EFESTO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1960)

EFESTO ("Εϕαιστος)

P. E. Arias*

Divinità greca, di origine molto probabilmente licia, e ad ogni modo asiatica, strettamente legata, sia in Asia Minore che in Grecia, col fuoco della terra: considerato dalla tradizione omerica figlio di Zeus e di Hera (Il., xiv, 338) ma specialmente di Hera sola (Il., 1,572; xiv, 166), E. è il cesellatore e fabbro ufficiale delle armature, delle coppe e degli oggetti preziosi degli eroi (Hesiod., Theog., 927 ss. e cfr. Hymn. Apoll., 139 ss.).

Già gli antichi avevano però la sensazione di una generazione del dio non chiara, e Cicerone alludeva a differenti paternità del dio (De nat. deor., iii, 55; cfr. Lyd., De mens., iv, 86). Omerica è generalmente considerata, in seguito agli studî del Wilamowjtz, la leggenda della caduta di E. su Lemno, lanciato da Zeus sulla terra dall'Olimpo durante una lite con Hera, e quella, pure antica, del lancio di E. da parte di Hera (onde sarebbe divenuto zoppo), per celare la bruttezza del figlio alle altre divinità, in una grotta sottomarina dove avrebbe cominciato a creare le famose armature; post-omerica, invece, è la tradizione del ritorno di E. in Olimpo per vendicarsi di esserne stato cacciato e del dono che il dio avrebbe recato ad Hera di un trono aureo fornito d'invisibili legami (Alc., fr. 9, Diehl). Di questa leggenda parla Pausania descrivendo una pittura del tempio di Dioniso in Atene (Paus., i, 20, 3). Dioniso sarebbe riuscito a ricondurre E. ebbro a slegare Hera (Epich., fr. 84-86, ed. Kaibel 47-49 Olivieri); in Plut. (Mor. 751 d, Amat.), è la tradizione di una lirica pindarica sull'argomento.

Sarà opportuno prima esaminare le scene relative alle diverse fasi del mito per passare poi alla tipologia del dio. Assai illustrato dalla tradizione figurativa è il mito del ritorno di E. all'Olimpo; ancora prima del vaso François, la scena è rappresentata in vasi non attici, come una piccola anfora corinzia di Atene, in idrie ceretane, anfore calcidesi, tazze laconiche ed anfore etrusche. Il dio è spesso, nelle rappresentazioni più antiche, imberbe, cavalca su di un muletto, ed è accompagnato dai satiri o da Dioniso. Nel vaso François, invece, appare barbato e provvisto di verga sul mulo, in un corteo di sileni e ninfe con Dioniso a capo, mentre sull'idria a figure nere di Boston il dio ha uno strumento ed un martello, che diventerà poi il suo simbolo inseparabile. Nei vasi dell'ultimo stile a figure nere come in quelli a figure rosse di età severa il dio è generalmente imberbe; Epiktetos è il primo artista della nuova tecnica che tratta la scena, ma con gli stessi schemi della ceramica a figure nere. Nella ceramica degli inizî del V sec. a. C. il corteo che accompagna E. muta profondamente; il dio a piedi, ebbro, riconoscibile dalla tenaglia che ha in una mano, o si appoggia a Dioniso che tiene alto il kàntharos, o segue un satiro che suona il doppio flauto, mentre per la prima volta, dopo il vaso François, è sottolineata la deformità di E. e cioè la sua natura di zoppo. Si è pensato giustamente che il mutamento nella tipologia della scena sia dovuto all'influenza di qualche dramma sauresco. Il dio che è barbato nella prima metà del V sec. a. C,, nella seconda ritorna imberbe; è rappresentato con poche altre figure, col solo Dioniso ed un sileno, o talora con una sola menade, o talvolta a cavalcioni sullo stesso mulo con lo stesso Dioniso. In tre crateri, di Atene, di Ferrara e di Bologna, riappare la scena completa con la rappresentazione di Hera legata sul trono, e qualcuno ha pensato che ciò possa essere avvenuto sotto l'influenza della pittura esistente nel tempio di Dioniso Eleutereo di cui parla Pausania (1, 20, 3) In altri vasi del tardo stile a figure rosse, in un mastòs corinzio di Parigi, in un vaso dell'Italia meridionale, ora a Parigi, sembra di ritrovare l'eco sia della commedia di Epicarmo (Efesto o i comasti) sia del dramma satiresco di Acheo (Nauck2, Tr. Gr. fr., n. 17, p. 750). La scena sull'Olimpo aveva ispirato non soltanto i ceramisti; a Sparta nel tempio di Atena Chalkìoikos era stata scolpita da Gytiadas (Paus., iii, 17,3) e sul Trono di Amicle da Bathykles di Magnesia (Paus., iii, 18, 16): la frequente unione di E. coi satiri e sileni e con Dioniso dimostra l'influenza del culto dionisiaco sul mito di Efesto.

