Double Indemnity

Enciclopedia del Cinema (2004)

Double Indemnity

Piera Detassis

(USA 1943, 1944, La fiamma del peccato, bianco e nero, 106m); regia: Billy Wilder; produzione: Joe Sistrom per Paramount; soggetto: dall'omonimo romanzo di James M. Cain; sceneggiatura: Billy Wilder, Raymond Chandler; fotografia: John F. Seitz; montaggio: Doane Harrison; scenografia: Hans Dreier, Hal Pereira; costumi: Edith Head; musica: Miklos Rozsa.

Nella notte, l'assicuratore Walter Neff, ferito da un'arma da fuoco, nel suo ufficio detta al registratore la propria confessione. Il flashback ci racconta il suo primo incontro con Phyllis Dietrichson, interessata a firmare un'assicurazione sulla vita per il marito. La relazione tra lei e Neff prende subito corpo e presto l'uomo capisce le intenzioni di Phyllis: riscuotere quei soldi ammazzando il marito. E a ucciderlo dovrà essere Neff. L'assicuratore decide di costruire il delitto perfetto, facendo morire l'uomo sotto un treno per riscuotere la double indemnity, il doppio della somma versato dall'assicurazione in caso di incidente imprevedibile: uccide l'uomo in macchina, aiutato da Phyllis, e finge di avere una gamba ingessata, come il signor Dietrichson, per meglio sostituirsi a lui. Salito in treno, ne scende a mezza via, portando poi sui binari il corpo dell'uomo e inscenando una caduta accidentale. Da quella notte le vite dei due complici diventano impossibili. Neff teme il fiuto implacabile dell'investigatore dell'agenzia assicurativa Keyes, suo amico carissimo, che sfiora la verità; comincia quindi a frequentare la giovane figliastra di Phyllis, certa che la matrigna abbia ucciso sua madre. Quando si rende conto che il piano di Phyllis prevede anche la sua eliminazione, Neff affronta la donna e la uccide, ma viene a sua volta ferito a morte. Raggiunge il suo ufficio e comincia a raccontare. Qui lo sorprende Keyes.

"Ho ucciso per denaro e per una donna e non ho preso il denaro e non ho preso la donna. Bell'affare". Così Walter Neff comincia la sua confessione, con la retorica e la geometria perfetta della battuta. Un fatale piano-sequenza segue la schiena dell'uomo e ci inoltra nell'immenso ufficio deserto, con la sua teoria di scrivanie vuote. La luce della Luna filtra a strisce dalle barre delle persiane. Fuori, lo si intuisce, l'asfalto può solo essere lucido di pioggia. Il tono del film era già chiaro fin dai titoli di testa: l'ombra di un uomo, enfaticamente ripreso dal basso, che cammina con le stampelle (allusione diretta al camuffamento che farà da snodo al delitto) e la musica ridondante, angosciata di Rozsa. L'espressionismo con i suoi incubi deformanti occupa l'immaginario di Billy Wilder, berlinese d'origine; l'avanguardia europea, cupa come il nazismo che ha costretto tanti registi all'esilio californiano, diventa la chiave di volta di tanta produzione degli studios. E di quello che sarà il noir, genere derivato e deviante.

Charles Brackett, sceneggiatore complice di Wilder, aveva rifiutato di scrivere Double Indemnity: definiva la storia di James M. Cain "puro trash". Lo scandalo del film è infatti quello di trattare vite degradate di gente comune, dietro le facciate piccolo borghesi delle colline di Los Angeles. Non c'erano nemici pubblici e donne di dichiarato malaffare, ma una storia ispirata a un fatto di cronaca realmente accaduto. I dialoghi furono adattati da un Raymond Chandler insoddisfatto e acido, al tramonto di se stesso e incapace di intendersi con il regista. Riascoltati oggi, nell'originale come nel doppiaggio d'epoca, sembrano scolpiti nella pietra delle convenzioni, senza un errore o un cedimento, intenti a restituire, con poche parole, il male e la disillusione, il cinismo come unico compagno della lussuria. Non si può non rimanerne soggiogati. "Come potevo sapere che il delitto ha qualche volta l'odore del caprifoglio?" si chiede Neff, che infine ucciderà Phyllis soffiandole nell'orecchio un definitivo: "Bye baby". E indimenticabile resta il confronto finale tra il protagonista e l'amico investigatore: "Il colpevole che cercavi ti stava troppo vicino, al di là della scrivania", dice MacMurray. "Più vicino ancora, Walter", ribatte Robinson. Nella versione inglese Walter chiude con un audace o quantomeno ambiguo "I love you too", che la traduzione italiana addolcisce nel più convenzionale: "Sei un amico, tu".

