Ecumenismo
sommario: 1. Origine del termine. 2. Radici storiche: il processo di divisione. 3. Le 'origini' del movimento ecumenico. 4. Verso la costituzione del CEC. 5.
1. Origine del termine
Il termine 'ecumenismo' proviene dal greco oikoumene, participio passivo del verbo oikein 'abitare'. Normalmente oikoumene sottintende ge 'terra': il termine indica dunque l'insieme della terra abitata. Si tratta di un termine attestato già nel greco classico. Nel corso del IV secolo d.C., a partire dal concilio di
2. Radici storiche: il processo di divisione
In quanto spinta a riunificare le Chiese cristiane divise, l'ecumenismo costituisce la riprova più evidente di un carattere distintivo, di lungo periodo, della storia del cristianesimo: la sua polimorfia originaria, che ha poi trovato nel costituirsi delle varie confessioni cristiane (cattolicesimo romano, anglicanesimo, protestantesimo, ortodossia) una sorta di legittimazione storica. Lo sfondo obbligato di questa storia è costituito dalle rotture che hanno portato alla formazione delle differenti confessioni. Questo processo di differenziazione ha in sostanza due cause: o una condanna giuridica, emanata per esempio da un concilio, in conseguenza della quale un gruppo di cristiani viene condannato per le sue posizioni teologiche come eretico ed espulso dalla comunione ecclesiale (è il caso, nell'antichità, della Chiesa nestoriana e delle Chiese monofisite, sorte in conseguenza delle controversie cristologiche del V secolo e della condanna del concilio di
3. Le 'origini' del movimento ecumenico
In quanto fenomeno storico dotato di una sua peculiare fisionomia, l'ecumenismo è sorto all'interno del variegato mondo protestante nel corso della seconda metà dell'Ottocento. Negli anni venti del Novecento si è poi avuto un allargamento all'ortodossia, che però soltanto nel secondo dopoguerra è diventata una componente veramente significativa del CEC; quanto alla Chiesa cattolico-romana, fino al Concilio Vaticano II (1962-1965) essa ha mantenuto nei confronti dell'ecumenismo una posizione di rigida chiusura.Se è vero che, dal punto di vista teologico, i tentativi di promuovere una riunificazione delle Chiese hanno una lunga e complessa preistoria che si può far risalire almeno alla Riforma (v. Rouse e Neill, 1967, una raccolta fondamentale di studi promossa dal CEC in occasione della sua costituzione), è altresì vero, da un punto di vista storico-sociale, che soltanto nel corso dell'Ottocento si sono venute costituendo le condizioni generali per un'organizzazione internazionale del protestantesimo, la quale a sua volta è poi diventata, nel corso del Novecento, il motore propulsivo di un ecumenismo esteso a tutte le Chiese cristiane. In quest'ottica, storicamente più corretta, il problema delle tensioni alla riunificazione della cristianità dispersa, che attraversa tutta la storia del cristianesimo europeo moderno, assume le forme istituzionali della riorganizzazione di un mondo protestante che corre ormai il rischio della dissoluzione.
L'Ottocento conosce due spinte contraddittorie. All'internazionalizzarsi della vita pubblica, favorito dalla rivoluzione dei trasporti e dai movimenti globali delle popolazioni e testimoniato dal moltiplicarsi di organizzazioni e conferenze mondiali (la prima esposizione universale di
a) società sorte per iniziativa privata di un gruppo di persone, per lo più legate a una chiesa particolare, come - per citare soltanto le maggiori - la Società missionaria di
b) società missionarie a carattere più apertamente confessionale o denominazionale, come la Società missionaria wesleyana (1813), battista americana (1814), metodista episcopale (1819), ecc. - inutile aggiungere che il moltiplicarsi di queste società si tradusse, in terra di missione, nel crescere di una concorrenza spietata, che alla lunga doveva rivelarsi nefasta per gli stessi scopi missionari;
c) infine, il terzo gruppo di società missionarie comprendeva società con un campo d'azione specifico, come la Missione per la Cina interna (1865), o società che soltanto in modo tangenziale si occupavano di missione, come la famosa Società biblica britannica, che promosse la diffusione della Bibbia nel mondo.