Secondo Esiodo E. per ordine di Zeus ovvero d'accordo con Atena avrebbe creato dal fango una creatura che venne dotata di potere divino dagli dèi, Pandora (Theog., vv. 578-584); e il dio è talora rappresentato imberbe col martello in mano in atto di coronare una rigida figura femminile, come in una coppa a fondo bianco del British Museum, ovvero barbato davanti ad una figura ancora informe come nell'anfora Vivenzio dello stesso museo. Tuttavia la sua figura è talora confusa con quella di Epimeteo, fratello di Prometeo, come in un bel cratere di Spina, ora a Ferrara. Analoga confusione tra E. e Prometeo si rileva nel mito della nascita di Atena dal cranio di Zeus, che fu abbastanza spesso riprodotta dai ceramisti (ma non quanto il ritorno all'Olimpo). L'intervento di E. in questa nascita miracolosa è tardivo; Esiodo (Theog., 924 ss.) lo ignora; Pindaro (Olymp., vii, 35) vi accenna. Soltanto una trentina di vasi a figure nere e cinque a figure rosse rappresentano la scena, ma solo una quindicina di volte appare E. quasi sempre col martello in mano e barbato. La stessa scena con poche varianti si trova su di uno specchio etrusco ed un vaso etrusco e nel puteale di Madrid dov'egli è in atto di allontanarsi vivacemente, col martello nella sinistra; nel frontone orientale del Partenone in cui al centro era rappresentata la nascita di Atena dal cranio di Zeus, E. era dietro a Zeus e doveva esser raffigurato anche qui in atto di allontanarsi col martello o l'ascia nella mano. Lo stesso motivo si trova in un vaso parigino del ceramista Hermonax e nel rilievo Rondanini. In tutt'altro atteggiamento lo troviamo nel rilievo arcaico; per esempio, se quella figura è però E. in atto di soffiare nella fucina nel fregio del Tesoro dei Sifni a Delfi, e di preparare mödroi incandescenti; coi mödroi afferrati da potenti tenaglie è in atto di torturare l'avversario gigante nella metopa XIII del lato E del Partenone. In quest'ultima ha la clamide avvolta intorno al braccio destro teso, è nudo e punta un piede sulla gamba dell'avversario semicaduto. Nessun simbolo particolare lo distingue nell'assemblea delle divinità del fregio del Partenone.

E. ed Atena sono legati nella tradizione fino dall'Odissea e da Esiodo (vi, 233 ss.; Theog., 573); nel Trono di Amicle era rappresentata la scena dell'aggressione di Atena da parte di E. e della nascita di Erittonio. Frequentissima è la rappresentazione di E. nelle scene di gigantomachia dove il dio è spesso presente; così nel fregio grande dell'Ara di Pergamo, egli appare non sul lato della scala settentrionale davanti a Donde e Nereo, come molti hanno ritenuto finora, e dove è da riconoscere la figura di Oceano, ma sul lato meridionale davanti alla scena di Rhea che cavalca il leone e della sua compagna; è nudo con un martello nella mano alzata. Lo stesso schema si trova in un fregio d'ispirazione ellenistica dell'Antiquarium Comunale di Roma e nel fregio di Lagina. Nella ceramica è frequente la rappresentazione di E. nella gigantomachia; in una coppa a figure rosse E. è rappresentato in armatura oplitica mentre insegue un Gigante; in un altro vaso italiota berlinese è in clamide e pìlos in capo, col martello in mano mentre attacca Issione alla ruota; in uno specchio etrusco è raffigurato in atto di partecipare alla creazione di Pegaso, sempre nello stesso atteggiamento di colpire col martello.

Quando invece Tetide si reca da E. per ordinare le armi per il figlio, scena raffigurata su di una anfora di Suessula, il dio è barbato, seduto ed indossa un corto chitonisco; ha nella sinistra un elmo che offre alla dea e nella destra il martello, mentre in alto sono le insegne del mestiere, il mantice, e in basso a terra è un altro martello. Le rappresentazioni di E. presso i Ciclopi, che risalgono appena ad Euripide e poi trovano singolare sviluppo nella poesia ellenistica (Eurip., Cycl., passim; Callim.; iii, 46 segg.; Apoll. Rhod., Arg., iii, 41) sono frequenti, dal I sec. a. C. in poi, in rilievi e vasi; possiamo ricordare una Tabula Iliaca, vari sarcòfagi capitolini e le pitture pompeiane; il dio è qui barbato, rappresentato con pìlos in capo e tiene sollevato uno scudo, con gli strumenti del suo mestiere. In oreficerie etrusche vulcenti E. è rappresentato mentre lavora con un martello ad un elmo. Il tema di E. nell'officina sarà ripreso sulla traccia della pittura classica dalla decorazione pompeiana nella quale la visita di Tetide è riprodotta sia nella Casa di Sirico che in quella degli Amorini dorati e dell'insula IX, i, 7. Il dio, stante o seduto, con pìlos in capo, e seminudo, mostra alla dea con particolare compiacimento lo scudo da lui eseguito (cfr. L. Curtius, Wandmal. Romp., p. 222 ss.); è ormai uno schema comune, ed E. non si distingue più da qualsiasi altra divinità se non per il pìlos e per l'ambiente in cui vive.

