DORIA PAMPHILI LANDI, Andrea

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 41 (1992)

DORIA PAMPHILI LANDI, Andrea

Marina Formica

Figlio del principe Giovanni Andrea Doria e di Eleonora Carafa della Stadera del duca d'Andria, nacque a Genova il 30 ott. 1747. Trascorse l'infanzia a Fassolo, nei possedimenti liguri della famiglia, dove fu educato privatamente. Nel 1759, quando ricevette la cresima, il vescovo di Tortona mons. G. L. de Andujar gli mutò il nome di battesimo, Giorgio, in quello di Andrea, su richiesta del padre del D., in seguito alla morte dei due figli maggiori Andrea (1744-1750) ed Ettore (1746-1755).

Nel 1760, alla scomparsa dell'ultimo discendente dei Pamphili Landi, Girolamo, si aprì una controversia per la loro eredità tra i Colonna, i Borghese e i Doria. A questi ultimi - legati alla famiglia estinta in virtù del matrimonio celebrato nel 1671 tra Giovanni Andrea Doria, bisnonno del D., e Anna Pamphili - fu assegnato il palazzo romano e il titolo e dunque la famiglia del D. si trasferì a Roma. Qui egli continuò gli studi e coltivò in modo particolare la passione per le arti musicali, mostrando una predilezione per i repertori vocali, secondo il gusto della società romana del tempo. Le cospicue spese affrontate dal 1763 per l'acquisto di strumenti musicali e per retribuzioni agli insegnanti di cembalo testimoniano tale interesse non interrotto neppure dopo la morte del padre, avvenuta l'8 dic. 1764.

Insignito del titolo principesco, il D. fu il primo della famiglia ad assumere il doppio cognome Doria Pamphili e a trasformare il casato da genovese in romano. In qualità di erede universale delle sostanze paterne dovette amministrare uno dei più ragguardevoli patrimoni dell'aristocrazia romana dell'epoca (cfr. Madelin, p. 96). A lui venne affidato il mantenimento dei fratelli e delle sorelle minori: in particolare seguì l'iter formativo di Antonio e Giuseppe, poi entrambi cardinali.

Ottenuto nel 1766 il titolo di grande di Spagna di prima classe, l'anno seguente si trovò coinvolto nella vicenda dell'espulsione della Compagnia di Gesù dai territori soggetti a Carlo III; sebbene educato egli stesso dai gesuiti, il D. "si mise in vista più di tutti per il suo zelo" nell'eseguire le direttive impartite dal re di Spagna ai grandi del Regno e trasmesse a Roma dall'ambasciatore T. Azpuru (Pastor, XVI, 1, p. 848): ritirò, infatti, immediatamente i fratelli dal seminario romano, revocò una fondazione di messe fissata dalla madre nelle chiese della Compagnia e affisse nell'anticamera della sala di ricevimento del suo palazzo un'ordinanza in cui si vietava l'accesso ai gesuiti.

Il 17 maggio 1767 sposò a Torino Leopoldina di Savoia Carignano, secondogenita del principe Luigi Vittorio.

Le trattative per il fidanzamento erano state lunghe e condotte per corrispondenza, attraverso gli intermediari Camillo Doria (per il D.) e Vittorio Amedeo delle Lanze (per i Carignano). La dote della principessa era stata fissata in 150.000 lire (pari a 30.000 scudi romani), in un corredo equivalente a 15.000 lire e in uno spillatico di 6.000 lire annue. In cambio, il D. le offrì un dono in gioielli del valore di 15.000 lire, assicurandole, in caso di vedovanza, l'uso dell'abitazione, la servitù, le carrozze, oltre a una rendita annua di 30.000 lire.

Dal 20 giugno 1767 gli sposi fissarono la residenza a Roma, nel palazzo Pamphili al Corso. L'attività mondana e culturale della casa conobbe una nuova vitalità e un nuovo prestigio. Ogni martedi sera si svolgevano negli appartamenti del palazzo, restaurato, conversazioni e frequentemente venivano organizzati raffinati ricevimenti e feste, tra le quali merita una menzione particolare quella celebrata il 2 apr. 1769 in onore di Pietro Leopoldo granduca di Toscana.

Ben quattro orchestre furono chiamate per l'occasione, vestite con livree appositamente confezionate. L'allestimento del palazzo fu curato dall'architetto trapanese Francesco Nicoletti, che in soli quattro giorni trasformò il cortile sul Corso in un'immensa sala, tramite l'elevazione del pavimento all'altezza della galleria (cfr. Ragguaglio ..., 1769, p. XVIII, e Carandente, p. 276). I contemporanei vollero ricordare quella festa come organizzata per l'imperatore Giuseppe II, il quale nella realtà venne ricevuto tre volte dal D., il 19 e il 28 marzo e - in forma privata - il 10 aprile, ma non partecipò alla citata festa, in quanto tra la fine di marzo e il 9 aprile si era recato a Napoli.

Festeggiamenti e banchetti di vasta risonanza si ebbero anche in occasione della nascita dei nove figli del Doria.

