Efficacia della misura coercitiva a fini estradizionali

Il Libro dell'anno del Diritto 2016

Efficacia della misura coercitiva a fini estradizionali

Gaetano De Amicis

Viene analizzata la questione problematica della persistenza o meno del regime cautelare applicato all’estradando, la cui consegna sia stata sospesa dal giudice amministrativo investito del controllo di legittimità del decreto ministeriale di estradizione. Tale questione, scaturita da una lacuna normativa nella disciplina dei termini di durata delle misure coercitive nella fase amministrativa della procedura estradizionale, ha dato luogo a un contrasto giurisprudenziale non ancora risolto dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, contrasto le cui implicazioni si estendono sino a lambire le conseguenze delle recenti modifiche introdotte dal codice del processo amministrativo nello svolgimento del procedimento incidentale cautelare.

La ricognizione

Senza risolvere la controversa questione della perdita di efficacia della misura coercitiva applicata a fini estradizionali, nel caso in cui lo Stato richiedente non prenda in consegna l’estradando nel termine di legge a causa della sospensione dell’efficacia del provvedimento ministeriale di concessione dell’estradizione, disposta dal giudice amministrativo, una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione1 è intervenuta sul tema, ribadendo in via preliminare il principio secondo cui l’intervenuta consegna allo Stato richiedente comporta l’inammissibilità, per sopraggiunta carenza d’interesse, dell’impugnazione proposta dalla persona reclamata avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revoca o di inefficacia della misura cautelare disposta a suo carico nel corso del procedimento estradizionale2.

Si è inoltre precisato che, in tale ipotesi, l’interesse all’impugnazione non può essere ravvisato neppure nella prospettiva di ottenere la riparazione per ingiusta detenzione, a norma dell’art. 314 c.p.p., in quanto il conseguimento di tale obiettivo è incompatibile con la pronuncia della sentenza irrevocabile favorevole all’estradizione.

Ad avviso delle Sezioni Unite, in particolare, se è vero che l’esaurimento della fase giurisdizionale del procedimento di estradizione, conclusosi con sentenza irrevocabile favorevole all’estradabilità del soggetto sottoposto a misura coercitiva, non preclude il controllo giurisdizionale sulla richiesta di revoca o di sostituzione o di inefficacia della misura (quando tale richiesta sia fondata su profili emersi soltanto nella fase amministrativa e non attinenti alla sussistenza delle condizioni, già accertate in via definitiva, per la concedibilità dell’estradizione), è pur vero che, ove di fatto sia avvenuta la consegna della persona allo Stato richiedente, deve ritenersi venuto meno l’interesse alla definizione del procedimento de libertate, poiché lo stesso, avendo natura incidentale rispetto a quello di estradizione ed essendo funzionale all’obiettivo da quest’ultimo perseguito, non ha più ragion d’essere, per avere comunque assolto la sua funzione strumentale alla consegna della persona richiesta, ormai uscita dal campo di operatività della giurisdizione dello Stato, che non è più in grado di incidere sullo status libertatis del consegnando.

La questione era stata sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite dalla sezione VI della Corte di cassazione3, che aveva al riguardo registrato una sensibile dissonanza di orientamenti ermeneutici, resa nella prassi ancor più rilevante per la sua diretta incidenza sulle dinamiche de libertate e la sua riferibilità ad ogni caso di estradizione passiva.

1.1 Le lacune del quadro normativo e i precedenti interventi giurisprudenziali

È noto che, nel sistema estradizionale, la specifica previsione – contenuta nell’art. 714, co. 4, c.p.p. – di termini massimi di durata delle misure coercitive diversi rispetto a quelli ordinari di cui agli artt. 303 e 308 c.p.p., da un lato assicura la compatibilità di quella disposizione con i principi fissati dall’art. 13 Cost., dall’altro lato stabilisce un’ipotesi di revoca della misura cautelare qualora, dall’inizio della sua esecuzione, trascorra un anno senza che la corte d’appello pronunci sentenza favorevole all’estradizione, ovvero, in caso di ricorso per cassazione, un anno e sei mesi senza che sia stato esaurito il procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria.

La scadenza dei termini, dunque, in entrambe le situazioni previste dalla legge, comporta la revoca delle misure, senza determinare un effetto risolutivo ope legis4, ma, anzi, operando senza automatismi secondo le forme e le modalità indicate dal successivo art. 718 c.p.p.

