Droga

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2006)

Droga

Gaetano Di Chiara
Roberto Rampioni

Il termine droga, derivato probabilmente dall'olandese droog ("secco", "asciutto") o dal tedesco troken ("secco"), in origine è stato associato a varie sostanze vegetali aromatiche, con carattere di spezie, importate allo stato essiccato e utilizzate comunemente per dare maggiore sapore a bevande e cibo, o, in farmacologia, per sfruttarne i principi attivi a fini terapeutici o sperimentali. Poiché alcune di queste sostanze sono dotate di efficacia neurocardio-tossica (per es., la mandragora e la belladonna), al termine, sin da epoca remota, è stato spesso attribuito il significato di 'tossico insidioso', di 'strumento di veneficio'.

Al concetto scientifico di d., inteso come prodotto naturale provvisto di proprietà farmacologiche, si è affiancato quello, proprio del linguaggio corrente, di stupefacente, ossia sostanza suscettiva di modificare temporaneamente le funzioni sensoriali, di dare oblio, di sopprimere sensazioni sgradevoli ovvero conferire eccezionali energie e capacità. Le definizioni di sostanza 'stupefacente' o 'psicotropa' offerte dalla scienza, pur essendo molteplici, presentano tutte un minimo comune denominatore individuabile nell'effetto che la loro assunzione determina nella psiche umana: l'alterazione dei rapporti interpersonali e con l'ambiente. Il problema terminologico e definitorio deriva, soprattutto, dal fatto che nella generica categoria degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope (secondo la cultura corrente queste ultime sono d. di derivazione e di fabbricazione sintetica) vengono accomunati materiali fra loro diversissimi, di origine naturale o di sintesi, il cui consumo è vario (masticazione, ingestione, aspirazione, fumo, iniezione) e la cui assunzione comporta maggiore o minore assuefazione. Plurimi, peraltro, i tipi di approccio al fenomeno, basati su altrettanti criteri: si parla di d. dal punto di vista medico (ogni sostanza che, assunta da un organismo vivente, ne modifica una o più funzioni), sotto il profilo farmacologico (capacità della sostanza di modificare la psicologia, l'umore, cioè l'attività mentale dell'individuo), su di un piano strettamente legale (sostanza la cui assunzione nell'organismo comporta danno o pericolo di danno alla salute e, pertanto, ne vanno disciplinati il consumo e la circolazione).

Se, dunque, una nozione generica di d. si rivela sul piano pratico del tutto inutile, una definizione specifica rischia di risultare inadeguata per difetto. È per questo motivo che, nelle stesse convenzioni internazionali di Vienna e di New York, si è preferito fare ricorso al cosiddetto criterio tabellare in forza del quale è stupefacente ogni sostanza, naturale o sintetica, presente in un'apposita tabella, ed è per questo che il termine droga (in particolare nei Paesi occidentali) include tutte le sostanze naturali e di sintesi (e loro derivati) che, in virtù di convenzioni internazionali e della corrispondente legislazione interna, sono considerate agenti stupefacenti o psicotropi con attitudine a creare forme di dipendenza che presentano 'rilievo sociale'. La scienza medica e farmacologica, in verità, non è in grado di fornire una nozione unitaria di d., fondata sulle proprietà intrinseche delle diverse sostanze, potendo al più fornire due indicazioni di massima: 1) la sostanza deve essere ritenuta dannosa alla salute dell'uomo, così da risultare giustificato il suo controllo legale; 2) la sostanza deve produrre, secondo il comune modo di intendere, un effetto stimolativo o depressivo del sistema nervoso centrale. Indicazioni, come è facile intendere, non esaustive anche in considerazione del fatto che molte sostanze che presentano caratteristiche similari (alcol, tabacco, caffè ecc.) non sono comprese negli elenchi tabellari per ragioni ricollegabili, essenzialmente, allo sviluppo culturale della società.

Droga e società. - Conosciute nei Paesi occidentali come mezzo di evasione cui faceva ricorso un'élite intellettuale, le d. si sono diffuse via via nel tempo tra ceti sociali sempre meno raffinati ed elevati sino a divenire, nella seconda metà del 20° sec., un grave problema medico-sociale. Il traffico illegale di sostanze stupefacenti o psicotrope viene, del resto, ormai controllato dalla cosiddetta criminalità organizzata, la quale vanta collegamenti a livello mondiale e che - grazie al riciclaggio delle enormi risorse finanziarie provento del traffico - è in grado di incidere sulla vita economica, non esclusa, a volte, quella politica, dei diversi Paesi. È pur vero che il fenomeno continua a svilupparsi sugli elementi portanti della produzione, del traffico e dell'uso delle sostanze stupefacenti, ma il quadro complessivo odierno è caratterizzato da smisurati incrementi quantitativi che hanno trasformato una manifestazione di devianza marginale in un evento che costituisce, da un lato, un enorme business e, dall'altro, un vero e proprio disastro sociale.

