CORNER, Elena Lucrezia

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)

CORNER, Elena Lucrezia

Renzo Derosas

Nacque a Venezia il 5 giugno 1646, da Giovan Battista di Girolamo e da Zanetta di Angelo Boni. Fu la quinta di sette figli, assieme a Francesco, Caterina, una femmina di cui non si conosce il nome, che si fece monaca, Baldissera, Caterina Isabetta, Girolamo Baldissera.

La vicenda della famiglia fu particolarmente travagliata. La Boni, originaria della Valsabbia nel Bresciano, era infatti di assai umili condizioni, per taluni contemporanei addirittura una prostituta. Giovan Battista strinse con lei una relazione irregolare, e ne ebbe ben quattro figli prima di decidersi a condurla ad abitare presso di sé, attendendo ancora fino al 1654 per sanare l'imbarazzante situazione col matrimonio. Benché legittimati, i figli rimanevano tuttavia esclusi dal novero del patriziato, a causa della condizione sociale della madre. Giovan Battista poté porvi rimedio solo nel 1664 - in occasione delle aggregazioni concesse per rinsanguare le casse dello Stato - quando, dopo aver subito l'umiliazione di ben quattro rifiuti, riuscì alfine a piegare le fortissime resistenze del Senato e del Maggior, Consiglio e a far iscrivere Francesco e Girolamo al Libro d'oro, sborsando 105.000 ducati. Ma gli restava egualmente l'amarezza per il declino in cui versava la sua famiglia, dopo il grandissimo prestigio goduto nei secoli passati. Egli stesso non ne era responsabile che in parte; aveva anzi cercato di rinverdirne gli allori, facendone raccogliere le memorie e riacquistando l'intera proprietà del palazzo avito. Avrebbe voluto anche farsi riconoscere l'antico titolo di cavaliere di Cipro, ma la sua richiesta non venne neppure presa in considerazione. Né gli riservò maggiori soddisfazioni la pur intensa partecipazione alla vita pubblica, rimasta sempre relegata in una trafila di magistrature secondarie, benché a soli 36 anni egli avesse acquisito, pagandola 20.500 ducati, la prestigiosa carica di procuratore di S. Marco. Se godeva di un po' di influenza, lo doveva solamente ai legami che aveva saputo intrecciare in Senato coi suoi traffici di "corteggiano e brogliesco".È sullo sfondo di queste continue frustrazioni, di queste ripetute amarezze, che occorre situare la vicenda della Corner. L'acquisizione di una cultura vastissima, le esibizioni erudite, l'attività accademica, fino alla consacrazione tenacemente perseguita della laurea, non si potrebbero infatti comprendere senza tener conto della prepotente ambizione del padre, deciso a servirsi delle sue straordinarie doti per riscattare l'onore e il lustro della famiglia. Secondo il suo primo biografo, M. Dezza, la C. avrebbe persino espresso il timore che "non fusse il padre per ardere nel Purgatorio per lo vano compiacimento" che mostrava ai suoi successi, anche se intendeva comunque assecondarlo, poiché "tanto ne godeva" che "le sembrava di vederlo ringiovanire" (Vita, p. 105). Ella stessa, del resto, era ben conscia del ruolo affidatole dal padre, come dimostrava scrivendogli dopo una malattia seguita alla laurea, per assicurarlo di esser pronta a riprendere con maggior vigore gli studi, "et domus nostrae Nomen ab interitu temporis vindicare" (Opera, p. 156). Ma per parte sua sembrava desiderosa piuttosto di condurre una vita ritirata, e certo era incline più alla modestia e alla riservatezza che all'esibizione e allo sfoggio erudito. Soprattutto nutriva un'autentica vocazione religiosa, che la spinse a diciannove anni ad entrare come oblata nell'Ordine benedettino: una scelta, sofferta e compromissoria, che pur scontentando i genitori, intenzionati a farla sposare, evitava però di deluderli del tutto con una reclusione monastica e le permetteva l'osservanza della regola pur continuando a vivere secolarmente. Rimase poi sempre fedele a questa consacrazione, come testimoniano chiaramente le lettere, tutte intessute di motivi religiosi, inviatele da G. P. Oliva, preposito generale della Compagnia di Gesù, di cui la C. apprezzò le opere di devozione e al quale si rivolse anche per avere reliquie sacre e per la concessione di un altare privilegiato per la sua cappella privata.

Sull'atteggiamento del padre influiva anche un'ormai consolidata tradizione familiare. Il nonno Giacomo Alvise, nipote per via materna del celebre Alvise Corner "vita sobria", era stato una personalità di rilievo nella vita culturale padovana degli inizi del sec. XVII, scienziato, inventore, e buon amico di Galileo; il padre Girolamo, autore di studi di idraulica come lo zio Marcantonio, aveva allestito una cospicua biblioteca, che era stata ulteriormente arricchita da Giovan Battista, e affiancata da un'importante pinacoteca e da una raccolta di strumenti scientifici; egli stesso, grazie anche all'interesse che queste suscitavano, era in frequente contatto con studiosi ed eruditi.

