Ecumenismo

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2006)

Ecumenismo

Mauro Velati

Il termine ecumenismo e l'aggettivo correlato ecumenico hanno acquistato, nel 20° sec., il significato che li ha in seguito connotati. La radice greca oikuméne, che indicava - nel suo significato profano - la totalità del mondo abitato, è venuta assumendo il senso della reintegrazione dei frammenti dispersi del cristianesimo, in obbedienza al comando di Gesù ½"ut unum sint" (Gv. 17, 11). Il 20° sec. ha visto la nascita del cosiddetto movimento ecumenico come un impulso alla comune testimonianza e, di conseguenza, alla ricerca di forme teologiche comuni delle Chiese. Nato essenzialmente dall'iniziativa di esponenti del mondo anglicano e riformato, esso ha coinvolto progressivamente - in tempi e modi differenti - anche le Chiese ortodosse e la cattolica.

L'aspirazione all'unità si è scontrata però con gli ostacoli di carattere teologico, ecclesiologico, nonché con gli elementi di carattere nazionalistico e politico che spesso si intrecciano nei rapporti tra le Chiese. All'inizio del 3° millennio il termine ecumenismo ha toccato ampi livelli di diffusione, ma ha visto una sempre maggiore incertezza di significato. È stato definito a ragione da B. Chenu un termine a geometria variabile per la varietà di sensi nei quali è coniugato, non solo dai diversi interlocutori del dialogo intercristiano. In più ha visto un progressivo allargamento della sua area semantica che rischia ormai di svalutarne le specificità. Si parla ormai comunemente di e. delle religioni o di e. in senso lato (anche in ambito non religioso) come atteggiamento di conciliazione tra soggetti o idee differenti.

Questa progressiva perdita di specificità del fenomeno è sintomo e conseguenza della crisi di identità che il movimento ecumenico ha vissuto negli ultimi decenni del 20° sec., paradossalmente proprio nel momento del suo maggiore splendore e della massima diffusione. Il secolo dell'e. - come con una certa enfasi è stato chiamato - sembrava potersi concludere con la piena unità tra le Chiese. All'appuntamento del 2000 invece i diversi segmenti del cristianesimo si sono ritrovati ancora divisi. Il contesto è certamente molto diverso da quello degli anni Venti del precedente secolo, quando il mondo usciva dalla catastrofe della Prima guerra mondiale e la coscienza religiosa cristiana suggeriva l'urgenza di un cammino di unità e di pace per i popoli. Il fenomeno della secolarizzazione non era ancora arrivato ai livelli raggiunti nei Paesi economicamente progrediti. La condizione del mondo dopo l'11 settembre 2001 ha spinto piuttosto al ripiegamento sulla propria identità etnica e religiosa, con il periodico richiamo allo scontro di civiltà. Anche il panorama religioso cristiano è molto cambiato. La grave crisi delle Chiese del protestantesimo storico (luterani e calvinisti in primo luogo) è solo in parte compensata dallo sviluppo dei nuovi gruppi del pentecostalismo che, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, costituiscono ormai una forza imponente. Si calcola che le Chiese pentecostali, con un complesso di circa 550 milioni di aderenti, abbiano sorpassato il totale delle Chiese della Riforma. Anche nel protestantesimo delle denominazioni statunitensi il panorama è in continuo cambiamento con l'imporsi di schieramenti trasversali alle diverse Chiese, generalmente connotati da un'impronta carismatica e da un ritorno alla lettura fondamentalistica della Bibbia. In tutti questi nuovi gruppi la diffidenza, o perlomeno l'estraneità, verso la problematica ecumenica è molto forte.

Il Consiglio ecumenico delle Chiese (WCC, World Council of Churches) è stato per molto tempo l'immagine dello stesso cammino ecumenico. Il suo raggio di azione si è ampliato progressivamente per arrivare al numero di ben 347 Chiese che ne fanno parte. Esso ha vissuto però sintomi di crisi crescenti negli ultimi decenni del 20° secolo. Le difficoltà finanziarie, i postumi di una stagione di alto tenore politico che ha visto il Consiglio appoggiare i movimenti di liberazione dei Paesi in via di sviluppo, un processo che da molti è stato definito di eccessiva burocratizzazione: rappresentano solo alcune delle ragioni di questa crisi.

