nel Rinascimento, un efficiente studio professionale. È possibile che una serie di edifici condotti da suoi scolari debbano il loro impianto iniziale a un intervento progettuale del B.: così S. Maria di Loreto, S. Eligio, S. Maria dell'Orto a Roma; il duomo di Foligno; il S. Sebastiano in Valle Piatta a Siena, ecc.

Fortemente peggiorato in salute, il B. morì di "anni settanta" il martedì 11 apr. 1514 e fu sepolto in S. Pietro dove, scrive il Vasari (IV, p. 164), "con onoratissime esequie fu portato dalla corte del papa e da tutti gli scultori, architettori e pittori".

Nel periodo romano, sotto Giulio II, non solo B. Peruzzi e Antonio da Sangallo e numerosi collaboratori (Gian Cristoforo Romano, Giuliano Leno, Menicantonio de Chiarellis, Antonio di Pellegrino da Firenze, e, forse, secondo il Vasari, Ventura Vitoni e altri), ma anche Raffaello, Andrea e Iacopo Sansovino, Giulio Romano, ecc., e gli stessi fra' Giocondo e Giuliano da Sangallo si mostrano: pur temporaneamente, seguaci del Bramante. Per tutta la vita fu attivo e fertile il contatto, oltre che con architetti, con scultori, pittori, letterati. Ancora a Roma, come testimonia G. B. Caporali (1536), aveva rapporti con Luca Signorelli e con il Pinturicchio e, secondo il Vasari (IV, p. 418), fece venire dalla Francia Guglielmo de Marcillat, maestro di vetrate. Il Cesariano (1521, lib. IV, c. lxx v) lo dice "illetterato", anche se "di profundissima memoria e graviloquentia" (e così ripete il Caporali); e Saba da Castiglione (1549) racconta che, "essendo stato creato frate del piombo... dimendato da un suo amico come passassero le sue cose, rispose: Benissimo, poi che la mia ignorantia mi fa le spese". Infatti, commenta il Castiglione, ai "Frati del piombo delle bolle di Roma... è necessario non saper lettere". L'esser detto "illetterato" (come da altri lo furono Leonardo, Giulio II, Palladio, non precisamente incolti) significava soltanto che non conosceva a perfezione il latino e che non aveva seguito un regolare corso di studi. Il B. in realtà doveva avere una certa cultura - pure probabilmente frammentaria e da autodidatta - come risulta da documenti e testimonianze. Gaspare Visconti, amico del B., lo celebrava anche come poeta e come uomo di innumerevoli "cognitioni"; Saba da Castiglione come "cosmografo" e "poeta volgare"; il Vasari scrive che "dilettavasi della poesia e volentieri udiva e diceva improvviso in su la lira". Rimangono infatti di lui più di venti sonetti - rozzi ma vivaci - di argomento amoroso, religioso e giocoso, che costituiscono una fonte non trascurabile per individuare alcuni aspetti del carattere dell'uomo (cfr. Beltrami, 1884). Durante il periodo milanese il B. sembra si occupasse anche di questioni teoriche e scientifiche lasciando su di esse scritti e disegni. Secondo il Lomazzo (1584, p. 320; 1590, p. 16), un libro sulle "figure quadrate", o quadrature, del corpo umano e di quello del cavallo - un problema, connesso con gli studi vitruviani, del quale in quegli anni a Milano si stavano occupando in parecchi, tra cui Leonardo e il Pacioli - sarebbe stato lasciato dal B. a Raffaello e sarebbe pervenuto a Luca Cambiaso che poté utilizzarlo. Sembra, sempre secondo il Lomazzo, che avesse anche scritto sulla prospettiva e sulla "maniera tedesca". Il Doni, la cui testimonianza è tuttavia dubbia, afferma di aver visto manoscritti, del B., cinque libri Dell'Architettura, un libro intitolato la Pratica e tre libri sul Modo di fortificare. Tali scritti (cfr. J. Schlosser-Magnino, La letteratura artistica, Firenze 1964, pp. 144 s., 148 s.), i cui titoli sono comunque significativi degli interessi teorici del B., sono tutti scomparsi; qualche eco del loro contenuto è forse tuttavia rintracciabile negli scritti del Pacioli, del Cesariano, nei disegni e negli appunti di Leonardo, ecc. La celebre lettera a Leone X, per lo più attribuita a Raffaello, è da alcuni (Vogel, 1910, pp. 80 ss.; Förster, 1956, p. 162) ascritta al B. e contiene comunque alcune idee che a lui possono risalire. Secondo una suggestiva ipotesi di G. De Angelis d'Ossat (1966, pp. 92-94) il B. potrebbe anche essere quell'ignoto "Prospectivo Milanese depictore" che firma un rarissimo opuscolo a stampa intitolato Antiquarie prospetiche romane (pubbl. da G. Govi, in Atti della R. Accad. dei Lincei, Memorie della classe di scienze morali, CCLXXIII [1875-76], III, 3, pp. 39-66). Pur non disponendo di grande abbondanza di dati per ricostruire il carattere dell'uomo, alcuni accenni di contemporanei, come il Cesariano, il Guarna, Egidio da Viterbo, Michelangelo, ecc. o di storici, come il Vasari (che è probabile abbia attinto a testimoni diretti), e lo stesso esame delle sue opere, specie le pitture, e dei suoi scritti, e soprattutto i sonetti, ci consentono di mettere a fuoco almeno qualche aspetto del suo temperamento. Secondo il Vasari (p. 163), "fu persona molto allegra e piacevole, e si dilettò sempre di giovare a' prossimi suoi. Fu amicissimo delle persone ingegnose, e favorevole a quelle in ciò che e' poteva". Da vari indizi sembra che avesse un temperamento estroverso. L'arguzia, l'ironia, il gusto del gioco intelligente e beffardo, l'"umore bernesco" traspaiono con evidenza da alcuni dei suoi sonetti e si, manifestano anche in alcune opere. Il B., lo testimonia esplicitamente il Vasari (pp. 146 ss. e passim), doveva avere il gusto della "artificiosa difficultà"; tanto che "bellezza e difficultà accrebbe grandissima all'arte". Né era alieno dalla bizzarria, dall'estroso capriccio - il Vasari lo chiama "ingegno capriccioso" -, come testimoniano alcune sue soluzioni architettoniche; e, per esempio, la sua proposta a Giulio II di voler porre in Belvedere un'iscrizione "a guisa di jeroglifi antichi, per dimostrare maggiormente l'ingegno che aveva" (Vasari, p. 158), che era in realtà una specie di spiritoso rebus. La viva curiosità di ogni cosa lo faceva, dice sempre il Vasari, "investigatore di molte buone arti". Ed egli, fin dai primi documenti che lo riguardano, è detto "depictore", "prospettivo" pratico e "ingegnero"; ma gli si attribuiscono anche opere di scultura (per es. nella sacrestia di S. Maria presso S. Satiro), e fu poeta, studioso e, nota Gaspare Visconti (1495, in Renier, 1886, p. 535 n. 1), "sviscerato partigiano di Dante"; e sembra suonasse la lira, e, oltre che "cosmografo", fosse anche scenografo ed esperto di allestimenti teatrali e "urbanista", esperto di fortificazioni e di macchine, idraulico; e anche teorico - pure se il suo interesse, come sottolinea l'Argan (1934), è volto sempre verso le applicazioni concrete - d'arte e di architettura; né sembra ignaro, come attesta per esempio la figurazione di Eraclito e Democrito già a casa Panigarola, di idee ficiniane. Come architetto, pur sempre attentissimo, fino all'inganno illusionistico, agli effetti sensibili, visivi, doveva essere ricco di conoscenze tecniche notevoli. Nel duomo di Pavia, nella cupola di S. Maria delle Grazie, in S. Pietro egli si mostra