DUELLO

Enciclopedia Italiana (1932)

Alberto Manzi

Nella sua prima origine, risalente agli albori dell'umanità, è la forma embrionale, rudimentale di guerra, il mezzo brutale a cui ricorre l'individuo isolato contro il suo simile nella lotta per l'esistenza. Questo carattere primitivo del duello si mantiene tenacemente nel corso della civiltà, pur addolcito e temperato dalle mutate condizioni di vita, e trasformato, da lotta bruta per la reciproca sopraffazione, in gara di coraggio, di valore e destrezza guerresca. La singolare tenzone degli eroi omerici è precipuamente tale, combattimento di due campioni misuranti il proprio valore al di fuori di ogni concetto di diritto e torto, di ogni impostazione giuridica dello scontro. Ma già la stessa Iliade, accanto a questa forma, per così dire, extragiuridica di duello, conosce l'aura in cui l'elemento materiale della lotta non è più fine a sé stesso, ma compendio e quasi simbolo, con innegabile umanizzazione, della guerra fra due eserciti e due popoli, il cui esito si concorda di far dipendere da quello del duello stesso. Menelao e Paride nel IV dell'Iliade, e meglio ancora gli Orazi e i Curiazî dell'antichissima tradizione romana, non combattono più per individuale prova di valore, ma come rappresentanti dei rispettivi eserciti in momentanea tregua, per troncare con la minima effusione di sangue la guerra in corso.

Per tutta l'antichità, peraltro, il sostrato giuridico-religioso del duello (quale si svilupperà poi presso i Germani, e per eredità loro nel Medioevo) non si può dire sia molto vivo, ed è certo nettamente inferiore alla prima, estrinseca forma suaccennata; questa può essere nobilitata dal senso dell'amor patrio, del dovere di cittadino, del cavalleresco omaggio al nemico, ma permane generalmente nella sfera del puro valore individuale. Al concetto medievale e moderno del duello, quale chiarificazione, attraverso la prova materiale dello scontro, di un controverso principio di onore e giustizia, si accosta se mai di più il famoso episodio biblico di Davide e Golia, ove è chiaramente adombrata l'assistenza della divinità al popolo eletto, impersonato dal giovinetto eroe; non già il duello di Ettore e Aiace o di Ettore e Achille in Omero, o quello di Manlio Torquato col Gallo, o di Cornelio Cosso con Lars Tolumnius, e altri famosi duelli leggendarî e storici dell'antichità; episodî e aneddoti estranei al tipo tradizionale del duello, non meno dei combattimenti, spesso anche singolari, dei gladiatori, così largamente diffusi in età imperiale. Assai maggiore importanza ebbe invece il duello per i popoli germanici, presso i quali esso finì con l'essere, non più un semplice fatto personale, determinato da motivi di vendetta o altro, ma un vero e proprio mezzo di prova giuridico, previsto e autorizzato dalle leggi. Il "duello giudiziario" assume infatti presso i Burgundî valore di prova decisiva, in tutte le controversie in cui, avendo il convenuto offerto di giustificarsi mediante giuramento, l'attore rifiuti la validità di siffatto genere di prova e voglia invece provare la verità delle sue affermazioni per mezzo delle armi. Così presso le altre popolazioni germaniche, Ripuarî, Bavari, Alamanni, Frisoni, Longobardi, ecc. Diversa è soltanto la natura dei casi in cui il duello giudiziario è consentito: presso i Burgundî, infatti, esso vale per qualsivoglia controversia; presso i Sassoni, invece, se ne fa menzione solo nel caso di rivendicazione d'una proprietà immobiliare. Nell'editto di Rotari il duello è anche consentito, a mezzo s'intende di un campione, alla donna accusata di adulterio dal marito.

La nuova pratica era determinata dalla difficoltà di sicure testimonianze nelle controversie. La legge dei Burgundî, del 502, è esplicita a tal riguardo: avendo constatato che molti si lasciano indurre dalle parti contrastanti ad affermare con giuramento fatti di cui non hanno conoscenza sicura, e perfino a mentire scientemente, per distruggere siffatto abuso criminale si stabilisce la nuova legge, che autorizza appunto il duello. Né si può contestare che la nuova pratica, almeno in un primo tempo, potesse realmente servire la causa della giustizia, sia pure grossolanamente. Sennonché gli abusi non dovettero tardare ad apparire anche qui, se re Liutprando non soltanto constatava che più di una volta il buon diritto era uscito sconfitto da simili prove, ma affermava che uomini perversi si compiacevano nel provocare il duello. E se all'avvento della pratica del duello giudiziario, solo qualche uomo di chiesa, come sant'Avito, poteva protestare contro di essa, più tardi l'opposizione ingrossò, reclutando anche dei sovrani, come s'è visto per Liutprando.

