EGITTOLOGIA

Enciclopedia Italiana (1932)

EGITTOLOGIA

Giulio Farina

. Si designa con tal nome la scienza che si occupa dell'antico Egitto faraonico.

Già G. Pierio Valeriano nel 1556 aveva condotto ricerche intorno alla misteriosa scrittura geroglifica; il ritrovamento di obelischi in Roma e la loro nuova erezione per volere di Sisto V, sollecitarono la curiosità dei dotti. È del 1589 il primo lavoro intorno a quei monoliti, scritto da M. Mercati. Opere sterili, giacché mancava la chiave per l'interpretazione, né potevano bastare per risolvere il problema le notizie errate e confuse tramandate dagli scrittori greci e latini. Atanasio Kircher, uomo di somma erudizione e di punto spirito critico, tra il 1636 e il 54 non esitò a tradurre iscrizioni e a comporne; ma tanto assurde erano le interpretazioni cabalistiche da lui date che il semplice buon senso avrebbe dovuto farne giustizia. Invece non accadde così; egli fece scuola. Ci fu chi ritrovò nel tempio di Denderah il centesimo salmo di David, un altro lesse sull'obelisco Pamphily il trionfo degli adoratori della Trinità. Tra tanti insipienti, il danese G. Zoega nel 1797 riconosceva che i geroglifici erano lettere e che gli anelli ellittici circondanti alcuni segni, i cosiddetti "cartelli", racchiudono nomi. Il genio di Napoleone Bonaparte comprese quanto grande importanza per la storia poteva avere la riesumazione della millenaria civiltà e nella memoranda campagna in Egitto condusse seco un gruppo di scienziati perché studiassero sotto ogni aspetto il paese. Sulla fine del 1799, nell'escavazioni del forte Saint-Julien presso Rosetta un ufficiale del genio, Bouchard, rinveniva un frammento di lastra di granito nero ricoperta di segni. Ne riferì al generale J.-F. Menou, comandante in Alessandria, e fu subito chiaro trattarsi di un decreto sacerdotale per Tolomeo V Epifane, scritto, oltre che in greco, nella lingua egiziana sacra e nella volgare. Non sfuggì l'importanza del monumento quale chiave per decifrare l'enimma dei geroglifici, come appare dal comunicato ufficiale diramato il 2 agosto. Bonaparte stesso ordinò che la pietra fosse trasferita nell'istituto da lui fondato al Cairo e copie litografiche delle iscrizioni s'inviarono ai dotti di Europa. Le sorti delle armi volsero a male per i Francesi in Egitto e, in virtù dell'articolo 16 del trattato di capitolazione di Alessandria, tutte le antichità vennero cedute agl'Inglesi; e poiché il Menou allegava il suo diritto di proprietà privata per non consegnare la pietra, si spedì un distaccamento di artiglieri a prenderne possesso. Sulla fine del 1802 era esposta in una sala del British Museum a Londra. Per circa vent'anni la "Pietra di Rosetta" servì a saggiare la serietà di molti che si lusingavano di avere decifrato i geroglifici. Il primo che si segnalò davvero fu lo svedese J. D. Åkerblad (1802). Egli si applicò alla sezione demotica, anzitutto perché aveva integro l'inizio, poi perché supponeva ritrovarvi l'alfabeto menzionato da Plutarco. Con molto acume riuscì a individuare i gruppi di segni che si riferiscono a Tolomeo, Arsinoe, Berenice, Alessandro e ad altri nomi personali greci citati nelle prime righe e dal loro confronto estrasse un alfabeto quasi esatto. Ebbe la sagacia di scoprire pure i gruppi per "re", "templi", "Egitto", "Greci" e, avendone riscontrate letture conformi al copto, ne dedusse che la lingua doveva essere affine a questa. Si stava a tal punto nel maggio 1814, allorquando un illustre scienziato inglese, Thomas Young, fece presentare alla Royal Society of Antiquaries una traduzione della rosettana demotica; lusingato dal successo volle affrontare la lettura dei geroglifici. Egli rilevò subito che questi erano alla base anche dei due sistemi corsivi, lo ieratico e il demotico; quanto alla loro natura, dallo studio delle iscrizioni divenne certo che insieme a segni per idee possedevano segni per suoni; i nomi greci dovevano essere scritti foneticamente. La rosettana offriva solo il nome di "Tolomeo" nella parte rimasta; con i segni "moglie" e "Sotero" egli seppe ritrovare nel tempio di Karnak il nome "Berenice" e ne fece la scomposizione in lettere. Dei suoi risultati si ha notizia in un lungo articolo da lui distribuito agli amici nell'estate del 