audacissimo, anzi, come notavano anche i contemporanei, che condannavano la sua "animosità" (Serlio, lib. III, c. 66r), imprudente e spericolato costruttore. In Lombardia, dell'architettura tardoantica e romanico-gotica, e a Roma, di quella antica, egli studiò non soltanto le soluzioni formali ma anche i sistemi costruttivi: dall'architettura romana riprese il sistema della concrezione e, ricorda il Vasari, il "modo di buttar le volte con le casse di legno". Suggerì a Leonardo, come quest'ultimo appunta, un "modo del ponte levatoio" (Parigi, Bibl. Inst. de France, ms., M, f. 53 b); escogitò un "modo di voltar gli archi con i ponti impiccati" e un palco, pure "impiccato", preparò a Michelangelo per dipingere la volta della cappella Sistina (Vasari). E in generale, nota il Vasari (pp. 146 ss.), con "industria e diligenza" e con "grandissimo giudizio" accordava "scienza e disegno" mostrando "quella intelligenza che si poteva maggiore". Questa capacità di ricerca paziente, di intelligente approfondimento analitico del dato tecnico e di quello storico, combinandosi all'"ingegno capriccioso" produce quella "invenzion nuova" sulla quale, a proposito delle opere del B., insistono il Serlio, il Vasari, Palladio. Tuttavia un lato specifico del suo carattere è costituito dall'impazienza, dalla "grandissima prestezza", come più volte sottolinea il Vasari, dalla "furia" con la quale egli inventava le sue architetture e conduceva i lavori. Egli era soprattutto un "risoluto, presto e bonissimo inventore"; e alla rapidità della concezione corrispondeva l'impazienza, la prestezza dell'esecuzione. Ed era pronto, nel caso di S. Pietro, a ricominciare da capo, a cambiare idea; con una capacità di adattamento e di recupero, con un possibilismo nei confronti dei vincoli esterni, che gli consentivano - a lui che in ogni ambiente in cui operava era in fondo uno straniero, uno "sradicato" - di affrontare con amara ironia, come risulta da suoi sonetti, ma senza apparenti drammi interiori, le difficoltà economiche e i difficili rapporti con committenti talvolta autoritari. Si sapeva muovere con disinvoltura nell'ambiente falso delle corti senza ricorrere alla bassa adulazione del cortigiano; anzi, come in un suo sonetto, denunciando l'avarizia dei potenti: "...le Corti en come i preti / Ch'acqua, e parole, e fumo e frasche danno: / chi altro chiede, va contro i divieti" (Beltrami, 1884, p. 44). Capace di profondi sentimenti religiosi (come appare in un suo sonetto), fu forse, come molti suoi contemporanei, critico nei confronti dei "preti" e dei cortigiani ma, ambizioso e desideroso di primeggiare, è possibile che si comportasse talvolta con elastico senso morale per procurarsi incarichi importanti. Per esempio nel caso di S. Pietro, agendo abilmente e senza eccessivi scrupoli, ma proponendo anche idee intrinsecamente più valide dei rivali, "mette tutto in confusione", scrive il Vasari (p. 283) per ottenere l'incarico del lavoro. E tuttavia, una volta prevalso sul suo principale possibile rivale, Giuliano da Sangallo, lo accettò poi come collaboratore. Fedele alle amicizie, aperto alla collaborazione con i colleghi, capace di aiutare e valorizzare i giovani più promettenti (Raffaello, B. Peruzzi, A. da Sangallo il Giovane, Iacopo Sansovino, ecc.), certo ebbe contro, a Roma, alcuni degli esponenti della cultura fiorentina. I suoi rapporti con Michelangelo, come riportano soprattutto i biografi di quest'ultimo, (Vasari; Condivi: cfr. Barocchi, ad Indicem p. 