ELAMITA. Arte

Enciclopedia dell' Arte Antica (1960)

ELAMITA, Arte

G. Furlani*

La regione a E della Mesopotamia meridionale, comprendente i contrafforti dell'altopiano iranico e la parte sud-occidentale dell'altopiano stesso, era chiamata Nim dai Sumeri e dai Babilonesi Elamtu (donde è stato ricavato il nome Elam adottato dai moderni).

Le vicende storiche della regione non ci sono molto note. A varie riprese l'Elam fu conquistato dai sovrani mesopotamici: dal sumero Eannatum, re di Lagash, ai semiti Sargon e Narām-Sin di Akkad (seconda metà del III millennio a. C.); in seguito fu sottoposto al dominio di Ur e poi di Babilonia. Solo nel XII sec. a. C. si formò nell'Elam un forte stato indipendente, ad opera di Shutruk-nakhkhunte; questo re conquistò anche la Babilonia, ponendo fine alla dinastia cassita e deportando a Susa molte opere d'arte della capitale vinta. Nel corso dello stesso secolo, però, l'Elam decadde, dopo aver esteso il suo dominio dal Golfo Persico a una parte dell'Assiria; vi furono diverse invasioni da parte dell'Assiria (tra cui quella di Shamshi-Adad V nell'821 a. C.). Una ripresa politica si ebbe con Khumbanigash (742-717 a. C.) che diede vita ad una nuova dinastia; il nuovo stato seguì una politica di appoggio alla Babilonia contro l'Assiria, ma la crescente potenza di quest'ultima mise fine definitivamente alla sua indipendenza: Assurbanipal nel 640 a. C. saccheggiò Susa e poco dopo moriva l'ultimo re elamita, Khumma-Khaldash III (648-639 a. C.).

Pur appartenendo al complesso culturale iranico, l'Elam dell'epoca storica subì profondamente l'influenza mesopotamica, favorita dalla posizione geografica e dalle vicende politiche. Non mancò tuttavia il fenomeno opposto, particolarmente sensibile nel periodo preistorico (IV millennio a. C.), ma non completamente assente nemmeno in quelli posteriori; nel campo artistico si attuò tra le due regioni un fecondo scambio di tecniche e di motivi, iconografici e stilistici.

Nello svolgimento storico dell'arte e., due sono i periodi meglio noti: quello arcaico, comprendente all'incirca il IV e la prima parte del III millennio a. C., e quello che vide il fiorire dello stato elamita nel XII sec. a. C. Le più antiche manifestazioni artistiche dell'Elam sono costituite dalla ceramica e dalla glittica, oltre che dalla produzione di statuette fittili raffiguranti, per lo più, una dea nuda. La ceramica, nota specialmente dagli scavi di Susa e di Tepe Mūsiyān, rappresenta forse la massima espressione artistica dell'Elam; iniziatasi come variante locale della ceramica iranica dominata da un vivido naturalismo, contemporaneamente alla ceramica mesopotamica detta di Samarra e a quella di el-῾Ubaid (seconda metà del IV millennio a. C.), la più antica produzione vascolare elamita (Susa I bis o Susa A; v. ceramica) si evolve poi, intorno al 3000 a. C., nello stile detto di Susa I o Susa B. Questa ceramica, che fu imitata largamente nell'antico Oriente, era fatta al tornio e raschiata, per farne sparire le irregolarità, mediante una stecca; la pasta è d'argilla pura e fine, porosa dopo la cottura; i vasi sono di tre tipi: il bicchiere, il piatto fondo, la bottiglia; alcuni hanno un becco arieggiante un tubo rettilineo, e la loro forma è quindi quella di una teiera; le pareti sono molto sottili; il colore era dato direttamente sull'argilla secca prima della cottura, senza ingubbiatura, ed era unico, un nero molto brillante; la decorazione è geometrica, di triangoli variamente combinati, di losanghe, di croci, di cerchi concentrici, di scaccati, di svastiche, inoltre di vegetali e di animali, di uomini e di oggetti mobili, tutti fortemente stilizzati, schematici, angolosi, semplificati. Interrotta bruscamente da una cultura inferiore di origine mesopotamica (periodi di Uruk VI-IV e di Gemdet Naṣr), la ceramica di Susa riappare poi in un nuovo stile, detto Susa II o Susa D, che si protrae fin quasi alla fine del III millennio a. C. Caratteristiche dello stile Susa II sono la pasta meno fine e le pareti più grosse. Il colore è ora il rosso, oltre al nero. Il disegno è poco vigoroso, pesante, meno geometrico, e la stilizzazione è rara. Nella decorazione torna a dominare il naturalismo, che si esprime in vivaci figure di animali, pesci e uccelli specialmente.