Pur con evidenti differenze al loro interno sui temi più scottanti, queste missioni furono in genere solidali con i grandi miti della seconda metà dell'Ottocento, quali l'evoluzionismo e l'etnocentrismo. Soltanto la crisi della cultura europea della fine secolo, sigillata dalla Grande Guerra, doveva mettere radicalmente in discussione questi postulati, che legarono in genere anche le missioni protestanti alle "magnifiche sorti e progressive" del trionfo del capitalismo europeo sui popoli colonizzati (selvaggi e primitivi, come si diceva allora). Per porre riparo all'intrinseca debolezza di una concorrenza spietata tra le varie missioni, che non era da meno della concorrenza tra le varie nazioni colonizzatrici, furono promosse conferenze missionarie internazionali a sfondo ecumenico, iniziate a Londra e
1) le Sacre Scritture dell'Antico e del Nuovo Testamento, in quanto contengono tutto ciò che è necessario alla salvezza, come regola e suprema norma di fede.
2) Il Credo Apostolico come simbolo battesimale e il Credo Niceno come espressione sufficiente della fede cristiana.
3) I due sacramenti istituiti dallo stesso Gesù: battesimo e cena del Signore. 4) L'episcopato storico, adattato localmente alle diverse necessità delle nazioni e dei popoli chiamati da Dio nell'unità della sua chiesa.
Al volgere del secolo, a queste spinte di tipo organizzativo si aggiunse la cosiddetta 'questione sociale', che favorì la nascita di movimenti come l'americanismo, contribuendo nel contempo al sorgere di uno dei due raggruppamenti,
4. Verso la costituzione del CEC
Il periodo cruciale nella 'genesi' del movimento ecumenico è quello tra le due guerre. È allora, infatti, che, sotto la guida di due notevoli personalità, Nathan Söderblom (1886-1931) per la prima e Charles Brent (1862-1929) per la seconda, si costituiscono come organismi internazionali Life and Work e Faith and Order, che dominano la scena dell'ecumenismo tra le due guerre. È poi dal convergere progressivo di queste due forme organizzative che sorgerà ad
Una seconda conferenza internazionale fu tenuta dieci anni dopo, dal 3 al 18 agosto del 1937, a Edimburgo. Vi vennero affrontati i temi della grazia, della chiesa, della relazione tra Scrittura e Tradizione, della comunione dei santi, dei sacramenti e dei ministeri, dell'unità della chiesa nella vita e nel culto.Quanto al secondo movimento, Life and Work o 'cristianesimo pratico', esso gettava le sue radici nel 'socialismo cristiano' e cioè nei vari tentativi, che caratterizzano il protestantesimo europeo e americano tra fine Ottocento e primi Novecento, di fare i conti con la questione sociale. Dopo vari sforzi falliti per unire intorno a questo scopo differenti Chiese anche in conseguenza delle divisioni indotte dalla loro partecipazione al conflitto mondiale, sarà compito dell'arcivescovo luterano e primate di Svezia Nathan Söderblom portare a compimento in modo positivo questo processo. La sua posizione teologica era caratterizzata da un ecclesiocentrismo che restituiva alle Chiese una funzione centrale. Mentre esse devono costituire il 'corpo' dell'azione ecumenica, l'anima sarà fornita dalla loro azione nel mondo, la sua trasformazione secondo lo spirito di Cristo. La verità cristiana, infatti, secondo Söderblom, non si trova fissata una volta per tutte in determinate forme, né chiusa in determinati testi, ma consiste - secondo il titolo di un suo famoso libro - nell'atto stesso della rivelazione del "Dio vivente" nella storia, compiuta in Gesù Cristo e continuata fino agli ultimi tempi (v., sulla sua azione ecumenica, Bauberot, 1979). Cinque anni dopo la conferenza preparatoria svoltasi a Ginevra nell'agosto del 1920, da molti vista come la data di nascita del movimento ecumenico e che ebbe lo scopo di favorire il superamento di rancori e risentimenti lasciati dalla guerra, dal 19 al 25 agosto 1925 Söderblom poté accogliere a