160), sembra fossero particolarmente tesi e, a detta dello stesso Buonarroti, motivati da invidia e da malanimo. In una più tarda lettera Michelangelo riconoscerà onestamente il grande valore del B. architetto, e tuttavia il contrasto tra i due doveva essere soprattutto un contrasto di caratteri. Nella "terribilità" (Vasari, p. 162) del suo animo e anche nella smisurata ambizione di far presto, di far meglio, di far grande, il B. manifesta un equilibrio interiore che solo raramente sembra vacillare. L'estrema apertura verso le sollecitazioni più diverse gli consentiva di rinnovarsi in continuazione, di superare sempre se stesso, con una volubilità e con una molteplicità di atteggiamenti - così chiara nella sua opera - che non può non sconcertare ma che ha anche permesso a lui, padre di tante convenzioni accademiche, di restare quasi sempre miracolosamente anticonvenzionale. Estremamente significative del suo carattere fiducioso in se stesso, presuntuoso e attivista, sono certamente le parole che il Guarna fa pronunciare al B., ormai morto e giunto in Paradiso, davanti a s. Pietro: "Prima di tutto io voglio tôr via questa strada sì aspra e difficile a salire, che dalla terra conduce al cielo; io ne costruirò un'altra a chiocciola e così larga, che le anime dei vecchi e dei deboli vi possano salire a cavallo. Poi penso buttar giù questo paradiso e farne uno nuovo che offra più eleganti e più allegre abitazioni pei beati. Se queste cose vi accomodano, sono con voi; altrimenti io me ne vado subito a casa di Plutone". E tuttavia questa è forse soltanto la parte esteriore del suo carattere: una maschera di difesa che, come appare da alcuni suoi sonetti, sembra nascondere, nota il Förster (in Enc. Univ. dell'Arte, II, col. 777), una profonda malinconia e uno struggente desiderio di amore nati forse da una irrequieta solitudine - sembra che non fosse sposato né avesse figli - e, magari, un'insicurezza, un'inquietudine profonda che, nell'insoddisfazione di ogni raggiunta conquista, l'obbligava a gettarsi nel vortice di sempre nuove esperienze con una straordinaria "volubilità" di atteggiamenti. Ed egli ogni giorno, ogni istante, "muta se stesso"; e dichiara: "come il tempo si muta in un momento / si muta il mio pensier che gli è seguace" (Beltrami, 1884, p. 27).

Fonti eBibl.: Per una generale, e pur non completa, bibl. bramantesca si veda A. Bruschi, B. architetto, Bari 1969, da integrarsi, specie per l'attività antecedente al periodo romano, con F. G. Wolff Metternich, Der Kupferstich Bernardos de Prevedari aus Mailand von 1481, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XI (1967-68), pp. 9-108. Più brevi indicaz. bibl. sono contenute nelle diverse monografie, tra cui in partic. quelle di O. Förster, B., Wien-München 1956 e, dello stesso, in Encicl. Univ. dell'Arte, II, Venezia-Roma 1958, coll. 777-78. Nel 1970 futenuto un Congresso Internaz. di Studi bramanteschi, con più di cinquanta comunicazioni, i cui Atti sono in corso di stampa; non si elencano pertanto gli articoli d'occasione apparsi nei periodici nel 1969-70.

Per agevolare la consultazione, la bibliografia, essenziale, è così suddivisa: fonti di carattere generale, documentarie e iconografiche; bibliogr. generale; B. pittore e incisore; fonti e bibl. sulle singole opere (si osserva l'ordine cronologico seguito nella voce). Si tenga tuttavia presente che alcuni documenti sono stati editi in pubblicaz., anche recenti, che non possono classificarsi specificatamente come fonti.

