EDUCAZIONE

Enciclopedia Italiana (1932)

EDUCAZIONE (fr. éducation; sp. educación; ted. Erziehung; ingl. education)

Remigio SABBADINI
Adolfo PAOLINI
Giovanni Vidari
Aristide CALDERlNl
Giulio BERTONI
Angiolo GAMBARO
Riccardo Versari
Ugo CASSINIS

È termine che può essere inteso in diverso modo a seconda del punto di vista da cui ci si mette nel considerare l'uomo, le sue potenze, i suoi atti e i suoi fini.

Più comunemente e, per così dire, più naturalmente per educazione s'intende il processo onde, sotto l'azione dei varî fattori che agiscono sull'uomo, le sue energie potenziali si sviluppano e l'uomo viene preparato a compiere nel miglior modo le proprie funzioni nell'ambiente sociale. In questo concetto che, pur diversamente presentato e svolto, è proprio di tutto l'indirizzo empirico e positivistico (Locke, Comte, Ardigò, Spencer, De Dominicis, Durkheim), hanno particolare rilievo due elementi: 1. l'azione esercitata dai fattori esterni (biologici, fisiologici, psichici, sociali), sul soggetto che si educa; 2. l'adattamento del soggetto medesimo alle condizioni dell'ambiente. Per rispetto al primo punto è evidente che l'educazione viene così assimilata a un qualunque processo naturale di sviluppo d'un germe sotto l'influenza dei varî elementi, e quindi non si vede bene qual parte abbia in esso, e nella graduazione ed elaborazione delle forze agenti, la coscienza medesima del soggetto educando e la sua personale attività. Per rispetto al secondo punto è del pari evidente che l'adattamento dell'educando alle condizioni dell'ambiente, circoscrive l'educazione nel campo dell'immediata esperienza, e trascura la potenza che è nell'educazione di andare di là dai limiti angusti della società empirica e del tempo a cui l'educando appartiene.

Le difficoltà implicite in tal modo d'intendere l'educazione hanno sempre fatto sorgere di fronte ad esso l'altro punto di vista, da cui l'educazione appare come il processo essenzialmente spirituale, per cui l'educando trae in atto e sviluppa le proprie energie guidandole alla piena realizzazione della propria personalità. Questo concetto, che implica: 1. la sussistenza di un'attività spirituale; 2. la libertà per la quale essa si svolge; 3. la possibilità di realizzazione di un termine ideale al disopra della nuda esperienza, si trova, per quanto variamente lumeggiato, in tutta la storia del pensiero, da Platone ai Padri della Chiesa, a Comenio, a Rousseau, a Kant, ai più recenti idealisti. Fra i moderni però, chi lo ha afferrato e proclamato con la più accesa eloquenza, pur contaminandolo talora con principî d'altra origine, è stato il Rousseau, il cui Émile (1762) può considerarsi per un certo rispetto come il codice dell'educazione intesa quale processo di libera formazione della personalità. Ma si comprende come, pur rimanendo identico il concetto fondamentale, esso possa rientrare in concezioni filosofiche diverse. Da una parte, infatti, si può sostenere che, riducendosi tutta la realtà allo Spirito, allo Spirito unico assoluto, il quale è in quanto diviene e si realizza, e si realizza passando per gradi che sorgono l'uno dall'altro per una necessità dialettica interiore, la educazione s'identifica con lo stesso sviluppo spirituale, epperò si compie per un processo nel quale si unificano educatore ed educando, e nel quale si risolvono tutte le opposizioni che l'esperienza pone fra interno ed esterno, intelletto e volontà, autorità e libertà educazione formativa ed educazione realistica, ecc. Questo concetto che si ricollega alla sintesi a priori di Kant, ma che trova la sua vera radice nella Dottrina della scienza (1794-95) di A. Fichte e nei suoi Discorsi alla nazione tedesca (1806-1807), è stato ripreso e sviluppato con vigoria originale da Giovanni Gentile nel suo Sommario di pedagogia (1ª edizione 1913-14, 4ª edizione 1926) e nella Riforma dell'educazione (1ª edizione 1920, 3ª edizione 1928; cfr. anche: Il concetto dell'educazione nel vol. Scuola e filosofia, Palermo 1908), dove infatti l'educazione è definita come processo dello spirito attraverso al quale si realizza l'unificazione degli spiriti che vi concorrono (Sommario, I., 11, 5). Da un'altra parte si può anche sostenere che, esprimendosi la realtà nella pluralità degli spiriti, i quali per la loro stessa identica natura sono atti ad entrare in relazione fra loro, ma, essendo in momenti diversi di sviluppo delle loro energie, hanno bisogno di aiutarsi e illuminarsi reciprocamente nella loro ascensione a più piena e perfetta vita l'educazione è il processo per cui lo spirito individuale realizza in gradi e forme diverse la propria essenza in rapporto con gli altri spiriti che con lui cooperano nel medesimo processo. In questo senso l'educazione è un processo per un lato essenzialmente individuale di autoeducazione, ma per un altro lato processo sociale di eteroeducazione; per un lato è processo di differenziazione della persona, per un altro di assimilazione.

Ora, partendo da questo concetto, si può considerare l'educazione sotto diversi aspetti, cioè: 1. in rapporto agli elementi di cui essa si costituisce; 2. in rapporto ai momenti attraverso ai quali si compie; 3. in rapporto alla società entro la quale si svolge.

Che l'educazione consti di diversi elementi risulta dalla natura medesima dello spirito, che è attività pensante e operante insieme che si svolge come pensiero e come volere, come pensiero nelle varie forme e nei varî prodotti in cui il pensiero stesso (largamente inteso) può manifestarsi, e come volere nelle corrispondenti forme e produzioni pratiche dello spirito. Per un lato l'educazione si potrà dire essenzialmente teoretica, rivolta a promuovere lo svolgimento dello spirito in quanto percepisce, ricorda, immagina, giudica, ragiona; per un altro lato si potrà dire pratica, rivolta a promuovere lo svolgimento medesimo, in quanto lo spirito opera ponendosi e conseguendo fini o particolari o universali; e seguendo norme o contingenti o assolute. Da un lato l'educazione si concentra nell'istruzione, la quale si può definire per quel processo onde le potenze teoretiche dello spirito, le quali abbracciano la conoscenza sensibile, la fantastica, la intellettiva, la razionale e la mistica, vengono promosse e svolte; da un altro lato l'educazione si concentra in quel processo che si può chiamare incivilimento (cfr. G. Vidari La teoria dell'educazione, 2ª ediz., Milano 1924) e che consiste nel promuovere lo svolgimento di quelle potenze spirituali pratiche, per le quali gli spiriti, mettendo in comune, o in reciproco scambio, le loro attività, creano la civiltà umana. Come il concetto d'istruzione inteso nel senso lato che abbiamo detto, e non in quello angusto d'istruzione puramente intellettuale, rende conto di talune forme d'istruzione, come l'estetica e la religiosa, che pure hanno ragione d'essere considerate in un concetto pieno dell'educazione; così l'incivilimento comprende in sé sia l'educazione morale a cui di solito ci si riferisce quando si parla di educazione pratica, sia l'educazione tecnica che ha un posto così importante nell'incivilimento umano. I due aspetti così esposti dell'educazione, in quanto corrispondono ai due lati essenziali della vita dello spirito, sono fra loro intimamente legati: non si educa se non si istruisce e si incivilisce a un tempo; né si ha vera, cioè umana, istruzione se essa non è insieme incivilimento; né questo è profondo e saldo se non è contessuto con una corrispondente istruzione. Non è quindi accettabile la tesi herbartiana dell'istruzione per sé stessa educativa (erziehende Unterricht) tesi, che ha bensì nel Herbart la sua spiegazione in un'originale teoria psicologica e metafisica, e che contiene una parte di vero in quanto riconosce all'istruzione un valore non solo istrumentale ma veramente educativo, cioè formativo dello spirito; ma che ha il torto di convellere la multiforme vita spirituale entro gli schemi dei rapporti di somiglianza, di opposizione, ecc., fra le rappresentazioni. Ma poiché i due aspetti il teoretico e il pratico, dell'educazione devono pure comporsi nell'unità della vita spirituale, accade che l'educazione importi anche il processo per cui tale unificazione si consegue, ottenendosi l'armonica corrispondenza fra il pensiero e l'azione, fra il conoscere e il volere, in modo che l'uno non prevalga sull'altro o non discordi da esso, e si abbia invece la realizzazione viva dell'uomo come creatura spirituale. Questo terzo elemento dell'educazione si può chiamare, con un termine solitamente inteso in senso più ristretto e scolastico, disciplina (v.), la quale rappresenta come l'azione sintetica onde gli altri due elementi, che tenderebbero ciascuno per sé a staccarsi dall'altro, sono richiamati all'unità e quasi insieme composti e fusi. La disciplina è quindi l'elemento, si potrebbe dire, più alto ed essenziale dell'educazione; esso è come la forma che di sé investe e domina il contenuto dato dall'istruzione e dall'incivilimento. F il risultato complessivo, conseguito dall'educazione nella sintesi della disciplina con gli altri due elementi, può dirsi con termine generale cultura.

Considerata l'educazione sotto il secondo aspetto, cioè in rapporto ai momenti attraverso ai quali essa si compie, è evidente che questi devono corrispondere a quelli per i quali si svolge la vita dello spirito. Ora, se la vita dello spirito è essenzialmente vita di autocoscienza, è certo che essa, balenante già nella sensazione, getta le sue radici nell'organismo corporeo, di cui lo spirito in un momento ulteriore acquista coscienza come di un grado necessario, ma superato e dominato. Quindi l'educazione in un primo momento è educazione fisica, la quale pertanto deve intendersi come la stessa educazione spirituale, in quanto si rivolge al corpo (alle membra, ai moti, ai sensi, ecc.) come istrumento dello spirito, e come materia sulla quale lo spirito stesso imprime il suggello della propria essenza direttiva e dominatrice. La ginnastica, le varie specie di sport, le danze ritmiche, le esercitazioni collettive con aste o clave, gli stessi esercizî dei sensi hanno un valore educativo, se e in quanto siano tutti informati, come accadeva nell'educazione ateniese, dal pensiero di fare tralucere attraverso a tali operazioni, e quindi all'eleganza e destrezza dei moti, alla compostezza degli atteggiamenti, alla precisione dei ritmi, all'armonia dell'insieme, una vita spirituale alta e pura. Ma già in tutto questo si vede come un'altra forma di educazione possa disnodarsi dalla prima e svolgersi, ed è l'educazione estetica. Infatti la danza e il canto che hanno parte importante nell'educazione fisica, contengono in sé, per gli elementi del ritmo e dell'armonia, un valore d'espressione di sentimenti, che implica un grado e una forma di spiritualità superiore. Senza entrare ora qui in un'analisi del fatto estetico e della produzione artistica, la quale è del sentimento estetico l'espressione esteriore, possiamo dire che l'educazione estetica, in quanto si rivolge direttamente alla vita dello spirito traducentesi nel sentimento e nel gusto della bellezza coi mezzi della parola, della musica, delle forme e dei colori, è un elemento essenzialissimo di tutta l'educazione. Ad essa diedero gran parte e sviluppo gli antichi Ateniesi, assai meno i Romani; trascurata poi, almeno come educazione intenzionale, durante l'età di mezzo, riprese dignità nelle scuole delle corti signorili del Rinascimento e nelle trattazioni dottrinali che del problema educativo fecero umanisti come il Vergerio, il Filelfo, l'Alberti, il Castiglione. Ma solo nell'età moderna (dopo che Rousseau, Schiller, Pestalozzi, Fröbel, Herbart e gl'idealisti tedeschi, e gl'italiani Gioberti, De Sanctis, Croce, ebbero in vario modo rilevata l'importanza del fatto estetico nella vita dello spirito) l'educazione estetica ha assunto presso tutti i popoli civili un posto adeguato alla sua importanza in tutto il programma educativo. Il disegno spontaneo e a colori, così rispondente ai bisogni e alle tendenze naturali dell'infanzia e della fanciullezza; la musica, il canto, la recitazione, la danza, in cui i sentimenti o teneri o forti trovano la loro espressione nei cori, nelle frasi modulate, nei movimenti ritmici; infine le modellazioni in plastilina e in creta, dove la piccola mano dei fanciulli riesce a trovare espressioni artistiche del proprio pensiero, sono tutte forme, al pari del linguaggio parlato, efficacissime di educazione estetica. In Francia, in Germania, in Inghilterra e negli Stati Uniti il movimento per tale educazione è stato ed è tuttora intenso rivolto principalmente a liberare l'insegnamento dall'indirizzo geometrico, per imprimergli invece la nota della spontaneità. Il Quenioux in Francia, il Kunzfeld in Germania, il Tadd negli Stati Uniti con le pubblicazioni e con l'azione sono stati i maggiori promotori di tale indirizzo. In Italia l'importanza del disegno spontaneo come forma di educazione estetica era stata, insieme con quella del canto, vista in talune iniziative private (come quella di donna Bice Franchetti alla Montesca, della Pizzigoni, di Maurilio Salvoni e della Montessori) e nelle scuole di qualche comune (per es., quello di Torino); ma soltanto dopo la riforma scolastica del ministro Gentile (1923) l'educazione estetica per mezzo del disegno spontaneo, del canto, della recitazione ebbe il suo degno posto nel riordinamento generale delle scuole primarie per merito dei programmi elaborati da Giuseppe Lombardo Radice. L'educazione estetica ha poi il suo più largo campo di applicazione nell'istruzione letteraria, che con lo studio dei capolavori di prosa e di poesia della civiltà greco-latina (educazione classica) e delle nazioni moderne, e con le esercitazioni relative, va perfezionando il gusto e l'espressione. Ed essa finalmente assume un atteggiamento e uno sviluppo più particolare, associandosi con la tecnica delle varie arti, quando si prosegue in istituti all'uopo creati, che sono le Accademie artistiche.

Ma se l'educazione abbraccia tutta quanta la vita spirituale, essa non può arrestarsi all'estetica. Da questa infatti sboccia per naturale sviluppo l'esigenza di una nuova educazione, che è la scientifica. Il fiore, la pianta, la capanna, la macchina che il fanciullo vede con l'immaginazione commossa e ritrae con la mano incerta, diventano, nell'atto stesso in cui sono contemplati e fruiti come fantasmi estetici, oggetto di osservazione curiosa e indagatrice: che cosa siano, donde nascano, come si formino quegli oggetti che pure per altri rispetti, lo incantano, sono altrettanti problemi vivi nel suo spirito. Il rispondere ad essi, o avviare le menti a rispondervi, a formarsi rappresentazioni non più fantastiche, ma intellettuali intorno alle cose, a collegarle in sintesi di pensieri, a trame conseguenze, a metterle in relazione con i bisogni della vita, e cioè a fame pratiche applicazioni; ed esercitare quindi, per tal modo, lo spirito d'osservazione, l'insofferenza dell'ignoranza, la fondatezza del giudicare, il vigore del ragionamento, il senso della realtà oggettiva: tutto questo rientra nell'educazione scientifica, che è anche, per un certo lato, cioè in quanto mira a informare di principî scientifici la pratica attività dell'uomo, educazione tecnica. L'educazione scientifica ha assunto naturalmente, col grande sviluppo moderno delle scienze fisiche e naturali, vaste proporzioni nel piano generale di educazione della fanciullezza e dell'adolescenza. Principalmente in alcuni stati, come quelli della confederazione americana, dove la prosperità medesima sembra fondata esclusivamente sulla sapiente utilizzazione del sapere scientifico, l'educazione scientifico-tecnica ha uno sviluppo enorme: le scuole elementari e le medie (le highschools) offrono una tale ricchezza di laboratorî, apparecchi, libri, insegnanti, che non ha pari in altri paesi d'Europa. Ora è evidente che, se l'educazione scientifica ha la sua ragion d'essere in un piano generale d'educazione perché corrisponde a un momento dell'attività spirituale, non può però assumere una posizione sproporzionata e assorbente senza inaridire le fonti della vita.

Dall'educazione scientifica infatti, quando sia intesa e collocata nella piena concretezza di tutta la vita spirituale, emerge la necessità di un'altra forma d'educazione, che è la morale. Conquistare cognizioni scientifiche vuol dire mettersi in grado di riconquistarle continuamente, cioè di sottoporle continuamente al vaglio dell'esperienza e della riflessione e quindi di riviverle in un processo infinito di rielaborazione, il cui termine e la cui legge non è più nelle stesse nozioni scientifiche, ma nell'esigenza profonda di realizzare attraverso tutta quanta l'attività umana la vera vita dello spirito. Sorge così l'esigenza di attuare una legge universale di ragione, cioè di fare della ragione stessa, in quanto detta una norma universalmente valida, il principio direttivo e informativo dell'attività umana, cioè del volere e della condotta relativa. Chiarire nello spirito la coscienza di una tal legge e della sua imperatività, ed esercitare la volontà nell'osservanza di essa, costituiscono l'essenza dell'educazione morale intesa nella sua forma più pura e più austera; e la formazione del carattere morale, cioè della volontà consapevole del valore universale e assoluto della legge dettata dalla ragione, costituisce il culmine dell'educazione medesima. La quale, per quanto sia attuabile in tutti i momenti del processo educativo, è, certo, più appropriata a quel momento di esso, in cui la coscienza del dovere e dell'imperativo categorico della ragione è più limpida, cioè non offuscata da passioni né deviata da calcoli, e più vigorosa per la sua stessa limpidezza. Il Rousseau assegnava infatti all'adolescenza l'educazione morale; e se la tesi, piesa nella sua astrattezza, va respinta, contiene del vero, quando significhi la necessità d'inserire l'educazione morale sulla coscienza viva e ingenua del dovere.