1818. Fu ristampato con aggiunte nel 1824 nel vol. IV del Supplemento alle edizioni 4ª e 5ª dell'Encyclopaedia Britannica. I geroglifici da lui bene letti furono i, k, t, tre forme di m, quattro di n, due di p; semi-esatti l, s, letti ole e os; quattro o cinque osservazioni grammaticali erano pure giuste. Dei 202 gruppi che egli aveva ottenuti oalla comparazione del greco col geroglifico, 67 sono precisi, altri 4 quasi; il gruppo "amato da Ptah" diviso male. In quel tempo, 1818, W. J. Bankes aveva ritrovata a File un'iscrizione greca sulla base di un obelisco ove si menzionavano Tolomeo e Cleopatra; dei due cartelli incisi nel fusto, uno corrispondeva a quello della rosettana, l'altro doveva essere Cleopatra per la desinenza femminile. Lo Young era venuto presto a conoscenza del ritrovamento. Erano intanto state distribuite copie dell'iscrizione di File, che portavano in margine i due nomi greci. Per disgrazia, nella litografia l'artista aveva riprodotto il nome di Cleopatra con un t- iniziale al posto della k e lo Young, non avendo tempo di fare i riscontri, si scoraggiò per la mancata conferma delle sue letture. Questa scomposizione dei due nomi, che ora diveniva tutta meccanica dato il numero delle lettere in comune, venne compiuta da un giovane studioso francese, Jean-François Champollion (v.). Egli si occupava con ardore del problema da molti anni, aveva raccolto un immenso materiale manoscritto e stampato intorno al copto e all'egiziano, ma senza risultati positivi. Negava assolutamente allo Young di avere trovato la chiave della lettura; vedeva nel segno del leone, che corrisponde a l, un ideogramma traducente in egizio il nome Tolomeo; e ancora nell'agosto del 1821 presentava all'Académie des Inscriptions una memoria sui tre generi di scrittura paragonati segno per segno, affermando risoluto che sono ideogrammi senza suono. Nel gennaio 1822 egli ebbe la tavola col nome di Cleopatra e, grazie a esso, fu in grado di correggere in l e s i supposti valori ole, os dello Young. Fattasi finalmente la luce nella sua mente, rettifica la scomposizione che lo Young aveva tentato del cartello di Berenice e rintraccia l'altro di Alessandro. Con un intero alfabeto in sua mano si mette alla caccia dei nomi reali e nell'estate del 1822 ne scopre anche parecchi di tempo romano. Nel settembre di quell'anno lo Young, andato a Parigi per accompagnare un amico, ebbe il piacere, assistendo a una seduta dell'Académie des Sciences, di sentire riscoprire da A.-J. Fresnel le leggi dell'interferenza della luce da lui spiegate 20 anni prima; in una seduta all'Académie des Inscriptions, il giorno 27, riscoprire dallo Champollion l'alfabeto geroglifico! Il Fresnel pur avendo fatti da sé i calcoli, con candore e con scrupolosa giustizia s'inchinò davanti al "potior tempore, potior iure", lo Champollion invece, meno generoso, negò il valore del metodo e dei risultati dello Young. Questi nel frattempo si dedicava sempre con lena all'interpretazione del demotico. Avuti nel novembre 1822 i papiri demotici e greci del Grey e del Casati, riuscì a tradurli, identificando ancora 79 nomi; notando giustamente che nei composti in P-se il secondo elemento è contrazione del copto èêre "figlio" e che i segni del dio Ammone vanno letti Ammôn e Ammûn (An Account, ecc., Londra 1823; Hieroglyphics, Londra 1823-28). Lo Champollion, fissato sempre sul valore ideografico dei geroglifici, attribuiva ai Greci l'introduzione dei segni fonetici. Lo studio dei cartelli reali, più o meno bene letti, lo portò, nel Précis pubblicato nel 1824, a riconoscere che i segni fonetici mescolati agl'ideografici erano usati da tempo remoto. In Egitto H. Salt (Essay, Londra 1825) con l'alfabeto Young-Champollion scopriva anch'egli tra l'altro i nomi di Neco, Psammitikos, Tihraq, Thutmosis (oltre quelli di parecchie divinità), giungendo a simili conclusioni. Non ostante gli errori che pullulano nelle teorie dello Champollion (non si è mai accorto che moltissimi segni "alfabetici" sono invece policonsonanti) egli, supplendo molto con il copto che conosceva, poteva tentare d'interpretare i testi. Dal 1824 al 1826 ricercò nelle ricche collezioni d'Italia materiali per i suoi studî. Qui trovò in Ippolito Rosellini (v.) un discepolo e un coadiutore