Fonti di carattere generale, documentarie e iconografiche: G. Visconti, De Paulo e Daria amanti, Milano 1495 (cfr. R. Renier, G. Visconti, in Arch. stor. lomb., XIII [1886], pp. 518, 526-531, 534 s., 778, 806-808); Egidio da Viterbo (Aegidius Canisius Viterbiensis), Historia viginti saeculorum (cod. 8.19 della Bibl. Angelica, Roma), in L. von Pastor, Storia dei Papi..., III, Roma 1959, pp. 1121 s.; A. Guarna, Simia [Milano 1517], a cura di E. Battisti, Roma 1970 (cfr. anche trad. in G. Bossi, Del Cenacolo di Leonardo da Vinci..., Milano 1810, pp. 246-249); C. Cesariano-L. Vitruvio Pollione, De Architectura Libri Dece,traducti de latino in vulgare... [Como 1521], a cura di C. H. Krinsky, München 1969, ad Indicem;[M. A. Michiel], Notizia d'opere del disegno [1525 c.], a cura di T. Frimmel, Wien 1888, pp. 50, 62; A. Fulvio, Antiquitates Urbis, Romae 1527, libro II, fol. XXVI, p. 45; G. B. Caporali, Architettura con il comento et figure,Vetruvio in volgar lingua reportato per M. G. Caporali..., Perugia 1536, c. 102r; S. Serlio, Regole generali di architettura..., Venetia 1540 (cfr. Id., Tutte l'opere d'architettura... [1584], Venetia 1619, cc. 18 e passim;ediz. anastatica, Ridgewood, N. J., 1964); Saba da Castiglione, Ricordi,overo ammaestramenti [1549], Venetia 1555, p. 61v (ricordo CXI); A. F. Doni, Libraria seconda, Venetia 1555, p. 44; G. Vasari, Le vite..., a cura di G. Milanesi, IV, Firenze 1979, pp. 145-174, 362 (v. anche P. Barocchi, Commento, a G. Vasari, La vita di Michelangelo, Milano-Napoli 1952, ad Indicem);G. P. Lomazzo, Trattato dell'arte della pittura,scultura ed architettura, Milano 1584, pp. 227, 320; Id., Idea del Tempio della Pittura, Milano s.d. (ma 1590), pp. 16, 117, 133; V. De Pagave, Vita di C. Cesariano [sec. XVIII], a cura di C. Casati, Milano 1878, ad Indicem;C. Casati, I capi d'arte di B. d'Urbino nel Milanese..., Milano 1870; H. von Geymüller, Die ursprünglichen Entwürfen für Sankt Peter in Rom, Wien-Paris 1875, I, ad Indicem; II, tavv. 1-25, 54 fig. 1; E. Müntz, Les arts à la cour des papes, V, Paris 1878-82, ad Indicem;A. Guglielmotti, Storia delle fortificazioni nella spiaggia romana, Roma 1880, pp. 113, 195-224 (passim); L. Beltrami, B. poeta colla raccolta dei sonetti in parte inediti, Milano 1884 (cfr. recens. di R. Renier, in Giorn. stor. della lett. ital., V [1885], pp. 237 ss.); A. Rossi, Nuovi documenti su B., in Arch. stor. dell'arte, IV (1888), pp. 134-137; F. Malaguzzi Valeri, L'architettura a Bologna nel Rinascimento, Rocca San Casciano 1899, ad Indicem;T.Ashby, Sixteenth-century Drawings of Roman Buildings attributed to Andreas Coner, in Papers of the British School at Rome, II (1904), pp. 16-56; G. Natali, Il B. letterato e poeta, in Rivista ligure di scienze,lettere ed arti, XLII (1915), pp. 335-41; C. Baroni, Documenti per la storia dell'architettura a Milano nel Rinascimento e nel Barocco, I, Firenze 1940, ad Indicem; II, Roma 1968, ad Indicem;J. Schlosser-Magnino, La letteratura artistica, Firenze 1964, ad Indicem.