A partire da Amsterdam, il convergere in un unico organismo di Faith and Order e Life and Work - anche se i due organismi conserveranno una loro autonomia come sezioni generali - pose delicati problemi di mediazione. Il movimento ecumenico, infatti, non persegue primariamente scopi esterni di miglioramento del mondo (il problema del 'Regno'), ma interni di rinnovamento delle Chiese. La compresenza di questi due volti e la necessità di mediarli in modo opportuno era ben presente fin dal titolo del tema generale dell'assemblea di Amsterdam, Il disordine del mondo e il piano salvifico di Dio, che giustappone appunto le esigenze tipiche dei due movimenti; né è un caso che in quella sede il grande teologo protestante
Al centro di questi dilemmi vi è, ancora una volta, il problema ecclesiologico. Al CEC partecipano, infatti, sia Chiese, come in genere le protestanti, che riconoscono le altre istituzioni ecclesiastiche come Chiese nel senso pieno del termine, sia Chiese, come in genere le ortodosse, che insistono sul carattere ecclesiale incompleto di certe Chiese membri del CEC. Qual è l'unione, di conseguenza, a cui il CEC tende di fatto e deve tendere idealmente? spirituale o organizzativa? e come rapportare questi aspetti? inoltre, quale dev'essere il compito della "comunione fraterna" delle Chiese che forma il CEC: organizzativo o profetico? Si è già avuta occasione di rilevare questa contraddizione di fondo dell'ecumenismo legata alla sua matrice protestante, la cui 'precarietà' postula, di contro al modello ecclesiologico cattolico-romano, che la 'verità' della Parola divina si realizzi storicamente in una molteplicità di manifestazioni ecclesiali. Ne consegue un concetto di 'unione', come unità nella diversità, se non inconciliabile almeno del tutto distinto da quello cattolico, naturalmente, ma anche da quello delle Chiese ortodosse e, sotto certi aspetti, anche da quello delle Chiese anglicane. Si spiega in questo modo il fatto che, nonostante innumerevoli dibattiti e confronti, dopo cinquant'anni sul problema ecclesiologico permanga, all'interno del CEC, una sostanziale 'neutralità'.Il primato del dato interno sottolineato da Barth, e cioè dell'annuncio della Parola divina al mondo come il 'contesto' specifico del movimento ecumenico organizzato a prescindere dalle sue differenze storiche, è evidente nell'attenzione posta ad Amsterdam alla comune base di fede. Si tratta di una questione delicata di definizione sia all'interno, come ricerca di un minimo comun denominatore dottrinale tra le varie Chiese, sia verso l'esterno nei confronti di 'sette' e Chiese che non aderiscono al CEC: criterio, dunque, sia di inclusione sia di esclusione. Come già accennato, si riprende inizialmente la formula base della YMCA: il CEC è una comunione di Chiese che confessano secondo le Scritture il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore. Si tratta di un credo sufficientemente ristretto per eliminare qualunque pericolo di confusione sincretistica, ma anche del tutto vago dal punto di vista ecclesiologico, in modo da poter permettere, come abbiamo visto, la convivenza di ecclesiologie radicalmente diverse.