Le ombre, il bene che smarrisce i suoi confini, la passione che diventa coazione al delitto. Ma soprattutto la donna che si disfa della famiglia puntando solo al denaro, all'indipendenza dai legami e dai doveri, costi quel che costi e cioè poco, l'uccisione del marito disamato e la dannazione dell'amante mai amato. Barbara Stanwyck è per tutte e per tutti 'la' dark lady, la più glaciale. La parrucca che le fa indossare Wilder la imbruttisce e la involgarisce, ma sono quei pesanti e artefatti riccioli biondi a dettare, d'ora in poi, le regole estetiche della femme fatale. E, naturalmente, quel braccialetto alla caviglia che colpisce e stordisce Neff a prima vista, come un narcotico, un punto di non ritorno nella femminilità ricreata dal cinema. La Seconda guerra mondiale aveva strappato gli uomini all'America, le donne erano rimaste sole, costrette a lavorare e a mantenersi, l'immagine di bimba, fanciulla, moglie e madre protetta s'era definitivamente frantumata. Nell'abitazione di Phyllis tutto sembra galleggiare inerte nel pulviscolo e nell'odore di chiuso, un acquario dall'acqua sporca, le lame di luce tra le serrande abbassate, le poltrone che sembrano liberare nell'aria residui di tabacco. È infetto quel salotto di ordinary people.

Billy Wilder lavora, anche se l'enfasi del 'genere' sembra suggerire il contrario, sulla sottrazione e il fuori campo: l'omicidio del marito si legge nello sguardo liberato di lei alla guida, solo un piccolo gemito arriva allo spettatore. Fuori campo è Phyllis la prima volta che Neff la incontra e a noi è dato di vedere solo quelle gambe che scendono le scale, quel braccialetto, quella caviglia. Fuori campo, infine, l'arrivo dell'amico che viene ad arrestare Neff: quest'ultimo si volta verso la macchina da presa e solo dal suo sguardo capiamo che qualcuno è entrato nella stanza e sta ascoltando, chissà da quando. Fuori campo per sempre rimarrà anche il primo finale previsto da Wilder, la scena (girata e mai montata) dell'uccisione di Neff nella camera a gas sotto gli occhi pietosi e impietriti di Edward G. Robinson. Sarebbe stato un colpo basso per lo spettatore dell'epoca, la deriva decisiva nel realismo di un film costruito sull'enfasi somma dell'illusione di 'genere'. Ma Wilder capì che avrebbe tolto ambiguità e orrore sottile alla storia di una degradazione fatta di piccoli conti della spesa, piccoli guadagni e lussurie fittizie. Del resto quell'uomo che parla ferito al registratore è già un uomo morto e lo sa. In Wilder vibra già l'embrione del prologo sovversivo e sublime di Sunset Boulevard, quella voce narrante del morto, il suono dell'aldilà, mai prima d'allora ascoltato su grande schermo. Double Indemnity ne fu la premonizione. Il film ebbe sette candidature all'Oscar ma non vinse nulla. Nel 1982, due scene dell'originale sono state inserite nella parodia Dead Men Don't Wear Plaid (Il mistero del cadavere scomparso) di Carl Reiner, dove Steve Martin in parrucca bionda, nel ruolo di Barbara Stanwyck, interagisce con il Fred MacMurray di quasi quarant'anni prima.

Interpreti e personaggi: Fred MacMurray (Walter Neff), Barbara Stanwyck (Phyllis Dietrichson), Edward G. Robinson (Barton Keyes), Porter Hall (Mr. Jackson), Jean Heather (Lola Dietrichson), Tom Powers (Mr. Dietrichson), Byron Barr (Nino Zachette), Richard Gaines (Edward S. Norton), Fortunio Bonanova (Sam Gorlopis), John Philliber (Joe Pete).

Bibliografia

J.-P. Chartier, Les américains aussi font des films 'noirs', in "La revue du cinéma", n. 2, novembre 1946.

A. Cappabianca, Billy Wilder, Firenze 1984.

B. Gallagher, 'I Love You Too': Sexual Warfare & Homoeroticism in Billy Wilder's 'Double Indemnity', in "Literature/Film Quarterly", n. 4, October 1987.

J. Rozgonyi, The Making of 'Double Indemnity', in "Films in Review", n. 6-7, June-July 1990.

R. Schickel, Double Indemnity, London 1992.

J. Naremore, Straight down the line: the making and remaking of 'Double Indemnity', in "Film Comment", n. 1, January-February 1996.

Sceneggiatura: in Best Film Plays 1945, New York 1946.

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