Ma siccome questa, mentre incurva e, come diceva Kant, umilia l'uomo nella sua realtà fenomenica, non però la soffoca, così risorge dalla stessa osservanza della legge morale l'anelito verso una forma di vita in cui tutta quanta la realtà spirituale sia abbracciata e conquistata in una pienezza senza residui e senza rimpianti. Si ha allora la necessità di una nuova ed evidentemente ultima forma d'educazione, che diremo religiosa: educazione rivolta a dare allo spirito la coscienza viva di tale aspirazione, del termine supremo, Dio, nel quale essa si acqueta, dei problemi che essa implica e delle condotta che impone. L'educazione religiosa non è, dunque, qualcosa di accessorio nell'opera educativa, ma ne costituisce il fastigio necessario. Dal Comenio al Rousseau, al Pestalozzi al Fröbel, al Lambruschini, al Gentile l'educazione religiosa, sia pure con diversità di giustificazione, d'intonazione e di sviluppi, è stata ritenuta elemento essenziale dell'opera educativa

Considerata infine l'educazione in rapporto alla società, entro la quale si svolge, essa si presenta in due forme principali, cioè come educazione familiare, e educazione scolastica. È oer necessità familiare e più precisamente materna, l'educazione nei primi anni dello sviluppo umano, cioè nell'età dell'infanzia e della prima fanciullezza, quando l'ambiente naturale entro cui l'educando attinge nutrimento alla propria vita è quello della famiglia, e la madre dopo d'essere stata la generatrice fisica del suo nato, lo genera una seconda volta versandogli nell'animo con la parola la luce, e accendendogli con gli affetti la fiamma dello spirito. Gli istituti dell'educazione infantile (asili, giardini, case di bambini, ecc.) dovuti al genio e al cuore di grandi educatori (Fr. Ober?in, Ferrante Aporti, Federico Fröbel, Rosa Agazzi, Maria Montessori) sono creazioni rivolte in parte a imitare o a integrare l'opera dell'educazione matenna. Ma quando, per l'ampliarsi dell'esperienza stessa della fanciullezza e per le nuove esigenze sociali che su essa si fanno sentire, la madre e la famiglia non bastano più, allora succede l'educazione scolastica, la quale però può assumere due forme: o di educazione privata o di educazione pubblica. È privata quando essa, pur non compiendosi più entro la stretta cerchia della famiglia, si compie però per iniziativa delle famiglie, le quali istituiscono la scuola secondo proprî criterî e programmi, con proprî mezzi, entro limiti e a condizioni da esse fissate o liberamente accolte. È pubblica quando la scuola è istituita dall'ente pubblico per eccellenza che è lo stato, il quale considera come sua propria funzione il provvedere all'educazione dei cittadini, cioè di coloro che, in quanto cittadini, concorrono a costituirlo e ne attingono protezione al loro diritto e forza per la loro attività. E naturalmente, a seconda del fondamento e dell'estensione dello stato, la scuola pubblica da esso istituita e mantenuta ha diversa fisionomia e azione; in uno stato a fondamento nazionale la scuola pubblica e l'educazione da essa fornita devono avere di necessità programma e indirizzo essenzialmente nazionali, per quanto rispettosi dei diversi elementi e momenti onde l'educazione si costituisce; in uno stato a fondamento nazionale e corporativo, come è l'attuale stato fascista d'Italia, l'educazione non può non assumere forme corrispondenti. Si è discusso molto e da molti (a cominciare da Quintiliano, Instit. orat., I, fino al Locke, al Rousseau, al Kant, al Filangieri, all'Angiulli, ecc.) se sia preferibile l'educazione privata o la pubblica; ma è evidente che la questione così impostata in astratto è male impostata: in concreto, cioè nella realtà storica, l'educazione familiare e privata compie una funzione, che la pubblica non potrebbe adempiere senza contaminare e, per così dire, soffocare la stessa vita della famiglia, che è sempre il primo grande focolare delle energie spirituali; d'altra parte l'educazione pubblica risponde a esigenze della consociazione umana, che si fanno tanto energicamente sentire quanto più la consociazione stessa si estende, si arricchisce di elementi e si organizza, e che non possono essere soddisfatte se non dall'ente pubblico, il quale è la coscienza stessa della società organizzata e presidiata dalla forza per la tutela del diritto e per l'incremento civile.

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Storia dell'educazione.

Antichità. - L'educazione è stata in origine esclusivo privilegio dei padri nei riguardi dei figli e talora dei fratelli maggiori nei riguardi dei minori. Poi il padre può aver delegato altri a sostituirle totalmente e parzialmente nel compito educativo così inteso e allora è nato l'ufficio dei maestri o nell'interno della casa privata (con la creazione del servo pedagogo) o in particolari luoghi di adunata, le scuole, dove i padri mandarono i proprî figlioli per un'educazione collettiva parziale o totale secondo i loro desiderî o secondo le leggi dello stato. Secondo codeste leggi la libertà paterna di educare i figli conforme i proprî principî fu talvolta limitata e in tal grado da essere presso qualche popolo, come a Sparta, del tutto abolita, a prescindere s'intende dai primi anni di vita.

In Grecia le prime tracce dell'arte d'educare furono fissate nei miti del poeta Lino e del centauro Chirone; Lino avrebbe insegnato musica e poesia ad Ercole e ad Ificle; Chirone sarebbe stato maestro di vita fisica e morale ad Achille, a Giasone, a Cefalo, ad Amfiarao e a tanti altri. Il metodo dell'educazione diretta, per opera del padre, metodo che fu certo il più antico, non ha lasciato traccia molto profonda nei ricordi della Grecia primitiva; solo in Omero leggiamo l'episodio di Nestore (Iliade, XXIII, 206 segg.), che dà consigli al figlio Antiloco sull'arte della corsa, e leggiamo che le Opere e i Giorni di Esiodo sono dirette all'educazione del fratello del poeta; mentre la raccolta delle elegie gnomiche di Teognide vediamo rivolta sotto forma d'insegnamento a un giovane amico e discepolo, Cirno. Da Creta giungono le più antiche testimonianze insieme di un tipo di educazione paterna e di un tipo già evoluto e complesso di scuola pubblica e obbligatoria.

Dicono infatti gli autori antichi, e ce ne informa soprattutto Eforo in un lungo tratto riportato da Strabone (X, pp. 735), che il bambino cretese era affidato, salve alcune restrizioni riguardanti i primogeniti, alle cure paterne fino a 17 anni d'età, dopo di che essi passavano a una specie di scuola o di raggruppamento chiamato ἀγελη. Tali scuole erano numerose e in concorrenza tra loro, e ivi i giovani si addestravano alla vita militare con le cacce e con le occupazioni più consone alla preparazione del soldato e del cittadino; fra tali occupazioni la musica e il canto tenevano un notevole posto. Questa educazione era compiuta al 27° anno d'età. Con le istituzioni di Creta quelle spartane hanno notevoli punti di affinità con quelle, più apparenti peraltro che reali. A Sparta, infatti, l'educazione è soprattutto affidata allo stato con lo scopo di costituire robusti e intrepidi soldati, ma essa comincia già dal settimo anno d'età del fanciullo, in modo dunque da annullare praticamente o quasi l'ingerenza dei genitori nell'educazione stessa. Anzi, alla nascita la decisione intorno alla convenienza o no di allevare i neonati è affidata ai cittadini più anziani della tribù che nel caso di bambini deformi o deboli ne decretavano senza altro l'esposizione. La tradizione, in qualche parte certamente leggendaria, colora di tinte alquanto cariche i caratteri dell'educazione spartana e la ricollega al complesso piano della legislazione di Licurgo. Severità, rigorosa disciplina, austerità fino al sacrificio stesso della vita, sono i contrassegni di codesta educazione spartana; elementi ne sono l'esercizio fisico, il dominio morale assoluto di sé stesso, la pratica della musica e del canto corale. Una gara annuale davanti all'altare di Artemide Ortia prova la resistenza dei giovani alla fustigazione rituale in onore della dea. Alcuni degli antichi, come Isocrate e Aristotele, e non pochi dei moderni, hanno accusato l'educazione spartana come eccessiva e come contraria alla cultura intellettuale; in realtà essa così rude e incolta, è più che tutto una disciplina morale, adatta senza dubbio alle necessità essenziali dello stato spartano. Essa infatti impegnava il bambino a sette anni d'età e non lo lasciava arbitro di sé stesso ehe all'età di 30 anni, quando cioè fosse atto a prendere il suo posto di responsabilità tra le file dei cittadini.

Altri invece sono i fini ed altri i mezzi dell'educazione ateniese, essi sono in generale ispirati a un largo disinteressamento da parte dello stato e fino a una certa età anche da parte del padre, e a una maggiore libertà di movimento concessa all'iniziativa individuale. L'educazione infantile è infatti generalmente affidata alla madre e alla nutrice schiava, che la aiuta e la sostituisce talora nell'allevamento del bambino; più tardi, da sette anni in poi, i bambini erano mandati alle scuole che pare già esistessero nel secolo VI a. C., dette διδασκαλεῖα o παλαῖστραι, che intrattenevano i ragazzi in esercizî letterarî, musicali e ginnastici e che erano, pare, sottoposte a qualche sorveglianza e a qualche regola restrittiva da parte dello stato, ma risultavano affidate esclusivamente a privati. Nessuna limitazione alla libertà d'insegnamento, né alcuna gerarchia di scuole o d'insegnanti. La consuetudine ebbe tuttavia a fissare gradualmente alcune norme che ebbero anche una loro evoluzione cronologica dal sec. V a. C. in poi. Così il γραμματιστής inizia l'insegnamento primo delle lettere dell'alfabeto e della lettura esercitando i bambini nello scrivere sopra tavolette di cera, o sopra cocci o papiri. Testi di lettura erano come sappiamo, massime di vita morale in verso o in prosa e ben presto formava la base indispensabile di ogni istruzione la lettura di Omero; né è probabilmente un caso eccezionale quello segnalato da Senofonte (Symp., III, 5) quando diceva di avere appreso a memoria durante la sua infanzia tutti i poemi di Omero. Altre letture erano le Opere e giorni di Esiodo e una raccolta, Chaeroneia, di sentenze attribuite a Chirone e credute di Esiodoi ora per noi perduta. L'insegnamento della musica era affidato al χιϑαριστής e si esercitava quindi sulla lira a sette corde. Piò tardi venne di moda il flauto che tentò di sostituirsi alla lira ma ebbe una fortuna effimera.

Un terzo gruppo di materie d'insegnamento era costituito dalla ginnastica e veniva affidato al παιδυτοίβης; la palestra è il campo di codesto insegnamento che consiste nella lotta, nella corsa, nel salto, nel lancio del disco e del giavellotto; più tardi si aggiunsero il pugilato, il pancrazio, l'oplomazia e l'equitazione.

I filosofi e i teoretici portano dal sec. V in poi modificazioni lente ma significative nella scuola ateniese: Socrate e la sofistica si fanno banditori ascoltati di nuovi metodi pedagogici, assai diversi da quelli tradizionali e ottengono un grandioso successo; nuove curiosità e un nuovo gusto della ricerca e della discussione rendono sempre più viva la scuola ateniese, sicché ben presto cadono in abbandono i metodi e le scuole antiche a tutto vantaggio delle nuove. In codeste scuole si aprono all'attenzione degli ascoltatori scienze non mai prima udite e sospettate come scienze educative e tra gl'insegnanti compare il critico, il geometra, l'aritmetico e così via. Anche il disegno, dal sec. IV in poi, appare tra le materie studiate ad Atene dai giovani e si sviluppa in un tutto organico e praticamente conclusivo. Tale maggiore completezza di studî e tale migliore coordinamento dura lungamente in Atene e si estende da Atene ad altre città della Grecia, sopravvivendo anche alla libertà e servendo di grande attrazione pure per gli stranieri e per i Romani in specie.

Del resto ancora prima di questo periodo l'educazione dei giovani fu oggetto di cure assidue in ogni parte del mondo greco, dalla Sicilia, dove si parla dell'istituzione di una specie di scuola pubblica a tipo spartano per opera di Caronda a Catania, fino alle isole dell'Egeo e all'Asia Minore, dove epigrafi notevoli ci dànno i particolari di interessanti fondazioni scolastiche fatte da benefattori delle città, e fino in Egitto donde ci provengono tavolette, papiri, ostraca che contengono libri o appunti di scuola del massimo interesse per noi. Dovunque poi in territorio greco e soprattutto alla periferia del mondo che sentì l'efficacia diretta della grecità appare la caratteristica istituzione del ginnasio che è la più completa e sicura testimonianza dell'armonica concezione greca dell'educazione nell'unità della vita e della cultura. Né meno caratteristica dei Greci, nei rapporti sempre con l'educazione, è l'istituzione dell'efebia come preparazione dei giovani alla vita militare: interessanti i testi del giuramento degli efebi, alcuni dei quali sono documenti superstiti dello spirito altissimo di quell'educazione. Non sarà neppure da dimenticare per chi voglia fissare le singolarità dell'educazione greca l'introduzione anche in essa della pratica dei concorsi tra i giovani, concorsi di ginnastica e concorsi di lettere, che servivano a stimolare le gare tra alunni e tra diverse scuole e potevano portare lo stato a un'indiretta sorveglianza di quanto ciascuna scuola riusciva ad ottenere dai proprî discepoli.

Circa le fanciulle basti dire che in generale i Greci non ne promossero troppo validamente l'educazione, fedeli all'opinione di assoluta inferiorità che essi avevano della donna nei confronti con l'uomo. Solo a Sparta si provvedeva a promuovere lo sviluppo fisico della fanciulla in vista soprattutto di creare di essa una madre più robusta di forti soldati. Ad Atene invece le fanciulle erano d'ordinario affidate all'educazione della madre ed erano, come presso tutti gli Ionî, generalmente trascurate. Solo verso gli ultimi anni della grecità il problema dell'educazione femminile parve imporsi sempre più, quando però ormai la Grecia aveva esaurito tutte le sue risorse di energia e di vita più belle e non era più in grado di imporre neppure a sé stessa un ordinamento originale e duraturo.

Ben diverso è il problema dell'educazione dei giovani, quale è visto in Roma; esso infatti ha il suo fondamento caratteristico, e continua a conservarlo tale, nell'istituzione della famiglia che è, come è noto, il fulcro di tante altre istituzioni romane. Il pater familias avendo il diritto di disporre a suo talento dei proprî figli, può provvedere nel modo che ritiene più opportuno anche alla loro educazione senza ingerenza di alcuno. Perciò l'educazione romana è essenzialmente familiare o almeno è nell'arbitrio del padre di famiglia ed è considerata come parte integrante dell'allevamento del bambino. Scopo di tale educazione è anzitutto il montaggio e l'incremento della famiglia e solo attraverso ad essa quello dello stato con il triplice obiettivo: la sanità fisica, il vigore intellettuale, la fermezza morale. Ne consegue che l'educazione romana è più orientata verso la praticità ed è più lontana dalla semplice erudizione, ma ne consegue anche che il fanciullo affidato alle cure paterne senza ingerenza di altri poteri trova in esse un'unità d'indirizzo naturale, che togliendo di mezzo la possibilità di contese teoretiche di molti pone nel fondamentale amore dei padri per i figli, per la famiglia e per la patria la base del sistema educativo.

Ne consegue anche che la madre di famiglia viene ad assumere in Roma nel suo ufficio domestico un compito nuovo di collaborazione col pater familias, compito che ne innalza la posizione nella famiglia. Da Veturia a Cornelia, a Livia, ad Agrippina abbiamo infiniti esempî di madri che nel bene e nel male ebbero un singolare ascendente sui figli, in grazia dell'autorità che aveva loro conferito l'antico compito educativo. Il bambino romano infatti quando fosse stato riconosciuto legittimo dal padre con una particolare cerimonia che seguiva immediatamente alla nascita, era affidato alle donne di casa, nutrici e schiave, che sotto la direzione della madre si occupavano del suo allevamento e insieme dei primi principî della sua educazione. Poi l'educazione del bambino poteva avviarsi a più complesso sviluppo secondo i tempi e il grado di ricchezza e di nobiltà della famiglia.

Non è facile stabilire se e quando appaiano scuole pubbliche in Roma. La tradizione riferisce che Virginia nel 449 a. C. si recava ogni giorno, accompagnata dalla nutrice, ad una scuola presso il Foro e che nel compiere questo tragitto aveva suscitato le cupidigie di Appio Claudio il Decemviro. Al tempo di Camillo la tradizione riferisce pure il racconto d'un maestro di scuola di Falerii che aveva affidato in ostaggio al generale romano i figli dei maggiorenti della città raccolti nella sua scuola. Non è dubbio tuttavia che l'educazione romana nella sua fase antica anteriore all'istituzione delle scuole è impersonata dal vecchio Catone che, secondo il noto racconto di Plutarco, si era preso cura egli stesso del suo figliolo ed era stato a lui maestro di lettere, di diritto e di educazione fisica. È ben certo poi che durante i secoli III e II a. C., i metodi educativi romani subirono largamente l'influenza greca; del 235 infatti sarebbe l'istituzione della prima scuola d'istruzione a pagamento alla quale seguirono altre numerosissime sotto la diretta sorveglianza dei padri che affifidavano loro i proprî figlioli. Codeste scuole nel tempo in cui si possono, attraverso le attestazioni degli autori, studiare più da vicino, appaiono essenzialmente di tre specie: una scuola che diremo elementare, intesa a dare i primi rudimenti del leggere e dello scrivere, rappresentata dal cosiddetto litterator; segue a questa la scuola del gramaticus che si propone di condurre i ragazzi alla lettura e alla spiegazione di poeti latini e greci con scopi grammaticali e letterarî. Sopra tutti Quintiliano ci dà informazioni preziose circa i metodi d'insegnamento di questa specie di scuola media romana e i papiri d'Egitto già citati ce ne forniscono prontuarî, testi, esercizî copiosi. La scuola superiore a Roma è riservata di regola al retore che ha per fine d'insegnare l'arte della parola. Musica e danza erano esclusi dall'educazione romana, perché considerati come elementi d'istruzione servile; poco apprezzata fu l'istruzione artistica e meno ancora quella tecnica. Nessun entusiasmo ebbero poi i Romani per l'istruzione ginnastica intesa al modo dei Greci con una sua finalità estetica e agonistica; gli esercizi ginnastici che il fanciullo romano praticava senza pubbliche ostentazioni erano intesi solo a rendere il corpo idoneo alle fatiche militari. Usava invece spesso il giovane romano recarsi in Grecia, a completarvi la sua educazione e la sua istruzione.

L'educazione femminile fu generalmente praticata in casa e in molti casi raggiunse a poco a poco lo stesso grado di quella maschile.

Da Adriano in poi s'inizia un grande rivolgimento nell'educazione del giovane romano, perché i pubblici poteri s'ingeriscono sempre più largamente di essa fino a sostituirsi quasi completamente all'autorità del padre. Codesta ingerenza dei pubblici poteri nell'istruzione giovanile è determinata in un primo tempo dal vivo desiderio di venire in aiuto all'istruzione nazionale. Vespasiano, per esempio, fu il primo a dare sovvenzioni statali ad alcune scuole per incoraggiarne lo sviluppo, Traiano concesse ai pueri da lui protetti anche il munus educationis e Adriano fondò addirittura un gran numero di scuole sotto il controllo dello stato.