La pratica tuttavia non cessava, confermata com'era ancora da Carlomagno e da Ludovico il Pio. D'altronde, sebbene la Chiesa avesse già assunto un atteggiamento ostile al duello giudiziario (esplicitamente condannato dal concilio di Valenza nell'855), non era raro il caso di vescovi e abati che, allo scopo di rivendicare diritti temporali, scegliessero proprio il duello, s'intende per mezzo di campioni. Ancora nel 1098, scendono in campo i campioni delle comunità religiose di Talmont e di Marmoutier, in Francia; e in Spagna, la questione del rito mozarabico, discussa nel concilio di Burgos del 1077, venne definita da un duello, che vide trionfare il campione della lex toletana, cioè mozarabica.

Se dunque anche per la Chiesa è possibile trovare esempî di duelli giudiziarî in età abbastanza recente, non ci si deve meravigliare se la pratica continuasse ancor più tardi presso i laici, e se ottenesse ancora pieno riconoscimento nei testi legislativi. Fuori d'Italia infatti, il duello giudiziario continua ad avere il suo valore di prova; e la procedura di esso continua a essere fissata, sia nei varî coutumiers locali e regionali dei secoli XI, XII e XIII, sia anche in ordinanze sovrane (per es. in quella, celebre, di Filippo il Bello del 1306). E anzi, mentre prima al duello erano ammessi soltanto i liberi e i nobili, ora, col sec. XII, in Francia si cominciano ad ammettere anche i servi, che possono combattere contro l'uomo libero.

Tra servo e uomo libero permane tuttavia una differenza notevole: i nobili combattevano fra loro a cavallo, con le armi solite da guerra; i servi - e così pure i campioni, quando le parti contendenti dovessero ricorrere a essi - combattevano invece con uno scudo e un bastone.

L'influsso del diritto romano sulla legislazione doveva tuttavia condurre alla scomparsa del duello giudiziario. Nelle nuove formazioni statali del basso Medioevo, mutate le condizioni di vita, divenuta più forte l'autorità centrale, e quindi più sicura l'amministrazione della giustizia; con l'avvento del nuovo diritto, che conosceva ben altri mezzi di prova e si fondava su una ben diversa coscienza giuridica, il duello doveva sempre più apparire come un mezzo troppo barbaro per assicurare il trionfo della giustizia. D'altra parte la Chiesa, che nell'alto Medioevo non sempre aveva assunto una posizione decisa né coerente, ora condannò risolutamente la pratica, la quale andò così declinando, per scomparire poi del tutto con l'età moderna.

Il duello nei tempi moderni. - Ma allo scomparire del duello, come mezzo di prova giudiziaria, si andava contrapponendo lo sviluppo assunto dal duello per il cosiddetto punto d'onore. Il nuovo duello si riallacciava, quanto all'origine, non già al duello giudiziario, ma piuttosto ai tornei, che erano in realtà null'altro che una serie, estesa fin che si vuole, di combattimenti fra due cavalieri. Talora poté anche riaffiorare l'antica idea di far dipendere, da un duello fra due capi, l'esito di una guerra o, comunque, di una contesa fra stati: ed è il caso della celebre sfida lanciata da Francesco I a Carlo V nel 1527. Ma furono rare eccezioni; e la giustificazione alla loro condotta i duellisti la cercarono invece nella necessità di vendicare il proprio onore offeso. Era, come si vede, un rivivere dello spirito cavalleresco medievale, sotto nuova forma. Vi sono, si dice, offese che la legge non può colpire, ma che un uomo di onore, un cavaliere, non può lasciar impunite: ed ecco allora la necessità, per lui, di ricorrere alla sfida.

Posto su basi siffatte, il duello doveva facilmente degenerare; e il più insignificante pretesto bastava, a chi fosse di spirito litigioso, per chiedere spiegazione sul terreno all'avversario. S'inizia così un nuovo periodo che ha una delle sue manifestazioni più celebri nel duello tra due gentiluomini francesi, La Châteigneraie e Guy Chabot, sire di Jarnac, nel 1547. E poiché la consuetudine è diffusa, si palesa la necessità di elaborare anche le norme che al duello devono presiedere.

La sfida deve essere lanciata pubblicamente; i due avversarî scendono sul terreno a torso nudo, senz'altra arma che la spada. Li assistono due o tre amici; ma in breve questi non si limitano più a osservare i loro primi, e incrociano pure il ferro tra di loro sposando la questione dei loro primi. Successe così che, per una questione concernente due gentiluomini, sei e anche otto persone combattessero, trasformando il duello in una cruenta piccola battaglia. Celebre restò il combattimento del 27 aprile 1578 fra tre dei mignons di Enrico III di Francia e tre favoriti della casa di Guisa.

Né, a infrenare la mania duellistica, bastò la condanna della Chiesa, in una celebre dichiarazione del concilio di Trento: scomunica per re, principi e signori che a qualunque titolo abbiano concesso il terreno per battersi; scomunica e proscrizione dei beni per duellanti e padrini; agli uccisi in duello negata la sepoltura in terra consacrata; anche per gli spettatori la scomunica.