I pericoli di natura biologica connessi all'uso di d. si evidenziano, a questo punto, in tutta la loro drammaticità: le alterazioni psichiche manifestantisi all'atto della intossicazione periodica ovvero della sindrome di astinenza; le alterazioni organiche e cellulari (i teratomi da morfina o da ipnotici; l'epatosi da morfinici; le alterazioni genetiche da LSD; il decadimento intellettuale, la compromissione delle reazioni immunitarie, le lesioni precancerose polmonari da marijuana; l'ipospermia e la riduzione del tasso di cortisolo e di testosterone da morfinici e da marijuana; le psicosi persistenti, specie di tipo paranoide, da anfetaminici e da LSD ecc.); i gravi danni connessi alla preparazione, alla dose e alla modalità di assunzione della d. (le intossicazioni acute, spesso mortali, per l'assunzione di dosi superiori all'assuefazione raggiunta; le reazioni cardiocircolatorie e infiammatorie, le infezioni derivanti da contaminazioni o sofisticazioni della d., da uso di miscele con sinergismi tossici, dall'impiego di siringhe infette, dalla volontaria iniezione per via endovena di droghe ottenute da preparazioni non iniettabili).

Nei Paesi più progrediti si intensifica, dunque, l'atteggiamento di rifiuto dell'uso non medico della d.; e ciò al fine, per un verso, di scongiurare l'asservimento dell'uomo a una pratica tossicologica che conduce all'emarginazione dal tessuto sociale e all'elusione degli obblighi di partecipazione civica; per l'altro, di contrastare il nascere e il rafforzarsi di organizzazioni criminali che, con i proventi del traffico illecito della d., finanziano ogni genere di impresa criminosa; per l'altro ancora, di elidere i gravi danni personali e sociali (diffusione di malattie infettive, danni alla prole, disposizione alle malattie psichiatriche ecc.), non escluso l'elevato costo economico collegato alla situazione 'invalidante' determinata dalla intossicazione cronica da droga.

Nei diversi Paesi, però, le misure adottate in concreto per fronteggiare il fenomeno della d. hanno subito sensibili modificazioni nel tempo, contestualmente al variare della valutazione, a livello scientifico e sociale, della 'inclinazione' verso gli stupefacenti. È in ogni caso agevole constatare come da un atteggiamento essenzialmente proibizionistico, che equipara sul piano del trattamento sanzionatorio il tossicomane, ritenuto soggetto 'vizioso' e socialmente 'pericoloso', allo spacciatore, si sia passati alla liberalizzazione dell'uso personale della d., accreditando così l'idea del tossicomane quale vittima di una malattia. Il contrasto tra l'approccio repressivo e quello terapeutico nel trattamento della tossicodipendenza resta latente, non essendo stata tracciata una linea di condotta terapeutica universalmente accettata. Del resto, l'apparire frequente di sempre nuove sostanze di abuso così come la rapida diffusione su ampia scala di sostanze già note pongono al sanitario e al criminologo problematiche continuamente diverse. Roberto Rampioni

Aspetti biomedici

La tossicodipendenza si configura come un disturbo della motivazione, che viene indirizzata in maniera compulsiva verso l'assunzione stessa della droga. Il soggetto prova un desiderio irrefrenabile (craving) di consumare d., che lo porta a trascurare lavoro, scuola, famiglia e i normali rapporti sociali. Ricerca e consumo persistono nonostante il soggetto sia conscio del fatto che tale comportamento ha conseguenze negative di natura sia penale sia medica (malattie, disturbi psichici). Sebbene i fattori che contribuiscono all'instaurarsi della tossicodipendenza siano molteplici e di varia natura (individuale, sociale ed economica), questa condizione è primariamente legata alle specifiche proprietà farmacologiche di quelle sostanze che generano la motivazione fondamentale del comportamento del tossicodipendente. La constatazione che la tossicodipendenza mostra caratteristiche comuni indipendentemente dalla categoria farmacologica alla quale le d. appartengono suggerisce, da un lato, che le d. possiedano specifiche proprietà farmacologiche comuni e, dall'altro, che sostanze dotate delle stesse proprietà farmacologiche possano avere in comune la proprietà di indurre tossicodipendenza. Nell'uomo i farmaci e le sostanze d'abuso hanno la capacità di provocare euforia ed elevare il tono dell'umore. Questa proprietà è particolarmente spiccata nel caso di psicostimolanti come anfetamina e cocaina, che alleviano il senso di fatica e riducono la tendenza al sonno e la fame, aumentando la resistenza all'attività fisica e il desiderio sessuale. Nel caso di altre sostanze, come la morfina e i suoi analoghi (eroina e metadone), dei barbiturici, dell'alcol e delle benzodiazepine, le proprietà euforizzanti possono essere oscurate da effetti deprimenti e sedativi tipici di queste molecole, che, però, sono presenti soprattutto a dosi basse e nella fase iniziale dell'effetto farmacologico. Altre sostanze, come i principi della cannabis e la nicotina, hanno proprietà psicostimolanti intermedie tra quelle degli psicostimolanti propriamente detti e quelle delle sostanze con attività sedativa e deprimente.