5. Roma dall'unionismo all'ecumenismo
Fino al Concilio Vaticano II (1962-65) la Chiesa cattolico-romana è rimasta ai margini del movimento ecumenico o combattendolo esplicitamente in nome della sua peculiare ecclesiologia o contrapponendogli la propria politica unionista: due volti, in realtà, di una stessa medaglia (v. Velati, 1996). L'ecclesiologia tradizionale, infatti, ruotante intorno alla centralità di un papato che il Concilio Vaticano I aveva proclamato infallibile quando si pronuncia ex cathedra, portava inevitabilmente ad escludere la realtà salvifica di qualsivoglia altra Chiesa: extra ecclesiam [sc. cattolico-romana] nulla salus. In questa prospettiva esclusivista la ricomposizione dell'unità poteva essere concepita soltanto nei termini di un 'ritorno' o di una 'sottomissione' a Roma delle comunità che ne erano separate.Un posto a parte in questa concezione avevano finito per occupare le Chiese orientali, di cui Roma riconosceva volentieri la profondità spirituale e la fermezza dottrinale. Per favorire il processo di riunificazione di queste Chiese, a partire già da Pio IX e poi, in gradi e misure diverse, sotto i suoi successori, si vennero mettendo in atto misure diverse, a cominciare da una serie di encicliche (la Grande Munus del 1880, che estende a tutto il mondo il culto dei santi Cirillo e Metodio, la Orientalium Dignitas del 1894, la Rerum Orientalium del 1928), attraverso la costituzione della nuova Congregazione per la Chiesa orientale (1917) - che sottrae l'Oriente alla giurisdizione di Propaganda Fide nella quale prevaleva una tendenza tradizionale alla latinizzazione, anche dal punto di vista giuridico e liturgico, nei confronti delle Chiese orientali -, per terminare con la creazione di riviste e istituzioni importanti come il collegio Russicum a Roma (1929).
Il progetto unionista, che in un primo tempo aveva tratto vantaggio dalla crisi dell'impero turco e dell'impero zarista, tramonta progressivamente nel corso degli anni venti di fronte alla dura politica di repressione adottata dall'URSS leninista e stalinista, ma anche di fronte all'incalzare dell'ecumenismo protestante. Quest'ultimo viene duramente condannato con l'enciclica Mortalium animos del 6 gennaio 1928, in cui Pio XI fustiga severamente gli errori degli ecumenisti, definiti 'pancristiani'. Anche se gli anni trenta vedranno lentamente e con fatica sorgere i primi segni di un ecumenismo cattolico, l'enciclica (con la parziale eccezione della disposizione del Sant'Uffizio, De motione œcumenica, del 20 dicembre 1949) fisserà la posizione ufficiale della Chiesa romana fino alla svolta conciliare.Al sorgere di un ecumenismo cattolico indipendente dalla posizione ufficiale di Roma hanno contribuito vari fattori (v. Minus, 1976; v. Swindler, 1966), ad esempio
6. Il CEC nel secondo dopoguerra
Dopo Amsterdam, il CEC si è riunito in assemblea plenaria a Evanston nel 1954, a New Delhi nel 1961, a
Delle varie assemblee, è particolarmente importante quella tenutasi a New Delhi nel 1961. Al termine di negoziati delicati, essa accoglie nel suo seno non solo il Consiglio Internazionale delle Missioni a prevalenza anglo-protestante, ma anche le Chiese ortodosse del blocco sovietico, compreso il patriarcato di Mosca. Giudicato talvolta nel passato troppo 'occidentale' se non filoamericano, il Consiglio ottiene così una maggiore rappresentatività internazionale: con l'eccezione, che perdura a tutt'oggi, delle correnti fondamentaliste americane, a partire da New Delhi esso raggruppa ormai la quasi totalità delle comunità cristiane non cattoliche. L'adesione dell'Oriente slavo sposta il suo centro di gravità verso l'Est: d'ora in avanti gli ortodossi si batteranno per una rappresentatività migliore in seno ai vari organismi del CEC. A conferma di questo spostamento si ha l'adozione di una 'base' teologica trinitaria ("Il Consiglio Ecumenico delle Chiese è un'associazione fraterna di Chiese che confessano il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore secondo le Scritture e si sforzano di rispondere insieme alla loro comune vocazione per la gloria dell'unico Dio, Padre, Figlio e Spirito