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Medioevo. - È opinione molto diffusa che nell'alto Medioevo l'ordinamento della scuola e l'assetto della cultura dipendessero esclusivamente dagli ecclesiastici; ma, in realtà, non si può negare che insegnamenti laici siano esistiti a lato a quelli cenobiali: a Pavia, a ragion d'esempio, si sa che, ai tempi di Teodorico, i grammatici erano stipendiati dal tesoro pubblico. Si sa che, nel sec. VI, Fortunato aveva studiato a Ravenna grammatica, retorica e diritto, le tre sezioni dell'insegnamento pubblico. In una decisione sinodale di Raterio, vescovo di Verona (sec. X), si legge che non sarebbero stati promossi agli ordini sacri coloro che non avessero studiato lettere, sia nelle scuole vescovili, sia in qualche monastero, sia presso qualche dotto maestro. Quando Carlomagno entrò in Roma, vide che, dietro i magistrati, s'erano mossi a riceverlo gli scolari, studiosi delle lettere, in grande turba esultante. Quando Ludovico II visitò Benevento, questa città ospitava non meno di trentadue professori di lettere profane. L'esempio dell'Italia non fu senza influsso in Francia. Nella scuola palatina di Carlomagno insegnarono maestri italiani. Là Alcuino elaborò la partizione delle arti in trivio e quadrivio.

Importantissimo è il capitolare di Lotario dell'anno 825 sull'ordinamento scolastico. Nei tempi carolingi si avevano le scuole per i rudimenti del sapere, tenute generalmente da ecclesiastici nelle parrocchie, ma aperte a tutti, anche ai laici; e si avevano scuole presso le sedi delle diocesi per chi si volgeva al sacerdozio, ma anche si avevano scuole superiori di altro tipo più elevato, istituite, stipendiate, sostenute dallo stato, frequentate da ecclesiastici e da laici. Appunto a queste ultime scuole si riferisce il capitolare di Lotario che concerne in particolare l'insegnamento a Pavia, alla quale già Carlomagno aveva mandato, come maestro, il celebre Dungal e dalla quale si erano diramate propaggini a Ivrea, a Verona, a Vicenza, a Firenze e altrove. Nelle stesse scuole ecclesiastiche la cultura classica non era bandita, perché sappiamo che nell'istituzione tipica di esse, cioè nella Schola cantorum lateranense (della quale furono quasi altrettante filiazioni le scuole di S. Gallo, di Metz, di Soissons), non mancava l'insegnamento delle lettere profane. I giovani vi componevano poesie sul giudizio di Paride, sulla morte di Ettore, ecc.

Il rinnovamento della scuola, nel seno della Chiesa, s'inizia dopo il Mille, insieme con una ridesta attività legislativa e con un vigoroso fermento di pensiero e di opere nel campo sociale. I canoni impongono che presso ogni chiesa cattedrale sia aperta una scuola per i chierici, ma anche per "alios scholares pauperos". Insomma, la scuola vescovile ospita, con nuove provvisioni legislative, il laicato e insegna le arti del trivio e del quadrivio e legge e commenta gli autori e spiega i testi giuridici; mentre gli studî teologici si coltivano con sempre maggior zelo nelle scuole cenobiali. Quando sorge il comune e si risvegliano le energie assopite del popolo e rifioriscono i traffichi e il commercio e il laicato si sente consapevole della sua potenza nell'organismo della vita civile, si fanno più numerosi i maestri liberi, i "ripetitori", preannunziatori degl'insegnanti umanisti. Allora cade l'uso di chiedere ai vescovi la "licentia docendi" e l'insegnamento privato acquista una nuova dignità, sorretto dal comune, che sceglie per il suo studio i maestri e provvede al loro compenso e dà norme e regole all'istruzione dei cittadini. Le università sorgono quando il numero dei laici nelle scuole vescovili diviene così cospicuo, da indurre l'autorità dello stato a intervenire e ad assumere in gran parte la responsabilità dell'educazione dei giovani. Le università sono, insomma, da un lato una filiazione laica delle scuole ecclesiastiche vescovili, modellate più o meno sulla schola cantorum lateranense, e dall'altro lato sono uno svolgimento delle scuole private assurte a maggiore importanza, grazie all'assorbimento parziale, e in taluni casi totale, nell'orbita dello stato. I due fenomeni, determinati da mutate e più profonde condizioni di cultura e da nuove e imprescindibili esigenze, si unificano in un effetto solo. Tale è l'origine delle più vecchie illustri università, come quelle di Bologna e di Parigi (sorte per l'unione non degli scolari, ma dei maestri), le quali non furono create da un editto sovrano o di un vescovo, come quelle di Napoli (Federico II), di Tolosa (Folco di Marsiglia), di Salamanca (Alfonso X), o non furono un'emanazione di altra celebre università, come quelle di Padova e di Arezzo (propaggini dello Studio bolognese).

Il metodo preferito nell'insegnamento ai tempi carolingici fu quello del dialogo fra maestro e scolaro. Alcuino ci ha lasciato un testo di grammatica, in cui interloquiscono due scolari, e nei punti più ardui, l'insegnante. La forma dialogata fu usata anche dopo il periodo carolingico, tanto che può dirsi che essa fosse il metodo vero e proprio del più antico insegnamento medievale, così nelle scuole ecclesiastiche, come in quelle laiche, private e statali. Da siffatto metodo derivò l'istituto dell'esame. Mentre l'usanza del dialogo si andava perdendo nelle università, vi penetrava l'esame che pare fosse ignoto alle scuole più antiche. La forma catechetica, propria soprattutto dell'età carolingica, non fu mai sostituita dalla forma metrica dei trattati scolastici, dei quali furono i più diffusi quelli di Alessandro di Villadei, di Everardo di Béthun e di Goffredo di Vinesauf, che insegnò a Bologna. Invece, pare che i maggiori dettatori procedessero per esemplificazione e per modelli (per es., Guido Fava, Boncompagno, maestro Bene, ecc.).

Fra i libri che più comunemente, nei secoli XIII-XIV, servirono di guida, citeremo i seguenti: per i principi e i nobili: il De eruditïone principum di G. Pérault (Roma 1570), il De eruditione.... filiorum regalium di Vincenzo di Beauvais (Basilea 1481), il De regimine principum di S. Tommaso d'Aquino (Parigi 1509) e quello, di identico titolo, di Egidio Colonna (Augusta 1473). Per il clero: il De arte praedicatoria di Alano delle Isole (Opera in Migne, Patr. lat., CCX), i Sermones di Giacomo di Vitry, il De arte praedicandi di Alberto Magno, il carme De contemptu mundi, e le opere di S. Tommaso, di S. Bonaventura, ecc. Per i laici: il Facetus attribuito a Giovanni Garlandia (Deventer 1494), il cosiddetto Cato (Antwerpen 1485), lo Speculum di Vincenzo di Beauvais (Argens 1473 1476). Dei dictamina, quelli più in uso furono: la Rethorica, la Palma e la Summa prosarum dictaminis di Boncompagno (morto nel 1218), la Rethorica di Raimondo Lullo, l'Ars dictaminis di Pietro dei Boattieri (morto nella prima metà del sec. XIV), ecc. Per l'educazione femminile servirono soprattutto: il Liber de ornatu mulierum di Arnaldo d) Villanuova, il De perfectione vitae ad sorores di S. Bonaventura, lo Speculum dominarum di Durando di Champagne (1340).

Che l'intento della scuola medievale fosse più istruttivo che educativo, è opinione che non pare avvalorata dai fatti. Certo, all'istruzione soprattutto religiosa e ascetica, nelle scuole inferiori, si dava il maggior peso; ma anche al moto e all'esercizio del corpo si concedeva importanza. Il metodo peripatetico trovò cultori anche nell'età medievale. Si devono agli umanisti i primi programmi di educazione integrale, in cui oltre alla filosofia, alle lettere e alle scienze è fatto largo posto agli esercizî fisici e alle regole del buon contegno. Nel Medioevo questi ammaestramenti esulavano dalle scuole e venivano diffusi in operette in verso o in prosa, che, scritte talora da maestri (come da Giovanni Garlandia), non pare fossero normalmente adottate nell'insegnamento. Un vero tentativo di riforma nel senso di un'educazione totalitaria dell'uomo non si ebbe che in pieno Umanesimo.

Bibl.: F. Ozanam, Documents inédits pour servir à l'histoire littéraire de l'Italie, Parigi 1850 (una traduzione della prima parte di questo volume in Le scuole e l'istruzione in Italia nel Medioevo, Firenze 1895); E. Monaci, Per la storia della "schola cantorum" lateranense, in Arch. della R. Società romana di storia patria, XX (1898); F. Novati, L'influsso del pensiero latino sopra la civiltà italiana del Medioevo, Milano 1899; G. Manacorda, Storia della scuola in Italia, voll. 2, Palermo 1914; id., Rassegna di storia scolastica ed universitaria, in Giorn. storico della letteratura italiana, LXVII (1916), p. 129 segg.; A. Solmi, Il Capitolare di Lotario dell'anno 825, in Rend. d. R. Istituto lombardo d. sc. e lett., LVI (1923); R. Limmer, Bildungszustände und Bildungsideen des 13. Jahrhunderts, Monaco 1928.

Umanesimo e rinascimento. - L'educazione umanistica s'avvantaggia sulla precedente per la scoperta e la divulgazione di nuove fonti pedagogiche dell'antichità. Il Petrarca entrò in possesso di Quintiliano, in un testo mutilo, nel 1350; nel 1416 Poggio scoprì il testo intero. Tradusse il Bruni nel 1403 l'opuscolo di S. Basilio De legendis libris gentilium, nel 1438 la Politica di Aristotele; nel 1411 Guarino il trattato di Plutarco, De liberis educandis, e nel 1435 il Nicocles d'Isocrate; da Isocrate aveva tradotto, nel 1431, l'Ad Nicoclem Bernardo Giustinian; la Ciropedia di Senofonte fu tradotta nel 1447 da Poggio, nel 1469 ritradotta da Francesco Filelfo.

Muniti di questi nuovi strumenti di studio gli umanistì allargarono le loro vedute nei riguardi dell'educazione del cortigiano e del principe, quando appunto le novelle condizioni storiche li ponevano a contatto con la formazione dei principati; allar. garono le loro vedute nei riguardi dell'educazione del cittadino privato, quando alle tradizioni della Chiesa poterono accomp'ignare i dati dell'esperienza antica. Indi, i numerosi loro trattati sull'educazione del cortigiano, del principe e del cittadino privato.

Cominciando dall'educazione cortigiana, ci si presenta Giovanni da Ravenna, col De fortuna aulica del 1396, mentre reggeva la cancelleria dei Carraresi. Conoscitore com'era, per lunga e varia esperienza, delle corti, analizza partitamente le incombenze dei cortigiani distribuiti in quattro categorie e ne mette a nudo i vizî: avarizia, invidia, superbia, maldicenza, adulazione. Dell'argomento toccò brevemente Guarino nel 1443 (Epistol., II, p. 436) quando mandò suo figlio Girolamo alla corte di Napoli con l'intento di procacciargli un posto presso il re Alfonso. Gli ammaestramenti sono tutti di carattere morale, desunti dagli antichi e in particolare dal Nicocles e dal Demonicus d'Isocrate. A questa materia diede il massimo sviluppo il Castiglione nel Cortegiano del 1528, dove accanto agli esercizî fisici, al buon costume e all'istruzione, va rilevata la parte ragguardevole assegnata alla cultura volgare.

Dei molti trattati intorno all'educazione del principe basterà Citare i più notevoli. Nel 1350 mandò il Petrarca in una lettera (Fam., XII, 2) al gran siniscalco Niccolò Acciaiuoli un compendio morale del buon governo per il suo re, attingendo agli autori classici e alla propria esperienza; di cultura letteraria un solo cenno: l'imitazione degli esempî antichi. Ben diversamente intonato è l'ammaestramento di Coluccio Salutati del 1402 (Epistol., III, p. 598) al principe Alidosi di Imola, in cui gli ragiona di filosofia e di retorica, dando a quest'ultima uno sviluppo insolitamente ampio. Esclude gli esercizî dell'equitazione, dei tornei, della caccia, della palla e simili, nei quali egli doveva scorgere nulla più che un perditempo. Guarino, al contrario, consiglia tutti questi esercizî al principe Lionello d'Este, perché da essi ritrarrà vantaggio il corpo e lo spirito; e insieme gl'impartisce opportuni insegnamenti sul modo di studiare, desumendoli dall'esperienza del Crisolora. Al modello di Guarino si uniforma Enza Silvio Piccolomini nella lettera al duca Sigismondo del 1443 e nel trattato De educatione liberorum del 1450 per il futuro re d'Ungheria Ladislao. Anche qui ritorna l'educazione fisica, letteraria e filosofica, con saggi avvertimenti sul culto esteriore della persona. Nella lettera del 1475 a Mattia Triviano, maestro di Giangaleazzo Maria Visconti, il Filelfo ripete i consueti ammonimenti, insistendo molto sull'igiene e limitando le cognizioni letterarie. Vuole che il principe si modelli sulla Ciropedia di Senofonte. Nel voluminoso trattato di Francesco Patrizi De regno ei reas institutione al suo allievo Alfonso di Calabria (circa il 1482) incontriamo un consiglio che risente dei tempi nuovi: di non trascurare cioè per la grammatica latina e greca la volgare. E a tempi nuovi, ma in diversi riguardi, ci trasporta un altro trattato, il De educatione filiorum regum del 1504 di Antonio de Ferraris (il Galateo), che ivi acerbamente deplora le corrotte consuetudini importate dalle dominazioni straniere in Italia.

E veniamo da ultimo alle cure molteplici consacrate dagli umanisti all'educazione del cittadino privato. Il Petrarca in due lettere a due grammatici, Gilberto da Parma e Zanobi da Firenze (Fam., VII, 17; XII, 3), riconosce il solo insegnamento della virtù pratica, manifestandosi diffidente verso le arti liberali e ostentando il massimo disprezzo per i grammatici. Dalle qualità negative delle scuole d'allora dedusse due massime positive Giovanni da Ravenna, il grande maestro del suo tempo (1343-1408): l'una che non si deve abusare della memoria, l'altra che solo la bontà e l'amore conciliano lo scolaro al maestro, citando per la prima volta Quintiliano (II, 4, 10). Egli preferiva per la disciplina i piccoli ambienti che offrono minori occasioni ai traviamenti; istruiva gratuitamente ragazzi poveri, contentandosi di adoperarli in qualche minuto servizio: donde il famulus; si compiaceva di continuare la corrispondenza con gli allievi anche dopo lasciato il tirocinio; e soprattutto inculcava la collaborazione tra famiglia e scuola: prodire de laribus litteras. A Padova, tra il 1392 e il 1396, uscirono dalla sua scuola i tre maggiori maestri del sec. XV: P. P. Vergerio, Guarino da Verona, Vittorino da Feltre. Il Vergerio nel 1402 diede in luce a Padova il famoso trattato De ingenuis moribus et liberalibus studiis adolescentiae. L'educazione morale è tratta da fonti latine e per la prima volta da fonti greche, dove sentiamo la potente azione esercitata dal Crisolora, suo maestro, sulla cultura italiana. Nelle materie d'insegnamento si nota una irragionevole esuberanza: trivio, quadrivio, filosofia, medicina, legge, poesia; sono del resto le idee del Salutati. Sviluppa molto gli esercizî militari in grazia del principe Ubertino da Carrara, a cui il libro è dedicato. Il metodo del Vergerio è poco organico, poco pratico, ma ha il merito capitale di fondarsi su queste poche parole: erant autem quatuor quae pueros suos Graeci docere consueverunt: litteras, luctativam, musicam et designativam (Arist., Polit., VIII, 3). Nel Vergerio la luctativa (ginnastica) è allo stato di teoria, con Guarino e Vittorino entrò nella pratica della scuola.

Gasparino Barzizza non scrisse di pedagogia, ma nel fecondo periodo didattico di Padova (1407-21) tenne gloriosamente la cattedra di grammatica e retorica. Dal trivio egli staccò il quadrivio, che a poco a poco s'andava estinguendo, in modo che se ne salvava appena la musica. Giovanni da Trebisonda nel 1435 dichiarava il quadrivio già in disuso. A un istituto pedagogico importante, il convitto, che aveva larghe radici nel Medioevo, impresse il Barzizza novello impulso e ne disciplinò le funzioni. Dopo di lui lo svilupparono maggiormente Guarino e Vittorino. Guarino tenne convitto a Venezia (1414-18), a Verona (1419-29), a Ferrara (1430-60). A Venezia ebbe fra i convittori (1415-16) Vittorino, a cui insegnò il greco. Guarino ridusse l'insegnamento al solo trivio, di cui costituì un tirocinio completo, distribuito in tre corsi: elementare, grammaticale, retorico, tramandatoci dal figlio Battista, vivente il padre, nell'opuscolo De modo et ordine docendi et discendi, del 1459. Vittorino sviluppò pienamente il suo metodo nel convitto presso la Corte di Mantova (1423-46), dove congiunse per l'ultima volta trivio e quadrivio, cultura classica e pratica cristiana: che è la sua maggior gloria. Del suo metodo diede già un compendio l'allievo Gregorio Corraro verso il 1427, mentre era ancora suo scolaro.

Il Bruni circa il 1425 scrisse il De studiis et litteris per l'istruzione di una gentildonna, Battista Malatesta. Delle discipline ammette la sola grammatica e degli autori i soli latini, pagani e cristiani; i greci nella traduzione: una cultura insomma assai ridotta. La scuola di Guarino concedeva maggior larghezza alle donne. Martino Rizzoni, il suo prediletto allievo, impartì alle sorelle Ginevra e Isotta Nogarola (1433-36) un'istruzione maschile; ma l'esito dimostrò che l'opinione pubblica non era peranco matura a simili esperimenti.

