Munch, Edward

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Munch, Edward

Flaminia Giorgi Rossi

Il pittore solitario dell’angoscia

Il grande pittore norvegese Edvard Munch rappresenta nelle sue opere gli ossessionanti fantasmi che costellano la sua vita interiore, rivivendo ogni volta lo sgomento provato di fronte alla morte dei familiari falciati dalla tisi quando era ancora bambino. I suoi quadri sono in stretta relazione con la cultura filosofica, letteraria e psicoanalitica del tempo, la fine del 19° secolo. Nella sua pittura troviamo i germi del successivo espressionismo

Tutto il dolore del mondo

«Nella casa della mia infanzia abitavano malattia e morte»: così Edvard Munch racconta la sua infanzia tempestata di disgrazie. La madre muore quando lui ha appena cinque anni, poi si spegne la sorella Sophie, dopo una lunga malattia, infine il nonno e il padre. Questi continui lutti gli fecero avvertire per tutta la vita il senso di precarietà e di ansia dell’esistenza. In lui c’è l’idea, derivata dal filosofo tedesco Friedrich W. Nietzsche, che l’artista come essere superiore sia destinato a portare sulle proprie spalle tutti i dolori dell’umanità.

Nato a Loten in Norvegia nel 1863, Munch si forma accanto alla comunità di giovani artisti ribelli di Cristiania (attuale Oslo). I suoi frequenti viaggi in Francia lo mettono in contatto con le novità artistiche degli impressionisti (impressionismo), dai quali apprende una certa felicità nell’uso del colore, mentre dai pittori post;impressionisti Henri de Toulouse-Lautrec e Paul Gauguin deriva il disegno sintetico e incisivo più rispondente alle sue esigenze espressive.

Il grande solitario

«Improvvisamente il cielo si tinse di rosso sangue … e sentii un urlo che attraversava la natura», queste parole di Munch sembrano la descrizione di L’urlo, il quadro più famoso dell’artista, rubato ben due volte e oggi non ancora recuperato. In realtà sono state scritte prima dell’esecuzione del dipinto, durante un ricovero del pittore in un ospedale di Nizza. Ciò significa che l’ispirazione è per Munch un fatto prima di tutto letterario. L’idea di un grande urlo che attraversa la natura e che solo l’artista, nella sua solitudine e nella sua follia, può sentire, è l’esasperazione della visione romantica del paesaggio animato da una scintilla divina e della solitudine dell’uomo di fronte a esso.

Guardiamo la figura dipinta da Munch: più che un uomo è una larva umana, il suo volto è simile a un teschio. È una creatura terrorizzata. Con la bocca spalancata e gli occhi sgranati, l’essere emette un grido privo di suono, che comunica un silenzio assordante.

La stessa angoscia di morte pervade gli autoritratti dell’artista come l’Autoritratto all’inferno o Autoritratto, agitazione interiore, dipinto dopo la grave malattia nervosa che lo costringe al ricovero nel 1908. Nemmeno il tema dell’amore è affrontato con leggerezza: l’altro sesso è visto ora come donna fatale (Vampiro), ora come donna angelicata (Madonna), infine come causa di Malinconia e Gelosia.

Muore nel 1944 a Ekely (Oslo), lasciando alla città di Oslo oltre mille dipinti.

Anticipatore dell’espressionismo

La fortuna e l’enorme seguito che ebbe Munch hanno origine da una mostra di suoi dipinti a Berlino nel 1892, che per le polemiche suscitate venne chiusa dopo pochi giorni. L’evento è determinante per la nascita della secessione di Berlino, movimento di giovani artisti dissidenti nei confronti della cultura accademica, e in seguito per la formazione del movimento degli espressionisti (espressionismo). Questi ultimi ripresero dal grande artista norvegese la denuncia della drammatica condizione interiore dell’uomo moderno, ispirandosi sia alle sue forme semplificate, ottenute con segni profondi e incisivi, sia ai suoi colori fiammanti.

Munch era solito tenere le sue opere appena ultimate esposte alle intemperie per un certo periodo. Solo così, diceva, acquistavano una certa patina, diventavano più vissute. Vi sono foto che mostrano il suo giardino disseminato di quadri e racconti di amici che narrano di quadri appesi agli alberi. Questo trattamento, che Munch chiamava «cura da cavalli», era una parte importante del lavoro. Con questo procedimento il pittore voleva levare la patina lucida della vernice. Di conseguenza è oggi assai difficile restaurare i dipinti di Munch in quanto non si può stabilire con esattezza quali siano i danni posteriori alla ‘cura’.

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