Né valse l'intervento di sovrani come Enrico IV, che, impressionato dalla mania duellistica, richiamò in vigore nel 1602 l'ordinanza del 1599, che affidava ai marescialli di Francia e ai governatori delle provincie di comporre le questioni d'onore. Influenza maggiore ebbero le pene stabilite da Luigi XIII su proposta di Richelieu, che giungevano, come in Spagna, fino all'esecuzione capitale, alla confisca dei beni, alla cessazione delle funzioni esercitate, al bando; queste pene ebbero talvolta applicazione, come nel caso del conte di Boutteville. Ma dopo la morte di Richelieu la smania del duello riprese: sorse anzi il duello alla pistola.

E il contrasto fra la legislazione, avversa al duello, e la pratica, continua sino a tempi recentissimi. Un momento diminuiti durante il consolato e l'impero di Napoleone, i duelli ricominciarono in fitta serie con l'inizio della Restaurazione; la quale proibì bensì il duello nel nome della Chiesa, ma con risultato modesto. Parlamento e giornalismo divennero fonti di sfide che si propagarono alla Terza Repubblica, nonostante le nuove disposizioni del codice penale. Ricordiamo tra i duelli celebri quello tra A. Carrel ed Émile de Girardin, e quello tra C. T. Floquet e il generale Boulanger. Politica e giornalismo originarono sfide e duelli in Inghilterra e in Italia, ove la ripresa delle armi determinata dall'invasione francese rinnovò lo spirito bellicoso. Non può essere dimenticato il duello tra il generale Pepe e il Lamartine per un'infelice espressione di questo sull'Italia; e nel 1897 il conte di Torino sfidava e feriva in duello Filippo d'Orléans per le sciocchezze scritte, a proposito della battaglia di Adua, contro gl'Italiani.

Specialmente nei paesi germanici il duello aveva la sua massima fortuna, nonostante che Federico il Grande avesse emanato leggi contro il duello, applicate poi senza molto rigore. Il duello era all'ordine del giorno specialmente tra gli studenti universitari; esso non era uno scontro attenuato come divenne poi, ma un duello vero e proprio; per altro, in caso di morte, il duellante superstite veniva escluso dall'università alla quale apparteneva, e se recidivo, da tutte le università. A poco a poco tuttavia si passò tra gli studenti delle università e dei politecnici, al duello con la Mensur, tuttora frequente. La tradizione vuole che lo studente per essere ammesso nelle associazioni debba fornire una prova del suo coraggio battendosi almeno una volta con un compagno; nello scontro si deve mirare solo al viso e colpire di taglio; gli occhi sono protetti con occhiali. Questi duelli, in generale, hanno per risultato uno sfregio.

Sulla fine del sec. XIX tuttavia s'iniziava una forte reazione contro il duello: reazione che, per il fatto di derivare non da un provvedimento legislativo, ma dalla convinzione ormai diffusa che il duello non fosse né prova di coraggio, né proporzionato nella sua gravità alle offese, vere o presunte, che si volevano con esso vendicare, aveva molto maggiore efficacia dei provvedimenti legislativi presi per l'innanzi. Era la coscienza moderna stessa che protestava contro l'usanza duellistica. S'iniziò così il movimento antiduellistico che in Italia cominciò verso il 1902 per iniziativa del marchese Crispolti. Il 21 dicembre si costituì in Roma la Lega nazionale antiduellistica. Nel 1903 se ne fondò a Milano una lombarda. Nel 1906 accettò la presidenza delle leghe antiduellistiche l'on. Zanardelli, allora presidente del Consiglio dei ministri. Nel 1905 si stabilirono le norme per la costituzione dei giurì d'onore, e nell'anno seguente il congresso degli ex ufficiali votò un ordine del giorno per chiedere la soppressione del duello nell'esercito. Il Congresso per l'educazione fece voti (1907) perché la gioventù fosse educata nelle idee antiduellistiche. E il movimento si allargò in tutti i campi: il generale Viganò, ministro della Guerra, si dichiarò avverso al duello; e nel 1908, in un'ordinanza diretta all'esercito e alla marina, disponeva perché le querele di non grave entità fossero risolte per mezzo del giurì d'onore. Nel 1908 fu anche presentato alla Camera un disegno di legge contro il duello. Vittorio Emanuele III accettò l'alto patrocinio della lega antiduellistica. Questo movimento ha certo influito sulla diminuzione dei duelli; la questione è oggi riportata di nuovo alla Camera.

In Francia, dove il duello aveva avuto una diffusione molto maggiore che non in Italia, nel 1900 J. De Boury, per delega di don Alfonso di Borbone (v. sotto), iniziò il movimento antiduellistico moderno e nell'anno seguente costituì a Parigi il primo comitato. Nel 1902 fu istituito il primo tribunale d'onore; nel 1903 fu fatta presentare al Senato una legge contro il duello, e nel 1907 il ministro della Guerra esonerò gli ufficiali dall'obbligo di battersi.