Leon Battista Alberti verso il 1433 compilò il suo celebre trattato Della famiglia, nel quale parla a lungo dell'educazione della prole e dei doveri dei genitori. Alla varia dottrina s'accoppiava in lui molta esperienza e senso pratico: e si vede subito dall'avere egli scritto in volgare. Riduce a proporzioni modeste la preparazione classica e pensa anche alle scienze sperimentali, che aprono la via ai mestieri per sostentare la vita. Maffeo Vegio nei sei libri De educatione liberorum clarisque eorum moribus, dettati circa il 1445 in una prosa dottrinaria, ingombra d'inutile erudizione, non offre nulla che meriti, dopo l'Alberti, d'essere rilevato, eccetto alcune raccomandazioni sull'osservanza della religione. Dei maestri del sec. XVI ricorderò solo Giovanni Antonio Flaminio, autore del dialogo De educatione ac institutione liberorum del 1522, la cui importanza non tanto consiste nelle norme didattiche, quanto nella descrizione delle tristissime condizioni delle scuole al suo tempo per la trascuranza dei genitori, per la tracotanza e ignoranza dei maestri e la corruzione delle scolaresche: condizioni che nelle città più popolate (e qui coincide con Giovanni da Ravenna) si aggravavano maggiormente. L'educazione umanistica s'era gia esaurita ed è superfluo analizzare altri trattati, perché ripetono meccanicamente i noti principî, divenuti ormai luoghi comuni.

Riepilogando: il nuovo metodo teorico mette capo al Vergerio, il metodo pratico a Giovanni da Ravenna, a Guarino, e a Vittorino: questi due ultimi i maggiori. Caratteri equilibrati entrambi, di austerità quasi ascetica Vittorino, di bonaria socievolezza Guarino, educarono con la parola e con l'esempio le nuove generazioni, trasmettendo il loro metodo in eredità alle successive.

Bibl.: R. Sabbadini, La scuola e gli studî di Guarino, Catania 1896; id., Giovanni da Ravenna insigne figura d'umanista, Como 1924; G. B. Gerini, Gli scrittori pedagogici italiani del secolo decimoquinto, Torino 1896; id., Gli scrittori pedagogici italiani del secolo decimostesto, Torino 1897; G. Saitta, L'educazione dell'umanesimo in Italia, Venezia 1928.

L'educazione nella riforma e nella controriforma. - La Riforma. - La nuova coscienza religiosa che caratterizza la Riforma protestante induce la necessità di provvedere a una radicale mutazione degl'indirizzi ed istituti educativi. Asserita l'interiore diretta comunione del credente con Dio, tutti devono arrivare alla conoscenza della verità e per la verità alla salvezza. Ma questa verità non è tutta fatta: bisogna che ciascuno l'acquisti con sforzi personali. E poiché le indicazioni sull'argomento sono innanzi tutto nella Bibbia, ogni cristiano ha l'obbligo di attingervi e per conseguenza va messo in grado di leggerla e d'interpretarla. Così, nel principio fondamentale della Riforma è l'esigenza dell'istruzione di tutti i cristiani senza eccezione: il sapere e la cultura divengono una necessità universale, che costituisce il diritto per ciascuno a procurarseli e l'obbligo per la società a dispensarli.

Lutero, benché dal suo impeto apocalittico sia condotto a diffidare e osteggiare le lettere e gli studî profani, volge però tutto il suo interesse alla creazione di scuole cristiane rispondenti ai suoi intenti, onde formare nuovi proseliti al suo vangelo. A siffatta preoccupazione s'ispira nell'Appello alla nobiltà cristiana della nazione tedesca (1520), nell'indirizzo Ai sindaci e consiglieri di tutte le città della Germania (1524) e nel Discorso sulla necessità di mandare i fanciulli a scuola (1530), nei quali scritti fa obbligo ai principi e ai signori di diffondere e intensificare in tutto il popolo e in tutte le classi sociali l'istruzione, di estenderla ai fanciulli e alle fanciulle, e di rendere obbligatoria la frequenza della scuola: la cultura del popolo è dovere dello stato.

Ma in verità la Riforma continuò nell'educazione l'indirizzo iniziato dal Rinascimento, portandolo a un nuovo formalismo; e nelle scuole esistenti e nelle molte che ebbe a fondare aggiunse alle consuete discipline umanistiche alcune materie religiose. Così l'istruzione di grado inferiore fu arricchita dell'insegnamento evangelico e dei canti ecclesiastici, ma rimase prevalentemente latina, con esclusione della lingua nazionale, e perciò non poteva essere facilmente accessibile al popolo; e nelle scuole superiori si dispensò della cultura classica quel tanto che giovasse alla retorica e all'eloquenza, e si preferì dare a leggere gli antichi santi Padri e soprattutto la Bibbia: fulcro d'ogni insegnamento. Non per nulla si dichiarò la Chiesa "madre della scuola" e la scuola "organo della Chiesa". L'ecclesiasticismo che si andò formando e che rappresentava un regresso sull'Umanesimo, venne attuato in maniera più rigorosa, più intima più personale di quanto era stato possibile all'istituto gerarchico nel Medioevo. Sotto tale riguardo la riforma non è che una rivoluzione informata allo spirito della tradizione, della trascendenza: un'anti-Chiesa, che contrappone una teologia alla teologia, un papismo al papismo.

La maggiore risonanza ebbe la parla di Lutero. Le sue idee trovarono attuazione specialmente per opera di Filippo Melantone che redasse le Istruzioni ai visitatori (ispettori delle scuole) e il manuale Piccolo libro di visita (di ispezione), di cui fa parte il cosiddetto Piano di studi sassone (Sächsischer Schulplan), che rappresenta la prima creazione del moderno sistema scolastico statale. Ma egli attese di preferenza a ordinare o riordinare le scuole superiori e medie: insegnò e scrisse senza posa per promuovere e divulgare gli alti studî; consultato in tutte le questioni inerenti alla scuola, tenne coi carteggio e con le ispezioni la direzione della riforma educativa; e contribuì potentemente alla preparazione della maggior parte dei professori tedeschi del suo tempo: basti menzionare Valentino Friedland e Trotzendorf, Michele Neander e Giovanni Sturm.

Fuori della Germania ci si presenta primo Ulrico Zwingli, il più vicino agl'ideali dell'Umanesimo, che organizzò le scuole di Zurigo e scrisse il trattatello Della maniera di istruire ed educare cristianamente i fanciulli (1523), relativo soprattutto all'istruzione media e superiore, nel cui programma figurano anche gli esercizî fisici. Calvino attese negli ultimi anni della sua vita a ordinare con la collaborazione di Beza, sul modello del ginnasio di Strasburgo, il Collegio di Ginevra e l'annessa Accademia (destinata a divenire centro di cultura per tutta la Svizzera); e spinto dalle esigenze stesse della costituzione democratica della chiesa ginevrina dichiarò egli pure l'universalità e l'obbligatorietà dell'istruzione. Ai medesimi principî s'informa l'organizzazione scolastica dei calvinisti fuori della Svizzera, quali i puritani e gli ugonotti.

Adunque il problema educativo s'impose in diversa misura a tutti i riformatori, ma per tutti fu solidale col problema religioso, la cui soluzione supponeva la soluzione di quello. Nell'agitarlo non immaginarono neppure che si potesse prescindere dalla base umanistica, e perciò la cultura antica consertarono allo spirito nuovo fondamentalmente religioso-confessionale e orientato verso l'istituzione scolastica. Così da una parte la direzione e la sorveglianza spirituali delle nuove fondazioni educative restarono e dovettero restare nelle mani dell'autorità ecclesiastica nuova; dall'altra l'educazione voluta non fu l'educazione in generale, bensì l'educazione impartita nella scuola e per mezzo della scuola, che doveva supplire all'insufficienza dell'educazione domestica.

Il problema scolastico quindi sorse subito e si propose egualmente per i gradi diversi che noi chiamiamo primario, secondario, superiore. Uno dei più interessanti tentativi di soluzione riguarda la scuola popolare (Volksschule), quella cioè che mira all'istruzione di tutta la nazione e della quale, se la rif0rma non trovò la via che dovevano additare poi l'illuminismo e la Rivoluzione francese, pose almeno il principio.

Ma un altro carattere del nuovo indirizzo educativo bisogna notare, ed è l'amministrativo-politico, per cui si attribuisce allo stato il compito di creazione formale e di organizzazione di tale materia: onde sorgono negli stati germanici i primi sistemi di scuole pubbliche di tipo moderno, dal piano sassone del 1528 al piano del Würtemberg del 1565, comprendente anche l'istituzione di scuole di lingue volgari in ogni villaggio, e alle più ampie ordinanze scolastiche di altri stati nel sec. XVII. In quella di Weimar del 1619 era applicato per la prima volta il principio dell'obbligatorietà dell'istruzione per maschi e femmine, dal sesto al dodicesimo anno: disposizione che fu rinvigorita nel 1622 dal duca Ernesto il Pio di Gotha, che adottò nel suo stato un più vasto e particolareggiato ordinamento, che è poi il sistema moderno delle scuole tedesche.

La Controriforma. - Alla trasformazione culturale e religiosa operata dal Rinascimento e dalla Riforma si oppone con energia la Controriforma. Questa reazione riesce così efficace, da legare più strettamente la vita spirituale col sentimento religioso e con la Chiesa e sottoporla al loro dominio più coscientemente e più fortemente che nel Medioevo. L'opera grandiosa si svolge con due mezzi ineguali: l'Inquisizione, che ne rappresenta il lato negativo o repressivo; e l'educazione, che ne è l'elemento positivo. Il problema educativo s'impose in modo più urgente come contraccolpo della propaganda protestante e la Chiesa ne riservò a sé la soluzione con la chiara consapevolezza di provvedere non soltanto a una necessità storica di resistenza contro i novatori, ma specialmente di compiere un solenne dovere impostole dal mandato di Cristo: docete omnes gentes. Non si trattava solo di rendere più efficienti nel loro ufficio i suoi ministri, occorrenza a cui provvide con l'istituzione dei seminarî (v. controriforma, XI, p. 261); era necessario anche formare nel laicato cattolico una nuova mentalità e una nuova coscienza capaci di resistere all'eresia irrompente. Perciò lo stesso concilio di Trento nella sessione quinta aveva raccomandato in modo specialissimo l'educazione dei giovani emanando un gran numero di decreti relativi alle scuole. Secondo quei decreti le scuole dovevano essere ristabilite in tutti i luoghi in cui mancavano, ed essere dirette da maestri religiosi e istruiti, che vi insegnassero religione ed altre nozioni elementari, soprattutto la grammatica, base d'ogni insegnamento scientifico. Ogni chiesa doveva avere almeno un maestro che insegnasse gratuitamente la grammatica. Gli ordini religiosi che si occupavano dell'insegnamento secondario andavano particolarmente incoraggiati. Le università poste sotto il controllo della Chiesa dovevano essere preservate da ogni contatto con gli eretici e fare opera di propaganda cattolica.

Un fervido movimento educativo e didattico si sviluppò in quel periodo specialmente in Italia: movimento che se fu povero nell'ambito della speculazione, fu grande nel campo della prassi e dell'organizzazione sociale. Uno dei più benemeriti fu S. Carlo Borromeo. (Sull'opera di S. Carlo Borromeo in questo campo, v. Carlo Borromeo, san, IX, p. 34) Ma l'effetto più considerevole del Concilio fu il sorgere di associazioni per l'insegnamento della dottrina cristiana, e la fondazione di istituti religiosi votati all'educazione. Basti citare la Confraternita della dottrina cristiana istituita in Roma da Marco Sadis de Cusani; quella simile fondata dal beato Ippolito Galantini a Firenze, donde si estese a tutta Italia; la congregazione dei Dottrinarî in Francia; e soprattutto le Scuole Pie di S. Giuseppe Calasanzio (v.). Il quale preoccupandosi soprattutto dei bambini dei più umili strati sociali apriva scuole in cui dispensava loro l'insegnamento gratuito e forniva anche libri: primo tentativo di scuola elementare gratuita, che però serbava l'antica base del latino ed era caratterizzata dal fine propriamente caritatevole e dall'impronta strettamente chiesastica. Un secolo più tardi, ma sempre nella scia della Controriforma, benché già s'inquadri nel moto scolastico-educativo dell'età moderna, l'istituto dei Fratelli delle scuole cristiane (v.) perfezionava quell'insegnamento popolare, fondandolo sulla lingua nazionale e dandosi pensiero di formare buoni maestri per avere buone scuole.

Altri ordini insegnanti sono fondati dallo slancio educativo che agitava la coscienza cattolica del sec. XVI: i teatini, i somaschi, i barnabiti, i gesuiti (v. le voci dedicate ai singoli ordini). I più importanti e i più rappresentativi del momento storico della Chiesa sono questi ultimi (v. compagnia di Gesù; X, p. 995 segg.). Nel valutare l'azione della Compagnia nel campo scolastico ed educativo non si deve dimenticare che le scuole e l'educazione dei gesuiti sono parti d'un sistema complesso signoreggiato da intenti precisi e da mirabile coordinazione di mezzi per raggiungerli. Già nelle Costituzioni della compagnia è contenuto un libro dedicato all'organizzazione dei collegi. Ma il vero codice educativo e scolastico dei gesuiti è la Ratio atque institutio studiorum, ossia l'ordinamento degli studî, che dopo un lungo periodo di preparazione ebbe la sua definitiva forma nel 1599 dal P. generale Claudio Acquaviva (v.) e fu mantenuto inalterato fino al 1832. L'ordine degli studî illustrato dalla Ratio comprendeva tre cicli:1. le lettere umane (humaniora studia), sotto la cui denominazione erano indicati essenzialmente il greco, il latino e soprattutto l'arte oratoria o eloquenza; 2. la filosofia; 3. la teologia. Il primo constava di cinque classi, di cui le prime tre erano di grammatica, corrispondenti al nostro ginnasio inferiore; la quarta di umanità, destinata a perfezionare la conoscenza grammaticale e a preparare la formazione dello stile, e che oggi sarebbe la quarta ginnasiale; la quinta di retorica, che con lo studio soprattutto delle orazioni di Cicerone mirava a formare il perfetto oratore. Il corso di filosofia era triennale e svolgeva nel primo anno logica, metafisica e matematiche; nel secondo psicologia, cosmologia, fisica e chimica; nel terzo etica e teodicea o teologia razionale. Seguivano poi quattro anni di teologia con l'insegnamento ripartito fra quattro professori (rispettivamente per la S. Scrittura, l'ebraico, la teologia scolastica, la teologia casuistica o morale). I due primi cicli di studî ci offrono l'anticipazione del nostro ginnasio e liceo.

Per intima congruenza ai bisogni ecclesiastici del tempo, per la continuità e l'unità di direzione, per l'accuratissima formazione tecnica dei maestri, per il rigido ordinamento disciplinare e didattico, per l'abilità di formare gentiluomini garbati, per l'igiene dei locali, per l'uso degli esercizî fisici, le scuole dei gesuiti ebbero un successo incomparabile.

Ma nell'alveo stesso del cattolicismo non mancava chi vedesse i difetti del sistema. Non si allude qui alle critiche del Sarpi e del Cartesio, che dovevano poi essere rinnovate e largamente ampliate e dialetticamente rinvigorite dal Gioberti. Il principale dei difetti era costituito dall'umanesimo in quanto andava degenerando e riducendosi a culto della pura forma esteriore. Ora contro quella parvenza di degenerazione dell'umanesimo reagirono gli oratoriani francesi del cardinale de Būrulle e i solitarî di Port-Royal. I primi adottarono un'educazione più moderna: istituirono l'insegnamento della lingua nazionale, compilarono la grammatica latina in francese, diedero più largo posto allo studio delle scienze e della filosofia, la quale era ispirata ai principî cartesiani, e coltivarono il sentimento patrio. Quanto ai portorealisti, fondatori delle celebratissime Piccole Scuole, sappiamo che, malgrado il loro fondamentale pessimismo, la loro operosità educatrice si prodigava in mille cure individuali per l'alunno; che anch'essi ponevano a base degli studî la conoscenza e l'uso della lingua materna e ne facevano il mezzo di apprendimento delle altre lingue; e che il loro programma comprendeva, oltre lo studio della lingua materna, il greco, il latino, qualche lingua moderna come l'inglese, la storia, la geografia, le matematiche, la retorica e la filosofia. Tutti questi insegnamenti poi erano impartiti con la sollecitudine di creare nell'alunno una mente ben fatta, sana, e di eccitarlo a trarre dal sapere e soprattutto dalla letteratura e dalla storia elementi di educazione morale e sociale.

Per varî che siano questi indirizzi, e in qualche punto rinnovatori, gli scopi sostanzialmente rientravano nel quadro generale della difesa della Chiesa e della dottrina cattolica. Perché questa funzione non venisse meno, l'educazione nei paesi cattolici di quel periodo è tutta raccolta nella vita della Chiesa e delle corporazioni; come del resto avveniva nei paesi della Riforma. E in generale eguali erano i mezzi di cui si servirono i due grandi movimenti religiosi nella loro azione educativa, tranne che nella Riforma si ha presto l'intervento dello stato, sia pure sotto forma amministrativa. Ad ogni modo dall'opera degli educatori religiosi, cattolici e protestanti, non si può negare che derivarono alcuni notevoli vantaggi. La larga diffusione delle scuole, il riconoscimento del loro valore per l'educazione morale, sia pure sotto il riguardo della propaganda religiosa, il loro ordinamento con la divisione in classi e gradi e con programmi definiti, la compilazione dei testi scolastici e l'inizio della letteratura scolastica, la convinzione circa l'importanza che ha il governo scolastico, i primi avviamenti verso la scuola popolare, il miglioramento igienico degl'istituti di educazione, la fondazione di molti istituti di beneficenza costituiscono un'eredità preziosa.

Bibl.: Per l'educazione nella Riforma: A. Schaeffer, De l'influence de Luther sur l'éducation du peuple, Strasburgo 1853; Ch. Schmidt, La vie et les travaux de Jean Sturm, Strasburgo 1855; H. Barnard, German Teachers, Hartford 1876; J. Réville, Zuingli, in Revue Pédagogique, 1887; H. Keferstein, Martin Luthers pädagogische Scriften und Ausserungen, Langensalza 1888; K. Hartfelder, Philipp Melanchthon als Praeceptor Germaniae, in Monumenta Germaniae Paedagogica, VII, Berlino 1889; Histoire du Collège de Genève, Ginevra 1896; A. F. Leach, English schools at the Reformation, Londra 1896; C. Borgeaud, Histoire de l'université de Genève, "L'Académie de Calvin", Ginevra 1901; G. Mertz, Das Schulwesen der deutschen Reformation in XVI. Jahr., Heidelberg 1902; P. Magevney, The Reformation and Education, New York 1903; A. Bossert, Calvin, parigi 1906; E. Wagner, Luther als Pälagog, Langensalza 1906; C. Guzzo Capone, Il programma pedagogico di Lutero, in Levana, V (1926); Monumenta Germaniae Paedagogica, Berlino 1886 segg.