V’è peraltro da osservare, in linea generale, che né l’art. 708, co. 5, c.p.p., né l’art. 18, co. 4, Conv. europea di estradizione del 1957 – secondo i quali, emesso il decreto ministeriale di estradizione, l’interessato viene posto in libertà se la consegna non viene effettuata entro i termini, rispettivamente, di quindici giorni, prorogabili di altri venti per la norma codicistica, e di trenta giorni per la norma convenzionale – stabiliscono alcunché per l’ipotesi in cui l’efficacia del decreto ministeriale venga sospesa dal tribunale amministrativo regionale, in accoglimento dell’istanza formulata dall’estradando.

In linea di principio, la giurisprudenza di legittimità e la dottrina ritengono inapplicabile al riguardo la normativa generale circa i termini di durata delle misure coercitive, essendo tale materia regolata, in via specifica, dall’art. 714, co. 4, c.p.p. ed il richiamo che tale disposizione effettua, “in quanto applicabili”, alle disposizioni del libro IV del codice non è riferibile agli artt. 303 e 308 c.p.p., in quanto le relative statuizioni sono incompatibili con le peculiarità del procedimento estradizionale, cadenzato da forme, modi e termini del tutto autonomi e particolari5.

A seguito di un recente intervento operato dalle Sezioni Unite sulle questioni legate alla sospensione dell’esecuzione della consegna6, la misura cautelare applicata all’estradando deve essere revocata allorquando ne sia stata sospesa la consegna allo Stato richiedente fino al soddisfacimento della giustizia italiana a norma dell’art. 709 c.p.p., in quanto la durata massima delle misure coercitive adottate ai fini estradizionali va stabilita solo sulla base della disciplina dettata dagli artt. 708 ss. c.p.p. e delle eventuali norme pattizie, come tali prevalenti su quelle codicistiche, con l’esclusione delle previsioni di cui agli artt. 303 e 308 c.p.p., da considerarsi come del tutto incompatibili con la suddetta disciplina. Alla linea di indirizzo in tal modo tracciata dalle Sezioni Unite si è uniformata la successiva elaborazione della giurisprudenza di legittimità7.

La focalizzazione

All’interno del corpus motivazionale della citata pronuncia delle Sezioni Unite n. 41540/2006, peraltro, va posto in evidenza un passaggio argomentativo rilevante anche ai fini dell’apprezzamento della controversa questione successivamente portata alla loro attenzione: la Suprema Corte, infatti, pur non sollecitata, vi soggiunge, per “completezza”, che a conclusioni identiche occorre pervenire anche nell’ipotesi in cui la sospensione della esecuzione dell’estradizione non derivi dal provvedimento ministeriale adottato a norma dell’art. 709 c.p.p., ma sia stata pronunciata iussu iudicis, in sede di sospensiva disposta dal giudice amministrativo a seguito di ricorso proposto avverso il decreto di estradizione. E ciò, «per l’assorbente rilievo che la riscontrata lacuna di disciplina riguarda ogni ipotesi di sospensione della estradizione, a prescindere, quindi, dalla autorità da cui essa promani, dalla natura e dall’efficacia del relativo provvedimento e dalle ‘ragioni’ per cui essa è disposta o pronunciata; sicché, le stesse ragioni che valgono ad escludere l’applicabilità della disciplina dei termini di cui agli artt. 303 e 308 c.p.p. al caso di sospensione di cui all’art. 709, valgono – eo magis – per l’ipotesi in cui la sospensiva derivi da una decisione del giudice amministrativo, essendo in quest’ultimo caso addirittura revocata in dubbio – con positivo riscontro circa il relativo fumus – la stessa legittimità del provvedimento di estradizione, e non soltanto differita la sua esecuzione ‘fino a soddisfatta giustizia italiana’». Proprio su tale questione, infatti, si è formato l’ulteriore contrasto giurisprudenziale oggetto del su citato provvedimento di rimessione alle Sezioni Unite.

2.1 Le ragioni del contrasto giurisprudenziale

A seguito della citata pronuncia delle Sezioni Unite n. 41540/2006, la giurisprudenza di legittimità non ha mancato di affrontare nuovamente, sul piano cautelare, la questione problematica del superamento dei rigorosi termini che, a norma dell’art. 708 c.p.p., scandiscono le sequenze esecutive della consegna estradizionale, nel caso in cui queste siano sospese o interrotte a seguito di decisione interlocutoria o provvisoria del giudice amministrativo, chiamato a sindacare – su ricorso proposto dalla persona estradanda – la legittimità amministrativa del decreto ministeriale di estradizione8.