La più antica glittica di Susa è chiamata "protoelamita", ma data la fondamentale unità culturale tra l'Elam e la Mesopotamia sullo scorcio del IV millennio e l'inizio del III, essa è difficilmente distinguibile da quella mesopotamica. Accanto ai sigilli a timbro, decorati con disegni astratti, di tipo iranico, numerosi sono i sigilli cilindrici del tipo mesopotamico, nei quali si ritrovano gli stessi motivi (file di animali, capridi intorno all'albero sacro posto su un monte stilizzato) e in parte lo stesso stile di quelli mesopotamici. Questa produzione rimane in uso per circa un millennio, fino agli ultimi secoli del III millennio a. C., e nel corso del suo svolgimento acquista, nei riguardi della Mesopotamia, una maggiore originalità: manca ad esempio l'antropomorfismo divino tanto diffuso in quest'ultima, mentre sono caratteristiche le scene alquanto complesse, aventi animali per protagonisti.

Intorno al 3000 a. C. si datano alcuni coni di bitume scolpiti o intagliati, talvolta con la superficie divisa in due scomparti. Vi si scolpivano scene concernenti l'allevamento del bestiame, tori sopra una mangiatoia oppure un leone davanti a una capra o un'aquila con le ali spiegate e due uccelli negli artigli, un animale con le zampe anteriori erette e con la testa volta all'indietro: tutti motivi questi che si riscontrano più tardi nelle altre arti antico-orientali. Al Museo del Louvre si conservano piccole lastre di bitume con bassorilievi riproducenti scene religiose: due uomini nudi stanno ai lati di un oggetto sormontato da due serpenti fortemente stilizzati, mentre ai loro piedi sta un agnello. Talvolta sono riprodotte scene conviviali.

Per quanto riguarda l'architettura del periodo arcaico, nessuna traccia diretta ne è rimasta; solo recentemente un breve studio condotto sugli edifici raffigurati dai sigilli di Susa (P. Amiet, in Revue d'Assyriologie, liii, 1959; pp. 39-44) ha mostrato la stretta affinità tra le costruzioni elamite e quelle mesopotamiche, pur avendo le prime alcuni caratteri originali, come le corna che su più file ornavano i templi e le gallerie che sovrastavano le porte dei palazzi.

Dei periodi che accompagnarono e seguirono quello accadico (2350-2150 a. C.), l'arte e. ha tramandato solo pochi monumenti. Ci sono pervenute alcune opere d'arte e. del periodo di Gudea di Lagash (circa 2200 a. C.). Una statua della dea manna la rappresenta seduta con nella mano destra un vaso e nella sinistra un altro oggetto. Sullo zoccolo si vedono due leoni. La statua, dedicata da Puzur-Inshushinak (governatore dell'Elam ai tempi del famoso principe di Lagash), pur imitando modelli sumerici mostra una sensibilità diversa. Da Susa proviene un frammento di una stele di calcare: un dio inginocchiato tiene un grande cono, dietro a lui una dea in piedi con le mani in atto di adorazione; in quest'opera l'influsso sumerico appare maggiore. Alla stessa epoca dovrebbe risalire un blocco quadrangolare con sulle quattro facce scene di battaglia e di vittoria. Sono infine da ricordare una coppa (ora al Louvre), munita di tre gambe terminanti in protomi di capridi, e i numerosi ex voto, scoperti nelle fondazioni dei templi susiani, costituiti da statuette in metalli preziosi, armi, oggetti di abbigliamento (interessante una parrucca di argilla smaltata, ornata con chiodi d'oro e d'argento).