Farmacologia comportamentale

La maggior parte delle sostanze d'abuso (tranne certi allucinogeni) ha in comune la proprietà di provocare stimolazione psicomotoria negli animali di laboratorio. Questo effetto assume aspetti diversi a seconda della specie animale, ma in generale consiste in stato di allerta, aumento della reattività agli stimoli esterni, dell'attività locomotoria ed esploratoria. L'azione stimolante sul comportamento motorio degli animali è particolarmente spiccata nel caso dell'anfetamina e della cocaina, classici psicostimolanti, ma si osserva anche dopo assunzione di sostanze tipicamente deprimenti come alcol, barbiturici e narcotici analgesici. Per tali sostanze, l'effetto psicomotorio si manifesta entro un determinato ambito di dosi e di tempi dalla somministrazione. Questo effetto stimolante sul comportamento spontaneo può considerarsi analogo all'effetto euforizzante che si osserva nell'uomo. Altra proprietà comune a tutte le sostanze d'abuso è quella di agire come rinforzo positivo, aumentando la probabilità di comportamenti che hanno come conseguenza la presentazione e l'assunzione della sostanza. Così gli animali di laboratorio si autosomministrano quelle stesse sostanze di cui l'uomo fa oggetto di abuso e per raggiungere lo scopo sono capaci di apprendere e attuare complicate procedure (comportamento operante). Questa proprietà delle sostanze di abuso si osserva non solo nei primati, ma anche in mammiferi meno evoluti filogeneticamente come i roditori. Le analogie tra l'uomo e l'animale non sono, comunque, limitate alle proprietà generali di rinforzo delle droghe. In realtà le stesse modalità di autosomministrazione mostrano sorprendenti somiglianze. Così, l'animale da esperimento, preparato con cateteri impiantati cronicamente endovena e connessi a una pompa a infusione azionata dalla pressione di una leva, impara rapidamente a iniettarsi l'eroina a intervalli regolari, secondo una cadenza che dipende dalla concentrazione del farmaco e ha come fine quello di mantenere un costante effetto farmacologico; l'anfetamina e la cocaina, due psicostimolanti, al contrario, vengono autosomministrate dall'animale da esperimento in maniera saltuaria, cioè a 'tornate' (binges), nel corso delle quali la frequenza delle somministrazioni viene aumentata fino a livelli talmente elevati da provocare uno stato di eccitazione comportamentale così intenso da essere incompatibile con una corretta autosomministrazione; ciò provoca una interruzione della autosomministrazione fino a quando non siano cessati gli effetti del farmaco e il soggetto non si sia ripreso; allorché questo avviene, ha inizio un'altra tornata. Il fatto che gli animali manifestino nei confronti delle d. un comportamento simile a quello dell'uomo indica che i meccanismi alla base della tossicodipendenza sono legati a proprietà biologiche la cui invarianza si è mantenuta nel corso di una lunga stagione filogenetica così da essere comuni all'animale e all'uomo.

Basi neurobiologiche

Il fatto che le sostanze d'abuso possiedano proprietà di rinforzo positivo suggerisce che esse agiscono su meccanismi comuni a quelli degli stimoli gratificanti naturali, come il cibo, l'acqua, il sesso. Lo studio delle basi neurobiologiche della motivazione ha preso le mosse, intorno agli anni Cinquanta del 20° sec., dagli esperimenti di J. Olds e P. Milner, i quali osservarono che ratti portatori di elettrodi cerebrali impiantati cronicamente e in grado di comandare il passaggio di corrente mediante la pressione di una leva, si autostimolavano quando gli elettrodi si trovavano in corrispondenza di specifiche aree cerebrali. In altre aree, al contrario, l'animale evitava di autostimolarsi o premeva una leva per interrompere il passaggio di corrente. Altre aree, infine, apparivano neutre dal punto di vista motivazionale dato che l'animale non attuava alcun comportamento volto a ottenere o evitare la stimolazione cerebrale, ma si mostrava del tutto indifferente a essa. Le aree cerebrali da cui sono più facilmente ottenibili le risposte di autostimolazione sono situate lungo il decorso del fascio mediale del proencefalo. In questo fascio corrono neuroni che utilizzano neurotrasmettitori diversi, ma a svolgere il ruolo principale nel comportamento di autostimolazione sono quelli che utilizzano come trasmettitore la dopamina. Tali neuroni originano dal tegmento mesencefalico a livello di tre gruppi localizzati nel nucleo prerubrale (A8), nella substantia nigra pars compacta (A9) e nell'area ventrale del tegmento (A10). I neuroni che originano dall'area A10 proiettano ad aree limbiche (nucleo accumbens septi, tubercolo olfattorio, amigdala, ippocampo, corteccia prefrontale prelimbica) e formano il sistema dopaminergico mesolimbico; i neuroni che originano dalle aree A9 e A8 terminano nel nucleo caudato-putamen e costituiscono il sistema dopaminergico mesostriatale.