Nel 1998 ad Harare, nello Zimbabwe, dove si è svolta l'viii assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese, ci si è trovati ad affrontare questa ed altre questioni in una situazione di difficoltà oggettiva, soprattutto nel rapporto con la componente ortodossa del Consiglio. La Chiesa di Georgia si era ritirata dal WCC nel 1997, seguita in breve tempo da quella bulgara (1998). La stessa Chiesa russa, che rappresenta la porzione maggioritaria dell'ortodossia contemporanea, aveva ridotto al minimo la partecipazione alle attività del WCC, pur senza un ritiro formale. Di qui è cominciato un processo di revisione e di rilancio che solo negli ultimi anni ha iniziato a vedere i suoi primi frutti. Da Harare ha preso il via il lavoro di una Commissione speciale sulla partecipazione degli ortodossi al WCC che - formata da membri ortodossi e non - si è concentrata su un ristretto numero di questioni: il problema dell'ecclesiologia, i problemi etici e sociali, le forme della preghiera comune negli incontri ecumenici e la procedura decisionale interna al Consiglio (con la proposta di un superamento del criterio della semplice maggioranza e l'adozione del metodo del consenso). Il documento finale di questa commissione - approvato dal comitato direttivo nell'estate del 2003, ma ancora in attesa di una definitiva adozione da parte dell'assemblea generale nel 2006 - ha sciolto alcuni elementi del dissidio interno, accogliendo le istanze ortodosse per una maggiore collegialità nelle decisioni e una più attenta considerazione degli elementi liturgici durante le funzioni di preghiera comuni. Al fondo rimane il problema che ha accompagnato tutta la storia del WCC con le sue crisi ricorrenti, ossia la questione della stessa propria identità come organismo ecclesiale. Deve il Consiglio trasformarsi in una 'Chiesa ecumenica' di nuova fondazione, attraverso un'operazione di mediazione tra le differenze, oppure deve rimanere il contenitore dove organismi dall'identità ecclesiale ben definita agiscono in un contesto di dialogo?

Il Comitato centrale dell'estate 2003 ha avuto un significato importante anche per la previsione di un processo di lungo periodo, finalizzato alla riconfigurazione del movimento ecumenico nonché a una revisione del ruolo stesso del WCC. Se le suggestioni del pastore K. Kaiser, al termine del suo mandato come segretario generale, trovassero ascolto in questo processo di decisione collegiale, uno degli aspetti decisivi di questa riconfigurazione sarebbe certamente la capacità di trovare nuove forme di rapporto con la Chiesa cattolica, che non fa parte del WCC, e con le Chiese pentecostali di nuova formazione. Un altro capitolo decisivo sarebbe certamente quello del dialogo interreligioso, rilanciato nel 2003 dalla relazione di Aram i, allora presidente del comitato centrale del WCC. Ma il 2003 è anche l'anno del passaggio di consegne al nuovo segretario generale, il pastore metodista keniano S. Kobia, che, con uno stile di grande familiarità e la scelta di una leadership itinerante, pare incarnare anche a livello di immagine queste esigenze di rilancio del WCC. Kobia è stato tra i primi leader religiosi a incontrare il papa Benedetto xvi, e durante un suo viaggio a Mosca ha suggellato il nuovo clima di collaborazione con la Chiesa ortodossa russa. Il consiglio ginevrino è ancora uno dei luoghi privilegiati del confronto tra le Chiese, in particolar modo per quello che riguarda il dialogo teologico. La commissione di Faith and order è l'unico ambito di studio e di elaborazione teologica che veda la presenza di rappresentanti di tutte le principali Chiese cristiane, compresa la cattolica. L'attività ecumenica si è sviluppata però negli ultimi anni soprattutto nel campo dei dialoghi bilaterali e multilaterali. Un grande risalto ha avuto la firma della Dichiarazione congiunta della Chiesa cattolica e della Federazione luterana mondiale sulla dottrina della giustificazione (Augsburg 1999). Nonostante i tentennamenti iniziali in settori circoscritti delle due Chiese, l'evento è destinato a imporsi come fondamentale dell'e. del 21° sec. e un decisivo incoraggiamento al dialogo teologico che sembrava ormai segnare il passo. Il 2005 ha visto giungere al termine il lavoro della Commissione internazionale anglicana cattolica romana (ARCIC, Anglican Roman Catholic International Commission), dedicato alla figura di Maria e al suo ruolo nella vita della Chiesa. Il documento pubblicato - dal titolo Mary: grace and hope in Christ - riflette la scelta operata congiuntamente di concentrarsi sul contenuto teologico della dottrina biblica su Maria, più che sulle forme della sua elaborazione (con l'ostacolo dei dogmi mariani elaborati dal cattolicesimo). Esso segue di pochi anni il precedente documento della commissione di dialogo ARCIC ii sul tema Il dono dell'autorità (1999). Numerosi sono però anche gli accordi di intercomunione che si vanno sviluppando tra le Chiese della tradizione protestante e anglicana dopo i precedenti della Concordia di Leuenberg (1973) e della Dichiarazione comune di Porvoo (1992).