In Spagna, nei tempi più vicini a noi, politica e giornalismo furono come altrove grandi sorgenti duellistiche. In una riunione tenuta dai giornalisti in Madrid (1885) si stabilì la formazione dei giurì d'onore. Il movimento antiduellistico cominciò nel 1904. Il barone Albi iniziò l'organizzazione della lega e nel 1905 riunì in Barcellona il comitato provvisorio che lanciò un appello contro il duello e raccolse numerose adesioni. La lega antiduellistica si costituì in Madrid sotto la presidenza del marchese di Heredia: nel 1908 si contavano già 32 leghe con ventimila aderenti. Un incidente tra deputati, risolto da un arbitro, provocò la massima che le questioni parlamentari non potevano dar luogo a partite d'onore. Fu pure costituita un'associazione antiduellistica fra i giornalisti.

In Germania, la prima assemblea contro il duello si riunì a Lipsia nel 1902. Nel 1907 contava 20 comitati locali e tremila soci. Essa risolse varie questioni d'onore riducendo il numero dei duelli: costituì la Freie Studentenschaft contro lo scontro alla Mensur; preparò anche un progetto di legge basato sulla legge inglese del 1844, ecc. In Austria il movimento antiduellistico s'iniziò nel 1901. Il comitato compilò un regolamento che ottenne l'approvazione del governo; la lega generale si costituì nel 1904 e procedette alla formazione di leghe antiduellistiche universitarie, coadiuvata anche dalla associazione antiduellistica femminile. L'azione fu efficace; il numero dei duelli subì una diminuzione e molte questioni furono deferite al tribunale d'onore. Nel 1908 il ministro della Guerra emanò un decreto per abolire il duello e organizzare i tribunali d'onore.

In Ungheria (dove il duello infieriva, soprattutto quello alla pistola) la prima lega si costituì nel 1902 e l'anno dopo con la formazione della lega nazionale si procedette alla formazione dei tribunali d'onore anche per i duelli tra studenti. La prima assemblea fu riunita a Budapest nel 1904; e nella stessa città si convocò nel 1908 il primo congresso internazionale antiduellistico. Nel dicembre fu riunita la conferenza internazionale dei delegati di tutte le leghe antiduellistiche. Anche qui si ebbe una diminuzione dei duelli.

Una lega antiduellistica si costituì a Bruxelles nel 1903 e due anni dopo iniziarono la loro attività i tribunali d'onore. Il congresso internazionale delle associazioni della stampa, adunato a Liegi nel 1908, emise un voto per l'abolizione del duello tra i giornalisti.

In Inghilterra, dove pure il duello era stato molto in voga specialmente al tempo degli Stuart, la reazione avvenne anche prima che negli altri paesi. L'ultimo dei duelli celebri avvenne nel 1835 tra B. Disraeli e Morgan O' Connell, ma già nel 1842 venne fondata l'Association for the discouragement of duelling, i cui aderenti s'impegnavano solennemente a non accettare sfide e a dimostrare l'immoralità e l'ingiustizia dei duelli. L'idea prese piede e si svolse tre anni dopo; ma il duello era già stato frenato dalla legge del 1844. Strascichì vi furono per una decina d'anni; alla fine cedettero di fronte al movimento antiduellistico diretto dal principe consorte e da personalità dell'esercito e della politica.

La procedura del duello. - Nei tempi moderni il duello, tranne casi eccezionali, avviene per il punto d'onore, cioè per l'offesa portata all'onore di una persona: offesa che non si può tollerare e deve essere quindi ritrattata o "lavata col sangue". Fino a qualche tempo fa l'offesa - anche se prevista e punita dal codice penale - determinava il duello; ora se l'offesa rientra nelle disposizioni delle leggi, il duello generalmente non avviene e il tribunale s'incarica della riparazione. Se nonostante tutto si esige la riparazione per le armi, i padrini fanno una speciale riserva; rimane fermo che in ogni caso la riparazione deve essere unica: o legale o per le armi. L'offesa può essere fatta personalmente o in assenza delle parti, come avviene nelle polemiche giornalistiche, in discorsi ecc. Nel primo caso l'offesa è determinata da parole o da gesti, e l'offeso può reagire. Se intende dar seguito alla vertenza, l'offeso si ritira dicendo "me ne renderà ragione", o si scambiano le carte di visita; l'offeso può anche sfiorare il volto dell'offensore con un guanto (il guanto della sfida). L'offesa arrecata con articoli, disegni, ecc. deve essere rilevata entro le 24 ore dalla pubblicazione.