Ruolo della dopamina

Tutte le più importanti sostanze d'abuso, dagli analgesici narcotici agli psicostimolanti (anfetamina e cocaina), alla nicotina, all'alcol, ai barbiturici e al δ9-tetraidrocannabinolo (il principio attivo della cannabis), hanno in comune la proprietà di aumentare la concentrazione extracellulare di dopamina in un'area terminale del sistema mesolimbico, il nucleo accumbens del setto (Di Chiara, Imperato 1988) e, in particolare, nella sua parte ventro-mediale, la shell (Pontieri, Tanda, Orzi et al. 1996; Tanda, Pontieri, Di Chiara 1997). I meccanismi attraverso i quali le sostanze d'abuso sono in grado di aumentare le concentrazioni extracellulari di dopamina sono diversi a seconda della classe farmacologica cui ciascuna sostanza appartiene. Così la cocaina e la fenciclidina bloccano la ricattura della dopamina da parte delle terminazioni nervose, l'anfetamina libera la dopamina dalle terminazioni riversandola nel liquido extracellulare, l'eroina e altri narcotici morfino-simili (morfina e metadone), l'alcol, il δ9-tetraidrocannabinolo e la nicotina stimolano l'attività elettrica dei neuroni dopaminergici favorendo la liberazione fisiologica della dopamina. Evidentemente, la capacità di stimolare la trasmissione dopaminergica nella shell del nucleo accumbens costituisce una caratteristica fondamentale delle sostanze d'abuso (Di Chiara, Bassareo, Fenu et al. 2004). A questa proprietà delle d. è stata assegnata una funzione fondamentale sia per i loro effetti acuti sia per i loro effetti a lungo termine, in relazione alla genesi della tossicodipendenza. La stimolazione della trasmissione dopaminergica nella shell del nucleo accumbens è il substrato degli effetti euforizzanti delle d. e della loro capacità di indurre uno stato di eccitazione incentiva che facilita il comportamento motivato da stimoli condizionati a rinforzi primari sia naturali (cibo, acqua, sesso) sia farmacologici (droghe). La liberazione di dopamina nella shell dell'accumbens da parte delle d. ha anche la capacità di facilitare l'apprendimento incentivo. In tal modo, stimoli altrimenti neutri dal punto di vista motivazionale, e quindi incapaci di attrarre l'attenzione e l'interesse del soggetto, acquisiscono proprietà incentive del comportamento motivato quando vengono opportunamente associati a stimoli gratificanti quali i rinforzi primari come le droghe. Le d., pur avendo in comune con stimoli primari non farmacologici (per es., un cibo particolarmente gustoso) la proprietà di liberare dopamina nella shell del nucleo accumbens del setto, non sono soggette ad abitudine dopo esposizione ripetuta, al contrario degli stimoli naturali. A questa proprietà non adattativa della stimolazione della trasmissione dopaminergica nella shell del nucleo accumbens da parte delle d. è stato attribuito un ruolo fondamentale nella genesi della tossicodipendenza (Di Chiara 1998). Le d. producono importanti effetti sulla dopamina anche dopo interruzione dell'esposizione (astinenza). Studi sugli animali di laboratorio hanno dimostrato nell'astinenza dopo trattamenti ripetuti con morfina, cocaina o alcol una profonda depressione della trasmissione dopaminergica. Questa si manifesta con riduzione delle concentrazioni extracellulari di dopamina nel nucleo accumbens e come sindrome depressiva caratterizzata da sedazione, riduzione della motilità e della reattività agli stimoli esterni e in un aumento della soglia all'autostimolazione elettrica del fascio mediale del proencefalo (un effetto considerato indice di una ridotta capacità funzionale dei meccanismi centrali della gratificazione). Le modificazioni della neurotrasmissione dopaminergica e la relativa anedonia sono verosimilmente un aspetto di una condizione di dipendenza della neurotrasmissione dopaminergica instauratasi come meccanismo adattivo alla cronica stimolazione della trasmissione stessa da parte della sostanza d'abuso. In tali condizioni il più efficace antidoto all'anedonia e alla depressione della trasmissione dopaminergica è la stessa sostanza verso cui si è instaurata la dipendenza o un suo analogo; in tal modo, però, si instaura un circolo vizioso che lega l'individuo alla sostanza d'abuso.