Dal punto di vista dei tentativi di unione, soprattutto il quadrante nordamericano è fortemente dinamico. Le due Chiese maggiori del luteranesimo americano, la ELCA (Evangelical Lutheran Church in America) e la LCMS (Lutheran Church of the Missouri Synod), si sono date un calendario per la progressiva integrazione delle proprie strutture. La stessa ELCA è stata protagonista di accordi di comunione con la Presbyterian Church, la Reformed Church in America e la United Church of Christ (1997) e successivamente con la Chiesa episcopaliana (1999). E questa piattaforma di comunione è al vaglio di un gruppo di nove Chiese americane che rappresentano circa 22 milioni di fedeli nel quadro del processo definito CUIC (Churches uniting in Christ). In tempi successivi, nell'aprile del 2005, la ELCA ha avviato una 'condivisione eucaristica temporanea' con la Chiesa metodista, quale inizio di un analogo cammino di unità. Quello americano non è però un esempio isolato e si potrebbero citare iniziative analoghe in tutti i continenti, compresa l'Europa. L'ospitalità eucaristica sempre più è vista come una forma di passaggio verso forme di superiore unità. È significativo - per fare un altro esempio - che la Chiesa di Inghilterra e i metodisti inglesi abbiano ripreso in mano il progetto di una unione organica, nella forma di un 'nuovo patto'.

Se si esamina la condizione dell'anglicanesimo sembra che incarni i paradossi e le contraddizioni dell'e. del 3° millennio. Il suo impegno per l'unità è stato ravvivato dalla nomina a primate della Comunione anglicana (Anglican communion) dell'arcivescovo R. Williams nel luglio 2002, personaggio di notevole caratura dal punto di vista teologico e spirituale. Sia nei confronti del cattolicesimo (Williams è stato diverse volte a Roma, non ultimo per i funerali di Giovanni Paolo ii), sia verso il mondo protestante e l'ortodossia, l'anglicanesimo si pone come un interlocutore importante. D'altra parte però la comunione anglicana è scossa in questi ultimi anni da una profonda crisi interna, generata dalla decisione della Chiesa episcopaliana americana di consacrare un vescovo dichiaratamente omosessuale. Alcune Chiese africane hanno già annunciato il desiderio di abbandonare la Comunione e finora i tentativi di Williams per una mediazione interna non hanno avuto esito positivo. Paradossalmente, in uno dei momenti di massima estroversione ecumenica dell'anglicanesimo vi è il rischio reale della creazione di nuove divisioni interne, come riconosce con onestà il rapporto di Windsor (Windsor report) del 2004.

Emblematica di queste contraddizioni è anche la situazione del cattolicesimo così come si presentava negli ultimi anni del lungo pontificato di Giovanni Paolo ii. La sua figura carismatica ha rafforzato la presenza e l'immagine della Chiesa cattolica di fronte all'opinione pubblica mondiale, accreditandone allo stesso tempo la volontà ecumenica. Dall'enciclica Ut unum sint (1995), ai gesti dell'anno santo del 2000, fino alla successiva ripresa della diplomazia del perdono e della restituzione delle reliquie nei confronti delle Chiese ortodosse, Giovanni Paolo ii ha mostrato chiaramente il desiderio di continuità nei confronti della linea inaugurata dal Concilio Vaticano ii con il documento Unitatis redintegratio (1964). Secondo una tendenza manifestatasi già all'indomani del Concilio Vaticano ii l'attivismo cattolico in campo ecumenico ha costituito non solo un fattore dinamico nelle relazioni ecumeniche, ma spesso una seria difficoltà nel panorama globale delle relazioni intercristiane. Nella Chiesa cattolica si manifesta un intreccio tipico di elementi e di atteggiamenti differenti che possono apparire tra loro antagonisti: difesa dei principi e apertura alle novità, coraggio nei gesti e cautela nelle elaborazioni teologiche (secondo un modello ben espresso dal pontificato di Paolo vi).

