DRUSI

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

DRUSI (XIII, p. 226)

Virginia Vacca

Etnografia. - I Drusi formano la maggioranza della popolazione del Gebel Druso e hanno inoltre molti villaggi nel Libano meridionale. In ogni centro druso si trova una famiglia dominante, che occupa talvolta da sola un intero villaggio.

Fino al secolo XIX vigeva fra i Drusi il sistema feudale; il capo supremo prendeva il nome di ḥākim, da lui dipendevano gli emiri e da questi gli sheikh. Essi riscuotevano tributi dai loro seguaci, li chiamavano alle armi; i feudi erano ereditarî nelle famiglie, ognuna delle quali aveva un suo castello nei monti, circondata da parenti e vassalli; praticavano l'ospitalità in vasta misura; i feudatarî giudicavano nelle cause penali, per quelle civili esistevano appositi qāḍī. In origine le famiglie erano suddivise in classi ben distinte, e i membri meno importanti delle classi elevate avevano precedenza sui componenti principali delle classi inferiori.

I bambini drusi sono assai spesso battezzati o circoncisi, o le due cose insieme. Le donne sono tenute in considerazione, e anche le straniere rispettate; il matrimonio non è permesso sotto i quindici anni né fra iniziati e "ignoranti"; il consenso della sposa è libero. In alcune famiglie (el-Aṭrash, Naǵm, el-Ḥammūd), si sposano soltanto parenti. La cerimonia del fidanzamento è solenne e celebrata da un sacerdote e da due rappresentanti degli sposi; quella delle nozze è privata e senza pompa. Lo sposo paga al padre della sposa una dote stabilita dalla tradizione. Il ripudio di tipo musulmano è ammesso, ma raramente praticato (la religione drusa vieterebbe divorzio e ripudio). L'adulterio della donna è spesso punito con la morte dai parenti di questa, che ricevono dal suo complice il prezzo del sangue. I vecchi sono venerati, l'ospitalità è sacra, il vino e il tabacco in generale non si usano. Nei funerali intervengono (contro le prescrizioni della religione) prefiche improvvisatrici di canti funebri notturni. Nei sette giorni successivi al funerale si tengono banchetti funebri notturni. Spesso i funerali sono accompagnati da cerimonie religiose musulmane o cristiane.

I Drusi sono esclusivamente agricoltori. Nei villaggi il quarto o l'ottavo delle terre appartiene ai capi e il rimanente ai contadini; i pascoli sono in comune e il resto di proprietà individuale. La terra si lavora col sistema di due anni di coltura a rotazione e un anno di riposo. Le industrie sono primitive. Si tessono stoffe a disegni persiani, con fili d'oro e d'argento, tappeti scadenti di tipo turco, tappeti rustici di pelo di capra e lana, una specie di orbace, stuoie di paglia, canestri. In seguito alla scarsezza d'acqua, al diboscamento e alla pastorizia mal regolata, manca nel Gebel Druso la legna da ardere. Unico combustibile, i panelli di sterco di cammello misto a paglia trita, seccati al sole sulle terrazze e conservati all'asciutto per l'inverno.

I villaggi drusi sorgono spesso sul fianco di una collina, le case sono cubiche, di basalto nero, senza vetri alle finestre. La famiglia vive in comune in una o più stanze; talvolta due famiglie alleate abitano la stessa casa, gli uomini ne occupano una parte, le donne e i bambini il rimanente. Poiché nel Gebel manca del tutto il legname, i travi dei soffitti sono di pietra; le volte sostenute da archi che fanno da pilastri, i tetti a terrazze piatte; l'inverno si murano le finestre. Le pareti delle stanze sono intonacate con una miscela di paglia trita, terra grassa e sterco di cammello, su cui si disegnano figure geometriche o decorative rudimentali. Le provviste di cereali si conservano in alti cofani di argilla, spesso inseriti nello spessore dei muri, che si bucano in basso per far uscire il grano. Accanto all'abitazione i ricchi hanno la foresteria (maḍāfeh) per gli ospiti, i villaggi poveri ne mantengono una comune secondo l'antica abitudine di isolare, onorandoli, gli ospiti.

Il vestito maschile dei Drusi è composto di tunica (qamīṣ), calzoni (liās) lunghi, scuri e talvolta ricamati in seta a colori nel basso, col fondo pendente e la gamba stretta; sopra, un qumbāz o sopravveste a campana, chiaro, e il bolero ricamato con maniche lunghe. Il mantello (abāyiah) è corto, senza maniche, a righe bianche e nere o rosse, le calzature di feltro.

Gli ‛uqqal portano anche un grande soprabito nero che avvolge tutto il corpo. La cintura è di lana o di cuoio (zennār); in testa il ôarbūsh (fez), circondato da un turbante bianco (quello dei musulmani è colorato), più grande per i personaggi autorevoli o i vecchi; nel Ḥaurān i giovani non appartenenti alla classe degli ‛uqqāl portano il copricapo beduino (kũfiyyah e ‛iqāl).

Nel secolo XIX i Drusi portavano la scimitarra appesa al collo, un pugnaletto infilato nella cintura e un'accetta pesante trattenuta al polso da un cordone di seta. Molti portano capelli lunghi, intrecciati o a boccoli; gl'iniziati barbe corte, i giovani lunghi baffi. Si vedono spesso costumi maschili di tipo europeo, con calzoni e copricapo tradizionali. Si notano differenze nel vestito fra ignoranti e iniziati. Lo sheikh dei Drusi porta un grande turbante bianco, veste di scuro, evita la bestemmia e i discorsi osceni, rinuncia del tutto all'alcool e al tabacco, ha perfino ritegno di mettersi a tavola con funzionarî o persone ricche, per timore di mangiare cibo comprato con danaro male acquistato.

Le donne sono più degli uomini fedeli all'abbigliamento tradizionale. Portano tunica e calzoni, uno o più vestiti lunghi simili a camicie da notte, un bustino colorato molto aperto davanti (ṣidrivveh) e un qumbāz simile a quello maschile; in testa un berretto di stoffa sotto un velo bianco, trattenuto da un giro di nastro, col quale si coprono il viso in presenza di estranei. L'antico copricapo detto tantūr (un corno o cilindro d'argento dal quale pendeva il velo) è caduto in disuso. I gioielli adoperati dai Drusi sono d'argento.

I Drusi hanno superstizioni distinte dalle credenze religiose e talvolta con esse incompatibili: come la credenza nella reincarnazione dei cattivi sotto forma di animali, nella magia e nel malocchio, il culto degli alberi sacri, meta di pellegrinaggi, ai quali si attaccano pezzetti di stoffa (quercia sacra di ‛Aley).

Amano la musica e i canti degl'improvvisatori, accompagnati dal flauto e dalla rebābah; accompagnano con canzoni i cortei nuziali e le spedizioni guerresche; le donne ballano a coppie nelle feste femminili; gli uomini ballano a cerchio, con musica, battendo le mani e cantando. Si dilettano di caccia (lepri, pernici, ecc.), senza cani.

Bibl.: M. von Oppenheim, Vom Mittelmeer zum Persischen Golf, Berlino 1899; P. K. Hitti, The Origins of the Druze People and Religion, New York 1928; L. Jalabert, Syrie et Liban, Parigi 1934; N. Bouron, Chez les Druses du Djebel, in Asie Française, 1929, pp. 153, 190, 222, 280.

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