Basi molecolari dell'azione delle droghe

Le d. e i loro principi attivi agiscono primariamente a livello del sistema nervoso centrale come agonisti diretti o indiretti di recettori di membrana per i neurotrasmettitori fisiologicamente utilizzati dai neuroni per comunicare tra loro. Così, mentre l'anfetamina stimola indirettamente, attraverso la liberazione di dopamina, i recettori dopaminergici, l'eroina stimola direttamente i recettori oppioidi. Il segnale generato dalla stimolazione di questi recettori viene trasdotto dalla membrana cellulare all'interno della cellula attraverso la produzione intracellulare di molecole diffusibili, i secondi messaggeri (AMP ciclico, inositolo trifosfato, calcio), che a loro volta innescano una cascata di enzimi fosforilanti proteine (kinasi). I substrati proteici di queste kinasi sono molteplici e la loro fosforilazione può produrre effetti immediati (effetti comportamentali acuti) attraverso la fosforilazione di canali ionici voltaggio-dipendenti ed effetti a lungo termine, attraverso la fosforilazione di proteine che diventano capaci di traslocare nel nucleo e di agire come fattori di trascrizione. Questi ultimi (pCREB, pERK, pELK) attivano la sintesi di una serie di fattori (geni immediati precoci, IEG) come il FOS, il June, che attivano a loro volta la trascrizione di altre proteine importanti per la neurotrasmissione (per es., la sintesi della preprodinorfina, il precursore di un tipo di oppioidi endogeni). Alternativamente, o parallelamente, l'aumento del calcio intracellulare induce la liberazione di neurotrofine (BDNF, NGF, GDNF, FGF) che agiscono su recettori di membrana ad attività tirosin-kinasica su vari substrati proteici. Si ritiene che l'attivazione da parte delle d. di questa complessa cascata di fosforilazioni proteiche sia il substrato di processi di neuroplasticità sinaptica che si esprimono con varie modificazioni adattative indotte dalle d., come tolleranza, dipendenza fisica e sensitizzazione comportamentale. L'esposizione ripetuta alle d. modifica la morfologia delle spine dendritiche; tali effetti sarebbero mediati dall'azione delle d. sui fattori di trascrizione cerebrali e sarebbero a loro volta il substrato morfologico della sensitizzazione comportamentale. Tuttavia, la morfina e i farmaci psicostimolanti, pur producendo entrambi sensitizzazione comportamentale e modificando in maniera simile l'espressione dei fattori di trascrizione, provocano effetti opposti sulla morfologia delle spine dendritiche. Analogamente, sia un'iperespressione sia una completa delezione di un IGE come il δFos B nel nucleo accumbens del ratto producono sensitizzazione comportamentale. Non è comunque ancora possibile legare in maniera univoca gli effetti molecolari e morfofunzionali delle d. a loro effetti comportamentali.

Teorie della dipendenza alle droghe

Si possono distinguere tre principali teorie della tossicodipendenza. Secondo la teoria del processo opponente la dipendenza è strumentale a evitare il malessere connesso all'astinenza causata dall'interruzione dell'assunzione di d. dopo una cronica esposizione a essa (Koob, Le Moal 2005). In tal modo la d. viene inizialmente consumata per i suoi effetti piacevoli, ma dopo esposizione cronica la sua mancanza produce uno stato di malessere psichico simile alla depressione melanconica che solo la d. può eliminare. La continua esposizione alla d. provocherebbe l'attivazione di un processo antiedonico che si oppone ai suoi effetti piacevoli. In mancanza della d. il processo opponente avrebbe come risultato quello di spostare in basso la regolazione del livello edenico individuale e del tono dell'umore, producendo uno stato di anedonia. Il soggetto sarebbe quindi costretto a consumare la d. per contrastare gli effetti antiedonici del processo opponente la droga. A meno di postulare un'irreversibilità del processo opponente, questa ipotesi, pur attraente, non spiega la durata pressoché illimitata della condizione di dipendenza psichica. Infatti, percorrendo in senso inverso lo stesso cammino attraverso il quale la d. induce dipendenza, il tossicodipendente dovrebbe poter facilmente ritornare alla condizione di non dipendenza. Per conseguire questo risultato basterebbe uno svezzamento con metadone a scalare. È ben noto, al contrario, che questo trattamento, pur efficace nei confronti della dipendenza fisica, non lo è nei confronti della dipendenza comportamentale o psichica. Un'altra inadeguatezza di questa teoria è la difficoltà di spiegare il fatto che stimoli condizionati alla d. sono in grado di provocare craving anche dopo molti anni di astinenza. Secondo la teoria della sensitizzazione incentiva, la ripetuta esposizione alle d. produce una sensitizzazione della responsività del sistema neuronale della motivazione (sistema dopaminergico mesolimbico; Robinson, Berridge 1993). La sensitizzazione del sistema mesolimbico produrrebbe quell'abnorme aumento delle proprietà incentive di stimoli condizionati alla d. che, secondo questa teoria, costituisce l'essenza della tossicodipendenza. Anche la teoria della sensitizzazione incentiva presenta alcuni punti deboli. Una prima incongruenza deriva dal fatto che l'osservazione, secondo cui l'esposizione alla d. induce sensitizzazione agli effetti incentivi della d., non estende necessariamente questa proprietà agli stimoli a essa condizionati. Inoltre, dato che il meccanismo della sensitizzazione è di natura non associativa, la sua azione dovrebbe applicarsi a tutti gli stimoli condizionati indipendentemente dal fatto che siano associati alla d. o ad altri rinforzi. Se così fosse, il tossicodipendente dovrebbe manifestare craving in risposta a qualsiasi stimolo condizionato. Ciò tuttavia non corrisponde all'elevata specificità degli stimoli condizionati alla d. nell'indurre craving. Un altro problema di questa teoria riguarda la proprietà delle d. di indurre sensitizzazione comportamentale, la quale non si osserva nell'uomo. La teoria dell'apprendimento incentivo non fa derivare le abnormi proprietà incentive degli stimoli condizionati alla d. da un meccanismo non associativo come la sensitizzazione, ma da un meccanismo di apprendimento associativo (Di Chiara 1998). Secondo questa teoria gli stimoli condizionati alla d. acquisiscono eccessive proprietà incentive a causa di un abnorme processo di apprendimento incentivo che deriverebbe dalle caratteristiche peculiari della liberazione di dopamina nella shell del nucleo accumbens da parte delle droghe. Infatti questo effetto non è sottoposto, nel caso delle d., ad abitudine. Ciò fa sì che l'esposizione ripetuta alle d. rinforzi in maniera abnorme l'associazione tra droghe e stimoli a esse contingenti, così da conferire a questi stimoli eccessive proprietà incentive. Questa teoria, al contrario delle due precedenti, rende conto sia della ben nota specificità di stimolo del craving, sia della efficacia praticamente indefinita degli stimoli condizionati alla d. nell'indurre craving.