A offesa raccolta, l'offeso sceglie due padrini (uno si chiama secondo e l'altro testimone) e li incarica di ottenere soddisfazione, e cioè scuse o riparazione per le armi. I padrini ricevono un mandato scritto (lettera di sfida) o verbale. Se l'offesa è atroce la lettera di sfida può essere portata anche dal solo secondo. La sfida, in generale, non può essere portata al domicilio dello sfidato, se questi vive in famiglia. Lo sfidato costituisce a sua volta i proprî rappresentanti. L'offesa deve essere rilevata e la sfida portata entro le 24 ore, salvo sempre casi eccezionali. I padrini si scambiano i mandati e iniziano la discussione sul fatto cavalleresco per stabilire se vi è realmente offesa e se è offesa semplice, grave o atroce (con vie di fatto). Dovere dei padrini è di tentare la conciliazione: non riuscendovi per una diversa valutazione dell'offesa, tentare il ricorso a un arbitro, al giurì o alla corte d'onore. Nel caso di dissidio nel valutare l'offesa e nel ricorso alla corte d'onore i padrini redigono un verbale separato e rimettono il mandato al loro primo. Il ricorso alla corte d'onore può essere fatto anche solo da una parte. Quando il mandato è rimesso, il primo è libero della sua azione. Chiusa la discussione con la decisione dello scontro, o ripieso il contatto dopo il parere arbitrale, i padrini fissano: chi è l'offeso, perché a questo è riservata la scelta delle armi; di qual grado è l'offesa, per determinare la scelta Stessa. Lo Scontro può avvenire: nel caso di offese atroci, alla pistola, o iniziarsi alla pistola con prosecuzione alla spada o alla sciabola nel caso di esito negativo; alla spada nel caso di offese gravi (in Francia anche per le semplici); alla sciabola per le offese semplici. Il verbale precisa anche le condizioni, e cioè: se il duello è alla pistola fissa la distanza, il numero dei colpi, se si deve tirare marciando o da fermo; se il duello è alla spada stabilisce se essa debba essere sciolta o legata al pugno; se infine il duello è alla sciabola stabilisce se essa debba essere arrotata in punta e bitagliente o smussata, e se sono ammessi o esclusi i colpi di punta; data l'arma bianca, il verbale precisa quale guanto si debba usare, ecc.

I quattro padrini, in unione a due medici e qualche volta al direttore dello scontro, accompagnano gli avversarî sul terreno. Designato il direttore dello scontro, si procede alla scelta del terreno, della posizione rispetto al sole, tentando di conciliare i vantaggi, all'esame delle armi, che non devono essere note agli avversarî, ecc. Per i duelli alla pistola è di prammatica abito nero e bavero rialzato; per la spada camicia floscia e senza la manica destra; per la sciabola, possibilmente torso nudo. Il direttore dello scontro pone di fronte gli avversarî i quali possono non salutarsi (ma salutano i testimonî) e ricorda loro i doveri del gentiluomo. Alla pistola gli avversarî si muovono secondo i comandi del direttore per marciare, voltarsi e sparare. Non vi sono colpi contestati. Alle armi bianche il direttore deve far osservare i principî della scherma e intervenire quando siano violati. Al "toccato", accusato da uno dei duellanti, o contestato dal direttore, si sospende lo scontro, e padrini e medico giudicano. Se il duello è al primo sangue, decidono se sia il caso di sospendere il combattimento; se il duello è all'ultimo sangue decidono se il ferito ha la possibilità di continuare in condizioni non troppo svantaggiose.

Esaurito il duello, i padrini tentano ancora la conciliazione; quasi sempre gli avversari si stringono la mano. Dichiarato finito il combattimento, i padrini si riuniscono per la compilazione e la firma del verbale che deve riassumere le fasi del combattimento, far risultare il nuovo tentativo di conciliazione, chiudere notando se gli avversarî si sono riconciliati o no. Se uno dei due avversarî è rimasto gravemente ferito è doveroso per i padrini e anche per l'avversario, pur non essendo avvenuta la riconciliazione, di lasciare la carta da visita alla casa dove il ferito è stato ricoverato. Se durante lo scontro sono avvenuti atti sleali, essi devono essere rilevati nel verbale.

Il duello è ammesso tra persone che abbiano non meno di 20 e non più di 60 anni; non è ammesso tra parenti prossimi, tra parentí o amici del morto o ferito e il suo avversario; tra gli stessi avversarî senza una nuova causa, tra debitori e creditori se la pendenza finanziaria non è composta; tra minori. Si può "eccepire" l'avversario per indegnità cavalleresca, ma in questo caso il ricorso al tribunale d'onore deve essere accettato sempre. Qualche volta, malgrado la sentenza del tribunale d'onore, o senza far ricorso ad essa e per consenso delle parti e dei padrini, il duello può avvenire egualmente. In questo caso si chiama partita d'armi, e non ha alcuna influenza dal lato cavalleresco: l'indegnità rimane. Naturalmente l'eccezione è per i casi atroci. Se uno dei due duellanti dà segni di codardia, il secondo può - se accettato - sostituirlo; se trascorsa l'ora fissata in verbale per il duello il primo non si presenta, i due testimonî si mettono a disposizione dell'avversario. Qualunque ragione abbia provocato il duello, quali che siano le condizioni di esso, i padrini debbono pensare sempre che la vita di due persone è in giuoco, e comportarsi di conseguenza.

Il codice cavalleresco. - È la raccolta di consuetudini che disciplinano il duello: norme di carattere pressoché generale, le quali, senza assurgere a dignità e rigidità di leggi, sono seguite e osservate nel mondo cavalleresco. Codice è forse parola eccessiva, in quanto essa esprime il concetto di leggi emanate da un'autorità costituita, mentre in materia di codice cavalleresco gli antichi e i recenti codificatori esprimono solo il desiderio e l'augurio che tali norme siano rispettate e osservate, e l'autorità non sempre riconosciuta, che dovrebbe farle applicare, si limita a pronunciare una squalifica - talvolta non esplicita - di una portata limitata.