Gli avvenimenti rivoluzionari di fine secolo coinvolsero anche la famiglia Doria Pamphili. Poco incline a porsi in evidenza sulla scena politica, il D. si mosse in quegli anni con circospezione, senza mostrare né entusiasmo per le novità né eccessivo zelo nei confronti delle vecchie istituzioni di governo. Nell'estate del 1796, quando il ministro J. F. E. Acton - essendo il D. feudatario di quel Regno - lo chiamò a Napoli in seguito "ai politici sconvolgimenti" accaduti in quei mesi, egli - nel timore di rimanere coinvolto in un'azione di repressione - ottenne di rimanere a Roma. Qui, durante la grave crisi finanziaria attraversata dallo Stato della Chiesa quando le armate napoleoniche cominciarono a invadere i territori pontifici, dovette - al pari dei Borghese, dei Colonna e del principe di Piombino - dare il suo contributo in argento allo Stato per sopperire alla penuria di materia prima per il conio delle monete "plateali" (giugno 1796). Dopo l'armistizio di Bologna, quando si trattò di completare il pagamento della prima contribuzione ai Francesi, il D. sottoscrisse da solo mezzo milione di scudi romani (cfr. Tavanti, Fasti ..., p. 283, e Filippone, p. 235) e, in seguito, offrì - come garanzia - l'ipoteca di tutti i suoi beni in Liguria per ottenere un prestito di 1.200.000 scudi occorrenti alla S. Sede per il saldo delle contribuzioni fissate dal trattato di Tolentino. Su invito del fratello Giuseppe, allora segretario di Stato, acconsentì inoltre all'apertura dei magazzini d'olio della famiglia (presso i pozzi di S. Agnese) al fine di alleviarne la penuria gravante sulla popolazione romana.

Con l'occupazione francese di Roma, il palazzo Doria Pamphili divenne il quartier generale del comandante J.-B. Cervoni, che, in segno di gratitudine, fece "all'ex-Principe Doria ... un ragguardevole dono di scelto Zucchero, e Caffè" (Monitore di Roma, 28 marzo 1798, p. 90); a salvaguardia della proprietà, all'appartamento nobile del D. vennero apposti i sigilli. I buoni rapporti stretti con gli occupanti non gli evitarono il pagamento di ingenti somme di denaro, a cui fu sottoposto fin dal febbraio 1798 come tutti gli altri nobili. Onde evitare altre pesanti perdite patrimoniali, nel maggio decise di spedire segretamente a Vienna, presso la cognata Gabriella Lobkowitz, 2.000 zecchini doro e i gioielli di famiglia. Le autorità francesi riuscirono però a impossessarsi del celebre e ricchissimo ostensorio di S. Agnese in piazza Navona, di sua proprietà.

Privato dei titoli e degli onori, al "cittadino" D. toccò iscriversi alla guardia nazionale e prestarvi servizio come soldato semplice. Nel 1799 gli vennero però affidati incarichi di maggiore responsabilità: dopo essere stato riconosciuto come "cittadino zelante, e probo, il di cui credito è uguale al civismo" (Arch. Doria Pamphili, scaff. 93/55, int. 2), venne chiamato dal ministero della Guerra ad amministrare gli ospedali militari di Roma ed anche a far parte dell'amministrazione generale dell'approvvigionamento della città.

Come presidente dell'Annona (incarico ricoperto anche durante l'occupazione napoletana, fino al 24 genn. 1800) dovette poi affrontare il gravissimo problema della sussistenza, per ovviare al quale intraprese misure di vario genere, come, ad esempio, la proibizione dell'estrazione dei generi frumentari e la consegna di tutti i raccolti di questo prodotto (ottobre 1799).

Rimasto nell'ombra durante la prima restaurazione pontificia, con la nuova occupazione francese nel 1808 lo ritroviamo rivestito "dell'onorifica rappresentanza di Primo Difensore, ossia Capo del Tribunale dell'Agricoltura Romana"; l'anno seguente fu designato tra i sessanta membri del Senato romano e nel 1810 il prefetto C. de Tournon lo nominò membro del Consiglio dipartimentale di Roma, carica a cui però il D. preferì rinunciare adducendo motivi di salute. Le medesime motivazioni vennero da lui presentate quando il prefetto lo nominò membro del col.legio elettorale del circondario di Roma e candidato alle assemblee cantonali (febbraio 1812).

Una maggiore disponibilità il D. manifestò, invece, nei confronti di Gioacchino Murat dopoché le armate napoletane occuparono Roma, concordemente con l'atteggiamento assunto dal figlio Carlo (rifiutatosi dapprima di servire Napoleone e recatosi poi a Napoli a rendere omaggio al Murat). Da questo venne infatti nominato gran dignitario dell'Ordine reale delle Due Sicilie (28 genn. 1814) e membro del Consiglio comunale del dipartimento di Roma, insieme con P. Altieri e con Antonio Canova.

Con la Restaurazione il D. tornò alle antiche consuetudini tipiche dell'aristocrazia pontificia. Morì il 28 marzo 1820 a Roma, lasciando erede universale il figlio Luigi Giovanni Andrea.