Bibliografia

G. Di Chiara, A. Imperato, Drugs abused by humans preferentially increase synaptic dopamine concentrations in the mesolimbic system of freely moving rats, in Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 1988, 85, pp. 5274-78.

T.E. Robinson, K.C. Berridge, The neural basis of drug craving: an incentive-sensitization theory of addiction, in Brain research reviews, 1993, 18, pp. 247-91.

F.E. Pontieri, G. Tanda, F. Orzi et al., Effects of nicotine on the nucleus accumbens and similarity to those of addictive drugs, in Nature, 1996, 382, pp. 255-57.

G. Tanda, F.E. Pontieri, G. Di Chiara, Cannabinoid and heroin activation of mesolimbic dopamine transmission by a common μ1 opioid receptor mechanism, in Science, 1997, 276, pp. 2048-50.

G. Di Chiara, A motivational learning hypothesis of the role of dopamine in compulsive drug use, in Journal of psychopharmacology, 1998, 12, pp. 54-67.

G. Di Chiara, V. Bassareo, S. Fenu et al., Dopamine and drug addiction: the nucleus accumbens shell connection, in Neuropharmacology, 2004, 47, pp. 227-41.

G.F. Koob, M. Le Moal, Plasticity of reward neurocircuitry and the 'dark side' of drug addiction, in Nature neuroscience, 2005, 8, pp. 1442-44.

Diritto

Criterio tabellare e classificazione delle droghe

Sul piano giuridico, nell'ordinamento italiano, ci si attiene a una definizione formale di d., ricavabile dagli elenchi delle sostanze stupefacenti o psicotrope di cui la legge dispone la formazione, elenchi aggiornabili con decreto del Ministero della Salute sulla base di criteri tabellari, normativamente predeterminati e articolati. La legislazione vigente, cioè, non offre - per le ragioni già esposte - una nozione di d., ma si limita a indicare, negli artt. 13 e 14 del d.p.r. 9 ott. 1990 nr. 309, i criteri in base ai quali il ministro della Salute, di concerto con il ministro della Giustizia, sentito l'Istituto superiore di sanità e il Consiglio superiore di sanità, deve provvedere a formare le sei tabelle contenenti la relativa elencazione, in conformità a quanto sancito nelle convenzioni e negli accordi internazionali (segnatamente, la Convenzione unica sugli stupefacenti stipulata a New York il 30 marzo 1961, ratificata e resa esecutiva in Italia con la l. 5 giugno 1974 nr. 412, e la Convenzione sulle sostanze psicotrope stipulata a Vienna il 21 febbraio 1971, ratificata e resa esecutiva in Italia con la l. 25 maggio 1981 nr. 385; nonché la Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope adottata a Vienna il 20 dicembre 1988, ratificata e resa esecutiva in Italia con la l. 5 nov. 1990 nr. 328).

Il compito di individuare le sostanze stupefacenti e psicotrope da sottoporre a vigilanza e controllo è, dunque, rimesso all'autorità amministrativa alla luce dei criteri legislativamente prefissati per l'identificazione della singola sostanza e per la sua inclusione in una delle sei diverse tabelle; ciò, peraltro, consente un'agevole modificazione e/o integrazione degli elenchi, come di recente è avvenuto con l'inserimento nella tabella i di quattro derivati sintetici a base di anfetamine (GHB, GBL 2C-B, 4-MTA), al fine di fronteggiare il diffondersi di droghe sintetiche (in sostanza, l) tra i giovani (Ministero della Sanità, d. 10 nov. 1999; G.U. 12 nov. 1999 nr. 266).