Gli scopi del CEC, rimasti abbastanza vaghi ad Amsterdam, sono stati precisati nella Conferenza di Nairobi del 1975. Essi comprendono: 1) indirizzare le Chiese verso lo scopo dell'unità visibile in una fede e in una comunione eucaristica espressa nel culto e nella vita comune in Cristo, e camminare insieme verso questa unità, in modo che il mondo creda; 2) portare
7. Verso un nuovo ecumenismo
L'apporto del Vaticano II all'ecumenismo non va ricercato soltanto nella promulgazione del decreto conciliare Unitatis redintegratio del 1964, in cui si riconosce l'ecclesialità, per quanto sminuita in modo disuguale, delle Chiese e delle comunioni separate. Esso rientra infatti in una più generale prospettiva ecumenica (v. Soetens, 1998), che ha caratterizzato fin dall'inizio il Concilio, tradottasi nella creazione, il 5 giugno 1960, del Segretariato per l'Unità dei Cristiani, che si è rivelato uno strumento decisivo nella promozione del dialogo ecumenico (v. Velati, 1993); nel fatto che la costituzione dogmatica Dei verbum sulla rivelazione abbia ricollocato la Bibbia al centro della fede, gettando un ponte fondamentale verso l'ecumenismo protestante o che la costituzione dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa presenti questa come "popolo di Dio" in cammino; né, infine, va dimenticato come più volte nei documenti conciliari si sottolinei che la Chiesa di Cristo "sussiste nella" (subsistit in) Chiesa romana, che non appare più dunque come l'unica Chiesa.
Questa svolta decisiva, se per un verso ha reso obsoleto il parlare di ecumenismo cattolico, per un altro, inserendo anche la Chiesa cattolico-romana nel più generale movimento ecumenico, ne ha mutato profondamente le dinamiche esterne, gli equilibri interni e le politiche organizzative. Anche se, in assenza di lavori scientifici e di fronte a una massa impressionante di documenti confessionali che rendono improbo muoversi nella foresta lussureggiante di dati non facilmente controllabili costituita dalla fase più recente della storia del movimento ecumenico (per un primo accostamento, v. Cereti e Voicu, 1994-1996), ogni prospettiva interpretativa è inevitabilmente soggetta a cauzione, pare evidente che nell'ultimo trentennio del Novecento l'ecumenismo abbia conosciuto in sostanza tre fasi. Ad una prima fase di euforia, conseguente all'evento conciliare, ha fatto ben presto seguito, in parallelo col più generale movimento del '68, un periodo di dura e violenta contestazione, che ha favorito una terza fase, che perdura fino ad oggi, di ripiegamento confessionale in difesa della propria identità minacciata.L'ingresso in campo a pieno titolo nel campo ecumenico della Chiesa cattolico-romana ha messo in moto una serie di dialoghi ufficiali, che hanno teso sempre più a prendere il posto delle iniziative private che avevano precedentemente contraddistinto l'ecumenismo cattolico. Oltre a gesti simbolici significativi da parte del pontefice Paolo VI, come l'incontro e l'abbraccio a Gerusalemme nel gennaio del 1964 con il patriarca Atenagora o l'abolizione, il 7 dicembre 1965, delle reciproche scomuniche tra Roma e Costantinopoli, merita segnalare il fatto che Roma ha stabilito rapporti concreti col CEC. Nel 1965 viene fondato il gruppo misto di lavoro tra il CEC e il Segretariato romano per l'Unità, cui seguirà la creazione di un comune comitato Società, Sviluppo, Pace (o Sodepax: per un'analisi sociologica v. Derr, 1982) nel 1968 e poi, qualche mese dopo, l'ingresso a pieno titolo di teologi cattolici nella sezione dottrinale del CEC, Fede e Costituzione. Il successo di queste iniziative è tale che qualcuno ventila in quel periodo l'ipotesi di una possibile adesione della Chiesa romana allo stesso CEC, adesione che, sconvolgendo gli equilibri interni, avrebbe posto complicatissimi problemi organizzativi. L'iniziativa, ben presto abortita, è però un sintomo evidente del cambiamento radicale nel frattempo intervenuto.