Per l'educazione nella Controriforma: Exterarum Scholarum disciplina apud Clericos Regulares S. Pauli, Milano 1666; Ch. A. Sainte-Beuve, Port-Royal, 3ª ed., III, Parigi 1867 segg.; G.-M. Pachtler, Ratio studiorum et Institutiones scholasticae Soc. Jesu per Germaniam olim vigentes, collectae, concinnatae, dilucidatae, Berlino 1887-1894, voll. 4; P. Lallemand, Histoire de l'éducation dans l'ancien Oratoire de France, Parigi 1888; F. Cadet, L'éducation à Port-Royal, ecc., Parigi 1887; Monumenta Paedagogica Societatis Jesu quae primam Rationem studiorum a. 1586 editam praecessere, Madrid 1901; T. Hughes, Loyola and the educational system of the Jesuits, New York 1892; H. Barnard, The little Schools of Port-Royal, Cambridge 1913; L. Tanfani, Il fine dell'educazione nella scuola dei Gesuiti, Roma 1917; R. Schwickerath, Jesuit education, its history and principles, Oxfort 1924; C. Merkle, Das Concil von Trient und die Universitäten, Wursburg 1925; G. O. Marrella, La Ratio Studiorum, introduzione, traduzine e note, Roma 1926; G. Rigault, L'institut des Frères des Écoles Chrétiennes, Parigi 1928; G. Vidari, L'educazione in Italia dall'Umanesimo al Risorgimento, Roma 1930; G. Giovannozzi, Il Calasanzio e l'opera sua, Firenze 1930.

L'educaziove moderna. - L'educazione umanistico-confessionale, così nei paesi cattolici come in quelli protestanti, viene combattuta dapprima quale ideale pedagogico e più tardi anche quale ordinamento didattico e istituzione scolastica nel corso del secolo XVIII, nella seconda metà in particolar modo, dalla critica dell'illuminismo. Al quale difatti risale la prima forma d'educazione laica moderna, rivolta consapevolmente a promuovere l'autonomia della personalità dell'educando (che già il Locke, il più influente maestro dell'illuminismo, aveva posto a fondamento dei suoi Pensieri sull'educazione), anche se il suo modo d'intendere questa personalità e in generale la vita spirituale sia in complesso rozzo e angusto. Quanto estesa e profonda sia stata la rivoluzione compiuta in poco più di un cinquantennio nel modo di concepire l'educazione, può intendere chiunque consideri, per esempio, che la medesima nazione che nel 1726-28 si compiaceva ancora di trovare espresso il suo ideale pedagogico nel Traité des Études del Rollin, nell'ultimo scorcio del secolo plaude alle relazioni del Talleyrand, del Condorcet, del Daunou e ai radicali provvedimenti scolastici della Legislativa e della Convenzione, come già pochi anni prima aveva salutato con un'esplosione d'entusiasmo la pubblicazione dell'Émile, che sovvertiva dalla base l'intuizione tradizionale dell'educazione. Questo capovolgimento dell'opinione pubblica era stato opera appunto dei corifei dell'illuminismo francese, che potenzia ed esaspera tutti i motivi di critica e matura i fermenti d'insofferenza e di ribellione venuti accumulandosi nella coscienza europea dal Rinascimento in poi, ed esprime quindi meglio e più compiutamente dell'illuminismo di altri paesi l'intrinseca natura del movimento.

I tratti più salienti dell'illuminismo sono noti. Accomuna, si può dire, tutti gl'illuministi un'intuizione della realtà individualistica e definitivamente laica, che contrappone il singolo al passato, e quindi alle istituzioni esistenti, che sogliono venir giudicate e condannate in nome della natura umana, concepita come idea e norma rivelata immediatamente alla coscienza individuale dalla "ragione". Donde la contrapposizione del diritto naturale, della religione naturale, della morale naturale alla concreta vita storica dello stato e dell'ordinamento giuridico, alle istituzioni religiose tradizionali, al costume e alla coscienza etica collettiva. Intuizione che, pur nella sua unilateralità, non poteva non esplodere e culminare in un sovvertimento radicale e rivoluzionario delle istituzioni storiche. A preparare questo sovvertimento collaborano solidalmente tutte le attività della vita spirituale nel periodo dell'illuminismo, dall'arte alla scienza, dalla storiografia alla filosofia. Difatti la stessa filosofia popolare o enciclopedistica o del senso comune, ch'è in sostanza l'espressione tipica più schietta dell'illuminismo, anziché vera e propria filosofia è un eclettismo antispeculativo, di stampo razionalistico ed eudemonistico, strumento di lotta piuttosto che disinteressata indagine del vero, adoperato a diroccare l'impalcatura della metafisica tradizionale greco-medievale e delle istituzioni di cui essa era l'anima (vetustas cessit, ratio vincit!).

Anche nell'ambito dell'educazione l'influenza dell'illuminismo si risolve piuttosto in un'azione negativa: ha dissolto e distrutto ma non riesce a prender corpo in istituzioni e metodi vitali e duraturi. Tutto l'illuminismo si può considerare il primo grande moto di educazione che si opponga fortemente all'educazione ecclesiastica, anche col fervore di proselitismo che anima la maggior parte dei corifei del nuovo messaggio di verità e ne fa quasi dei missionarî laici. Difatti questo fervore nasce dalla loro ferma persuasione, che nei minori si trasforma in presunzione farisaica, di avere finalmente conquistato la verità, lungamente negata o contesa ai loro padri. Che era sì una prima manifestazione di autonomia della coscienza, ma in una forma ancora dogmatica e teologica, sia pure di un dogma e di una teologia laica. Donde, nella considerazione dell'attività individuale e dell'educazione, un ingenuo ottimismo eudemonistico e utilitario, che è agli antipodi di ogni serio processo formativo delle coscienze. In breve, l'educazione illuministica è sì rivolta a promuovere la personalità dell'educando, ma in una forma così estrinseca e superficiale da rivelare una completa ignoranza dell'intima e profonda complessità della natura umana. Non si mira già a sollecitare il processo di conquista personale della verità, da parte dell'educando, che è l'esigenza più profonda di tutti i grandi educatori moderni, dal Rousseau in poi, ma a comunicare piuttosto e diffondere, con ben congegnati metodi educativi, i risultati già conseguiti. La stessa moralità si fa nascere dalla luce della conoscenza, e dalla moralità la felicità, supremo scopo della vita individuale e quindi anche dello stato.

Ma l'originalità pedagogica del movimento consiste, piuttosto che nel nuovo concetto dell'educazione, nel nuovo fine assegnatole, nell'avere spostato definitivamente l'interesse pedagogico. Fine dell'educazione cessa di essere la sapiens et eloquens pietas o la literata pietas dell'umanesimo confessionale, così protestante come cattolico, e diventa la formazione del cittadino, il quale, attraverso il sapere, si deve sollevare all'autonomia intellettuale e morale, e per taluni anche politica, conseguendo ad un tempo dignità umana e felicità. Ma questo fine si crede ingenuamente di conseguirlo con la conoscenza delle cose, contrapposta a quella delle parole. La polimazia enciclopedistica è difatti l'ideale della cultura illuministica. Spingeva in questo senso, oltre l'intrinseca logica della posizione mentale degl'illuministi, la richiesta d'una cultura realistica e utilitaria rinnovata con insistenza sempre più imperiosa dalla nuova classe che avanzava baldanzosa alla ribalta della storia.

La lotta contro la tradizione umanistica in nome di esigenze utilitarie è difatti una caratteristica comune all'illuminismo di tutti paesi, anche se in Francia in particolar modo assume una forma più aggressiva, perché alla nuova cultura si attribuisce spesso una virtù catartica e una funzione liberatrice dai pregiudizî del passato. La borghesia ha perduto ogni gusto per l'aristocratica raffinatezza e il formalismo logico ed estetico della cultura umanistico-confessionale. Consapevole ormai delle sue forze e aspirante al dominio dello stato esige una cultura che la agguerrisca nella lotta che sta per intraprendere, fatta di esperienza vissuta e non di parole.

Il primo passo verso una radicale trasformazione dell'educazione secondo i postulati dell'illuminismo fu fatto dai principi riformatori. Con l'espulsione dei gesuiti, con l'introduzione della lingua nazionale e delle prime nozioni di cultura moderna, e coi primi tentativi di sorvegliare e dirigere nelle scuole l'istruzione pubblica, sia pure per ragioni di politica anticurialistica, essi aprono la via alle innovazioni che culmineranno nella Rivoluzione francese. Ma l'accordo fra le nuove forze sociali e il principato non poteva durare a lungo. La nuova classe dirigente seconda i principi nella loro opera di laicizzazione dell'educazione pubblica, ma non può appagarsi di quel che essi sono in grado di concedere. Il dispotismo illuminato non poteva difatti condurre in porto quest'opera. Esso celava in seno un'intima contraddizione che ne affrettò la caduta. Scatenò forze che non era in grado di dominare e che lo travolsero.

Con la Rivoluzione, dalla quale ha inizio in Francia lo stato moderno nazionale, il problema dell'educazione pubblica è posto su basi radicalmente nuove. La scuola cessa di essere monopolio di un ceto ecclesiastico o un'attività privata e viene concepita come il più poderoso strumento di auto-conservazione della nazione, interprete ad un tempo e plasmatrice della coscienza collettiva. La politica scolastica rivoluzionaria, pur nella limitatezza e angustia dei presupposti filosofici illuministici da cui muove, segna definitivamente il trapasso dalla scuola clericale alla laica e nazionale, dall'umanesimo confessionale alla cultura moderna materiata dei problemi morali, sociali, economici, politici scaturiti dal vigoroso moto di pensiero che dal Rinascimento in poi ha trasformato la vita spirituale.

La soluzione dei problemi che la nuova organizzazione statale della scuola impone all'attenzione dei legislatori è per lo più inadeguata, ma lo stato moderno non arretrerà più e progredirà sempre più energicamente sulla via tracciatagli dalla Rivoluzione. Difatti la scuola popolare moderna, ritenuta come organismo di stato, e funzione essenziale pubblica, nasce, almeno nei paesi latini, col Talleyrand, col Condorcet, con la Convenzione. La scoletta di avviamento allo studio del latino, conquista la sua autonomia e una sua finalità, ed è trasformata in un microcosmo in cui si rispecchiano, in forma rudimentale, i complessi interessi della nuova civiltà. Muteranno lo spirito dell'insegnamento e un po' anche il contenuto, ma l'ossatura della nuova istituzione rimarrà intatta e diventerà il fondamento dell'ordinamento educativo statale in tutti i popoli moderni.

Lo stesso si dica della scuola media. L'ordinamento di essa tentato dalla Rivoluzione, non regge a lungo. Le scuole centrali hanno una vita brevissima e Napoleone torna alla tradizione classica. Ma la vecchia scuola di tipo umanistico-confessionale non risorgerà più. Nel corso del sec. XIX la scuola media procurerà di soddisfare sempre meglio all'esigenza della nuova classe dirigente: una cultura viva, concreta, realistica, affiatata con la vita, che tempri alle lotte di un reggimento libero e al libero esercizio dell'attività politica, economica e professionale.

L'impronta negativa ha nociuto anche alle innovazioni rivoluzionarie nell'ambito dell'insegnamento superiore, e in particolar modo all'ideale universitario del Condorcet. Fare della scienza, liberamente coltivata negl'istituti d'insegnamento superiore, altrettanti fari di luce, e quasi la matrice di tutta la cultura nazionale, era idea che doveva essere sempre più intesa e realizzata nel corso del sec. XIX.

Ma la scienza di cui propugnava la diffusione il Condorcet, era negativa, aggressiva, virulenta, era la scienza dell'illuminismo e dell'enciclopedia: piuttosto scientismo che scienza. Era naturale che il tramonto dell'ideale enciclopedistico significasse anche il tramonto, almeno momentaneamente, del concetto d'istruzione superiore dei pedagogisti della Rivoluzione. Difatti le uniche creazioni vitali d'insegnamento superiore sopravvissute alla Rivoluzione, che aveva distrutto l'antico ordinamento delle facoltà, sono state le scuole dei servizî pubblici e le scuole speciali sorte per lo più sotto l'assillo della necessità. Ma al naufragio di gran parte delle istituzioni rivoluzionarie si sottrarrà il più fecondo insegnamento della Rivoluzione. Essa aveva trasformato delle corporazioni privilegiate, chiuse, in un'istituzione fondamentale dello stato, cui era affidato il compito di promuovere, libera da qualsiasi vincolo estraneo, il progresso della scienza e l'educazione d'una élite. Oltre la rinnovazione interna delle facoltà (la sostituzione dello studio dei nuovi problemi giuridici e sociali al formalismo giuridico delle antiche facoltà di diritto, le esercitazioni cliniche introdotte nelle facoltà di medicina, la creazione di un insegnamento superiore di scienze e lettere), è questo il maggiore legato della Rivoluzione al sec. XIX, nell'ambito dell'educazione scientifica.

L'insegnamento della pedagogia rivoluzionaria solo molto tardi però ha finito con l'imporsi nella tradizione scolastica francese e col diventare indirizzo di governo. La Francia ha scontato con un lungo periodo di illusioni e di delusioni, di deviamenti e traviamenti, di reazione politica e cattolica, le innovazioni recate alla civiltà moderna mediante la Rivoluzione. Si può dire che fino al 1880 circa, eccettuato, e solo in parte, il breve periodo della Monarchia di luglio, i principî fondamentali della pedagogia rivoluzionaria rimangono programma ideale di una minoranza che solo saltuariamente influisce sull'effettiva politica dello stato.

Meno radicale, ma più organico e continuativo, è stato il rivolgimento compiutosi nella coscienza educativa dei popoli tedeschi, e in particolar modo della Prussia, dalla metà del Settecento in poi. In poco più d'un cinquantennio la Prussia ha saputo costituirsi un saldo organismo scolastico, del tutto nuovo nella struttura e nello spirito animatore, che le generazioni posteriori, pure ampliandolo e svolgendolo, in sostanza hanno conservato immutato nelle linee fondamentali. In questa spontaneità e continuità di svolgimento educativo è forse il segreto della rapida ascensione del popolo tedesco dopo il tramonto di Napoleone; spontaneità e continuità da spiegarsi in parte col vigoroso, sebbene non di rado antiquato, senso dello stato, che ha sempre accomunato i più diversi indirizzi della politica tedesca, ma soprattutto con l'intima fusione di tutte le forze spirituali, compresa la religiosa, nel periodo in cui venivano gettate le basi del nuovo stato. Mentre, difatti, il cattolicesimo, dalla Controriforma in poi, si è sempre più irrigidito in una posizione di difesa del passato, contrastando con tutti i mezzi il costituirsi e l'assodarsi d'una coscienza laica autonoma, il protestantesimo tedesco, sia in modo diretto e negativo, con lo spezzare la granitica unità dell'ortodossia e della gerarchia romana cui non fu più in grado di sostituire una salda organizzazione ecclesiastica, sia direttamente e positivamente, col fermento d'individualismo introdotto nella vita religiosa, sia infine con la costituzione delle chiese nazionali, cioè con la subordinazione di fatto della politica ecclesiastica a quella statale, finì col favorire, evitando troppo profonde lacerazioni nel tessuto della storia spirituale del popolo tedesco, il sorgere e rafforzarsi di una coscienza moderna, non esente da gravi oscillazioni e squilibrî, ma nel complesso salda ed organica. L'aver superato rapidamente l'unilaterale se pur feconda intuizione illuministica della vita, in una visione comprensiva ed organica della realtà, in cui trovavano adeguato soddisfacimento le esigenze più apparentemente contrastanti della coscienza moderna al suo uscire dalla tutela ecclesiastica, ha dato alla cultura tedesca, alla fine del sec. XVIII e al principio del XIX, una così alta consapevolezza della propria superiorità, da imprimere un sigillo di compatta unità al processo di svolgimento delle sue istituzioni educative, nel periodo più travagliato del suo risorgimento nazionale. Nessun popolo moderno può vantare quanto il tedesco, nonostante il suo particolarismo territoriale, e nonostante un intimo dualismo messo ripetutamente in risalto nel suo pensiero politico, una più ferma coerenza nel conseguire le sue idealità educative fondamentali e una più intima uniformità sotto l'apparente discontinuità della superficie. Difatti l'illuminismo, che, anche in Prussia e in altri paesi tedeschi, contribuisce potentemente a svecchiare la cultura e a sottrarre le istituzioni educative alle influenze confessionali, non si è mai irrigidito in una posizione rivoluzionaria, per difetto fra l'altro di un'opposizione talmente salda da esasperarne le forze fino alla violenza, ed è stato quindi facilmente riassorbito da un moto di pensiero molto più profondo e comprensivo che mette capo al nuovo umanesimo e all'idealismo classico. Le trasformazioni che si sono compiute nella vita scolastica della seconda metà del sec. XVIII sono meno radicali di quelle compiute in Francia dalla Rivoluzione e da Napoleone, ma forse non meno profonde.

Il moto di rinnovamento è capeggiato dalle università di Gottinga, di Halle e di Lipsia, dalle prime due in particolar modo, di recente formazione. Quella di Gottinga, fondata (1837) in contrapposizione alle vecchie università provinciali, decrepite nelle idee e nei metodi, che soltanto la raffica napoleonica riuscirà a schiantare dalle fondamenta, gode, fin dall'inizio, di una notevole libertas philosophandi, che l'oculata intransigenza teologica ostacolava nelle altre, e dà al proprio insegnamento un'impronta così decisa di modernità e di universalità, che in pochi anni acquisterà un predominio incontrastato sulla vita intellettuale tedesca, destinata a crescere ancora quando essa diventerà la roccaforte del neoumanesimo. Essa è ormai un'istituzione statale e non già una corporazione indipendente come gran parte delle sue consorelle. Dispone di larghi mezzi, impartisce l'insegnamento in tedesco, e alla teologia e filosofia scolastica, che si coltivano quasi esclusivamente in altre, ha sostituito le nuove scienze, il diritto politico, la storia, le scienze naturali, la filologia. Il suo esempio a poco a poco opera anche sulle altre. Le università tedesche nei primi decennî del secolo saranno il crogiuolo delle migliori forze nazionali e capeggeranno il movimento, prima di riscossa contro Napoleone, poi di risorgimento nazionale.