amoroso. Nell'animo loro germogliò l'idea di una spedizione in Egitto che ricopiasse i più insigni testi; si ebbe così la spedizione letteraria franco-toscana (1828-1829). La morte sorprese lo Champollion nel 1832, troncando quasi all'inizio l'opera sua; dei suoi migliori discepoli, F. P. Salvolini moriva a soli 29 anni nel 1838, il Rosellini nel 1843 appena finiti di pubblicare i monumenti disegnati in Egitto. In Francia e in Italia gli studî egittologici parvero colpiti a morte. A salvarli fu allora R. Lepsius. Egli, per consiglio di C. Bunsen, era passato giovane ancora dagli studî classici all'archeologia egiziana (come si chiamava) e aveva avuto in Rosellini un maestro benevolo. Nel 1837 appunto in una Lettre à M. Rosellini sottoponeva a severa critica il sistema dello Champollion, riducendo tra l'altro il mastodontico "alfabeto" di 260 segni alle dovute proporzioni. Nel 1842-45 una spedizione tedesca inviata in Egitto e in Nubia impegnava il Lepsius alla compilazione dei grandiosi Denkmäler, rimasti ancora oggi gli strumenti indispensabili degli studî egittologici. Mentre in Germania stessa si levava un geniale autodidatta, H. Brugsch (v.), in Francia Emmanuel de Rougé riannodava le sparse file e A.-E. Mariette, Th. Devéria, F.-J. Chabas, G. Maspero davano nuovo vigore alla scuola francese. Gli altri paesi d'Europa non furono da meno e tra gli operai più animosi si possono segnalare S. Birch e Ch. W. Goodwin in Inghilterra, C. Leemans e W. Pleyte in Olanda, E. Bergmann e J. Krall in Austria, W. Goleniscev (Golénischeff) e O. E. Lemm in Russia, K. Piehl in Svezia, F. Rossi, R. Lanzone, E. Schiaparelli, S. Levi in Italia. Compito urgente di queste prime generazioni di studiosi fu quello d'integrare la grammatica e il dizionario appena abbozzato dallo scopritore, determinare il valore di oltre un migliaio di segni. La via era lunga e faticosa e si voleva procedere troppo lesti. La mania di tradurre tutto, senza rendersi conto delle difficoltà insormontabili, la fretta di risolvere i problemi che si affollavano, la mancanza dell'ars nesciendi, pregiudicò spesso anche i buoni, modesti risultati. Ma se molto peccarono, le condizioni stesse in cui si svolgeva il loro lavoro giustificano ciò. La necessità di un metodo più consono ai progressi compiuti dalle scienze filologiche e storiche fu specialmente sentito dalla nuova scuola egittologica che abbraccia ormai tre generazioni. Essa comprese che nessuna conoscenza, neppure superficiale, si può avere dell'Egitto antico, se non si possiede a fondo il mezzo stesso a cui consegnò nei secoli il suo pensiero, cioè la lingua. Esso è il fondamento dell'egittologia; ma come in un edificio le fondamenta non escludono le altre parti della costruzione, così la filologia non esclude le altre parti della scienza. La nuova scuola ha rivolto la sua precipua attenzione alla grammatica e al lessico. Approfondendo lo studio dei documenti della vita quotidiana, dalla XVIII alla XXII dinastia, Adolf Erman (v.) fu condotto ad ammettere una lingua diversa dalla letteraria. Era il neo-egiziano. Più tardi l'analisi dei racconti contenuti nel papiro Westcar gli faceva trarre la stessa conclusione per il medio regno. I numerosi studî suoi e dei suoi discepoli, tra cui primeggia K. Sethe, hanno portato intensa luce sulla fonetica, sulla morfologia, sulla sintassi delle successive forme della lingua. L'opera maggiore è stato il dizionario. Già H. Brugsch aveva pubblicato (1867-1880) in sette volumi una discreta raccolta delle voci che ricorrono nei testi. Anche se le fonti a cui aveva attinto fossero state sincere e critica l'elaborazione, i numerosi documenti apparsi dopo il 1880, tra cui i testi delle Piramidi, rendevano necessario un nuovo strumento di lavoro. Scienziati di ogni paese raccolsero la proposta lanciata dall'Erman nel 1897 di compilare il Thesaurus della lingua egiziana. Furono copiati e collazionati con il massimo scrupolo tutti i testi notevoli editi e inediti e la loro rielaborazione durò tutto il 1924. L'anno successivo, anche con l'aiuto finanziario di J. D. Rockefeller iunior, se n'è iniziata la stampa, giunta nel 1931 al quinto volume. Su queste basi granitiche tutto il nuovo edificio dell'egittologia si solleverà ormai celere.