Si è venuto così creando uno spettro molto vario di accordi, locali nazionali internazionali intraconfessionali (come ad esempio la cosiddetta Concordia di Leuenberg del 1973 tra le Chiese luterane, riformate e unite europee), infine, interconfessionali (come il già ricordato accordo di Augsburg tra Federazione Luterana mondiale e Chiesa cattolica), che possono concernere l'aspetto dottrinale, liturgico o organizzativo (o un
Può sorprendere che a questi successi, e alla penetrazione di uno 'spirito' ecumenico anche a livello di parrocchie e di pratica comune dei fedeli, abbia fatto seguito una contestazione sia da parte protestante sia da parte cattolica ad opera di minoranze estremamente aggressive. Essa è stata particolarmente evidente e significativa in ambito cattolico. All'opposizione all'ecumenismo, manifestatasi già in sede conciliare da parte di un'agguerrita minoranza e continuata in seguito dal gruppo lefebvriano, succede nel corso degli anni settanta una serie di critiche questa volta provenienti da teologi famosi, ruotanti intorno all'idea di fondo che il 'vero' ecumenismo deve rispettare integralmente le divergenze dogmatiche, anziché relativizzarle.L'ascesa al soglio pontificio del papa polacco Giovanni Paolo II ha avuto, tra le altre conseguenze, un irrigidimento dell'identità confessionale e uno spostamento del baricentro dell'attenzione dal cristianesimo occidentale a quello orientale, anche se non va dimenticato l'impegno dell'attuale pontefice sia verso gli anglicani sia verso i luterani. Ciò ha significato un inevitabile irrigidimento delle posizioni. L'accentuazione del tema dell'autorità pontificia, che ha finora contraddistinto la politica interna di Giovanni Paolo II, ha riproposto in modo fin troppo evidente uno dei nodi di fondo del dialogo ecumenico. Così, la recente enciclica Ut unum sint (1995), se ha dischiuso prospettive inedite sulla possibilità teologica di una messa tra parentesi del privilegio petrino, nulla ha cambiato per quanto concerne il quadro di fondo relativo al dogma del primato di giurisdizione del pontefice romano sull'intera chiesa cristiana e le pretese che ne conseguono. Ciò risulta incompatibile sia con il principio dell'autocefalia (che vuol anche dire autogoverno) delle Chiese nazionali, profondamente radicato e costitutivo dell'ortodossia, sia con la comprensione protestante della chiesa nelle sue varie espressioni e articolazioni.
Ma il problema forse più serio al volgere del nuovo millennio e come effetto della crisi epocale del 1989 è costituito dall'ortodossia. "Di fatto, il fossato tra Oriente e Occidente, un tempo ridottosi con la caduta degli imperi ottomano e zarista, si è di nuovo allargato dopo la chiusura della 'cortina di ferro' [...] La Chiesa russa e le sue consorelle del campo sovietico sono certamente sopravvissute, ma in un vaso chiuso e nel rispetto minuzioso, perché vitale, delle loro tradizioni. Come potrebbero comprendersi un Occidente appassionato di modernità e un Oriente abbastanza ripiegato su se stesso? A che serve condividere all'incirca la stessa fede, se i modi di esprimerla e di viverla da una parte e dall'altra della frontiera confessionale divergono al punto da renderla irriconoscibile?" (v. Fouilloux, 1994, pp. 267-268).