Il suo nome è legato anche alla storia culturale e artistica romana. Membro dell'Arcadia con il nome di Idaro Tessalico e dell'Accademia di S. Luca, egli si occupò di poesia e di letteratura in genere (creando una biblioteca privata ben fornita in questo campo) e di studi musicali.

Tra il 1764 e il 1776 si interessò con competenza ai repertori strumentali ed operistici, costituendo un notevole archivio musicale, del quale ancor oggi si possono apprezzare i razionali criteri organizzativi: la quantità dei manoscritti musicali ivi conservati, opera dei copisti da lui stipendiati (G. B. Caffesi, L. e G. De Rossi, F. Tosti, L. Varasconi), è strettamente correlata al numero dei musicisti al servizio della casa. Questa attività cessò nel 1776 con il drastico ridimensionamento delle spese musicali, determinato forse da un ripiegamento interiore a sfondo religioso mediato dalla spiritualità della moglie Leopoldina (morta in concetto di santità), che fu accompagnato da un progressivo abbandono della vita mondana da parte dei due coniugi.

Il D. mostrò anche una fine sensibilità artistica, esercitando per molti anni un importante ruolo di mecenate. Al suo servizio lavorarono gli architetti Giovanni Antinori, Francesco Nicoletti e Melchiorre Passalacqua, i quali si occuparono della ristrutturazione del palazzo Doria Pamphili, restaurando le parti più antiche, e arricchirono in misura rilevante la pinacoteca della casa.

Fonti e Bibl.: Nell'Archivio Doria Pamphili di Roma si trovano numerosi documenti riguardanti il D.; in particolare di veda: scaff. 79/57 (nascita; mutamento del nome; istruzioni al precettore), 79/75 (testamento paterno); 79/55 (nascita dei figli del D.); 79/60 (grandato di Spagna, Toson d'oro); 93/55 (dignità e onorificenze; periodo giacobino e napoleonico); 93/75 (festa del 1769; invio dei gioielli a Vienna); 21/1-21/53 (corrispondenza diretta al D.: 1765-1820); 93/69, int. 13 (relazione sulla morte). Cfr. inoltre Roma, Arch. dell'Accademia di S. Luca, vol. 52, f. 116 (elezione a membro: 12 luglio 1767); Sonetto del principe don A. Doria detto Idaro Tessalico (in Adunanza tenuta dagli Arcadi per l'elezione della Sacra Real Maestà Giuseppe II re dei Romani), Roma 1764, p. 34; Ragguaglio o sia Giornale della venuta e permanenza in Roma di... Giuseppe II re de' Romani, e di ... Pietro Leopoldo I ... marzo 1769, Roma 1769; G. A. Sala, Diario romano degli anni 1798-99, a cura di G. Cugnoni, Roma 1980, I, pp. 21, 118, 126, 128, 136, 282; II, pp. 4, 7, 10 54, 74, 76, 182; III, pp. 4 s., 119, 143; G. B. Tavanti, Fasti del S. P. Pio VI con note critiche, documenti autentici e rami allegorici, Italia 1804, III, pp. 278, 283, 308, 318; C. De Tournon, Etudes statistiques sur Rome et la partie occidentale des Etats romains ..., Paris 1855, I, pp. 100, 162, 323; Id., Le Livre d'Or du Capitole. Catalogue officiel de la noblesse romaine …, Paris-Lyon 1864, ad nomen; D. Silvagni, La corte e la società romana nei sec. XVIII e XIX, Firenze 1881-1885, I, pp. 88, 97, 99, 174 s., 485; II, pp. 327, 331; Il libro d'oro del Campidoglio, Roma 1893, I, pp. 149 ss.; C.v. Duerm, Un peu plus de lumière sur le conclave de Venise et sur le commencement du pontificat de Pie VII. 1799-1800, Louvain-Paris 1896, pp. 595, 648; L. Madelin, La Rome de Napoléon, Paris 1906, pp. 96, 99, 128, 257, 431; C. Bandini, Roma e la nobiltà romana nel tramonto del secolo XVIII, Città di Castello 1914; Der Aufenthalt Kaiser Joseph II. in Rom im Jahre 1769. Nach ungedruckten Aktenstücken von Dr. Ignaz Philipp Dengel, Wien 1926; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI, Roma 1933, p. 848; 3, ibid. 1934, pp. 63, 622; O. F. Tencajoli, Principesse sabaude in Roma, Roma 1939, pp. 107-139; G. Filippone, Le relazioni tra lo Stato pontificio e la Francia rivoluzionaria, Milano 1967, II, pp. 235 s.; M. Tosi, La Società romana dalla feudalità al patriziato (1816-1853), Roma 1968, pp. 19, 97, 263; A. Cretoni, Roma giacobina, Roma 1971, pp. 147, 397; G. Carandente, Il palazzo Doria Pamphili, Roma 1975, pp. 272, 276, 323, 325, 327; C. Annibaldi, L'archivio musicale Doria Pamphili; saggio sulla cultura aristocratica a Roma fra XVI e XIX secolo, in Studi musicali, XI (1982), 2, pp. 277-344; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LI, pp. 87 s.; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare ital., II, ad vocem.

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