Se passiamo alle rappresentazioni isolate del dio, dopo quelle nel frontone e nelle metope del Partenone, si deve ricordare l'E. ed Atena, statue di culto dell' Hephaistieion di Atene; la statua di E. era opera dello scultore Alkamenes, e la lieve deformità del dio, dice Cicerone (De nat. deor., 1, 30) non urtava la vista; ciò che è confermato anche da Valerio Massimo (viii, ii, ext. 3). Si è creduto di poter adattare ad un torso di Kassel la testa del Museo Chiaramonti appartenente ad un'erma: il dio barbato ha il pìlos in capo, caratteristico degli artigiani in genere, e forse l'identificazione di una copia di Alkamenes nell'erma è giusta (Helbig-Amelung, Führer3, 1, n. 86). Una probabile identificazione del simulacro bronzeo di Alkamenes è stata recentemente proposta (Papaspyridi-Karouzou) mediante la raffigurazione su una lucernetta della Collezione Empedokles, ora al Museo Nazionale di Atene, della metà del II sec. d. C. Il dio vi appare barbato, con pìlos e corta exomìs e regge un, martello nella destra mentre nella sinistra tiene un asta.

Un E. giovanile semipanneggiato con sottile bastoncino si ha in un'ara neo-attica di Ostia con i dodici dèi, e sembra risalire a un tipo prassitelico.

Assai dubbie sono le rappresentazioni di E. più tarde, perché facilmente si confondono con quelle di Ulisse e di Asklepios, così per una testa di Dresda e per una statuetta fiorentina; l'identificazione di E. sembra accertata in un'assemblea di divinità su di un rilievo del Museo Capitolino da Albano (Helbig, Führer3, n. 864).

Riassumendo, il dio è scarsamente rappresentato dall'arte greca; i suoi attributi più caratteristici sono il pìlos sul capo, che lo avvicina ai Cabiri del principale dei quali è considerato padre, le tenaglie, il martello e, talora, alcuni pezzi di metallo infiammato, i cosiddetti μύδροι. Per lo più fornito di barba, indossa spesso l'exomìs o la clamide od una corta tunica; raramente è imberbe, e nell'abito anche si denota la sua natura di artigiano. Nelle monete è rappresentato seduto in atto di forgiare. Alcuni simboli che gli sono attribuiti sono in relazione con le divinità insieme alle quali è rappresentato: sulla sua spalla, ad esempio, dopo la nascita di Atena riposa la doppia ascia, nelle scene della creazione di Pandora porta uno strumento da orefice per cesellare, e spesso ha simboli bacchici dovuti alla vicinanza con Dioniso, dal ramo d'edera al pampino in testa, al kàntharos ed al rhythòn in mano. Il suo difetto fisico, l'essere zoppo, che appare spesso nei monumenti, e la sua figura talora di nano si riporterebbero alla forma originale del dio vicino ai Pigmei e ai Telchini considerati esseri demoniaci inventori dei metalli. Si può dire che questa essenza originaria si trova nella ceramica corinzia ed arcaica e poi scompare nell'età classica; secondo la norma divina dei Greci il dio diviene una figura olimpica dotata di attributi.

Bibl.: Rapp, in Roscher, I, 2, cc. 2036-2074, s. v. Hephaistos; L. Malten, in Pauly-Wissowa, VIII, 1913, cc. 311-366, s. v. Hephaistos; Ch. Picard, in Dict. Ant., s. v. Vulcanus; U. v. Wilamowitz-Moellendorf, in Nachr. Gel. Ges. Göttingen, 1895, p. 217 ss.; L. Malten, in Jahrbuch, XXVII, 1912, p. 232 ss.; L. G. Eldridge, in Am. Journ. Arch., XXI, 1917, p. 38 ss.; F. Brommer, in Jahrbuch, III, 1937, p. 198 ss.; M. P. Nilsson, Geschichte der griech. Religion, Monaco 1941, pp. 495-498; S. Papaspyridi-Karouzou, in Ath. Mitt., LIX-LXX, 1954-5, p. 67 ss.

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