Anche nel campo dell'archeologia si è proceduto per lungo tempo con grande faciloneria. Le prime spedizioni, quella del Bonaparte (pubblicata nel 1809-1829), la franco-toscana, la tedesca del Lepsius, non avevano compiuti scavi sistematici in zone archeologiche; purtroppo la raccolta del materiale per opera di collezionisti privati e di pubblici musei, suscitò in Egitto un vero saccheggio sacrilego. Tra il 1850 e il 1880 quasi tutte le più importanti scoperte archeologiche risalgono ad A. Mariette. La sua opera s'iniziò col rinvenimento del serapeo di Menfi, ossia il luogo ove venivano seppelliti i sacri torelli Apis (1851). L'anno seguente trovava a el-Gīzah il tempio a pie' della sfinge, attribuito allora al dio Sokaris. Nel 1857 venne nominato direttore delle antichità e fondò al Cairo un museo che ebbe sede a Būlāq e venne poi trasferito a el-Gīzah. Tra gli scavi del Delta, Tanis gli diede le belle statue cosiddette degli Hyksos; a Saqqārah vennero portate alla luce più di trecento mastabe dell'antico regno e i migliori capolavori di quell'età. Ad Abido dissabbiò il tempio di Sethosis I, ove era la famosa "Lista dei Re"; rinvenne quello di Rameśśêśe II; dalla necropoli estrasse più di ottocento iscrizioni funerarie di tutti i tempi. A Denderah venne liberato il santuario tolemaico della dea Hathor; a Tebe, oltre la massiccia el-Karnak, esplorò il tempio di Medīnet Habu e quello di Deir el-baḥrī; a Edfu, rimosso il villaggio isolò il mirabile santuario del dio Hor. Ultima sua impresa fu l'apertura di due piramidi a Saqqārah contenenti i testi magico-religiosi. Spentosi il Mariette nel 1881, il Service des antiquités passò nelle mani dei suoi compatrioti G. Maspero, E. Grēbaut, J. de Morgan, V. Loret, di nuovo Maspero, attualmente P. Lacau. La zona di Saqqārah, il tempio di el-Karnak, la Valle dei Re vennero riservate a scavi del governo egiziano. Dal 1883 una società privata di studiosi, l'Egypt Exploration Fund, ora divenuto Egypt Exploration Society, sotto la guida di F. Ll. Griffith, di E. Naville, di W. M. Flinders Petrie, ha recato un insigne contributo alla conoscenza dell'Egitto antico. In tutte le parti del paese si esplorarono rovine; principalissime quelle di Tell el-‛Amārnah nel 1894 (donde nel 1888 era uscito il prezioso archivio di tavolette cuneiformi) e la preistorica Ombos presso Naqādah e el-Ballāṣ nel 1895. Questi scavi furono i primi veramente scientifici. Petrie ha sempre lavorato con metodo, considerando gli strati e tutte le condizioni accessorie che permettono di individuare un oggetto; ha il merito di pubblicare presto e bene le relazioni. Dal 1896 un'altra società, l'Egyptian Research Account, ha seguito le sue tracce guidata dall'esperto J. E. Quibell e ha ottenuto meritati successi. Anche in questo campo le altre nazioni non hanno tardato a scendere in gara. I francesi H. Gauther e H. Jéquier ricercarono intorno alla piramide di Lisht (1894-95); É. Amélineau ad Abido continuò il Mariette e mise in luce la tomba di Osiride; H. Schäfer del museo di Berlino condusse dal 1898 al 1901 l'esplorazione di Abū Gurāb; L. Borchardt per la Deutsche Orient-Gesellschaft guidò dal 1902 al 1908 quella di Abūṣīr, passò poi a Tell el-‛Amārnah e a Elefantina (1906-08). La missione archeologica italiana di E. Schiaparelli ebbe inizio nel 1903; G. A. Reisner diresse quella dell'università di California; J. Garstang quella di Liverpool; H. Junker quella dell'università di Vienna; J. H. Breasted quella dell'università di Chicago; H. E. Winlock quella del museo di New York. Tre ricche scuole, la francese, l'inglese, la tedesca, svolgono pure una grandiosa attività con esplorazioni e pubblicazioni. Con debite garanzie anche i privati vennero ammessi a collaborare nel vastissimo campo. Fra tanti generosi mecenati non possono essere dimenticati lord Carnarvon, al quale si deve la scoperta della tomba del faraone Tut‛anḫamôn; J. D. Rockefeller iunior, finanziatore dell'istituto americano a Tebe creato dal Breasted.

