Donazione di Costantino

Enciclopedia Dantesca (1970)

Donazione di Costantino

Pier Giorgio Ricci

. Si tratta di un documento, fabbricato probabilmente nel periodo 750-850 a Roma o a S. Denis, che pretende di essere l'atto diplomatico con il quale l'imperatore Costantino avrebbe donato nel 314 al papa Silvestro I la giurisdizione civile su Roma, sull'Italia e sull'intero Occidente; e avrebbe onorato la Chiesa romana attribuendole i poteri e le dignità dell'Impero sì che il pontefice potesse portare insegne imperiali, e che il clero di Roma avesse gli stessi onori degli ufficiali dell'Impero, esprimendo inoltre la volontà che il vescovo di Roma avesse il ‛ principatum ' sui patriarchi orientali, e, di conseguenza, su tutte le chiese del mondo; ordinando infine che la basilica lateranense fosse venerata quale ‛ caput et vertex ' di tutte le chiese, e che il palazzo del Laterano divenisse residenza ufficiale dei pontefici.

Ai tempi di D. nessuno riteneva falsa la Donazione (com'è noto la falsità fu dimostrata in età umanistica da Nicolò da Cusa e dal Valla); anzi era salda una tradizione di autenticità che risaliva al XII sec., quando il documento era stato inserito nel Decretum Gratiani, il testo ufficiale per l'insegnamento del diritto canonico. Ma era del pari viva una secolare polemica tra canonisti e civilisti, cercando questi ultimi d'infirmare il valore giuridico della Donazione con argomenti che avevano il loro sostegno nelle leggi romane. Secondo una glossa delle Institutiones (Glossa ad Authenticam, tit. 6, praef. ad vocem " humano generi "), il titolo imperiale di Augustus derivava dal verbo augere, assegnando all'imperatore il perpetuo proposito di accrescere l'impero; con perfetta rispondenza alle prescrizioni della lex regia (Dig., 1, tit. 4, n. 1; Inst. I, tit. 2, n. 6; Cod., I, tit. 17, n. 1, par. 7) che indicava nell'imperatore l'administrator dello stato, quale vicario e procuratore del popolo romano. I civilisti sostenevano pertanto che la Donazione di Costantino non poteva ritenere valore giuridico, in quanto aveva provocato una diminuzione dell'Impero, violando le prescrizioni della legge imperiale.

Anche D. nega ogni valore giuridico alla Donazione e utilizza gli argomenti medesimi già posti innanzi dai civilisti, dimostrando che all'imperatore non è lecito recar danno all'Impero. In primo luogo perché a nessuno è consentito di compiere nell'esercizio dell'ufficio affidatogli atti contrari a quell'ufficio medesimo (Mn III X 5 nemini licet ea facere per offitium sibi deputatum quae sunt contra illud offitium); e l'imperatore, provocando una scissione nella compagine dell'Impero, non ottempererebbe al dover suo, che è di tenere l'intero genere umano soggetto alla sua volontà (cum offtium eius sit humanum genus uni velle et uni nolle tenere subiectum, § 5). In secondo luogo osservando che all'Impero, fondato sul diritto umano, nulla è lecito compiere contro tale diritto (Imperio licitum non est contra ius humanum aliquid facere, III X 8); come invece accadrebbe se l'imperatore, scindendo l'Impero, ne provocasse la distruzione, dato che esso consiste nell'unità della Monarchia universale (§ 9 Cum... scindere Imperium esset destruere ipsum, consistente Imperio in unitate Monarchiae universalis). In terzo luogo dimostrando che all'imperatore non è lecito diminuire la giurisdizione imperiale, dato che a essa deve se egli è quello che è (§ 10 Imperator ipsam permutare non potest in quantum Imperator, cum ab ea recipiat esse quod est); senza contare che, ammettendo la possibilità di successive diminuzioni, tale giurisdizione potrebbe essere ridotta a nulla: il che è contro ragione (§ 12 sequeretur quod iurisdictio prima posset annichilari: quod est irrationabile). D'altra parte, osserva D., se l'imperatore non aveva la facoltà di alienare una parte dell'Impero, la Chiesa non aveva la capacità di ricevere tale dono, come dimostra il Vangelo (Matt. 10, 9-10) là dove è fatta alla Chiesa esplicita proibizione di possedere alcunché di temporale (Mn III X 14 Ecclesia omnino indisposita erat ad temporalia recipienda per praeceptum prohibitivum expressum.).