La stessa costituzione universale del cattolicesimo rende apparentemente contraddittorio il panorama delle relazioni ecumeniche, producendo una continua tensione tra le indicazioni del centro e le iniziative della periferia. Ciò è apparso evidente nella contraddizione tra alcuni ritardi o imposizioni da parte di Roma (per es., a livello dottrinale con la dichiarazione Dominus Jesus o in generale con la politica prudente della Congregazione per la dottrina della fede) e il dinamismo della periferia, al cui livello le relazioni ecumeniche hanno raggiunto un grado di confidenza sostanziale. Da questo punto di vista il caso dell'incontro dell'Ökumenischer Kirchentag, svoltosi in Germania nel maggio 2003 è illuminante: proprio nella fase di preparazione di questo incontro è stato posto con forza il tema dell'intercomunione, in un tentativo apparente di superamento della tradizionale posizione romana sulla questione. D'altra parte il cattolicesimo non si identifica solo con il papa, né con la curia romana. Se c'è un elemento nuovo nel campo dell'e. cattolico è proprio il sorgere di un nuovo protagonismo da parte del laicato e soprattutto da parte dei cosiddetti movimenti ecclesiali. Non si tratta di una riedizione del movimentismo di Pio xii quanto del fluire di una corrente carismatica che - favorita probabilmente sia dalla personalità di Wojtyla sia da un più generale spirito del tempo - in questo caso pare giocare a favore dell'ecumenismo. Le potenzialità di questo e. a base popolare e carismatica sono apparse evidenti all'incontro di Stuttgart dei movimenti ecclesiali protestanti, cattolici e ortodossi, nel maggio 2004, con la presenza del responsabile vaticano per i rapporti ecumenici, il cardinale W. Kasper.

Papa Benedetto xvi ha fin dall'inizio affermato la propria volontà di proseguire sulla strada dell'apertura ecumenica decisa dal Concilio Vaticano ii. È tra i pochi superstiti della generazione che ha vissuto dall'interno l'evento conciliare, per quanto ne abbia poi proposto una interpretazione personale. La sua nomina è stata accolta molto favorevolmente dagli ambienti ortodossi, fautori di un rilancio della tradizione anche nel cattolicesimo. Da parte protestante vi è stato qualche timore in più, ma la qualifica di teologo di J. Ratzinger ne fa un interlocutore non sprovveduto e consapevole delle problematiche in gioco. In una prospettiva storica globale Benedetto xvi è il primo pontefice ad avere esperienza diretta degli organismi di dialogo ecumenico. è stato infatti membro della commissione di Faith and order negli anni Settanta. Sulla base dei primi discorsi del papa è già possibile individuare un filone che presumibilmente potrebbe essere l'ossatura del suo discorso ecumenico. Si tratta di una ripresa del cosiddetto e. spirituale, che in ambito cattolico ha avuto come iniziatore il prete lionese P. Couturier negli anni Quaranta e Cinquanta del 20° secolo. Proprio questo aspetto dell'e. spirituale, la cui valorizzazione risponde probabilmente alla crisi del dialogo teologico e di una certa idea di e. basata sulle alchimie istituzionali, ha accompagnato la riflessione del Pontificio consiglio per l'unità negli ultimi anni di governo di papa Wojtyla.

bibliografia

B. Chenu, Le siècle de l'oecuménisme, in Études, 2000, 393, pp. 645-56.

W. Kasper, Situazione e visione del movimento ecumenico, in Il Regno. Attualità, 2002, 4, pp. 132-41.

K. Koch, La spiritualità ecumenica, in Il Regno. Documenti, 2003, 21, pp. 658-64.

A history of the ecumenical movement, 3° vol., 1968-2000, ed. J. Briggs, M.A. Oduyoye, G. Tsetsis, Geneva 2004.

G. Bruni, Grammatica dell'ecumenismo, Assisi 2005.

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