DOVIZI, Bernardo, detto il Bibbiena

Enciclopedia Italiana (1932)

DOVIZI, Bernardo, detto il Bibbiena

Giulio DOLCI

Nato a Bibbiena il 4 agosto 1470, fin da giovinetto fu al servizio dei Medici, dei quali seguì la fortuna anche nell'esilio. Fu specialmente amico del cardinale Giovanni, con cui viaggiò per l'Europa e soggiornò alle corti d'Urbino e di Roma. Quando il cardinale fu eletto papa col nome di Leone X, la fortuna del D. toccò il culmine: fu fatto a sua volta cardinale di S. Maria in Portico (23 settembre 1513) ed ebbe tale ascendente sul suo protettore che lo si chiamava alter papa. Durante la guerra contro Urbino fu legato presso l'esercito pontificio, e assolse l'ufficio suo con molto, forse con troppo zelo. Tornato da una legazione in Francia (fine 1519) morì, quasi improvvisamente, il 9 novembre 1520, e si disse che lo facesse avvelenare Leone X stesso, timoroso di sue ambiziose mire; ma ragioni e documenti ineccepibili escludono ogni sospetto.

Il D. fu, come lo disse il Machiavelli "huomo faceto et discreto", di agile ingegno, nutrito di buone lettere. Protesse Raffaello, che lo immortalò con la sua divina arte. A lui, oltre a molte lettere preziose per la storia del tempo e documento singolare di attitudini di scrittore acuto e geniale (ancora in gran parte inedite), si deve la Calandria, famosa commedia rappresentata la prima volta alla corte d'Urbino il 6 febbraio 1513 alla presenza di Elisabetta Gonzaga, duchessa, con prologo di B. Castiglione; mentre il prologo originale fu fatto conoscere solo ai tempi nostri da I. del Lungo. L'opera, che ebbe un successo strepitoso, fu in seguito rappresentata con plauso a Roma, presente il papa e Isabella d'Este, marchesa di Mantova, e nel 1548, da comici italiani, dinanzi a Enrico II, re di Francia, e a Caterina de' Medici. È scritta in bella prosa, vivace, sull'esempio dei Menaechmi, con questa differenza, che gli scambî e gli equivoci non sono tra due gemelli maschi, ma tra un maschio, Lidio, e una femmina, Santilla, travestiti, a fini diversi, quello da donna, questa da uomo.

Nonostante la sua derivazione plautina e le sue situazioni evidentemente boccacccesche, la commedia è intimamente originale. È rapida e ben connessa; ciò che d'illogico o avventato o impensato vi può succedere, pare che obbedisca a un'idea dell'autore, il quale, per bocca di Fessenio, nota "che l'uomo mai un disegno non fa che la fortuna un altro non faccia". Ma è certo che l'azione non si svolge a caso, e si deduce naturalmente dalla balordaggine di Calandro, dall'ardore sensuale di Fulvia, dalla rurberia di Fessenio. I personaggi hanno un loro carattere e anche se non si presentano profondi e complessi, si muovono vivi e coerenti, specie i principali, tratteggiati, per quanto alla brava, con vivo senso delle necessità della scena.

Bibl.: A. M. Bandini, Il Bibbiena e poi il ministro di stato delineato nella vita del card. B. D., Livorno 1758; L. Von Pastor, Gesch. der Päpste, IV, 1, Friburgo in B. 1906, pp. 57-59, 376-78, dove sono copiose indicazioni bibliografiche. Intorno alla Calandria (che si può vedere in Commedie del cinquecento a cura di I. Sanesi, Bari 1912, I, p. 1 segg.), V. A. Graf, Studi drammatici, Torino 1878, pp. 83-114; I. Sanesi, La Commedia, I, Milano 1911, pp. 218-222; B. Croce, in La critica, XXVIII (1930), p. 3 segg.; I. Del Lungo, La recitazione dei Menaechmi in Firenze e il doppio prologo della "ªCalandria", in Florentia: Uomini e cose del Quattrocento, Firene 1897, pp. 357-78; R. Wendiner, Die Quellen von B. Dovizios Calandra, in Abhandlungen in onore di A. Tobler, Halle 1895, p. 168 segg.

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