Col XIII sec. a. C. l'arte e. ritorna ad essere meglio nota. Mentre per l'architettura civile manca quasi ogni testimonianza (si hanno due frammenti di tavolette recanti incise piante di edifici e resti di colonne in mattoni), l'architettura religiosa incomincia ad essere conosciuta grazie ai recenti scavi di Choga Zanbil (v.). Diversi edifici religiosi e specialmente una ziqqurat (v.) molto ben conservata hanno infatti consentito una visione diretta di opere elamite: da esse l'influenza mesopotamica appare evidentissima.

Abbastanza numerose le sculture, sia in pietra sia in metallo. Tra le prime ricordiamo una stele frammentaria di Untash-Khuban (circa 1250 a. C.); questa è incorniciata da un serpente e divisa in scompartimenti mediante linee orizzontali; in quello superiore un dio seduto tiene il bastone e il cerchio, mentre Untash-Khuban sta in piedi davanti a lui in atto di omaggio; delle tre figure del secondo scomparto una è lo stesso re e un'altra è sua moglie Napir-Asu, la terza pure è di donna; nel terzo scompartimento due figure singolari, di dèmoni e geni stanno in piedi una di fronte all'altra; portano una tiara ovoidale, le trecce cadono sulle spalle e, invece di piedi, hanno code di pesce; nelle mani stringono due fiotti d'acqua sgorganti da vasi collocati vicino alle loro teste e sulle estremità delle code; nel quarto scompartimento vediamo due dèmoni con treccia e barba lunga, con zampe inferiori probabilmente di toro o aquila, i quali afferrano con le mani un albero molto stilizzato. Il notevole complesso di sculture in metallo risalenti a questo periodo, mentre testimonia da un lato la ricchezza raggiunta dallo stato elamita, rivela dall'altro l'abilità tecnica degli artisti e degli artigiani locali. La mancanza di opere mesopotamiche di questo periodo non consente di stabilire quanto la metallurgia elamita debba a quella mesopotamica, ma la marcata originalità delle opere elamite e la quasi coeva produzione dei bronzi del Luristan (v.) fanno supporre che questa manifestazione artistica dell'Elam abbia i suoi presupposti, tecnici e artistici, più nelle regioni nord-orientali che in quelle occidentali. Della ricordata regina Napir-Asu possediamo una statua bronzea, acefala, conservata al Louvre: la regina è raffigurata nell'atto di omaggio colle mani posate sul ventre; essa porta una gonna lunga, a pieghe, larga nella parte inferiore che ha un'alta frangia; il busto è coperto da un corpetto stretto, con mezze maniche; sul braccio destro si vede una fibula. Quest'opera è interessante sia per l'iconografia (il panneggio si discosta da quelli mesopotamici), sia per la tecnica: la parte anteriore della statua e quella posteriore sono state fuse indipendentemente e poi riunite; si è quindi proceduto al riempimento in bronzo, che portò la statua a superare il peso di due tonnellate (la parte restante pesa 1750 kg). Interessante è anche l'iscrizione incisa sulla statua, nella quale essa parla in prima persona ("Io sono la Signora Napir-Asu", ecc.), testimoniando così il permanere di un primitivo concetto animistico che alla immagine vedeva legato lo spirito della persona raffigurata. Numerose altre opere manifestano la predilezione per la lavorazione del metallo. Un vaso in bronzo del tempo di Untash-Khuban è un magnifico pezzo, coi suoi quattro cavalli in rilievo che lo adornano, i quali con le parti anteriori dei loro corpi aggettano del tutto dalla superficie e sono con le teste e i petti in tutto tondo; nel fregio superiore vi sono invece quattro vitelli accovacciati. Anche la decorazione degli edifici veniva eseguita in metallo; al re Shilkhak-Inshushinak risale un bassorilievo in bronzo, che originariamente aveva tre registri. Nell'unico pervenutoci sette soldati marciano verso destra, tutti armati, coperti di una breve tunica aperta sul davanti; sulla schiena hanno il turcasso e nella sinistra tengono un piccolo arco. Il pezzo tipologicamente più interessante è tuttavia costituito da una tavola votiva, il cosiddetto ṣīt shamshi (levata del sole) del re Shilkhak-Inshushinak (verso la fine del XII sec.), che riproduce un momento importante di una cerimonia religiosa che si svolgeva all'aurora. Le figure dei sacerdoti e gli oggetti necessari al rito sono a tutto tondo e posano sopra una lastra parimenti di bronzo. È possibile che esso riproduca un santuario di Susa, con la ziqqurat, il betilo (v.) e il bosco sacro. L'uso di terrecotte architettoniche per la decorazione di edifici sacri è attestato da un rilievo, modellato su mattoni di argilla, recante i nomi di Kutir-nakhkhunte e di Shilkhak-Inshushinak (XII sec. a. C.). Un demone accanto a un albero stilizzato e una figura femminile (forse una divinità) costituiscono il soggetto di tale rilievo, che trova un corrispondente tipologico in un più antico monumento mesopotamico di origine iranica, cioè nel rivestimento del tempio di Karaindash a Uruk (v. cassita, arte), mentre stilisticamente è completamente indipendente dalla sensibilità mesopotamica. Esiste infine una serie di rilievi rupestri variamenti datati; alla seconda metà del II millennio a. C. risale il rilievo di Karangun, raffigurante una coppia divina in atto di ricevere omaggio da tre figure, mentre più lontano si snoda una folta processione di fedeli. L'influenza assira è già percepibile nei rilievi di Malamir, datati all'inizio del I millennio a. C.; le lunghe file di personaggi che vi compaiono anticipano le raffigurazioni achemènidi dell'apadana di Persepoli.