8. Conclusioni
Considerato in prospettiva comparativa, l'ecumenismo costituisce un tratto specifico della storia del cristianesimo. In effetti, anche gli altri due monoteismi abramici, l'ebraismo e l'islam, conoscono al proprio interno divisioni, scismi, rotture più o meno radicali, nel caso dell'ebraismo indotte soprattutto dal confronto con la modernità, nel caso dell'islam, invece, prodotto di complesse vicende interne. D'altro canto, al di là delle pur rilevanti differenze, vi sono tratti comuni che meritano di essere sottolineati. Così, le linee di differenziazione interna sono date dal modo diverso in cui individui carismatici e gruppi rispondono a problemi di fondo come il valore della tradizione, la centralità della comunità delle origini, l'unicità o meno come criterio di condotta della rivelazione contenuta nel libro sacro, il problema dell'autorità e dell'ispirazione, il posto da assegnare alla dimensione profetica (fondamentale nei tre monoteismi). Nella tradizione cristiana, le confessioni si differenziano proprio nel modo radicalmente diverso in cui hanno risposto a questi problemi di fondo. Così, semplificando al massimo, il protestantesimo, col principio del sola scriptura, ha concentrato la fonte della rivelazione nella Scrittura; l'ortodossia vi ha aggiunto il principio della tradizione; il cattolicesimo, infine, ha cercato nella successione episcopale e nel primato del pontefice una garanzia visibile di tipo monarchico al problema fondamentale dell'autorità. Mentre nel primo caso la rivelazione è chiusa nei confini ristretti delle Scritture, nel secondo si estende al massimo alla tradizione costituita dai primi sette concili ecumenici, nel terzo, grazie anche al dogma dell'infallibilità pontificia, il canale della rivelazione non si è mai chiuso definitivamente e può sempre riaprirsi, dal momento che lo Spirito divino è presente nel corpo del Cristo, la Chiesa, e nel suo sovrano pontefice.
Dietro questi complessi processi storici si celano opzioni ermeneutiche a prima vista inconciliabili. Il processo si complica ulteriormente solo che si pensi alla complessità dei problemi teologici che si celano dietro queste differenti opzioni, a cominciare dall'antropologia (peccato originale, concezione della grazia) attraverso la cristologia per terminare appunto con l'ecclesiologia (si veda al proposito la questione fondamentale dei ministeri, resa di bruciante attualità dalla consacrazione anglicana di donne: attualmente infatti la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse non riconoscono i ministri protestanti come ministri a pieno titolo di Gesù Cristo, né riconoscono l'episcopato luterano presente nelle Chiese scandinave e baltiche, né quello anglicano) o con le differenti liturgie e concezioni sacramentarie sorte sulla base di queste diverse opzioni.
Esse incidono anche sul versante 'pratico' del movimento ecumenico e cioè sul tipo di etica sociale che dev'essere propria dell'ecumenismo nei confronti dell'annuncio cristiano al mondo, ma anche o soprattutto per promuovere la comunione tra le varie Chiese. Semplificando anche in questo caso al massimo, è possibile ritrovare tipi di risposte diverse in funzione delle sopra ricordate 'posizioni' teologiche. Così, le Chiese ortodosse, richiamandosi alla tradizione e rifiutando qualunque compromesso con
Dal punto di vista sociologico, è interessante osservare come sia in ambito protestante sia in ambito cattolico l'ecumenismo si sia ormai diffuso a livello di massa tra i fedeli, come dimostra il successo della settimana di preghiera, penetrando nella vita concreta delle parrocchie e delle comunità. A ciò hanno contribuito anche le traduzioni interconfessionali della Bibbia, le occasioni per incontri con ministri di altre confessioni, per seminari interconfessionali, ecc. Insomma, l'ecumenismo non è più soltanto un fatto di élites, com'era stato fino agli anni sessanta, ma ha penetrato, in modo che meriterebbe di essere adeguatamente indagato, il tessuto stesso delle differenti Chiese.In attesa che accanto alla teologia e alla storia dell'ecumenismo si affermi anche una sociologia dell'ecumenismo (v. per ora Willaime, 1989), non sembri inopportuno concludere con alcune questioni aperte. Se la funzione manifesta del movimento ecumenico, che ha dominato la storia del protestantesimo nel Novecento finendo per coinvolgere anche le altre confessioni, è stata, indubbiamente, l'esigenza di mettere in moto un processo di riunificazione delle Chiese cristiane, dovrebbe ormai risultare evidente, da quanto precede, che esso è stato ed è anche un modo per rispondere a problemi decisivi come i processi di secolarizzazione, la crisi del
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