EFESTO

Enciclopedia Italiana (1932)

EFESTO ("Ηϕαιστος, Hephaestus)

Giulio GIANNELLI

Divinità degli antichi Greci, che l'adoravano come dio del fuoco terrestre, manifestantesi nei vulcani e nelle forme affini di attività, e come protettore di quelle arti umane, che trovano nel fuoco la loro base ed elemento; conseguentemente, ne spiegavano il nome ἀπὸ τοῦ ἧϕϑαι (Schol. Od., IX, 297; sulle varie ipotesi dei moderni, vedi l'art. in Pauly-Wissowa, citato nella bibliografia). Se questo è l'aspetto del dio, come lo conoscevano i Greci in età storica, da Omero in poi, incerta rimane la sua natura originaria: fra i moderni, alcuni (per es., Beloch) vedono in Efesto una divinità di origine celeste, strettamente connessa con Zeus, il fulmine stesso di Zeus, concepito come un dio a sé e fatto figlio del re dell'Olimpo, che il padre, nella sua ira, aveva scagliato in terra; altri invece (per es. Wilamowitz, Malten) lo ritengono originariamente ctonico, e solo successivamente accolto nell'Olimpo; altri infine (per es. Preller), pur riguardandolo come impersonante, in origine, la potenza del fuoco terrestre, spiegano i suoi antichi rapporti con gli dei dell'Olimpo mediante la concezione, dominante negli antichi, che ogni fuoco discende da Zeus.

In realtà il mito lo diceva figlio di Zeus e di Era; e tale lo conoscono già i poemi omerici. Si narrava che, durante una delle frequenti contese fra i coniugi divini, avendo Efesto parteggiato per la madre, Zeus, afferratolo per un piede, l'aveva scaraventato giù dall'Olimpo; e l'infelice, dopo esser precipitato per un giorno intero, era andato a cadere, al tramonto, nell'isola di Lemno, i cui abitanti, i Sintii, lo avevano raccolto e curato. Secondo un'altra versione, fu invece Era che, vergognandosi della bruttezza e deformità del figlio, natole zoppo, l'aveva gettato giù dal cielo nel mare, ove l'avevano raccolto le Oceanidi Eurinome e Tetide: per nove anni Efesto fu da esse custodito e allevato in una grotta nel fondo del mare, e quivi aveva imparato a fabbricare mirabili oggetti d'arte. Dalla sua natura di zoppo derivano gli epiteti di Κυλλοποδίων e 'Αμϕιγυήεις; ma, tolta questa deformità, lo si immaginava ben fatto e robusto in tutto il resto del corpo (Iliade, XVIII, 410-417).

Il mito più antico gli assegnava in moglie Charis (Iliade, XVIII, 382) oppure Aglaia, la più giovane delle Cariti (Esiodo, Theog., 945) naturali compagne di colui che veniva riguardato come il maestro d'ogni artistico lavoro. Maggior diffusione acquistò però in seguito il mito, probabilmente di origine lemnia, della sua unione con Afrodite; mito che, contaminato in seguito con l'altro (localizzato verosimilmente a Tebe) che faceva Afrodite consorte di Ares, diede luogo al nascere del ben noto, comico episodio che Demodoco, l'aedo dei Feaci, canta nell'Odissea (VIII, v. 266 segg.): Afrodite, moglie di E., lo tradisce col dio della guerra; ma l'accorto marito sorprende gli adulteri e li avvince nella rete, da lui con somma maestria a tal uopo fabbricata.

Particolarmente notevoli sono i rapporti che la mitologia aveva stabilito fra E. e Dioniso, il dio della primavera e del vino; e ciò evidentemente a causa dell'efficacia che i vulcani esercitano sulla fertilità dei terreni. Famosa per i suoi vini fu nell'antichità l'isola di Lemno, sede precipua del culto di E., e fertile di viti fu Nasso: nell'una e nell'altra è notevolissima l'attività vulcanica e nell'una e nell'altra il mito aveva localizzati episodî che mettevano in rapporto E. con Dioniso. Così questi due finiscono per diventare, nell'inesauribile fantasia mitopoietica dei Greci, buoni compagni; e per merito di Dioniso poté alla fine E. trovare accoglienza nell'Olimpo e veder placate le ire degli dei. Si raccontava infatti che E., per vendicarsi della madre, aveva fabbricato per lei, nella sua grotta in fondo al mare, un magnifico seggio, munito però di invisibili lacci, dai quali restò avvinta Era, quando vi si sedette; nessuno era capace di scioglierli, e nessuno degli dei riusciva, né con le buone né con le cattive, a far venire E. sull'Olimpo, affinché liberasse Era: vi riuscì alla fine Dioniso, dopo averlo inebbriato. La comica saga, che avevano cantato Saffo, Alceo e Pindaro, e che Epicarmo aveva introdotto nella commedia, fu oggetto di molte rappresentazioni artistiche: Pausania ricorda quelle del tempio di Atene Chalkioikos a Sparta, del trono di Apollo ad Amicle, del santuario di Dioniso ad Atene; e, oltre alle tante scene figurate con questo soggetto sui vasi a figure rosse, ci è conservata quella, ben nota, del vaso François, ove è rappresentato anche Ares, dileggiato da Atena per non aver potuto ricondurre E. con la forza, e di fronte ad E. si vede forse Afrodite, che il dio del fuoco ha preteso dalla madre in dono, prima di acconsentire a scioglierla dai legami.