Bibl. generale: L. Beltrami, B. a Milano..., in Rassegna d'arte, I (1901), pp. 33-37; J. Baum, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IV, Leipzig 1910, pp. 515-519; J. Vogel, B. und Raffael..., Leipzig 1910; G. Natali, Vita di D. B., Firenze 1914; F. Malaguzzi Valeri, La corte di Lodovico il Moro, II, Milano 1915, pp. 2-362 (passim);G. Giovannoni, in Encicl. Ital., VII, Roma 1930, pp. 680-684; Id., B. e l'architettura italiana, in Saggi sull'architettura del Rinascimento, Milano 1931, pp. 61-98; G. C. Argan, Il problema di B., in Rassegna marchigiana, XII (1934), pp. 212-231; C. Baroni, B., Bergamo 1944; E. H. Gombrich, B. and the Hypnerotomachia Poliphili, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XIV (1951), pp. 119-122; E. Garin, La cultura milan. nella seconda metà del Quattrocento, in Storia di Milano, VII, Milano 1956, pp. 578-583; E. Arslan, L'architettura nella seconda metà del 400,ibid., pp.638-687, passim (cfr. anche Indici);G. Chierici, D. B., New York 1960; G. De Angelis d'Ossat, Preludio romano del B., in Palladio, XVI (1966), pp. 83-102; F. Sangiorgi, B. "hastrubaldino", Urbino 1970.

B. pittore e incisore: L. Beltrami, B. e Leonardo praticarono l'arte del bulino? Un incisore sconosciuto,B. Prevedari, in Rassegna d'arte, XVI (1917), pp. 187-194; H. Egger, L'affresco di B. nel portico di S. Giovanni in Laterano, in Roma, X (1932), pp. 303-306; A. M. Hind, Early Ital. engravings..., London 1938, I, 1, pp. 273, 274; 4, tavv. 451, 456; II, 5, pp. 101-106; II, 6, tavv. 633-635; W. Suida, B.pittore e il Bramantino, Milano 1953 (cfr. recens. di R. Longhi in Paragone, VI [1955], 63, pp. 57-61); P. Arrigoni, L'incisione rinascimentale milanese, in Storia di Milano, VIII, Milano 1957, pp. 706-708; F. Mazzini, La pittura del primo Cinquecento,ibid., VIII, ibid. 1957, pp. 642-661 passim;P.Murray, B. milanese. The printings and engravings, in Arte lombarda, VII (1962), pp. 25-42; F. Mazzini, Problemi pittorici bramanteschi, in Boll. d'arte, XLIX (1964), pp. 327-342; M. L. Ferrari, L'ampio raggio degli affreschi di B. a Bergamo, in Paragone, XV (1964), 171, pp. 3-12; F. Wolff Metternich, Der Kupferstich B.s de Prevedari..., in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XI (1967-68), pp. 9-108.

Fonti ebibl. sulle singole opere: Milano, S. Maria pressoS. Satiro: C. Baroni, Documenti..., II, Roma 1968, pp. 106-132; A. Palestra, Cronologia e documentazione..., in Arte lombarda, XIV (1969), 2, pp. 154-160; Pavia, cattedrale: L. Malaspina di Sannazaro, Memorie storiche, Milano 1816, pp. 6-10, 25, 27; Milano, S. Ambrogio: L. Beltrami, B. a Milano. La cappella di S. Teodoro,il monastero di S. Ambrogio..., Milano 1912; P. Bondioli, Il monastero..., Milano 1935, pp. 31-39; Milano, S. Maria delle Grazie: Arch. di Stato di Milano, Fondo di religione, p. a., Conventi Milano, cartt. 