Anche se la Donazione era dimostrata nulla sul piano giuridico, anche se, pertanto, Costantino non aveva recato nocumento all'Impero, anche se non aveva conferito alla Chiesa una supremazia temporale che non le competeva, tuttavia l'imperatore aveva dotato papa Silvestro di beni terreni, perché, pur non potendo ‛ alienare ' ciò che era dell'Impero, poteva tuttavia ‛ affidare ' alla Chiesa certi beni (Mn III X 16 Poterat tamen Imperator in patrocinium Ecclesiae Patrimonium et alia deputare); e il pontefice, pur non potendo ricevere tali beni in suo effettivo possesso, poteva tuttavia accettarli come dote a favore della Chiesa ed esserne l'amministratore e il dispensatore a beneficio dei poveri (§ 17 Poterat et vicarius Dei recipere non tanquam possessor, sed tanquam fructuum pro Ecclesia pro Cristi pauperibus dispensator). Il pensiero di D. salva dunque la pia intenzione di Costantino nel ‛ deputare ' alla Chiesa certi beni, sui quali permase intatta la piena sovranità dell'Impero (inmoto semper superiori dominio, § 16). Stortura di quella pia intenzione e radice di ogni male sarà invece la pretesa da parte della Chiesa di aver ricevuto quei beni in suo possesso, come effetto di una vera e propria donazione, rivendicandone quindi il pieno governo, in quanto non più sottoposti alla giurisdizione imperiale. Conseguenza diretta di tale pretesa era l'assommarsi, nella persona del papa, dei due poteri: lo spirituale e il temporale (è giunta la spada / col pasturale, Pg XVI 109-110); onde da un lato la perversione della Chiesa (la Chiesa di Roma, / per confondere in sé due reggimenti, / cade nel fango, XVI 127-129; cfr. If XIX 112-117, Pg XXXII 124 ss.); dall'altro lato l'oscuramento di una delle due luci - l'Impero - poste dalla Provvidenza a illuminare il cammino dell'umanità (Soleva Roma, che 'l buon mondo feo, / due soli aver, che l'una e l'altra strada / facean vedere, e del mondo e di Deo. / L'un l'altro ha spento, Pg XVI 106-109) l'abbandono delle leggi per mancanza di chi possegga la giusta discretio inter bonum et malum (Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? / Nullo, però che 'l pastor che procede, / rugumar può, ma non ha l' unghie fesse, Pg XVI 97-99) e la corruzione del mondo, lasciato senza il governo ordinato dalla Provvidenza (pensa che 'n terra non è chi governi; / onde sì svïa l'umana famiglia, Pd XXVII 140-141).

Per Altre Considerazioni v. Costantino.

Bibl. - Si legga il testo della D. in C. Mirbt, Quellen zur Geschichte des Papstums und des römischen Katholizismus, Tubinga 1934, n. 228; H. Fuhrmann, Das Constitutum C., in Fontes iuris germ. antiqui, X, Hannover 1968; per i rapporti con D. cfr. lo studio di B. Nardi, La " donatio Constantini " e D., in " Studi d. " XXVI (1942) 47-95, ristampato con notevoli aggiunte nel vol. Nel mondo di D., Roma 1944, 109-159; A. Pagliaro, Il c. XIX dell'Inf. (1961), in Lect. Scaligera III 658-666; D. Maffei, La Donazione di C. nei giuristi medievali, Milano 1964; A. Pagliaro, " Ahi Costantin... ", in Ulisse 253-291.

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