FALCETTA, Egidio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 44 (1994)

FALCETTA (Falconetti, Falzetta), Egidio

Renata Targhetta

Nacque a Cingoli (Macerata) nel 1496.

Venticinquenne, si laureò a Roma in utroque iure, "dove - come ebbe a scrivere egli stesso al cardinal Farnese, in una lettera dell'11 apr. 1546 che costituisce la principale fonte della sua biografia - inanzi il sacho mi exercitai in Rota e dipoi in officii"; quindi si sposò ed ebbe dei figli; rimasto vedovo, abbracciò la carriera ecclesiastica, entrando al servizio del cardinale Antonio Del Monte, in qualità di uditore. Alla morte di questo (20 sett. 1533), passò a ricoprire lo stesso incarico presso il cardinale Marino Grimani, che sarebbe divenuto il suo principale protettore.

Il Grimani, infatti, membro del prestigioso ramo di S. Maria Formosa, fu uno dei maggiori esponenti di una dinastia "ecclesiastica" che per quasi tutto il XVI secolo ebbe in mano il patriarcato di Aquileia, oltre a numerosi altri benefici: nel F. trovò un servitore preparato e devoto, che per più di dodici anni avrebbe esercitato in suo nome quelle funzioni amministrative e spirituali che anche in età pretridentina costituivano pur sempre un ingente aggravio per i titolari di una diocesi.

Anzitutto il Grimani, nella sua qualità di commendatore ed amministratore perpetuo della Chiesa di Concordia, sin dal luglio '33 nominò il F. governatore del vescovato e gastaldo di quel distretto, quindi uditore del patriarcato, di cui peraltro deteneva soltanto i diritti, avendone ceduto le rendite temporali al fratello Marco sin dal 1529; dopo di che, quando ormai pareva imminente la scomparsa di quest'ultimo (che sarebbe avvenuta a Roma, nel '44) ed il conseguente regresso del titolo patriarcale nella persona del cardinale, il 15 marzo 1542 questi otteneva dal pontefice la nomina del F. alla diocesi di Caorle, "la qual - così si esprimeva il beneficiato nella già ricordata lettera al Farnese del '46 - computando l'una e l'altra mensa episcopale capitular, non passa cento ducati d'entrada all'anno, et per expedir le bolle, vendetti una casa, che io haveva in Roma. Mi persuase il prefato card. Grimano ad accettar questa chiesa, perché io li servisse per vicario in pontificalibus nel patriarcato di Aquilegia ivi vicino, e così l'ho servito già cinque anni e con tucto questo a pena poteva viver perché non haveva salario".

Dunque le difficoltà economiche, che pur sempre angustiarono e condizionarono la vita del F., non ebbero termine con il conseguimento della dignità episcopale, ed egli fu costretto a continuare l'attività di vicario di prelati più ricchi, passando da una diocesi all'altra, seguendo la prassi dei cosiddetti "vescovi mercenari".

Difficile esprimere un giudizio - indipendentemente dagli elogi di maniera presenti nelle cronache coeve - sulla cura con cui il F. svolse le funzioni pastorali, tanto nella propria Chiesa quanto in quella aquileiese, di cui oltretutto era suffraganeo: nel gennaio '44 emanava ad Udine un proclama volto a rivendicare alla giurisdizione patriarcale il possesso di due piccoli feudi; nell'ottobre consacrava a Gorizia la chiesa della Madonna del Monte Santo, ma qualche mese più tardi era a Piacenza, da poco ritornata sotto la sovranità pontificia, ad esercitare l'ufficio di vicelegato, sempre in nome del cardinal Grimani. Non vi rimase a lungo, tuttavia: il suo influente protettore, infatti, agli inizi del '45 aveva ottenuto in commenda il vescovato di Ceneda (ora Vittorio Veneto), sul quale vantava un diritto di regresso assegnatogli per l'addietro dallo zio, il cardinale Domenico, e subito erano sorti contrasti con i rappresentanti del governo marciano, a causa del mal definito status giuridico dell'antico principato ecclesiastico, sul quale il vescovo rivendicava ampie prerogative. Così, la duplice esigenza di badare agli interessi più pressanti del Grimani e di partecipare all'imminente apertura dei lavori del concilio tridentino ricondusse il F. alla sua diocesi: nel dicembre del 1545 era a Venezia e due mesi più tardi a Trento; date le sue precarie condizioni economiche (arrivò con un seguito di sole due persone), egli fu tra i vescovi regolarmente sovvenzionati dai legati, con 25 scudi al mese.

La delicatezza di questa sua posizione ne spiega l'atteggiamento cauto e dimesso tenuto nel corso delle assemblee, alle quali peraltro intervenne assiduamente; pare non fosse supinamente schierato su posizioni filo-spagnole, ma certo esperì ogni via per ingraziarsi i rappresentanti ed i ministri del pontefice: nella già ricordata lettera al Farnese il F. così concludeva: "... genuflexo la suplico, si degni pigliar protection di me poverissimo vescovo, e se li piace far qualche experientia di me, sarrà di grandissimo favor, e me cognosceria tanto meglio, benché stando ancor qui spero haverà bon odor di me"; e due mesi più tardi il Cervini spezzava a sua volta una lancia a favore di "questo homo da bene", raccomandandolo al segretario di Stato, "perché in vero ci par persona che merita, e nelle cose di qua assai utile, essendo di buone lettere et molto servitor di Sua Santità".

Così, allorché il F. si recò a Venezia, il 13 sett. 1546, per questioni inerenti al vescovato di Ceneda, i legati lo incaricarono anche di ammonire quei prelati (ed erano davvero troppi) che agli impegni conciliari avevano sostituito gli ozi mondani e culturali che la vicinanza di Venezia e Padova facilmente consentiva.