La l. 21 febbr. 2006 nr. 49, modificativa del d.p.r. 9 ott. 1990 nr. 309, ha, fra l'altro, ridisegnato gli artt. 13 e 14 di tale decreto e, con un sensibile mutamento di prospettiva, ha eliminato la distinzione tra 'd. pesanti' e 'd. leggere', le quali ultime, appunto, sono equiparate alle prime sul piano sanzionatorio (almeno in via edittale).

L'assimilazione - come emerge dalla relazione di accompagnamento al progetto di legge governativo - è motivata dall'esigenza di aderire alle "più recenti e accreditate conclusioni della scienza tecnologica", per le quali il principio attivo delle sostanze stupefacenti cosiddette leggere (in particolare, la cannabis) può presentarsi di grado "incomparabilmente" maggiore rispetto al passato. Si supera, in tal modo, l'opposta opinione scientifica per la quale le sostanze in discorso non sono assimilabili sotto il profilo della gravità degli effetti che sono in grado di determinare. Tutte le sostanze vietate sono, dunque, ricomprese in un'unica tabella (i).

In un'altra tabella (ii) sono, invece, previste le sostanze medicinali - che trovano impiego terapeutico e che possono essere prescritte (ansiolitici, antidepressivi, psicostimolanti, medicinali impiegati nella cosiddetta terapia del dolore) - contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope e che, pertanto, pur presentando in astratto proprietà curative, possono in concreto divenire oggetto di abuso.

Appare opportuno, a questo punto, svolgere sintetiche osservazioni di carattere generale sulle droghe più diffuse, anche al fine di comprendere il differente trattamento giuridico a esse riservato.

L'oppio è il succo lattiginoso ricavato dall'incisione delle capsule, ancora verdi, del papavero sonnifero; una volta seccato, viene commercializzato in pani di colore bruno. Induce assuefazione e dipendenza, mentre l'intossicazione cronica provoca gravi danni, fisici e psichici, che possono condurre alla demenza. Dall'oppio si ricavano numerosi alcaloidi, tra i quali la morfina e l'eroina. La prima viene prevalentemente utilizzata come analgesico, la seconda, estratta dalla prima, anche per la efficacia stupefacente sensibilmente più elevata, non ha alcun uso terapeutico. L'eroina ha un effetto drogante immediato (flash) che, tuttavia, scema rapidamente e per essere riprodotto richiede quantitativi sempre maggiori della sostanza (tolleranza), il che determina gravi fenomeni di dipendenza fisica e psichica, che portano il consumatore a una disperata ricerca dello stupefacente (sindrome di astinenza).

Dalle foglie essiccate e dall'essudato resinoso delle infiorescenze della cannabis indica viene ricavato il principio attivo stupefacente che è denominato tetraidrocannabinolo (THC). I prodotti più noti sono le la marijuana, i quali differiscono fra loro per il contenuto di THC (maggiore nel primo) e per le modalità di realizzazione (foglie essiccate la seconda). I cannabinoli non determinano dipendenza, né il fenomeno della tolleranza; possono, invece, causare gravi danni al sistema nervoso e, comunque, il loro uso costituisce generalmente il passaggio necessario per l'utilizzo di sostanze stupefacenti maggiormente nocive.

Organismi di controllo

La disciplina vigente in tema di stupefacenti è dettata dal d.p.r. 9 ott. 1990 nr. 309, sulla cui reale portata applicativa, tuttavia, ha sensibilmente inciso il referendum abrogativo del 18-19 aprile 1993. La legge individua, innanzitutto, a livello politico e a livello amministrativo, gli organi deputati a monitorare il fenomeno. Così al controllo della diffusione delle sostanze stupefacenti presiede il Comitato nazionale di coordinamento antidroga, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, composto dal presidente del Consiglio stesso e dai ministri degli Esteri, dell'Interno, della Giustizia, della Difesa, dell'Istruzione, della Salute, del Lavoro, degli Affari sociali, degli Affari regionali e delle aree urbane (nelle varie denominazioni che tali aree di intervento assumono nelle diverse compagini governative).