Nell'istruzione media classica, accanto alla quale sorge a Berlino nel 1747 la prima istituzione d'insegnamento tecnico, la Realschule di Hecker, il rinnovamento è stato meno rapido. La creazione della nuova scuola umanistica tedegca risale al decennio 1808-1818, ma un'ininterrotta, sebbene lenta, trasformazione dello spirito e dei metodi e un ampliamento continuo del curricolo si notano già nei ginnasî delle maggiori città del Nord negli ultimi decennî del sec. XVIII. L'insegnamento medio, nella seconda metà del secolo, viene sempre più sottraendosi alla tutela ecclesiastica e gl'insegnanti diventano funzionarî statali, come già è affermato recisamente nell'Allgemeines Landrecht del 1794.

Dopo la grande riforma dei primi decenni del sec. XIX, la storia scolastica tedesca, per quanto concerne la scuola media, è occupata in sostanza dalle lotte ehe accompagnarono e seguirono il consolidarsi della nuova scuola classica, e dal rapido incremento dell'altro tipo di scuola, non meno importante nella vita del popolo tedesco, la Realschule, che finì col tripartirsi in Realschule, Ober-Realschule e Realgymnasium e con l'entrare in lizza col ginnasio classico. Notevolissimo incremento nel corso del secolo, parallelo al rapido affermarsi della Germania nel campo delle competizioni industriali e commerciali, ebbero pure le scuole speciali (Fachschulen) di ogni tipo, così inferiori e medie come superiori.

L'insegnamento elementare, pur non proponendosi ancora la finalità che gli assegnarono i legislatori pestalozziani del primo ventennio del secolo seguente: l'educazione all'umanità dei ceti più umili, già da Federico il Grande è considerato funzione essenziale di stato, e imposto ai cittadini come uno dei primi doveri civili, anche nel più umile villaggio. E la Prussia non tornerà più indietro, neppure nei periodi di più cieca reazione politica, come accadrà invece presso parecchi altri popoli europei. E i frutti di questa intelligente e coerente politica scolastica furono incalcolabili nella storia della Germania moderna.

Anche in Italia, nell'ultimo trentennio del sec. XVIII, s'introducono notevoli innovazioni nelle scuole di ogni grado, promosse dai principi riformatori, con una mira ancora molto limitata. Essi si propongono da un lato di strappare al clero il suo influsso sull'istruzione con l'istituire un nuovo regime scolastico, uniforme e laicale, governato e invigilato dal potere civile. Dall'altro mirano a meglio conformare l'insegnamento ai molti bisogni professionali e culturali nati dalla diffusione delle scienze fisico-matematiche e dai progressi compiuti dagli studî economici, medici e giuridici. Ma una coscienza educativa davvero moderna non comincia a delinearsi in Italia che agli albori del sec. XIX. Anche nell'ambito scolastico, il dominio napoleonico esercitò infatti un'azione efficace sulla nostra storia, spezzando anzitutto gli ultimi legami che avvincevano le nostre istituzioni all'ordinamento feudale e affrettando, così positivamente come negativamente, un processo spontaneo di trasformazione interna di tutta la compagine della vita italiana, che si era iniziato già nel corso del sec. XVIII. Ma le riforme napoleoniche non riuscirono a mettere profonde radici. La reazione fa ogni sforzo per cancellare le vestigia del quindicennio o ventennio precedente, per estirpare dalle radici le istituzioni d'origine rivoluzionaria, per soffocare le vaghe aspirazioni liberali che cominciavano a germogliare nell'animo dei più consapevoli. E la scuola ritorna sll'antico. L'unica forza rinnovatriee che opera negli anni della restaurazione principesca è l'iniziativa privata, cui si aggiunge, un po' più tardi, la nuova letteratura liberale e rivoluzionaria. D'una politica seolastica degna di questo nome non si può parlare in Italia prima del decennio 1848-59 in Piemonte.

La legge organica Casati del novembre 1859 tracciava le linee fondamentali dell'ordinamento scolastico che ha retto tutta la nostra istruzione pubblica e privata fino alla rifomia Gentile del 1923.

Caratteristiche del tutto peculiari e originali presenta e continua a conservare anche oggi l'ordinamento moderno degl'istituti educativi in Inghilterra. Siamo agli antipodi della concezione latina e tedesca. Le rivoluzioni politiche e religiose e il processo di formazione dell'Impero britannico hanno fatto dell'inglese il popolo più individualista d'Europa, ma il suo individualismo non ha nulla di romantico e di anarchico. La liberta degl'Inglesi è la libertà nella legge, come avverte chiunque osserva un po' attentamente la vita inglese in tutte le sue manifestazioni. Il senso della legge e dell'ordine è talmente concresciuto con loro, è talmente fuso con la loro tradizione, è diventato un abito così spontaneo da indurli a considerare come una violazione della loro personalità ogni forma di pressione dall'esterno. Donde la funzione limitatissima del potere pubblico in Inghilterra e il prevalere in tutte le attività sociali anche in quelle che altrove si sogliono considerare essenziali funzioni di stato, dell'iniziativa privata. Gl'interventi ufficiali, afferma un acuto osservatore della civiltà inglese, seguono, non precedono mai l'azione dei privati. Così le più radicali trasformazioni compiutesi nell'educazione inglese nel corso del sec. XIX, molto meno radicali ad ogni modo di quelle compiutesi nei paesi continentali, non sono state mai promosse dallo stato. Soltanto molto tardi si accentua un suo più diretto intervento nell'istruzione primaria. Lo ha fatto quasi costretto dalla pressione dell'opinione pubblica agitata dalle correnti liberali, ma pur sempre timidamente, a gradi, e anche oggi, che s'è addossato gran parte dell'onere finanziario dell'istruzione elementare, è alieno dall'imporre un indirizzo uniforme.

Nel complesso però l'intero organismo dell'educazione inglese conserva una fisionomia inconfondibile e non ha nulla di comune con le tradizioni pedagogiche dei maggiori popoli del continente, e il progresso più notevole compiutosi nel corso del sec. XIX è consistito piuttosto in un approfondimento e svecchiamento a un tempo dello spirito già predominante nella scuola inglese che in riforme d'istituzioni e di metodi. Gl'Inglesi non sogliono concepire la cultura come i popoli latini e germanici. Preferiscono la vigoria fisica e la tempra della volontà al sapere. Hanno poco gusto per la conoscenza disinteressata, ma hanno profondissimo il senso dell'autonomia morale e dell'indipendenza del carattere. La loro è una morale di pionieri e di dominatori. Donde il prevalere nei loro istituti dell'internato organizzato come una famiglia di eguali, e un ordinamento gerarchico basato sull'effettiva superiorità di chi presiede agli altri (tutorial system e istituto dei monitori), donde la grande indipendenza concessa ai ragazzi dapprima in famiglia e poi nella scuola, la politica della fiducia, il culto della franchezza e del self help e l'orrore della menzogna inculcati fin dai primi anni, donde finalmente il prevalere degli esercizî fisici all'aria aperta e dei giuochi nazionali, maestri di sangue freddo, di auto-disciplina, di spirito d'iniziativa, sullo studio sedentario e sull'insegnamento orale dei doveri. Nel sistema scolastico inglese solo un'élite si solleva a un sapere davvero superiore: i più non pervengono che a un grado molto mediocre di cultura; perciò gl'Inglesi nel loro complesso sono molto meno colti degli altri popoli continentali. E anche la minoranza aristocratica difficilmente riesce a nascondere una certa angustia e limitatezza dell'orizzonte spirituale, da cui ci può liberare soltanto il culto del sapere disinteressato, ma in compenso il giovane reca con sé nella vita una sanità e freschezza di forze, un ardore d'azione, un dominio e una sicurezza di sé, che hanno fatto del popolo inglese uno dei più grandi pionieri di civiltà del mondo moderno.

Al principio di questo secolo, dopo il trionfo del positivismo e del conseguente principio neutrale e agnostico che aveva dominato nella scuola, sorge e si afferma in Italia una nuova filosofia idealistica, e anche il problema dell'educazione viene posto su nuove basi. Già fin dal 1907 il Gentile, nel Congresso di Napoli della Federazione degl'insegnanti medî, aveva affermato la necessità d'introdurre l'educazione religiosa nelle scuole elementari, e da allora in poi le critiche alla scuola neutra divennero sempre più frequenti e radicali. Confutato il dualismo di istruzione e di educazione, si sentì il bisogno di sostituire alla scuola informativa quella formativa e di dare a tutto l'insegnamento un'unità spirituale ed etica. Ma solo dopo la marcia su Roma, quando col Fascismo si giunge a trasformare in comune coscienza politica alcune delle esigenze fondamentali del pensiero idealistico, questo nuovo ideale educativo è stato attuato sul serio. Con la riforma Gentile del 1923 nulla del vecchio ordinamento degli studî, dalle elementari alle università, è lasciato immutato (v. italia: Ordinamento scolastico): istituti e programmi si trasformano alla luce del nuovo principio informatore. Il quale può brevemente riassumersi nell'affermazione dell'eticità dello stato, per cui l'educazione, pubblica o privata, è tutta svolta nell'ambito e secondo le direttive dello stato (istruzione stricto sensu, educazione fisica, educazione artistica, educazione morale, educazione religiosa). E a tale principio s'informa in gran parte l'ulteriore legislazione fascista e soprattutto l'aggregazione al Ministero della pubblica istruzione dell'Opera Nazionale Balilla e la contemporanea trasformazione del ministero stesso in Ministero dell'educazione nazionale.

Naturalmente tali criterî fondamentali della politica scolastica fascista hanno dato luogo in Italia a molte discussioni, specialmente nel campo ecclesiastico; e più volte si sono sollevate obiezioni sul carattere totalitario della scuola di stato. Massimo documento di queste obiezioni è l'enciclica Rappresentanti in terra (31 dicembre 1929), nella quale si tornano a stabilire i capisaldi della dottrina cattolica dell'educazione: "l'educazione cristiana comprende tutto l'ambito della vita umana, sensibile e spirituale, intellettuale e morale, individuale, domestica e sociale, non per menomarla comechessia, ma per elevarla, regolarla e perfezionarla secondo gli esempî e la dottrina di Cristo". La Chiesa insomma non ammette l'educazione laica e il monopolio di stato. Il governo fascista mantiene però rigorosamente il concetto totalitario dello stato anche nel campo dell'educazione, pur riconoscendo l'alto valore della formazione religiosa dello spirito.

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L'educazione fisica.

Secondo il concetto classico, ripreso poi dall'umanesimo e oggi prevalente, la cultura fisica è parte integrante dell'educazione generale. Si pensa presentemente con ragione che essa non si "aggiunge" all'educazione dello spirito, ma va invece considerata come una vera e propria educazione spirituale.

Cenni storici. - Se l'origine delle pratiche mediante le quali si cerca di accrescere la forza e l'agilità del corpo si confonde con le stesse origini storiche dell'umanità, è necessario però distinguere tra l'addestramento empirico, praticato anche dai primitivi, e quello sistematico, che sorge presso i popoli più evoluti, in forme diverse a seconda dei principî informatori prevalenti. Presso gli stessi primitivi, d'altronde, si nota una diversità di esercizî a seconda delle abitudini di vita e dei relativi scopi da raggiungere: i popoli dediti alla caccia o alla guerra eserciteranno il lancio di pietre, il maneggio di armi primitive, l'arrampicarsi, la lotta, la corsa; non così i popoli agricoltori o pastori, e meno ancora quelli che vivono di pesca e di prodotti naturali del suolo. Tra i popoli primitivi in cui è stato più sviluppato l'addestramento fisico citiamo i Polinesiani le popolazioni guerriere dell'Africa, i Pellirosse.

Variamente sentita fu l'opportunità dell'educazione fisica nelle civiltà antiche. I Cinesi conobbero una forma di ginnastica medica, oltre al salto, alla corsa, al maneggio delle armi; mancò peraltro un addestramento sistematico e diffuso. Così pure gl'Indiani, benché i Veda contengano nozioni d'igiene e si sappia che alcuni esercizî, talvolta esagerati e deformanti, venivano sporadicamente praticati. Nell'antico Egitto la casta militare era, si può dire, la principale depositaria dell'educazione fisica, ma anche le altre caste ne riconoscevano l'opportunità, e i fanciulli venivano addestrati in varî esercizî, mentre carattere spettacoloso, con intenti già propriamente atletici, aveva la ginnastica civile. Presso gli Ebrei l'addestramento fisico si riduceva all'esercizio ginnico-militare; i Persiani, invece, ebbero di mira uno sviluppo armonico del corpo anche indipendentemente dagli scopi diretti della guerra, e conforme fu la preoccupazione degli educatori.

La vera prima fioritura dell'educazione fisica si ha però soltanto nella Grecia classica. Nei poemi omerici troviamo ampie descrizioni di esercizî atletici, volti però soprattutto al collaudo fisico dei guerrieri; si tratta quindi, in massima, di agonistica militare. Ma già a Sparta l'educazione greca importa un'ulteriore esigenza morale: dominio di sé e dei proprî atti; e la cultura fisica si organizza di conseguenza. Nel periodo aureo, agli esercizî partecipavano soltanto i cittadini liberi, ma l'educazione fisica era diffusa in tutto il mondo ellenistico (v. agoni; coma; danza; ginnastica; ludi; olimpici, giuochi, ecc.); fin dai sette anni gli esercizî ginnastici costituivano una vera educazione fisiologica adeguata all'età dell'educando; alla loro base stanno la corsa e il salto: gli esercizî più difficili della palestra formavano parte del programma del primo triennio del ginnasio - sino ai 18 anni - e i giovani si dedicavano al pentathlon (corsa, salto, lancio del disco e del giavellotto, lotta). L'educazione dell'efebo (dai 18 ai 20 anni) era propriamente premilitare e consisteva nell'addestramento alle armi, nelle evoluzioni per squadra, nelle esercitazioni all'aperto, nelle finte battaglie. Completavano il pentathlon altri certami atletici, come il pugilato, il pancrazio, l'oplomachia. La base dell'educazione fisica fu però sempre costituita dagli esercizî del pentathlon, come i più formativi da un punto di vista fisiologico, e la medicina applicava negli esercizî norme igieniche e terapeutiche, esposte specialmente da Ippocrate e Asclepiade. Giunta al suo apogeo, la cultura fisica ellenica degenerò poi nel professionismo.

Nell'Etruria, per quanto ci consta, le manifestazioni ginniche non ebbero un carattere educativo. Prevalsero gli spettacoli gladiatorî, il pugilato, la lotta, ma senza alcun intento formativo.

Nel mondo romano l'educazione fisica mira dapprima soprattutto alla formazione del legionario: si tratta quindi, anche qui, di agonistica militare; gli esercizî non hanno uno svolgimento sistematico come in Grecia, né si propongono alcun ideale estetico. Il maneggio delle armi richiedeva un addestiamento continuo, e le esigenze militari formavano la costante preoccupazione del cittadino. Assai curata è, invece, l'igiene (es. l'abitudine diffusissima dei bagni). A ogni modo, quando, nel periodo imperiale, l'esercito divenne permanente e le milizie si specializzarono non mancò nell'ambito militare un addestramento sistematico. L'esercizio fisico ebbe influenza politica e sociale, con i pubblici giuochi, le gare del circo, ecc., ma solo sotto Augusto, con i collegìa iuvenum, si ebbe qualcosa di simile a quanto si era fatto in Grecia; poi il professionismo dilagò e la decadenza fu completa.

Nel Medioevo gli esercizî fisici, sia in forme che ricordano quelle dei Greci e dei Romani, sia in forme nuove, sono riservati, come l'uso delle armi, a una classe poco numerosa; si tratta, più che altro, di addestramento alla vita militare, e non si può parlare di una vera e propria educazione fisica. Solo con l'umanesimo si compie un passo avanti verso i principi educativi moderni. Per gli umanisti l'educazione fisica s'impernia sull'educazione della volontà, e dal Petrarca a noi si riconosce che la resistenza organica, l'armonia delle diverse parti dell'organismo, non sono date e mantenute nell'uomo da forze incoscienti, ma dipendono da un potere intemo e si appoggiano a una volontà disciplinatrice. Il Vergerio voleva far ritornare in onore la tradizione spartana. Dallo stesso spirito sono animati Maffeo Vegio, Enea Silvio Piccolomini, Francesco Patrizi. Secondo Leon Battista Alberti, l'uomo deve sentire lo stesso esercizio fisico quale processo di vita. L'esercizio corporeo rientra nel programma di educazione del nostro Quattrocento, e tale programma viene tradotto in pratica nella Casa Zoiosa di Vittorino da Feltre.

Lo studio della razionale applicazione dell'addestramento fisico si approfondisce nei secoli XVI, XVII, XVIII. Tra i medici scrissero di educazione fisica A. Gazi, L. Cornaro, G.C. Scaligero, A. Baccio, G. Alessandirini, M. Cagnati; fra i teorici della ginnastica va ricordato P. Fabri. Rievocò gli esercizî dell'antichità classica, compilando un vero trattato con criterî scientifici, il medico Girolamo Mercuriali (De arte gymnastica, Venezia 1569). Tra gli stranieri si occuparono di educazione fisiologica il Campier, il Fuchs, il Joubert, medici e igienisti. Si ebbero poi varî trattati relativi a speciali esercizî. La Riforma comprese la cultura fisica nei suoi programmi educativi, per quanto i suoi principali rappresentanti non aderissero del tutto ai criterî di Vittorino da Feltre; e dopo di essa l'insegnamento dei teorici prosegue senza interruzione. Anche Girolamo Cardano si occupò di educazione fisica. Ansaldo Cebà difende un programma che si riconnette a quello della Casa Zoiosa. Più importante l'opera di J. Locke, che peraltro esagerò sia in teoria sia in pratica e volle assoggettare il fanciullo a un indurimento fisico eccessivo. Il suo programma, benché vasto, non è completo: comunque esso è rimasto alla base della concezione inglese dell'educazione fisica. Apprezzati nel sec. XVIII furono, tra gli altri, gli scritti di G. A. Borelli, dell'Alsted, del Vossio, del Falconieri. Il Rousseau riconosce pienamente il valore dell'esercizio corporeo. Altri pedagogisti del secolo sono tutti favorevoli a un'educazione fisiologica: così il Genovesi, lo Stellini, il Gorani, il Torri, il Filangieri.