Nonostante l'appoggio del nunzio G. Della Casa, gli sforzi del F. (che oltretutto nutrì per qualche tempo la speranza di subentrare nel pingue titolo cenedese al Grimani, morto improvvisamente alla fine di settembre) non sortirono alcun significativo risultato, e nel febbraio 1547 era nuovamente a Trento. Unico conforto era una lettera di raccomandazione del cardinal Farnese, che egli aveva avuto modo di conoscere qualche mese prima, in un probabile breve soggiorno romano, forse causato da talune difficoltà relative all'eredità del Grimani. Il 9 e 10 marzo fu tra i prelati che approvarono il trasferimento del concilio a Bologna, e qui lo si ritrova il 21 aprile, quando l'assise riprese i lavori, e ancora il 19 novembre ed il 27 dic. '47, allorché il cardinale Giovan Maria Ciocchi Del Monte, preoccupato delle lamentele della città di Pavia, del cui vescovato era titolare (benché poco o nulla se ne occupasse), ma soprattutto dei tentativi del suo predecessore Gerolamo Rossi per rientrare in possesso del beneficio di cui era stato privato, gli propose di recarsi nella diocesi lombarda come suo vescovo ausiliare e vicario generale.

Provvisto di "un buon salario, et una buona instruttione", il F. accettò, e rimase a Pavia poco più di due anni, c'è da credere con soddisfazione del suo protettore, se divenuto questi papa col nome di Giulio III, il 21 marzo 1550 lo nominò governatore di Terni e Rieti. Non si trattava però di una sistemazione definitiva per il F., ché due anni dopo lo troviamo a Genova, ad esercitare nuovamente funzioni vicarie, per l'occasione in nome del vescovo Girolamo Sauli.

La permanenza in Liguria si prolungò per ben sette anni, all'incirca tra la prima e la terza convocazione conciliare, e costituisce uno dei momenti più interessanti dell'attività del F., che cercò in tutti i modi di reprimere le infiltrazioni protestanti, valendosi anche dell'appoggio dei gesuiti: nel '53, infatti, egli chiese ed ottenne da Ignazio di Loyola l'invio di G. Laynez, che aveva conosciuto a Trento, con il quale tentò di promuovere la fondazione di un collegio della Compagnia. La sua fede nei Padri, la sua ansia apostolica si spinsero anzi a tal punto che egli non esitò a proporre allo stesso Laynez - secondo quanto riporta l'Alberigo - l'assorbimento nella Compagnia di Gesù di nuovi Ordini riformati, quali i barnabiti ed i somaschi.

Alla morte del Sauli, il F. passò nel 1559 a ricoprire le medesime funzioni a Piacenza (dove era già stato un quindicennio avanti), per conto del teatino Bernardino Scotti, ma il 30 sett. '61 arrivava nuovamente a Trento, per partecipare all'ultima fase del concilio, che lo avrebbe visto collaboratore attento e attivo: fu sua la proposta di combattere gli abusi a scopi magici che si compivano per mezzo dell'eucarestia, ed a lui, il 20 apr. 1562, venne affidata la stesura del decreto "de residentia"; ancora, nel luglio '63 intervenne calorosamente in difesa della legittimità dei matrimoni clandestini.

In riconoscimento di tanti servizi puntualmente adempiuti, il 30 genn. 1563 Pio IV lo aveva finalmente trasferito ad una sede meno povera: quella di Bertinoro, suffraganea di Ravenna, e in quest'ultima località il F. si recò, agli inizi dell'anno successivo, in visita apostolica, a motivo delle vertenze insorte tra la città ed il suo vescovo, il rinunciatario cardinale Ranuccio Farnese.

Morì a Bertinoro (Forlì) il 10 luglio 1564.

Fonti e Bibl.: Concilium Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, Diariorum, Actorum, Epistolarum, Tractatuum nova collectio, I-XVI, Friburgi Brisgoviae 1901-1916, ad Indices (la lettera autobiografica al Farnese, del 1546, nel vol. X, pp. 537-538); P. Sarpi, Venezia, il patriarcato di Aquileia e le "giurisdizioni nelle terre patriarcali del Friuli" (1420-1620), a cura di C. Pin, Udine 1985, p. 233; O. Avicenna, Memorie della città di Cingoli, Iesi 1644, p. 240; C. Poggiali, Memorie storiche della città di Piacenza, IX, Piacenza 1789, pp. 113, 356; A. Zambaldi, Monumenti storici di Concordia..., San Vito 1840, p. 111; F. Di Manzano, Annali del Friuli..., VII, Udine 1879, pp. 143, 236; L. von Pastor, Storia dei papi, IV, Roma 1922, p. 645; H. Jedin, Girolamo Seripando. Sein Leben und Denken in Geisteskampf des 16. Jahrhunderts, I, Würzburg 1937, p. 172; F. Molinari, Il card. teatino b. Paolo Burali e la riforma tridentina a Piacenza (1568-1576), Roma 1957, p. 105; P. Paschini, I vicari generali nella diocesi di Aquileia e poi di Udine, Udine 1958, pp. 19-22; G. Alberigo, I vescovi italiani al concilio di Trento (1545-1547), Firenze 1959, ad Indicem; H. Jedin, Il significato del periodo bolognese per le decisioni dogmatiche e l'opera di riforma del concilio di Trento, in Problemi di vita religiosa in Italia nel Cinquecento, Padova 1960, p. 15; G. Cozzi, Paolo Paruta, Paolo Sarpi e la questione della sovranità su Ceneda, in Boll. dell'Ist. di storia della società e dello Stato veneziano, IV (1962), p. 190; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica…, LVI, p. 251; LXI, p. 215; XCIII, p. 147; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia cattolica…, III, Monasterii 1910, pp. 154, 166.

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