Un tentativo di legislazione del duello fu fatto in Spagna con la deliberazione delle Cortes di Nájera, accolta da altri parlamenti del regno e inserita in seguito nel Código de las partidas. Nella partida 7ª s'indica in qual modo determinare l'offesa, la sfida, il duello: chi si può battere, dinnanzi a chi, in quale luogo e per quali ragioni e con quali formalità. Naturalmente vi sono sanzioni gravi per chi contravviene al codice. In Francia, caduto il duello giudiziario e subentrato il duello per il punto d'onore, le autorità tentarono di arginarlo con l'istituzione dei tribunali d'onore che iniziarono la loro attività sotto il regno di Carlo IX di Francia e vennero organizzati sotto Luigi XIV. A questi tribunali dovevano essere deferite le questioni cavalleresche, che venivano esaminate e discusse. Se il componimento pacifico falliva, e il motivo della questione risultava fondato e grave, il tribunale autorizzava il duello. Per quanto emanati da un'autorità costituita dal re, questi tribunali si rivelarono presto inefficaci allo scopo per il quale erano stati istituiti.

Sotto Enrico III gli Stati Generali deliberarono che coloro i quali avevano a dolersi d'ingiurie dovessero far ricorso alla giustizia. Ma il codice comune non rispose per il reato contro il punto d'onore, né ebbe maggior fortuna il tribunale dei marescialli di Francia - o tribunale del punto d'onore - il quale emise sentenze gravi. Le condanne furono inasprite sotto Luigi XIV. Ma, forse, le pene gravi valsero a paralizzare l'azione attesa dall'istituzione, perché si ricorse, con fortuna, alla domanda di grazia al re. Naturalmente l'azione dei tribunali d'onore aveva determinato norme cavalleresche di carattere generale, le quali vennero raccolte e discusse anche da giureconsulti. Tra i primi e tra i maggiori è un italiano, il Muzio, che nel 1550 pubblicò il suo Duello. Il primo dei tre libri che costituiscono l'opera è un vero e proprio codice cavalleresco. Secondo il Muzio, il duello può essere ammesso soltanto quando vi sia smentita, ingiuria o vie di fatto, e questi casi egli esamina acutamente, per fissarne la portata e determinare con sicurezza le figure dell'offeso e dell'offensore. Circonda così il duello di tali garanzie, da farlo considerare come un complemento delle leggi civili e per offese da queste non contemplate o inadeguatamente contemplate nei rispetti della pubblica stima e considerazione. L'importanza dell'opera del Muzio nella parte che costituisce il codice cavalleresco risultò tale, che a lui si ricorse per l'esame e la decisione di gravi vertenze in materia d'onore cavalleresco. Vediamo sorgere così in questo periodo, il tribunale d'onore e il codice cavalleresco: il primo per volere della suprema autorità dello stato francese, l'altro per virtù di uno schermitore. Sono pure di questo periodo e dei seguenti le opere dell'Alciato, del Maffei e di parecchi altri, italiani o di altri paesi.

Se i codici valsero a regolare e in parte a disciplinare lo svolgimento delle questioni d'onore, i tribunali ebbero efficacia scarsa, per non dire nulla, nel combattere il contagio duellistico. Si è già detto come i tribunali d'onore avessero origine statale e funzionamento legale. Ma a mano a mano che l'origine si smarrì e il funzionamento si arenò per l'inefficacia, la materia cavalleresca rimase affidata alle consuetudini e la codificazione di essa ai probiviri, chiamati dai privati a sostituire gli antichi giudici. I codici vennero presto alla luce: in Irlanda, dove il duello imperava violento, The Practice of Duellin; and Points of Honour, ecc.; in Inghilterra, dove la pratica del duello non fu meno viva sino al 1844, il British Code of Duel che ebbe ben pochi compagni; in Francia il Code du duel del Chateauvillard. Quest'ultimo, tradotto in varie lingue, per molti anni fu riconosciuto come il più autorevole, e generalmente adottato nella discussione delle questioni cavalleresche. Non è però, questo del Châteuvillard, il codice che meglio valga a limitare la pratica del duello. In esso si afferma: "ogni parola, ogni scritto, disegno o gesto, ogni atto che ferisca l'amor proprio, la delicatezza o l'onore di un terzo costituisce un'offesa". E origina in tal modo un'enorme quantitȧ di casi per questioni d'onore, di offese da "lavare col sangue", di pretesti per lanciare guanti di sfida e scambiare carte di visita. Il primo e naturale tribunale d'onore fu formato dai padrini, o secondi. Se questi non si trovavano concordi nel determinare l'offesa e nello stabilire i diritti dello sfidato e dello sfidante, ricorrevano a un arbitro; nei casi gravi nominavano un giurì d'onore.