Non stupisce dunque che trovasse favorevole accoglienza il consiglio del parroco di S. Luca, G. B. Fabris, colpito dall'intelligenza della piccola C., di farle impartire un'educazione superiore e certo eccezionale per una donna, avviandola agli studi classici. Per quanto riguarda il greco, venne prescelto come insegnante lo stesso Fabris, buon conoscitore di letteratura greca e latina e studioso di Aristotele, che seguì la sua allieva per quasi un quindicennio, anche se probabilmente non sempre con la medesima assiduità, fino alla morte avvenuta nel 1668. Subentrò poi al suo posto A. Gradenigo, protopresbitero di rito greco proveniente dall'isola di Candia, uomo di notevole cultura e molto legato ai Corner: il procuratore l'aveva infatti aiutato a ottenere l'incarico di bibliotecario alla Marciana ed era inoltre padrino del figlio Giovanni; quando quest'ultimo si recò a Roma, per i suoi studi, venne accompagnato da Girolamo e da una lettera di presentazione della stessa C. al card. Francesco Barberini. Pur non sapendo fino a quando durò il suo insegnamento vero e proprio, si può dunque immaginare che egli le fu vicino almeno fino al conseguimento della laurea e al suo trasferimento a Padova. L'insegnamento del latino le venne invece impartito dapprima da don G. Valier, canonico di S. Marco, e successivamente da un non meglio noto dottor Bartolotti.

Le doti non comuni della C. le permisero comunque di allargare notevolmente la sua formazione oltre i confini della cultura classica e umanistica, affiancandovi un'ottima conoscenza di lingue moderne come il francese e lo spagnolo, oltre al greco moderno insegnatole dal Gradenigo, e di discipline quali l'astronomia, la geografia, la matematica e le scienze naturali. Purtroppo non si hanno notizie esplicite su chi possa aver seguito la sua preparazione in questi ambiti meno consueti: nel dedicare all'Oliva la sua traduzione di un'opera di devozione spagnola - la Lettera, ovvero Colloquio di Cristo... di J. Lanspergio - la C. lo ringraziava appunto di averle concesso un precettore della Compagnia, "sotto la cui disciplina non men avanzai nella cognitione delle matematiche discipline che di qualche linguaggio straniero". L'identificazione più plausibile è quella, formulata dal De Santi e ripresa dal Maschietto, con il padre C. M. Vota, uomo di solida erudizione sia scientifica sia letteraria, oltre che buon poliglotta, che visse a Venezia dal 1661 al 1678, partecipando attivamente alla vita culturale della città: resta comunque singolare che un insegnamento tanto importante e una consuetudine che si suppone intensa e prolungata non abbiano lasciato altra esplicita testimonianza.

L'incontro che comunque doveva rivelarsi più fecondo di conseguenze per la C. fu certamente quello con Carlo Rinaldini. Studioso di filosofia e di matematica, ammiratore delle dottrine di Galileo e convinto seguace di Gassendi, il Rinaldini insegnò per diciotto anni a Pisa, prima di trasferirsi nel 1667 alla cattedra di filosofia dell'università di Padova. Sul finire di quell'anno, si recò a visitare la celebre biblioteca di Giovan Battista Corner, e qui fece casualmente conoscenza con la figlia, che lo lasciò stupito mettendosi a disquisire su di un teorema geometrico. Da allora il Rinaldini prese a frequentare la casa del procuratore con una certa assiduità, seguendo e indirizzando la C. nella formazione di una solida cultura filosofica. Tra i due sorse anzi un duraturo legame di amicizia e di reciproca stima, destinato ad interrompersi solo con la morte della C.; questa ebbe, in seguito, più volte occasione di dar prova della riconoscenza che la legava al maestro, si prestò come intermediaria per lui con il card. di Bouillon, intervenne in suo favore presso i Riformatori dello Studio per il rinnovo del suo incarico, lo richiamò affettuosamente alla conclusione delle sue opere senza lasciarsi distrarre da preoccupazioni contingenti.

Se anche il padre della C. poteva aver già vagheggiato l'idea della laurea, sembra però assai probabile che solo in seguito alla consuetudine con un eminente docente dello Studio e col conforto del suo assenso un progetto tanto audace e senza precedenti potesse essere preso più concretamente in considerazione. Fosse comunque per completare la sua formazione in vista del titolo dottorale, o anche perché mossa da specifici interessi culturali e spirituali, la C. si dedicò negli stessi anni anche allo studio della teologia, con ogni probabilità sotto la guida del conventuale F. Rotondi, che dal 1662 sovrintendeva agli studi nel suo convento veneziano, e nel '65 era stato chiamato all'insegnamento teologico nell'università di Padova. In una lettera al Rinaldini egli stesso affermava infatti di aver avuto nella C. più una maestra che un'allieva, e fu comunque lui a patrocinare la richiesta di laurea presso il Collegio dei teologi. Alla teologia la C. affiancò infine lo studio dell'ebraico, acquisendone in breve una notevole padronanza: maestro d'eccezione fu il rabbino della comunità israelitica veneziana S. Aboaf, un uomo che godeva di grandissima autorità e reputazione in tutta Europa, noto per il rigoroso ascetismo e l'intransigente difesa dell'ortodossia ebraica.