Il Comitato indirizza e promuove la politica generale di prevenzione e di intervento contro la produzione illecita nonché la diffusione della d., avvalendosi della consulenza di un Osservatorio permanente. Ogni anno, peraltro, il presidente del Consiglio dei ministri deve presentare al Parlamento una relazione sui dati relativi allo stato delle tossicodipendenze, sulle strategie adottate e sugli obiettivi raggiunti, nonché sugli indirizzi che ci si propone. A livello operativo-amministrativo l'art. 2 del d.p.r. 9 ott. 1990 nr. 309 disciplina i compiti del ministro della Salute, presso il cui Ministero è istituito il Servizio centrale per le dipendenze da alcol e sostanze stupefacenti (art. 3 del suddetto decreto). Il Ministero dell'Interno dirige e coordina i servizi di polizia in materia, partecipa a livello internazionale (salve le attribuzioni dei ministri degli Esteri e della Salute) ai rapporti con il Fondo delle Nazioni Unite (UNFDAC) e con gli organismi della CEE (art. 9 d.p.r. 9 ott. 1990 nr. 309). Nell'ambito del Dipartimento per la pubblica sicurezza è istituita la Direzione centrale per i servizi antidroga, struttura che mantiene e sviluppa i rapporti con i corrispondenti servizi delle polizie estere e, in particolare, con l'Organizzazione internazionale della polizia criminale (OIPC-Interpol) (art. 10 d.p.r. 9 ott. 1990 nr. 309). La Conferenza permanente per i rapporti fra Stato e regioni (art. 12 d.p.r. 9 ott. 1990 nr. 309), peraltro, ha compiti di raccordo su tutto il territorio nazionale delle attività di prevenzione, cura, recupero sociosanitario delle tossicodipendenze e per la lotta all'uso di sostanze stupefacenti.

Regime sanzionatorio delle attività illecite

Descritto il regime delle autorizzazioni per ogni possibile attività concernente le sostanze stupefacenti e psicotrope (coltivazione, produzione, fabbricazione, impiego, importazione, esportazione, ricezione in transito, commercio, detenzione per il commercio), la normativa in esame disciplina il sistema sanzionatorio delle attività illecite.

Innovando rispetto alla scelta operata nel 1975 (non punibilità della detenzione per uso personale di modiche quantità di sostanze stupefacenti), il legislatore del 1990 ha ripristinato il divieto dell'uso personale di sostanze stupefacenti, introducendo il concetto, meno indeterminato, di 'dose media giornaliera'. La risposta punitiva, peraltro, è graduata, prevedendosi l'applicazione di sanzioni amministrative per l'uso personale di quantitativi non superiori alla dose media giornaliera e di sanzioni penali per condotte caratterizzate sia dalla destinazione a terzi di un qualsivoglia quantitativo di droga, sia dall'uso personale di un quantitativo superiore alla dose media giornaliera.

La consultazione referendaria del 1993, come detto, ha poi inciso sensibilmente su tale assetto, essendo risultata abrogata, fra l'altro, l'espressione - contenuta nell'art. 75, 1° co., d.p.r. n. 309 del 1990 - "in dose non superiore a quella media giornaliera" e, dunque, essendo venuto meno il principio (guida) del divieto dell'uso personale, non terapeutico, di sostanze stupefacenti e psicotrope.

Con l'ultima novella (l. 21 febbr. 2006 nr. 49) il legislatore ha, innanzitutto, ribadito la rilevanza penale delle condotte che si caratterizzano per la destinazione a terzi della droga, a prescindere dal suo quantitativo (art. 7, 1° co., novellato). In tal senso è stata sancita la rilevanza penale delle condotte che si appalesino, per modalità oggettive e soggettive ("per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministero della Salute […] modalità di presentazione, avuti riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell'azione"), destinate a terzi, più precisamente, "a un uso non esclusivamente personale" (art. 73, co.-1bis, lettera a). Quegli elementi indiziari della destinazione a terzi, elaborati dalla giurisprudenza nel vigore del precedente sistema sanzionatorio, sono stati dunque recepiti all'interno della fattispecie incriminatrice per tipicizzare, al meglio, le condotte tese a un uso diverso da quello personale.

L'assimilazione fra d. pesanti e leggere ha comprensibilmente indotto il legislatore a ridurre i minimi edittali (da otto a sei anni di reclusione per la pena detentiva) e a introdurre la circostanza attenuante del fatto di lieve entità che, ove riconosciuta, può comportare l'applicazione del lavoro sostitutivo in luogo della pena detentiva.

Sul fronte del sistema amministrativo si è inteso, da un lato, rafforzare lo strumentario sanzionatorio, dall'altro, colpire in modo più efficace le condotte oggettivamente e soggettivamente più pericolose per la sicurezza pubblica (artt. 75 e 75 bis della legge citata).

Bibliografia

G. di Gennaro, La comunità internazionale e l'abuso di droga, in Trattato di criminologia, medicina criminologica e psichiatria forense, a cura di F. Ferracuti, 15° vol.

Alcoolismo, tossicodipendenze e criminalità, Milano 1988, pp. 1-24.

E. Fortuna, Stupefacenti, in Enciclopedia del diritto, 43° vol., Milano 1990, ad vocem.

E. Bertol, F. Lodi, F. Mari et al., Trattato di tossicologia forense, Padova 1994.

Le sostanze stupefacenti, a cura di R. Acquaroli, Torino 1998.

G. Ambrosini, Stupefacenti, in Digesto, discipline penalistiche, 14° vol., Torino 1999, ad vocem.

G. Amato, Stupefacenti: teoria e pratica, Roma 2005.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

TAG

Organizzazione internazionale della polizia criminale

Istituto superiore di sanità

Sistema nervoso centrale

Fattori di trascrizione

9-tetraidrocannabinolo