Sede principale del suo culto fu l'isola di Lemno, dominata dal vulcano Mosiclo: quivi si collocava una delle officine di E., nella quale si diceva avesse a compagni di lavoro i Cabiri (v.). Lemno veniva riguardata come la terra più cara ad E., abitata dal mitico popolo dei Sintii, ritenuti dagli antichi come genti tracie, e ai quali per primo E. avrebbe insegnato l'arte della metallurgia. Ai piedi del Mosiclo, nel luogo stesso ove E. era caduto e dove Prometeo aveva rapito il fuoco, sorgeva l'antico tempio del dio; e sulla costa settentrionale dell'isola giaceva la città di Efestia (v.), consacrata al culto di E. È probabile che, in Lemno, E. sia subentrato a un dio pregreco, il cui culto era appunto connesso col fuoco sotterraneo; e alcuni anzi (Malten) preferiscono riguardare E. come una divinità non greca, ma piuttosto di origine cario-licio-lemnia.

Un'altra notevole sede del suo culto fu più tardi anche l'Attica, specialmente dopo che Atene divenne un importante centro delle industrie metallurgiche: ivi E. prese il posto dell'antico dio Prometeo, colui che aveva consegnato il fuoco agli uomini, e il suo culto venne anche in stretti rapporti con quello di Atena. Nelle feste Panatenee e Prometee infatti, come nelle Efestie (v.), si tenevano solitamente in Atene corse di giovani con fiaccole accese.

In Occidente, infine, fu sede del culto di E. la regione vulcanica distesa fra la Campania e la Sicilia: specialmente l'isola di Lipari veniva riguardata come stanza abituale del dio, che vi teneva un'altra officina, ove insieme a lui lavoravano i Ciclopi; del pari nella regione dell'Etna venivano localizzati E. e i Ciclopi.

E. non fu dunque altro che il fuoco benefico, il fuoco che produce e crea, il fuoco artefice: ed egli è dunque il fabbro divino, autore di mirabili opere in ferro e in bronzo (κλυτοτέχνης): si ricordavano, fra i suoi prodotti più esimî, gli splendidi palazzi che egli aveva fabbricato per sé e per gli altri dei sull'Olimpo; l'egida e lo scettro di Giove, il tridente di Posidone, lo scudo di Eracle, lo scettro di Agamennone, le armi di Achille, e così via.

Iconografia. - Lo scarso numero di templi di Efesto e la deformità nelle gambe attribuita al dio ci spiega come non si sia arrivati che tardi da parte degli artisti greci (che pur contavano E. fra i loro patroni) alla creazione della figura-tipo del dio. Sappiamo però che Alcamene ed Eufranore lo avevano degnamente rappresentato, stante e vestito (Cicerone, De nat. deor., I, 30; Val. Mass., VIII, 11, ext. 3).

Il caso ci ha conservato una caratteristica figura di E. nel busto scoperto a Roma, nel 1854, e conservato ora in Vaticano: identificato da prima con Ulisse, fu poi riconosciuto dal Brunn come una rappresentazione di E.; i tratti della figura corrispondono a quelli descritti nell'Iliade, XVIII, 415.

In realtà, però, il tipo del dio riusciva assai somigliante a quello solito di Ulisse; lo si vede nella piccola statua di bronzo del British Museum, che rappresenta il dio con forte e possente muscolatura, il braccio destro irrobustito dall'uso del pesante martello: le due metà del corpo rivelano quella certa disarmonia e quell'ineguaglianza nella struttura muscolare che derivano dalla diversità di sforzi, che all'una e all'altra si richiedono; a rendere tale effetto contribuisce un poco anche la disposizione della veste, che lascia scoperta la spalla destra. Nel viso si legge ardimento e forte volontà; lo sguardo è quello, sicuro e deciso, d'un maestro esperto.

Di regola, E. fu rappresentato barbato; anche nell'arte più recente nonostante la sua tendenza a ringiovanire gli dei. Di rado lo si trova senza barba o nudo; al solito vestito di una semplice tunica che lascia nuda la spalla destra. Suoi attributi ordinarî sono il martello e le tenaglie.

Nella pittura vascolare è spesso rappresentato l'episodio, già ricordato, del ritorno di E. all'Olimpo, in compagnia di Dioniso; di tali raffigurazioni, oltre a quella già ricordata del vaso François, una delle più belle è giudicata quella di un vaso a figure rosse del museo di Monaco: il dio è ricondotto da un satiro, innanzi al quale incede Dioniso; sono preceduti da un altro satiro, coperto con la nebride, e da una baccante col timpano.

Bibl.: L. Preller e C. Robert, Griech. Mythologie, 4ª ed., I, Berlino 1887, pp. 174-184; A. Rapp, in Roscher, Lexikon der griech. und röm. Mythologie, I, ii, coll. 2036-74; L. Malten, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, coll. 311-366; O. Gruppe, Griech. Mythol. und Religionsgesch., Monaco 1906, p. 103 segg.; L. R. Farnell, Cults of the Greek States, Oxford 1896-1909, V, p. 374 segg.; U. v. Wilamowitz, in Göttinger Nachrichten, 1895; L. Malten, in Jahrbuch des deut. archäol Instituts, XXVII, Berlino 1912. Sull'iconografia: H. Blümner, De Vulcani in veteribus artium monumentis figura, Breslavia 1870; Waentig, De Vulcano in Olympum reduce, Lipsia 1877; e vedi poi A. Baumeister, Antike Denkmäler d. klass. Altertums, Monaco 1885 segg., I, p. 641 segg.

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