Un nuovo movimento educativo venne promosso in Germania nel sec. XVIII da J.B. Basedow (v.) che, primo dopo il Rambaldoni, tradusse in pratica un suo concetto unitario dell'educazione. I suoi più noti seguaci furono J. H. Campe, Ch. H. Wolke, G. U. A. Vieth, K. Fr. Bahrdt, Fr. Guts Muths, Ch. G. Salzmann. Quest'ultimo, che ebbe C. André e Fr. Guts Muths come coadiutori, perfezionò il sistema del maestro nel celebre istituto di Schnepfenthal. Il Guts Muths fu chiamato dai contemporanei il "rinnovatore della ginnastica", egli vide nell'esercizio fisico un mezzo di educazione morale, sociale e politica, e la sua opera già si fonda sulla conoscenza scientifica dell'educando e su principî pedagogici. Assai più che in Germania, essa fu apprezzata e seguita in Danimarca, in Francia e in Svizzera. Ai principî del Guts Muths e del Vieth (autore quest'ultimo di un Versuch einer Encyklopädie der Leibesübungen, voll. 3, Berlino e Lipsia 1794-1818) s'ispirò forse in parte l'opera del grande pedagogista svizzero Pestalozzi, che fu un apostolo della ginnastica scolastica e introdusse nuovi importantissimi principî nell'educazione generale. Alla ginnastica formativa fu fatto un largo posto nell'istituto di Yverdon, e i criteri del maestro furono applicati con zelo dai suoi numerosi seguaci. Anche per il Fröbel la ginnastica è elemento indispensabile nell'educazione del fanciullo.

La pedagogia del sec. XIX accolse infine pienamente l'educazione fisica quale parte integrante dell'educazione generale. Se ne occuparono il Rosmini, l'Aporti, il Boncompagni, il Gioberti; la propugnò con calore il Rayneri, la cui opera fu poi completata da G. Allievo. Lo Spencer la difese con fervore di apostolo. Il francese Guyau propugnò la ginnastica eclettica contro l'unilaterale ginnastica svedese. Il Herbart e i suoi seguaci ne dimostrarono l'efficacia sociale e politica. Dei neoidealisti italiani, specie il Gentile e il Fazio-Allmayer attribuirono all'educazione fisica il compito di formare caratteri e volontà. Tra i medici e gl'igienisti la propugnarono in Italia il Mantegazza, il Mosso, il Todaro, il Sergi; in Francia il Lagrange, il Tissié, il Marey, il Richet; in Germania il Dubois-Reymond.

Direttive e applicazioni nei varî paesi. - Nello sforzo diretto a raggiungere un sistema scientifico definitivo di educazione fisica si sono imposte particolarmente le tendenze tedesca, svedese e inglese. Gli altri paesi aderirono più o meno all'una o all'altra di esse. Considereremo brevemente le caratteristiche dell'educazione fisica nei principali stati moderni, per esaminare da ultimo quanto si è fatto e si fa in Italia.

In Danimarca fu fondato da F. Nachtegall il primo istituto ginnastico d'Europa (1800), e altri se ne aprirono negli anni seguenti. Nel 1829 l'obbligatorietà della ginnastica nelle scuole era sanzionata, e già nel 1830 essa veniva insegnata in 2000 scuole civili, mentre l'Istituto centrale di Copenaghen aveva abilitato oltre 1700 insegnanti. All'attività scolastica si aggiunge quella dei "giovani esploratori" e delle varie società ginnastiche e sportive, oltre all'educazione fisica militare e premilitare. La ginnastica praticata in Danimarca non ha però un suo sistema originale: si fondò inizialmente sulle teorie del Guts Muths, più tardi su quelle di F.L. Jahn e A. Spiess; anche la ginnastica svedese influì sul metodo d'insegnamento che tuttora impera nelle scuole danesi. Ln nuovo inditizzo è stato impresso dal Bukh, ma le finalità dell'insegnamento si limitano sempre alla ricerca di effetti immediati e utili, sperimentalmente dimostrabili, la spontaneità e la libertà dell'educando sono ancora assai sacrificate.

La Svezia ha dato il sistema di ginnastica, detto appumo "svedese", che ha trovato ammiratori in tutti i paesi. Lo fondò P. H. Ling, allievo del Nachtegall, con finalità prevalentemente fisiologiche e introducendo l'uso di attrezzi speciali (v. Ginnastica). Di esso, originariamente diviso in ginnastica medica, pedagogica, militare ed estetica, non sopravvisse che la parte fisiologicamente formativa. Il sistema del Ling (morto nel 1839) non ha subito grandi trasformazioni: inteso dal fondatore come un mezzo di rigenerazione sociale, esso si presta invece a divenire una pratica pedante e non si fa amare dagli alunni. Le associazioni ginnastiche in Svezia non sono, infatti, molto numerose, mentre sono ovunque diffusi i giuochi e gli sport di tipo inglese. Le associazioni ginnastiche e sportive dipendono da un comitato centrale; vi sono alcuni importanti istituti, oltre a quello centrale che abilita gl'insegnanti civili e militari. La ginnastica, che nelle scuole maschili fu dichiarata obbligatoria fin dal 1828, ora è obbligatoria in tutte le scuole della Svezia.

In Norvegia l'educazione fisica risente dell'influsso tedesco, e ancor più di quello inglese; più numerose che in Svezia sono le associazioni. La scuola centrale di Oslo abilita i docenti.

Varie furono le vicende dell'educazione fisica in Germania nel secolo XIX. F. L. Jahn iniziò nel 1811 la sua attività con la fondazione di una scuola-palestra presso Berlino e promovendo giuochi ginnici con attrezzi, vita all'aperto, abitudine alla frugalità, nell'intento di temprare le nuove generazioni anche in vista delle guerre avvenire. Avversario della Restaurazione, lo Jahn venne imprigionato e l'educazione fisica (novembre 1819) fu proibita in tutte le sue forme dal governo prussiano. Le istituzioni che non ne dipendevano proseguirono peraltro la loro attività, disciplinata dal Werner, dal Krumpp, dal Richter, dal Hoch, dal Martensen. Il sistema dello Jahn fu sviluppato da E. Eiselen, che dopo la revocazione del divieto anzidetto poté aprire nel 1846 una grandiosa palestra, mentre fin dal 1843 l'educazione fisica era stata affidata a un altro discepolo dello Jahn, H. F. Massmann. Questi, benché teorico valente, non comprese la necessità di separare la ginnastica sculastica dallo sport delle associazioni, e nel 1848 venne esonerato dall'incarico. Suo diretto avversario fu lo Spiess, che creò il sistema ginnastico tedesco più perfetto, riconoseendo la necessità d'una razionale graduazione degli esercizî, secondo eriterî rigorosamente scientifici e didattici, ispirati dalle teorie del Pestalozzi. Lo Spiess riuscì con successo a opporsi all'introduzione in Germania della ginnastica svedese: ebbe come seguaci M. Kloss e il Lange. Intensificatasi la vita delle associazioni, alle feste ginnastiche cominciarono ben presto a convenire migliaia di cittadini: nel 1849 v'erano in Germania 300 società con 120.000 soci. Dopo i fatti del'48 e del'49 se ne salvarono appena un centinaio. La ripresa si ebbe nel 1857, e negli anni seguenti le associazioni ebbero un nuovo prodigioso sviluppo. All'Unione ginnastica tedesca aderivano nel 1864 170.000 soci e accanto a essa fiorì l'Unione dei maestri di ginnastica. Le guerre del'64, del'66 e del'70 ritardarono soltanto di poco il progresso dell'educazione fisica tedesca, che dopo il'70 riprese maggior vigore. Nel 1910 le associazioni erano 9000 e i ginnasti nel 1914 superavano il milione. Nella preparazione del corpo insegnante prevalse a Berlino il sistema Jahn-Eiselen, a Dresda il sistema Spiess e a Stoccarda quello di O. H. Jäger. Dopo il 1895 si volle che tutti i docenti di materie letterarie nelle scuole medie conseguissero l'abilitazione all'insegnamento della ginnastica; poi essa passò anche nelle università. Benemeriti della ginnastica scolastica furono principalmente lo Jäger, il Lion e A. Maul. I principî del primo furono: ridurre gli attrezzi, ricondurre la ginnastica alle sue forme più semplici; vita all'aperto; esercizî collettivi; pentathlon greco, ecc. Il Lion diede maggiore importanza allo sport. Il Maul fu soprattutto un perfezionatore. L'educazione fisica militare, introdotta nell'esercito tedesco sin dal 1851, si è ancor più sviluppata nel dopoguerra, e per essa è stanziata una somma annua di 22 milioni di marchi. Quasi tutti i paesi europei hanno adottato i metodi tedeschi di educazione fisica, ai quali si fece carico, peraltro, di tendere troppo allo sviluppo muscolare, trascurando lo scopo psicologico e avendo di mira solo la preparazione del soldato: queste accuse non erano, un tempo, del tutto infondate, ma oggi l'educazione fisica tedesca non è più quella dell'anteguerra: si è studiato il giuoco nei suoi effetti educativi (K. Groos), le relazioni tra sport e pedagogia (Schöps), quelle tra esercizî ginnastici e sviluppo intellettuale (Dippold), ecc. Se non si sono rinnovati del tutto i sistemi, sono stati peraltro compiuti progressi indiscutibili, il merito dei quali è anche in parte dovuto alle indagini scientifiche intorno all'educazione fisica, promosse da speciali istituti.

In Austria si seguirono, più o meno, i principî tedeschi. Un notevole risveglio nell'educazione fisica si ebbe dopo le disfatte del 1866, e nel 1868 essa fu dichiarata obbligatoria in tutte le scuole. Si istituirono subito dopo (1871) scuole di abilitazione per maestri e si promosse l'addestramento fisico sistematico dei militari. Nel 1920 il Ministero della guerra dichiarò obbligatorî i campionati sportivi di brigata e di divisione. Anche l'Ungheria seguì, naturalmente, questa tendenza, e una legge del 1923 obbliga i comuni e gli stabilimenti industriali a tenere campi sportivi annessi alle scuole e ai luoghi di lavoro.

La Russia seguì con ritardo il movimento in favore dell'educazione fisica, che fu resa obbligatoria nelle scuole solo nel 1889. Più sviluppata fu quella dell'esercito, e anche oggi, in regime comunista, quest'ultima è assai più curata che non quella delle scuole. Anche in Bulgaria l'educazione fisica ha prevalentemente carattere militare; in Turchia e in Romania l'educazione fisica s'ispira alle concezioni moderne. In Albania si seguono in massima le direttive italiane (v. sotto). In Cecoslovacchia l'educazione fisica ha carattere premilitare nelle scuole, ed è in genere organizzata quasi militarmente: i sokol ("falchi") formano una potente federazione e si raggruppano in circa 150 società. Organizzazioni similari hanno la Iugoslavia e la Polonia.

In Inghilterra l'educazione fisica, com'è noto, ha carattere prevalentemente sportivo (la tradizione sportiva della società inglese risale al sec. XIV). Scuole di ginnastica, peraltro, fiorirono sin dai primi anni del sec. XIX, organizzate anche da tecnici stranieri. Il British College of Phvsical Education fu il primo a preparare maestri di ginnastica educativa d'ambo i sessi. Più tardi si sviluppò l'Istituto centrale per l'educazione fisica dei sottufficiali. Nel 1866 fu creata la National Physical Recreation Society che, accogliendo i principî tedeschi, volle costituire un sistema nazionale di esercizî ginnici. Contemporaneamente si propagò la passione sportiva soprattutto per opera di Th. Arnold, che sostenne la necessità della prevalenza dell'educazione fisica nella scuola media, e, nella stessa educazione fisica, la preminenza dello sport. Questo divenne ben presto diffusissimo, dando luogo a veri fanatismi e a tendenze mistiche quali la "religione della salute" o il "cristianesimo muscolare". Ma l'esempio inglese ebbe un'enorme influenza sugli altri popoli. Gli istituti di educazione inglesi non cessarono mai di consacrare allo sport un numero di ore talvolta superiore al tempo riservato allo studio. Limitandoci all'ambiente universitario, sono celebri le gaie e l'attività sportiva in genere degl'istituti superiori di Oxford e Cambridge. Contro questo eccessivo sportismo non mancarono di scrivere varî educatori e pensatori, ma con ben scarso successo. Come si è già detto, però, lo sport non esclude l'educazione fisica generale, che specie nella sua forma scoutistica (v. scoutismo) è ovunque fervidamente coltivata.

Nel Belgio è prevalso il sistema svedese. Sin dal 1865 molte organizzazioni vi diffusero l'educazione fisica, che già dal 1842 era obbligatoria nelle scuole. Scuole superiori di educazione fisica sorsero dopo il 1905 a Bruxelles, a Liegi, a Gand. Dopo l'arresto dovuto alla guerra, l'attività riprese nel 1920 con indirizzo scientifico degli studî. Gl'insegnanti militari vengono preparati, dal 1920, dall'Istituto militare di educazione fisica, che segue i principî del Ling. Molti provvedimenti legislativi, a favore della cultura fisica, sono in corso di attuazione.

In Olanda si seguono in massima i sistemi tedeschi, pur essendo in parte coltivata la ginnastica svedese. Nel 1862 fu fondata la Federazione dei maestri di ginnastica, nel 1868 le associazioni si unirono esse pure in federazione. Una grande Accademia di educazione fisica sorse nel 1925 per iniziativa privata; essa ha quattro sezioni: la pedagogica, la biologica, la ginnica e quella per il lavoro manuale giovanile; si propone la rigenerazione fisica e la formazione del carattere della gioventù olandese.

In Grecia i primi accenni a una ripresa dell'educazione fisica risalgono all'insurrezione contro il dominio turco. Dapprima furono chiamati maestri stranieri, poi, sin dal 1834, fu fondato un Istituto centrale (oggi Scuola pubblica centrale) di ginnastica, per la formazione dei maestri. Seguì la fondazione di molte società, che si unirono poi in federazione. Nel 1886 l'educazione fisica fu dichiarata obbligatoria nelle scuole (tre ore settimanali), e nella scuola è altresì impartita l'educazione premilitare. È noto poi che in Grecia si svolgono ogni anno i giuochi panellenici.

In Spagna l'educazione fisica, imposta obbligatoriamente nelle scuole medie e negl'istituti magistrali nel 1882, e nelle scuole elementari nel 1901, non è ancora bene organizzata, per quanto siano diffusi gli sport e sia ricca la relativa bibliografia. Così pure può dirsi del Portogallo.

In Francia la ginnastica educativa fu introdotta al principio del secolo XIX dal colonnello spagnolo F. Amoros, che ebbe incarico di dirigerne l'applicazione nell'esercito; l'Amoros era un eclettico, per quanto seguisse in massima i principî pestalozziani e quelli della scuola tedesca, e la ripartizione del suo insegnamento (ginnastica elementare, generale, militare terrestre e marittima, medica, ortopedica, analettica, funambolica), per quanto artificiosa, rivela come egli volesse un sistema educativo omogeneo e plurilaterale. Si fondarono varie palestre e società ginnastiche; nel 1865 si tentò d'introdurre l'educazione fisica nelle scuole, ma non ci si riuscì che nel 1880, quando la ripresa generale a favore degli esercizî fisici, seguita alla disfatta del'70, era in pieno sviluppo, apostolo il Paz. Nel 1873 si costituì l'unione delle società ginnastiche francesi. Alcuni teorici (Simon, Coubertin) propugnarono la diffusione dello sportismo di tipo inglese. Sino alla guerra mondiale associazioni e governo cercarono di dare carattere scientifico ai programmi e si affermò l'opera di Lagrange e Demeny. L'istituto di Joinville, fondato nel 1852, tuttora crea gl'insegnanti militari e segue un metodo eclettico d'ispirazione svedese, mentre presso l'università di Parigi vengono abilitati gl'insegnanti civili che seguono il corso superiore di educazione fisica. Il movimento scoutistico, i centri regionali, le iniziative private completano il quadro. Nel dopoguerra si è ritenuto necessario istituire un Comitato nazionale per l'educazione fisica e l'igiene sociale. Dall'11 novembre 1928 all'educazione fisica è preposto un apposito sottosegretariato, dal quale dipende l'organizzazione dell'istruzione premilitare.

In Svizzera diffusero l'educazione fisica, nel sec. XIX, Ph. H. Clias, o Spiess, l'Obermann, ecc. Essa fu dichiarata obbligatoria nelle scuole sino dal 1874, ed è regolata dal governo federale. Associazioni autorizzate impartiscono l'insegnamento premilitare. Esistono molte società sportive, particolarmente di tiro a segno.

Negli Stati Uniti d'America domina in massima lo sport di tipo inglese, ma influenze tedesche e svedesi si sono fatte validamente sentire nel sec. XIX e perdurano tuttora: molte le associazioni sportive, diffusissima la ginnastica nelle scuole elementari (quattro ore settimanali) e medie (4 ore, più i giuochi ginnici). Le università americane, poi, sono celebri quanto quelle inglesi per i grandiosi edifici ed impianti dedicati allo sport e alla ginnastica. Più che in Inghilterra è vivo negli Stati Uniti l, interesse per le ricerche scientifiche relative all'educazione fisica: in ogni università ci sono gabinetti ad hoc e ogni allievo ha la sua carta ginnicofisiologica. Inoltre associazioni di carattere confessionale o nazionale (Young Men Christian Association, Figli d'Italia, Cavalieri di Colombo) promuovono l'educazione fisica e morale della gioventù.

La Repubblica Argentina attuò nel 1905 una grande riforma scolastica, per la quale venne sistemata in guisa soddisfacente l'educazione fisica, che prima aveva proceduto in modo disordinato ed empirico. Fu istituito un Ispettorato tecnico dell'educazione fisica, e a questa venne assegnato il triplice scopo fisiologico, pedagogico e sociale; l'orario fu portato da una a tre ore settimanali. Gli esercizî seguirono in massima il sistema svedese, a cui si aggiunsero le gite, il tiro a segno, i giuochi, ecc. Anche nelle università lo sport è largamente coltivato. Dal 1912 l'Istituto nazionale superiore di educazione fisica abilita gl'insegnanti. Anche negli altri stati dell'America Latina (specialmente Chile, Ecuador, Uruguay) si coltiva l'educazione fisica assai attivamente.