In Italia, le consuetudini non erano eguali in tutte le regioni e la pratica non aveva l'appoggio di un codice noto e accettato. Ma col risorgere dello spirito combattivo nella seconda metà del sec. XIX, si pubblicarono ben presto varî codici cavallereschi. Il primo che attrasse attenzione e stima fu quello del generale Achille Angelini, fino allora consultato o direttamente chiamato a dare il suo parere nei casi più gravi e complicati. Il codice Angelini si pone sul terreno pratico; non imposta e non crea dottrine; si attiene a quanto la ragione e il giusto senso dell'onore suggeriscono e impongono; unifica le consuetudini in modo da evitare inutili e pericolose discussioni che qualche volta portavano sul terreno gli stessi padrini. Nella finalità - anche se non voluta - porta a una limitazione dei casi di duello. Si propone invece espressamente questa limitazione il codice di Jacopo Gelli, che sostituì presto nella pratica quotidiana quello dell'Angelini. Il codice Gelli richiama a un serio esame delle vertenze; all'esatta valutazione delle vere o credute offese; si sforza d'indirizzare i contendenti, prima che scendano sul terreno, ai giurì e alle corti d'onore.

Al giurì d'onore e poi alle corti d'onore si ricorse soprattutto per la soluzione delle seguenti questioni: se vi era o no offesa e di qual grado; nel caso fosse eccepito uno degli avversarî per supposta indegnità cavalleresca; per evitare una frode alle leggi dell'onore nel caso di una supposta concertata riabilitazione; per decidere in materia di eccezione per reale o supposta violazione delle regole cavalleresche.

Delle norme cavalleresche tien conto anche il legislatore nell'applicare le pene stabilite dal codice penale, in quanto tali norme mirino a escludere soprusi e a impedire frodi; a eliminare diseguaglianze di condizioni tra i duellanti; a limitare il numero dei reati-duelli; a diminuire la gravità degli scontri con precise disposizioni in ordine alle distanze, armi ecc.; a stabilire norme precise circa la responsabilità cavalleresca e penale dei padrini e dei testimonî nello svolgimento della vertenza e dello scontro, ecc.

A complemento naturale del suo codice, il Gelli costituì a Firenze una corte d'onore, alla quale molti fecero ricorso. Ma se il codice cavalleresco poteva servire nella pratica quale norma per svolgere una vertenza, la corte d'onore, per la sua stessa costituzione, fallì lo scopo difficile a conseguire. Alla corte non v'era obbligo di far ricorso e anche una sola delle parti in contesa poteva fare appello. Il parere (e non giudizio) della corte perdeva quindi efficacia potendo essere ritenuto inesistente dalla controparte. Evidentemente il funzionamento della corte d'onore dové portare a qualche inconveniente, poiché le autorità la sconfessarono. Ma si riconobbe d'altra parte l'utilità di un corpo giudicante in materia cavalleresca poiché alla Camera italiana è stato presentato nel 1930 un progetto di legge in proposito. Si risale così all'origine prima della soluzione delle vertenze personali e si affaccia lo stesso non facile problema di mettere in perfetto accordo i codici civile e penale con l'eventuale codice cavalleresco.

Il duello nella legislazione italiana. - Il legislatore italiano, negli articoli 394-401 cod. pen. 1930 (articoli 237-245 cod. pen. 1889), considera come reato non solamente il duello in sé, per quanto ipoteticamente incruento esso possa riuscire, ma anche il puro e semplice fatto della sfida. Il duello (e così la sfida) è peraltro considerato dal legislatore con particolare mitezza, dato il preteso fine etico (onore) che lo ispira. In ogni caso, infatti, il duello - in sé e per sé - è considerato come un reato speciale e autonomo (a sé stante), solo in quanto si tratti di un vero e proprio duello, cioè di quel combattimento a due, avente per scopo la riparazione di un'offesa, il quale, pur essendo dalla legge vietato al pari di ogni altro privato combattimento, è tuttavia regolato e disciplinato da norme consuetudinarie cavalleresche, le quali escludono la proditorietà e la frode, e che per ciò solo determinano un minor turbamento nelle condizioni della sociale tranquillità. Il codice italiano (art. 400) punisce inoltre chi pubblicamente offende una persona o la fa segno a pubblico disprezzo, perché essa non ha sfidato o non ha accettato la sfida o non si è battuta in duello, e la stessa pena (reclusione fino a 6 mesi e multa da lire cinquecento a cinquemila) applica a chi, facendo mostra del suo disprezzo, incita altri al duello.

Il codice reprime il duello in sé e per sé disponendo: 1. che chiunque sfidi altri a duello, anche se la sfida non sia accettata, sia punito, se il duello non avviene, con la multa da lire duecento a duemila; e che la stessa pena si applichi a chi accetti la sfida, sempre se il duello non avvenga (art. 394); 2. e che chiunque faccia uso delle armi in duello sia punito, anche se non cagioni all'avversario una lesione personale, con la reclusione fino a sei mesi e con la multa da cinquecento a diecimila lire (art. 396). Le pene, sia per la sola sfida, sia per lo scontro, sono raddoppiate per quello degli sfidatori o dei duellanti che sia stato la causa ingiusta e determinante del fatto (art. 395). E pure ad aumento di pena è soggetto colui che, non avendo avuto parte al fatto che cagionò il duello, si batte invece di chi vi ha direttamente interesse, a meno che non sia un prossimo congiunto, o che, come padrino o secondo, si batta invece del suo primo assente (art. 399).