Secondo tale indirizzo ermeneutico, quando l’efficacia del decreto di estradizione venga sospesa da un’ordinanza del giudice amministrativo emessa mentre è già iniziata la fase della consegna, e alla consegna non si faccia luogo proprio in ragione di tale pronuncia, l’estradando, se detenuto, deve essere rimesso in libertà, poiché la legge non prevede l’intervento del giudice amministrativo come causa di sospensione o di proroga dei termini della misura restrittiva applicata, che non possono in nessun caso superare quelli inderogabili previsti per la consegna. Si precisa, peraltro, che il provvedimento di estradizione non perde in modo irreversibile la sua efficacia, sicché rimane integra la possibilità di porlo nuovamente in esecuzione, con conseguente riapertura dei termini per la consegna, nel caso in cui il procedimento dinanzi al giudice amministrativo dovesse concludersi con il rigetto del ricorso.

Ne discende che, una volta intervenuto il decreto di estradizione, lo status detentionis dell’estradando non può essere prolungato sine die, oltre gli stretti limiti indicati dall’art. 708 c.p.p., finanche in presenza di una causa di sospensione della consegna rappresentata da una pronuncia del giudice amministrativo, poiché una durata della coercizione personale che si protragga senza limiti temporali definiti dalla legge si porrebbe in palese contrasto con i principi fondamentali fissati dall’art. 13 Cost.

A fronte di tali evenienze, dunque, la conseguenza da trarre – nel caso dell’intervenuta scadenza dei termini fissati dall’art. 708 c.p.p. – non può che essere quella della revoca della misura cautelare in atto e della coeva scarcerazione dell’estradando, ferma restando la possibilità di adottare nuovamente le misure coercitive, una volta cessata la sospensione, nei limiti delle esigenze cautelari connesse all’accompagnamento ed alla sua consegna allo Stato richiedente, con l’osservanza dei termini previsti dall’art. 708 c.p.p.

Un diverso orientamento giurisprudenziale afferma, di contro, la perdurante efficacia dello stato di coercizione cautelare dell’estradando, la cui consegna sia sospesa per decisione del giudice amministrativo, muovendo dal presupposto che, a causa di tale ostacolo giuridico, è impedita l’ulteriore fissazione del termine per la consegna di cui all’art. 708, co. 5, c.p.p., sicché non può operare la perdita di efficacia della custodia prevista dal successivo co. 6, ma esclusivamente quello – generale e desumibile dal rinvio operato dall’art. 714 c.p.p. – connesso alla scadenza del termine massimo di durata delle misure coercitive di cui agli artt. 303 e 308 c.p.p.9.

Secondo tale indirizzo, pertanto, si è in presenza di un ostacolo o di una causa di forza maggiore alla valida prosecuzione della procedura esecutiva estradizionale, che non può ritenersi assimilabile alla sospensione prevista dall’art. 709 c.p.p. (decisa dal Ministro per esigenze di giustizia nazionale), né al caso di una eventuale inerzia ministeriale.

Entro tale prospettiva, inoltre, solo con un obiter dictum la su menzionata decisione delle Sezioni Unite n. 41540/2006 ha preso in esame la particolare ipotesi in questione, equiparandola a quella in cui la consegna dell’estradando sia invece sospesa per esigenze di giustizia interna. Tale estensione, tuttavia, non viene ritenuta condivisibile, sul duplice assunto che la mera impugnazione del decreto ministeriale dinanzi alla giurisdizione amministrativa non fa venir meno l’attualità dell’esigenza cautelare del pericolo di fuga – connesso all’immediatezza della consegna – e la sospensione disposta dal giudice amministrativo dipende da un’istanza dell’estradando, che può celare una finalità meramente dilatoria, con la conseguenza che in tale ipotesi si rendono applicabili i termini di cui all’art. 303 c.p.p., o la sospensione dei termini di cui all’art. 304 c.p.p.

I profili problematici

Le implicazioni problematiche delle questioni sottese al contrasto giurisprudenziale sopra illustrato sembrano imporre, dunque, l’esigenza di un nuovo (e definitivo) intervento nomofilattico da parte delle Sezioni Unite.