546, 588: G. Gattico, Descriz. succinta e vera delle cose spettanti alla chiesa di Santa Maria delle Grazie..., ms. (sec. XVII; copia in Arch. generalizio dei domenicani, ms. XIV, lib. LL); A. Pica-P. Portaluppi, Le Grazie, Roma 1938, passim;C.Baroni, Documenti..., II, Roma 1968, pp. 18-50; Vigevano: G. Merula, Memorabilium, Lugduni 1556, p. 261; G. Barucci, Il Castello di Vigevano, Torino 1909, p. 261; W. Lotz, in Atti del Congresso, cit.; Milano, Castello Sforzesco: L. Beltrami, B. e la ponticella di Ludovico il Moro..., Milano 1903; Legnano, S. Magno: S. Colombo, in Studi e ricerche nel territ. della prov. di Milano, II, Milano 1967, pp. 81 s.; Lodi, L'Incoronata: A. Terzaghi, in Palladio, III (1953), pp. 145-152 (passim); Caravaggio, edicola SS. Sacramento: G. Verga, in Saggi di st. dell'arch. in onore di V. Fasolo, Roma 1961, pp. 145-158; Roma, S. Pietro in Montorio: E. Rosenthal, The Antecedents of Bramante's Tempietto, in Journal of the Society of Arch. Historians, XXIII (1964), 2, pp. 55-74; B. Pesci-E. Lavagnino, S. Pietro in M., Roma s.d.; H. Gunther, in Atti del Congresso..., cit. Roma, S. Maria della Pace: C. Ricci, Il chiostro della Pace, in Nuova Antol., 1º febbr. 1915, pp. 361-67; Roma, Belvedere: J. S. Ackerman, B. and the Torre Borgia, in Rendiconti... Pontif. Accad. rom. di archeol., XXV-XXVI(1949-51), pp. 247-265; Id., The Belvedere as a classical Villa, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XIV (1951), pp. 72-78; Id., The cortile del Belvedere, in Studi e documenti per la st. d. pal. Apostol. vatic., III, Roma 1954; D. Redig de Campos, I palazzi vaticani, Bologna 1967, pp. 89-100; Roma, S. Pietro: P. Letarouilly-A. Simil, Le Vatican et la basilique de St. Pierre..., 2 voll., Paris 1882, passim;F.Wolff Metternich, B.s Chor, in Römische Quartalschrift, LVIII (1963), pp. 271-291; Id., Le premier projet pour St. Pierre..., in The Renaissance and Mannerism..., II, New York-Princeton 1963, pp. 70-81; P. Murray, Menicantonio,du Cerceau and the towers of St. Peters, in Stud. in Renaissance and Baroque art pres. to A. Blunt..., London 1967, pp. 7-11; F.Wolff Metternich, Über die Massgrundlagen des Kuppelentwurfes..., in Essays in... Architecture... to R. Wittkower, London 1967, pp. 40-52; P. Murray, Observations on B.'s St. Peter's,ibid., pp. 53-59; L. H. Heydenreich Die St. Peter-Studien Uff. Arch. 8v und 20,ibid., pp. 60-63; Roma, Castel S. Angelo: M. Borgatti, Castel Sant'Angelo..., Roma 1890 (nuova ediz. 1931); Roma, Pal. Tribunali: G. Giovannoni, Il Palazzo... in un disegno di Fra' Giocondo, Roma 1914; Loreto: P. Gianuizzi, La chiesa..., in La Rass. naz., IV (1884), 3, pp. 429-57; Id., Documenti inediti..., in Arch. stor. dell'arte, I (1888), pp. 273-76, 321-27, 364-369, 415-424, 451-453; Id., B. da Monte Asdrualdo..., in Nuova rivista misena, XX (1907), pp. 99-117, 135-149; K. W. L. Posner, in Atti del Congresso, cit.; Roma, SS. Celso e Giuliano: G. Segui-C. Thoenes-L. Mortari, SS. Celso e Giuliano, Roma 1966, pp. 31, 33, 43 s.; Genazzano, Ninfeo: C. L. Frommel, in Röm. Jahrbuch für Kunstgesch., XII (1968), pp. 139-160; Todi, Consolazione: G. De Angelis d'Ossat, Sul tempio..., in Boll. d'arte, XLI (1956), pp. 207-213; J. Zänker, in Atti del Congresso, cit.; Magliana: L. Bianchi, La villa..., Roma 1942, pp. 45, 53 s.; Foligno: M. Faloci-Pulignani, I priori della cattedrale di Foligno. Memorie..., Perugia 1914, pp. 142, 187, 199, 201.

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