La ceramica posteriore allo stile Susa II, dopo aver semplificato la decorazione fino a giungere ad una produzione monocroma rosso-bruna intorno alla metà del II millennio a. C., appare sul finire di questo decorata a smalto, con ornamenti in rilievo; la forma dei vasi si ispira a modelli metallici.

Alle ultime fasi dell'arte e. risalgono alcune opere isolate che vale la pena di ricordare. Un poco anteriore al regno di Sargon II d'Assiria (721-705 a. C.) è un bassorilievo di Susa, conservato nel Museo del Louvre, in pietra bituminosa: una donna, seduta alla maniera orientale su di uno sgabello, sta filando, mentre un'altra donna, più piccola, in piedi dietro di lei, tiene con tutte e due le mani una ventola; davanti alla filatrice si vede un tavolino con sopra vivande, tra le quali un pesce. Lo stile di questo rilievo è piuttosto pesante.

A Susa sono stati trovati due leoni di terracotta verniciata, accovacciati, con folta criniera; sono in grandezza naturale e vanno ascritti al principio del I millennio a. C. Sotto l'influenza assira, nonostante i motivi iconografici originali, si trova un rilievo frammentario del Louvre, raffigurante il penultimo re elamita, Adda-Khamiti-Inshushinak (653-648 a. C.), in veste di guerriero.

Bibl.: Opere generali: G. Contenau, Manuel d'archéologie oriental, I-IV, Parigi 1927-1947, passim; A. U. Pope, A Survey of Persian Art, I, Londra 1938. I risultati degli scavi condotti nella Susiana dalla Missione Archeologica Francese vengono pubblicati dal 1900 in una serie di Mémoires tuttora in corso di pubblicazione (Mémoires de la Délégation en Perse, fino al 1912; successivamente si sono avuti cambiamenti nel titolo; attualmente, dal 1943, Mémoires de la Mission Archéologique en Iran). Opere particolari: W. K. Loftus, Travels and Researches in Chaldae and Susiana, Londra 1857; P. Cruveilhier, Les principaux résultats des nouvelles fouilles de Suse, Parigi 1921; H. Frankfort, Studies in Early Pottery of the Near East, I, Londra 1924; M. Pézard - E. Pottier, Catalogue des antiquités de la Susiane, Parigi 1926; A. Hertz, Die Kultur um den Persischen Golf, Lipsia 1930; R. Ghirhsman, Une ziggourat élamite, in Les Cahiers techniques de l'art, 1956, pp. 31-35; L. Le breton, The Early Periods at Susa - Mesopotamian Relations, in Iraq, XIX, 1957, pp. 79-124. V. anche le voci choga zanbil, susa e tepe mūsiyān.