Al riguardo, infatti, se è vero, come già auspicato dalla sezione rimettente con la su citata ordinanza n. 30215/2011, che non può essere sottaciuta la persistente necessità di un intervento normativo volto ad eliminare in radice ogni incertezza ermeneutica, anche alla luce dell’impegno gravante sull’Italia, quale Stato membro dell’UE, di farsi carico, nell’ambito di una comune azione nell’area della cooperazione giudiziaria penale, dell’obiettivo di “facilitare l’estradizione tra gli Stati membri”, è pur vero che, ad ulteriore riprova dell’avvertita esigenza di eludere potenziali conflitti di decisioni sul tema, la questione della revoca ipso iure per scadenza dei termini di cui all’art. 708 c.p.p. di misure cautelari in atto nella fase esecutiva della concessa estradizione, ovvero della sospensione del decorso di tali termini a fronte di sopravvenute cause impeditive della immediata consegna dell’estradando, sembra assumere un rilievo ancor maggiore a seguito della rinnovata disciplina della procedura giurisdizionale amministrativa introdotta con l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (d.lgs. 2.7.2010, n. 104).

Tale disciplina, infatti, semplificando e riducendo i termini di svolgimento del procedimento incidentale cautelare (artt. 55-62, 98 c.p.a.), rende concreta quella dinamica di “automatismo” nella concessione di misure sospensive dei provvedimenti impugnati davanti al giudice amministrativo in sede di “misure cautelari”, monocratiche o collegiali, di primo o di secondo grado, già paventata fin dal 2006 dalla su citata pronuncia delle Sezioni Unite.

Una pressoché automatica concessione della sospensiva da parte del giudice amministrativo, posto nell’impossibilità di pervenire ad una decisione definitiva sulla posizione cautelare dell’estradando e, ancor meno, sul merito del ricorso giurisdizionale entro il ristretto termine di quindici giorni previsto dagli artt. 708 c.p.p. e 18, co. 4, della Convenzione europea del 1957, rischierebbe di determinare la conseguenza che lo stesso estradando, con la sola presentazione di un ricorso giurisdizionale amministrativo invocante la congiunta sospensione del decreto ministeriale di estradizione, diventi incontrollato arbitro della propria consegna, vanificando ogni garanzia rispetto al pericolo della sua sottrazione alla consegna.

3.1 Le prospettive di soluzione

A fronte di tale vistosa lacuna ordinamentale, infine, si è rilevato che un’eventuale soluzione giurisprudenziale orientata in senso garantista non consentirebbe comunque di eludere i problemi legati alla liberazione dell’estradando, il cui pericolo di fuga, magari già accertato in più gradi del procedimento cautelare, contestuale o successivo al rito giurisdizionale per il vaglio dei presupposti estradizionali, non può ritenersi automaticamente azzerato nel momento della sospensione a “soddisfatta giustizia italiana”, o a fronte di una provvisoria decisione del giudice amministrativo10. Né, d’altra parte, la valutazione della sussistenza del pericolo di fuga si può ragionevolmente spostare ad un momento successivo alla definizione del giudizio interno o alla conclusione del giudizio amministrativo. In definitiva, se è vero che il Ministro della giustizia può richiedere in ogni tempo la misura cautelare (art. 714, co. 1, c.p.p.), così come può chiederne sempre la revoca (art. 718, co. 2, c.p.p.), è evidente la necessità di una sua iniziativa finalizzata ad investire l’organo giurisdizionale della verifica in concreto sulla persistenza di un eventuale pericolo di fuga da effettuarsi nel contraddittorio delle parti, ed in coerenza con il precetto dell’art. 274, lett. b), c.p.p., dopo l’esaurimento del procedimento estradizionale con sentenza favorevole alla consegna.

Note

1 Cass. pen., S.U., 27.10.2011, dep. 17.2.2012, n. 6624.

2 Cass. pen., S.U., 28.5.2003, n. 26156.

3 Cass. pen., 19.7.2011, n. 30215.

4 Cordero, F., Procedura penale, Milano, 2012, 1032.

5 Cass. pen., 19.6.2003, n. 35658; Cass. pen., 26.10.2004, n. 46478; Marchetti, M.R., voce Estradizione, in Enc. dir., Annali, II, t. 1, Milano, 2008, 316.

6 Cass. pen., S.U., 28.11.2006, n. 41540.

7 Cass. pen., 13.11.2008, n. 44441.

8 Cass. pen., 20.3.2007, n. 12677.

9 Cass. pen., 11.3.2011, n. 12451.

10 Galantini, N., Diritti di libertà e coercizione nel procedimento di estradizione passiva: note a margine del caso Cipriani, in Corso, P.-Zanetti, E., a cura di, Studi in onore di Mario Pisani, II, Piacenza, 2010, 257 ss.

CATEGORIE