Pene più gravi di quelle fissate per la sfida o per il duello incruento, sono stabilite nel caso in cui dallo scontro derivino conseguenze lesive o letali. Punto questo che ha suscitato le più gravi controversie perché i duellanti, per il fatto stesso della sfida e della sua accettazione, implicitamente (e si può dire anche esplicitamente) acconsentono alla messa in pericolo della loro integrità personale e della stessa loro vita, autorizzandosi reciprocamente l'un l'altro al ferimento o all'uccisione, e sottoponendosi ciascuno volontariamente a un tale rischio. Donde la conseguenza che, ove si riconoscesse nell'individuo l'esclusività del diritto alla vita e all'integrità personale, e quindi il diritto di disporre di tali beni, verrebbe meno la ragione dell'incriminazione delle uccisioni e delle lesioni in duello; essendo principio ammesso nel diritto italiano che, quando un reato consiste nella lesione di un bene o diritto disponibile, il consenso del titolare alla manomissione di quel bene o diritto esclude il reato. Sennonché, la moderna dottrina è, si può dire, oggi concorde nel senso che non si possa riconoscere nell'individuo la disponibilità del proprio diritto alla vita, perché la società ha su di essa interessi giuridici da far valere, al pari di ciascuno di noi. Onde si esclude, per regola, poter aver valore discriminante il consenso del danneggiato, quando si tratti di uccisione oppure di lesioni gravi.

L'art. 396 stabilisce quindi che il duellante sia punito con la reclusione fino a due anni, se dal fatto derivi all'avversario una lesione personale grave o gravissima, e con la reclusione da uno a cinque anni, se dal fatto derivi la morte. È peraltro implicita la non punibilità (salva la responsabilità per il duello in sé) delle lesioni che il codice Zanardelli chiamava lievi, delle lesioni cioè da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, di durata non superiore ai 10 giorni, perché in tal caso il reato sarebbe perseguibile solo a querela di parte (art. 582), e il consenso prestato alla lesione esclude da solo il diritto di querela.

Ai padrini o secondi e alle persone che hanno agevolato il duello (per es. prestando il terreno, fornendo le armi, ecc.) si applica la multa da lire cinquecento a diecimila, qualunque sia l'esito dello scontro (art. 396). Ai portatori della sfida si applica invece una multa da lire duecento a duemila, se il duello avviene, e una pena inferiore in caso contrario (art. 395) a meno che essi non siano in pari tempo anche padrini o secondi, nel qual caso rientrano nell'art. 396. I portatori della sfida, i padrini o secondi e coloro che hanno agevolato il duello non sono tuttavia punibili, se impediscono l'uso delle armi o procurano la cessazione del combattimento prima che dal medesimo sia derivata alcuna lesione; e così pure i padrini o secondi che prima del duello abbiano fatto quanto dipendeva da loro per conciliare le parti, o se per opera loro il combattimento abbia avuto esito meno grave di quello che altrimenti avrebbe potuto avere (art. 398, nn. 1 e 2). Non è punibile il sanitario che assiste i duellanti (art. 398, n. 3).

Tutto ciò ha peraltro come presupposto l'osservanza delle consuetudini cavalleresche da parte dei duellanti, e quindi il semplice fine della riparazione di un'offesa, da un lato, e dall'altro il leale comportamento delle parti. Perciò in caso di provocazione a duello per un fine illecito, non consentito dalle consuetudini cavalleresehe, subentra l'applicabilità delle più gravi sanzioni comuni, e, fra esse, di quelle dell'art. 629 (estorsione), in caso di sfida o di minaccia di duello, per carpir denaro o altra utilità, e di quelle del cap. 1° del titolo XII (delitti contro la vita e l'incolumità individuale), nel caso in cui il duello sia avvenuto (art. 401). Le pene ordinarie stabilite per l'omicidio e per la lesione personale dal cap. 1° del titolo XII, si applicano anche qualora il duello abbia avuto luogo con violazione delle condizioni fissate per lo scontro o in contrasto con le norme del codice cavalleresco; cioè:1. se le condizioni del combattimento non siano state precedentemente stabilite da padrini o secondi, ovvero se il combattimento non segua alla loro presenza; 2. se le armi adoperate nel combattimento non siano eguali, e non siano spade, sciabole o pistole egualmente cariche, ovvero se siano armi di precisione o a più colpi; 3. se nella scelta delle armi o nel combattimento vi sia frode o violazione delle condizioni stabilite; 4. se sia stato espressamente convenuto, o se risulti dalla specie del duello, o dalla distanza fra i combattenti, o da altre eventuali condizioni, che uno dei duellanti dovesse rimanere ucciso.

Della frode, o della violazione delle condizioni stabilite, quanto alla scelta delle armi o al combattimento, risponde poi non solo chi ne sia l'autore, ma anche quello fra i duellanti, padrini o secondi, che ne abbia avuto conoscenza prima o nell'atto del combattimento (art. 397).

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