Fra le pubblicazioni periodiche più notevoli citiamo la Zeitschrift für ägypt. Sprache und Altertumskunde, fondata dal Brugsch nel 1863, diretta dal Lepsius, dall'Erman, da G. Steindorff; i Mélanges d'archéologie égyptienne et assyrienne, di cui apparvero solo tre volumi (Parigi 1873-76), pubblicazione in certo modo continuata dal Recueil de travaux relatifs à la philologie et à l'archéologie egyptiennes et assyriennes dal 1870 al 1922; la Revue égyptologique, dal 1880 al 1914; la Sphinx pubblicata a Uppsala dal 1897; il Bulletin dell'Istituto francese al Cairo, dal 1901; l'Ancient Egypt edita dal Petrie; la rivista Aegyptus di Milano diretta dal Calderini (1920 segg.); il Journal of Egyptian archaeology organo dell'Egypt Exploration Society (1914 segg.); le Mitteilungen dell'Istituto tedesco al Cairo, dal 1930. Bollettini bibliografici sono anche nelle prime annate della Rivista degli Studi orientali.

Bibl.: Manca una storia dell'egittologia; cenni sul deciframento dello Champollion sono un po' da per tutto. I più completi: A. Erman, Die Entzifferung der Hierogliphen, in Sitzungsber. Ak. Wiss., Berlino 1922; W. Budge, The Mummy, 2ª ed., Cambridge 1925, pp. 123-164. Un accenno alle esplorazioni successive: G. Steindorff, in H. V. Hilprecht, Explor. in Bible Lands, Edimburgo 1903, p. 624 segg. Sulle finalità di risultati della scienza: K. Sethe, Die Ägyptologie, in Der alte Orient, XXIII, Lipsia 1921, fasc. 1°.

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