L'educazione fisica in Italia. - In Italia la diffusione dell'educa zione fisica fu ritardata dalle condizioni politiche della prima metà del secolo scorso; tuttavia già nei primi anni del 1800 s'insegnava ginnastica in qualche istituto scolastico. Appena nel 1833 s'iniziano tempi nuovi, quando l'Obermann, incaricato dal governo piemontese, tiene lezione agli allievi dell'Accademia militare di Torino. Istituita una scuola di ginnastica per gl'istruttori militari, l'insegnamento ginnico fu esteso a tutte le armi del piccolo esercito del Piemonte. Per iniziativa della Società ginnastica di Torino (1844) sorse una palestra (la prima in Italia) che sotto la direzione dell'Ober mann divenne una scuola di preparazione per gl'insegnanti civili mentre allora nelle scuole torinesi veniva accolto l'insegnamento ginnico. Nel reame di Napoli l'educazione fisica si affermò per opera dell'Abbondati e più tardi del Lapegna.

Le prime disposizioni attinenti all'insegnamento dell'educazione fisica nelle scuole sono contenute nella legge Casati del 1859. Una circolare ministeriale del 1862 indicava le norme per l'insegnamento della ginnastica nelle scuole medie: un corso magistrale maschile funzionò a Torino fino al 1879 e i corsi magistrali femminili sorsero nel 1867; i fratelli Ravano furono autorizzati dal governo ad aprire una scuola di magistero, ma la ginnastica era praticata solo in qualche città, che ne aveva riconosciuta l'importanza, e alla costituzione del regno d'Italia l'educazione fisica era ancora sconosciuta in molte provincie. L'educazione fisica militare, trascurata dopo i primi tentativi, risorse con i nuovi corsi magistrali presso l'Accademia militare di Torino, aperti nel 1864. Con la fondazione della Scuola centrale di tiro a segno, scherma e ginnastica a Parma, l'esercito ebbe il suo centro di studio e di preparazione degl'istruttori di ginnastica militari. Nel 1870 l'insegnamento dell'educazione fisica era già praticato in molti istituti scolastici: già numerosi erano gl'insegnanti e l'educazione fisica veniva impartita in tutte le provincie del regno. Per poter contare su un corpo insegnante scientificamente preparato e specializzato fu fondata, nel 1874, la Scuola normale di ginnastica a Torino. Intanto si diffusero le associazioni. A Bologna dalla società "Virtus", diretta dal Baumann, sorse nel 1877 la Scuola magistrale bolognese, che durò fino al 1884, quando fu fondata la scuola di Roma. Venezia nel 1886 introdusse l'obbligatorietà dell'educazione fisica nelle scuole elementari. Maggiore unità di concetti e di azione ebbe l'educazione fisica dopo la fondazione della Federazione ginnastica italiana, avvenuta nel 1869, che, presto, si scisse in due sodalizi; ed ebbe assetto unitario definitivo nel 1877, e più specialmente con la fondazione della Federazione italiana dei maestri di ginnastica. Si svolse allora un'intensa attività secondo due concezioni: quella che nell'educazione fisica riconosceva un aspetto dell'educazione giovanile e quella per la quale prevaleva la preoccupazione ginnico-militare. Congressi e pubblicazioni affermavano la necessità di una ginnastica educativa sennonché dalla stessa legge organica del 1878, che istituiva l'obbligatorietà della ginnastica nelle scuole primarie e secondarie del regno, traspare la preoccupazione della finalità militare. Intanto però l'insegnamento si svolgeva nell'incertezza, e gli stessi programmi del 1866 erano ancora dominati dall'empirismo. Nel 1893 una commissione, presieduta da Francesco Todaro, volle che la ginnastica educativa poggiasse su basi più razionali, ma l'insegnamento non era ancora attrezzato in guisa da attuare praticamente i programmi. Appena tollerato l'insegnamento nelle scuole medie, lo si praticava effettivamente soltanto negl'istituti magistrali, specie dopo la riforma del 1896. Intanto Angelo Mosso e il Bonghi propugnavano la ginnastica sportiva di tipo inglese; il Mosso, filosofo e medico, volle che la ginnastica avesse dignità di scienza; promosse le gare, condannò i metodi tedeschi e molto fece per avvicinare l'educazione fisica nazionale ai metodi svedese e inglese. Ma né il Todaro, né il Mosso, né il Baumann riuscirono a impedire il lento decadimento dell'educazione fisica scolastica; tuttavia la gioventù continuava a frequentare le libere associazioni. In questo periodo di ricerca meritano particolare menzione, quali propugnatori della ginnastica, perché arricchirono la letteratura medica e quella dell'educazione fisica nazionale di opere pregevoli, il Gamba, il Pagliani, il Valletti, il Todaro. Molti furono poi i benemeriti per la diffusione degli esercizî fisici, propugnata mediante varie pubblicazioni. Mantenne desto il pubblico interesse l'Istituto nazionale per l'incremento dell'educazione fisica, fondato nel 1906. Il risultato di questo fervore fu la legge Daneo del 1909, che voleva palestre e campi sportivi annessi ad ogni scuola, ma queste disposizioni non trovarono applicazione. La legge del 1909 sanciva pure l'obbligatorietà dell'educazione fisica nelle università, ma neanche questa disposizione fu osservata. Intanto sorgeva e si diffondeva l'istituzione dei giovani esploratori (v. scoutismo) e si formavano nuove federazioni e unioni ginnico-sportive e, accanto ad esse, una stampa periodica tecnica e scientifica. All'avvento del Fascismo l'educazione fisica nazionale richiedeva un serio riordinamento. L'insegnamento, dove non era del tutto trascurato, mancava d'indirizzo unitario, di un sistema didattico e d'insegnanti con preparazione adeguata. L'educazione premilitare non era affatto organizzata. Prima di giungere all'auspicata riforma, i nuovi ordinamenti scolastici del 1923 stabilirono la separazione dell'educazione fisica dalla scuola. La legge del 10 dicembre 1923, chiarita da successivi decreti, sanciva un vasto programma di risanamento fisico-morale della gioveritù nell'interesse superiore dello stato, e quindi tutta l'educazione fisica nazionale fu affidata all'Ente nazionale per l'educazione fisica (E. N. E. F.). Questo ente dotato di mezzi modesti non potè dare i risultati che se ne attendevano; così, poco dopo (ottobre 1927) si procedette a un nuovo riordinamento dell'educazione fisica fondendo l'E.N.E.F. nell'Opera Nazionale Balilla (v.) precedentemente sorta. All'O. N. B. spetta l'insegnamento dell'educazione fisica, rigidamente obbligatoria in tutti gli ordini di scuole primarie e secondarie. L'insegnamento è impartito dai suoi docenti nelle scuole secondarie e nelle primarie dai maestri elementari, adeguatamente preparati nei corsi informativi per maestri e direttori didattici. Vigila inoltre sull'insegnamento l'ufficio centrale ginnicosportivo della presidenza, attraverso i direttori dell'educazione fisica dei comitati provinciali e comunali dell'ente. Prevalgono per i balilla (fino ai 14 anni) la ginnastica formativa e i giuochi, la pre-sportiva per gli avanguardisti (fino ai 17 anni). Vengono esercitati tutti gli sport, la scherma, il tennis, l'equitazione, gli sport invernali, il volo a vela, ecc. Non accoglie l'istituzione quelle manifestazioni sportive per le quali il soggetto si presuppone già fisicamente formato, poiché l'attività propriamente sportiva spetta al Comitato olimpionico nazionale italiano, l'educazione fisica universitaria alle federazioni dei gruppi universitarî fascisti, dipendenti dalla direzione del Partito Nazionale Fascista, e l'educazione premilitare propriamente detta alla Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Questo nuovo assetto dell'educazione fisica richiedeva insegnanti specialmente preparati; perciò fu fondata in Roma, nel febbraio 1928, un'Accademia fascista di educazione fisica (v. balilla, V, p. 966 segg.). Nel 1929 l'on. Renato Ricci, presidente dell'O. N. B., fu posto a capo del nuovo sottosegretariato dell'Educazione fisica e giovanile, che fa parte del Ministero dell'educazione nazionale. Il provvedimento col quale l'O. N. B. veniva inserita nel detto Ministero sanzionava la funzione statale dell'istituzione e assicurava la continuità dell'educazione fisica nazionale quale fattore indispensabile nella formazione delle generazioni italiane presenti e future (v. anche dopolavoro; olimpici giuochi).

L'educazione fisica militare. - Nell'esercito italiano l'educazione fisica è stata sempre coltivata. Sin dal 1882 era stato organizzato il Tiro a segno nazionale; e l'ente passò amministratimamente nel 1892 sotto il controllo del Ministero della guerra. Nel 1908 venne istituita la Commissione centrale per il tiro a segno nazionale e per l'educazione fisica militare. I programmi dell'esercito (particolarmente quelli del 1913-17) difendevano il concetto dell'addestramento collettivo. Ma la necessità di una più larga riforma dell'educazione fisica militare fu espressa durante la guerra mondiale nella pubblicazione del Comando supremo a uso degl'istruttori per l'ammaestramento del soldato. Decisa la creazione di un centro di educazione ginnica militare, venne istituita con r. decr. 20 aprile 1920 la Scuola centrale militare di educazione fisica in Roma, e si formarono centri di educazione fisica divisionali. Scopo principale della scuola era quello di provvedere ogni comando di divisione militare di un capocentro di educazione fisica e di preparare tutti gli ulficiali subalterni all'insegnamento: l'istituto comprese quindi tutte le discipline formative dei docenti. Esso è dotato di ampie sale e palestre, d 'un grande stadio, d'un'ampia piscina, di completi gabinetti scientifici, ecc. Con la riforma degl'istituti militari fu preparata la nuova "istruzione di ginnastica militare", che negli esercizî mira all'utilità bellica e presuppone quindi un'educazione fisica anteriore a quella militare.

L'educazione fisica militare deve avere uno speciale carattere, in ordine al fine particolare ch'essa si propone, quello cioè di far acquistare all'individuo le qualità di corpo e di spirito necessarie al combattente; fra le prime ricordiamo: la robustezza, la sveltezza, la flessibilità, la forza, l'agilità, la resistenza alla fatica, l'indurimento fisico, cioè le doti fisiche virili; tra le seconde: la prontezza di percezione, l'astuzia, il coraggio, il sangue freddo, la fiducia in sé stessi, il buonumore, lo spirito d'iniziativa, di combattività, di abnegazione, di cooperazione, il senso dell'ordine e della disciplina. Occorre anche tener presente, nel formulare programmi d'educazione fisica militare, quali sono le azioni muscolari che il soldato avrà maggiore occasione di compiere in guerra: marciare, correre, saltare, arrampicarsi, lanciare e trasportare pesi, lottare corpo a corpo, ecc., e che vanno eseguite col minor dispendio possibile di energia. Si dovrà dare infine la preferenza agli esercizî che interessano e divertono il soldato, ed escludere o limitare al minimo quelli che lo annoiano. Prima della guerra europea si seguivano per l'educazione fisica militare i criterî di quella generale: sviluppo e perfezionamento dell'organismo, conseguimento dell'armonia delle forme, ecc. Più tardi si comprese invece che ciò non bastava, e che le esigenze della guerra richiedono nell'individuo non capacità "potenziali", bensì "attuali". Senza trascurare perciò la finalità igienico-fisiologica dell'educazione fisica generale, quella militare deve inoltre spingere l'individuo alla fatica, al pericolo, impegnarne le varie energie fisiche e psichiche in modo più profondo, sempre tuttavia salvaguardandone l'integrità e il benessere.

Tra gli esercizî fisici, i più indicati per l'educazione fisica militare sono quelli della ginnastica di applicazione, i giuochi atletici e gli sport, che richiedono agli organi e alla psiche un grande rendimento e ne cambiano profondamente lo stato: i primi sono i soli che permettono di addestrare il soldato nelle azioni muscolari che dovrà compiere in guerra; i secondi lo abitueranno ai fenomeni psichici collettivi, insegnandogli la necessità del vincolo organico, della cooperazione, della solidarietà; gli sport sono i soli esercizî che possano conferire ai giovani, al grado massimo, le qualità fisiche e psichiche virili. L'educazione fisica militare non prescinderà però dagli esercizî di ginnastica metodica, poiché la maggior parte delle reclute arrivano alle armi senza aver fatto mai ginnastica, e occorre quindi per loro una graduale preparazione, che si ottiene facendo fare a esse prima di quelli sportivi e applicativi gli esercizî anzidetti. Molti possono essere gli esercizî da adottare in base al criterio innanzi esposto: si escludono quelli acrobatici, quelli a carattere esclusivamente coreografico, ecc., come non adatti allo scopo. E consigliato altresì di graduare sapientemente l'applicazione, in modo da preparare l'organismo ad affrontare fatiche e difficoltà sempre maggiori con un sufficiente grado di preparazione. A tale scopo l'istruzione di ginnastica militare divide gli esercizî in tre periodi, ciascuno dei quali rappresenta rispetto al precedente un crescendo d'intensità e di difficoltà. Una graduazione degli esercizî è necessaria poi anche nell'ambito delle singole esercitazioni: si consiglia nel regolamento di cominciare con prove facili, per passare successivamente a quelle che impegnano maggiormente le energie fisio-psichiche, e di concludere con altri esercizî facili, per ricondurre in breve tempo alla fine della lezione l'organismo allo stato normale. L'insegnamento deve ispirarsi al principio della divisione degli allievi per gruppi omogenei, date le diverse condizioni fisiche dei chiamati alle armi. L'istruzione è impartita dagli ufficiali inferiori (coadiuvati dai sottufficiali), perché solo gli ufficiali sono in grado di comprenderne le alte finalità e i metodi, e perché l'educazione fisica è strettamente connessa con quella morale, anch'essa curata dagli ufficiali.

L'educazione fisica premilitare. - È una delle istruzioni che vengono impartite ai giovani dai 18 ai 20 anni, i quali frequentano i corsi "premilitari"; questi furono istituiti durante la guerra mondiale allo scopo di mettere i giovani in condizione di ricevere più rapidamente l'istruzione data alle reclute, conferendo loro le qualità fisiche e psichiche che occorrono al soldato più che al combattente, e addestrandoli negli esercizî che la recluta eseguisce nei primi mesi di chiamata alle armi. La prima finalità è però difficilmente raggiungibile per la breve durata dei corsi (6-7 mesi) e delle lezioni (i ora per settimana). La seconda è invece più facile a ottenersi, e perciò l'educazione fisica premilitare viene ad essere in pratica una ginnastica di addestramento. Essa comprende gli esercizî più semplici tanto di ginnastica metodica quanto di ginnastica applicativa, i giuochi atletici e gli sport meno intensi, ed è graduata a somiglianza di quanto si deve fare per l'educazione militare.

L'educazione fisica postmilitare. - Ancora da organizzarsi come tale, è però sostituita in parte dalle organizzazioni sportive dell'Opera nazionale dopolavoro (v. dopolavoro). Dovrebbe essere impartita ai congedati delle forze armate, dai 23 ai 40 anni, affinché conservino il maggior numero possibile delle qualità fisiche e psichiche acquistate sotto le armi. Ogni domenica si dovrebbero far compiere ai congedati, in appositi campi, esercizî poco numerosi e richiedenti pochi mezzi per la loro esecuzione: quindi, i principali esercizî di ginnastica applicativa e sportiva, oltre a quelli analitici della ginnastica metodica.

Controllo medico dell'educazione fisica. - Sino al 1929 solo pochi scienziati avevano sostenuto doversi sottoporre a controllo medico tutti color0 che praticano esercizî ginnastici o sportivi. Sono da ricordare in special modo, per l'Italia, il De Giovanni e il Mosso. Nell'esercito si ripresero nel 1925, in maniera organica, gli studî sull'attività fisica dei soldati e sui relativi metodi di controllo fisiologico, istituendo in Roma presso la Scuola militare di educazione fisica un ben attrezzato laboratorio di fisiologia sportiva. L'esempio fu seguito, e s'istituì a Bologna un laboratorio sul tipo di quello di Roma; le ricerche sono rivolte ai giovani e adulti dell'O. N. B., del C. O. N. I. e dell'O. N. D. Frattanto nell'ottobre del 1929 veniva fondato a Bologna, il Comitato medico di cultura fisica sotto la presidenza di G. Viola, con l'incarico di studiare i maggiori problemi sorgenti dai rapporti fra medicina ed educazione fisica. Nel febbraio 1930 fu creata a Roma, alle dipendenze del Partito nazionale fascista, la Federazione fra i medici degli sportivi, con lo scopo di riunire tutti i medici che sorvegliano gli sportivi nelle società, le quali sono state obbligate a deferire a un sanitario il controllo delle capacità fisiche dei giovani che ne fanno parte. Tale controllo si deve esprimere secondo un metodo uniforme per tutto il regno, e a questo scopo il comitato medico ha studiato una scheda di valutazione fisica e sportiva contenente gli esami ritenuti strettamente necessarî per giudicare delle capacità fisiche di ogni soggetto, onde guidarne e regolarne l'attività. I dati ottenuti con tali esami, basati su cifre, vengono integrati con una serie di valutazioni mentali che permettono di rendersi conto di quei particolari che non sono valutabili con gli strumenti. Tali schede sono state accettate dalla federazione e distribuite alle società sportive.

Bibl.: G. Pannese, Storia della ginnastica moderna, Roma 1912; id., La ginnastica in Grecia, Roma 1913; id., Metodologia applicata all'educazione fisiologica, Roma 1913; R. Zavataro, Educazione fisica nazionale, Firenze 1919; C. Todisco, L'educazione fisica e la rinascita nazionale, Milano 1921; P. Romano, Storia dell'educazione fisica, Torino 1923-25, voll. 2 (con ampia bibl. anche per quanto riguarda le opere straniere); R. Romagna, Manuale pratico per l'insegnamento dell'educazione fisica, Firenze 1924; S. Piazzoni, Pedagogia della ginnastica militare, Roma 1924; G. Rosso, La rioganizzazione dell'educazione fisica, Firenze 1925; A. Sciacca, L'educazione fisica e i pedagogisti, Riposto 1925; Scuola centrale militare, Addestramento ginnico e addestramento tattico, Roma 1925; id., I concetti informativi della nuova istruzione di ginnastica miliatare, Roma 1926; G. Salvi, L'educ. e la cultura fisica della nazione, Roma 1926; A. De Quarto, L'igiene e la ginn., Napoli 1928; L. Ferretti, Il libro dello sport, Roma 1928; O. N. B., Regol. tecnico, Roma 1929; id., Metodi per l'educ. fisica, Roma 1930; C. Midulla, L'indirizzo ortogenetico-costituzionalistico e l'educ. fisica e giovanile, Roma 1930; Riv. di scienze applicate all'educ. fisica e giovanile, 1930 segg.

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