Ancor prima della laurea, la fama della C. per la sua erudizione, la cultura scientifica, la conoscenza di numerose lingue straniere, si era venuta progressivamente diffondendo fino ad assumere dimensioni europee. Fin dal 1669, veniva accolta per acclamazione nell'Accademia dei Ricoverati di Padova, di cui già facevano parte A. Gradenigo e C. Rinaldini e dove entrerà in seguito anche F. Rotondi; accettò poi l'aggregazione a quelle degli Infecondi di Roma, degli Intronati di Siena, degli Erranti di Brescia, dei Dodonei e dei Pacifici di Venezia. Nel 1675 la sua assenza dalla rassegna di personaggi celebri fatta da G. Leti nei primi tre volumi dell'Italia regnante suscitò l'indignata reazione di un'altra letterata, la ginevrina Louise de Frotté de Windsor, che inviò all'autore un "reproche plein de ressentiments" per l'esclusione: il Leti si affrettò a riparare alla lacuna, dedicandole trenta pagine nel quarto volume dell'opera, uscito l'anno successivo.

Una tale aura di prodigio circondava ormai la C. che illustri personaggi si recavano appositamente a farle visita, per verificare di persona se quanto si diceva su di lei rispondesse a verità. Nel '70 il langravio d'Assia, card. Federico di Assia-Darmstadt, volle farla disquisire sulle proprietà della sfera. Pochi anni dopo fu la volta del card. di Bouillon, di ritorno in Francia dopo il conclave del 1676, che la sottopose a un accurato esame con l'assistenza di due eruditi al suo seguito, C. Cato de Court e L. Espinay de Saint-Luc. Il risultato dovette essere quanto mai lusinghiero, poiché il cardinale divenne poi uno dei principali divulgatori alla corte francese delle grandi doti della C.; anche il Cato de Court e l'Espinay in quell'occasione strinsero amicizia con lei ed ebbero modo più volte di esprimerle la loro ammirazione. Nel 1681 infine, dopo la laurea, la C. dovette nuovamente esibirsi per il card. d'Estrées, che sostò appositamente a Padova nel corso di un suo viaggio a Roma.

Nella testimonianza di un membro del suo seguito, T. Maria Peyre, che raccontò la visita all'amico G. M. Foresti, il prelato "conobbe che le sue virtù superavano la fama, non solamente nella perizia di tante lingue, ma nella profondità di tante scienze speculative, morali ed istoriche; e mi disse che questo era un oggetto che poteva tirare a sé ogni gran personaggio dalle più remote parti, e che esso ne partiva rapito per encomiarla in tutti i luoghi" (Maschietto, p. 144).

Assieme a questi esami privati, la C. fu ripetutamente chiamata a dare dimostrazioni pubbliche della sua erudizione. Quella che suscitò maggiore meraviglia e ammirazione fu tenuta nelle Procuratie il 30 maggio 1677, quando davanti all'intero Collegio, a gran parte del Senato e a un gran numero di veneziani e forestieri, sostenne una disputa filosofica in greco e in latino con Giovanni Gradenigo, il figlio del suo maestro Alvise, e coi padri F. Caro e G. Fiorelli.

Quest'ultima esibizione servì chiaramente a preparare il terreno per la richiesta della laurea in teologia, che difatti venne presentata di lì a pochi mesi. Benché del tutto inusitata, la domanda non trovò ostacoli di natura politica: certamente preavvertito, il governo veneziano dovette pensare che tale conferimento si sarebbe risolto in vantaggio del declinante prestigio dell'ateneo. Anche i teologi padovani, confortati dai pareri dei colleghi di Parigi e di Lovanio, concordarono sulla liceità della richiesta e apprestarono un cerimoniale adeguato all'eccezionale circostanza, che escludeva comunque il riconoscimento del diritto all'insegnamento. Ma un ostacolo imprevisto e insormontabile venne dal vescovo di Padova, card. Gregorio Barbarigo, il cui consenso quale cancelliere dell'università era necessario per ogni dottorato in teologia. Informato a Roma dal vicario A. Mantovani, questi oppose un fermissimo rifiuto, convinto che fosse impensabile la concessione della laurea in teologia, e in generale che "dottorar una donna" fosse "uno sproposito" cui non si poteva condiscendere, "se non vogliamo renderci ridicoli a tutto il mondo" (S. Serena, S. Gregorio Barbarigo..., I, p. 215).

Tra il padre della C., che vedeva sfumare tutte le sue speranze, e l'irremovibile Barbarigo prese allora avvio uno scambio epistolare che toccò punte anche assai aspre: "il sig. proc. Cornaro - si lamentò una volta il cardinale - mi scrive in tal forma che, se continuerà, io non gli risponderò: perché alla fine la buona creanza sta bene in ogni luogo ed in ogni persona". La paziente mediazione di un comune amico, il procuratore G. Giustinian, riuscì alla fine a por termine al contrasto con la proposta compromissoria del conferimento di una laurea in filosofia. Il Barbarigo accettò di buon grado, lieto di liberarsi "da un gran tedio", mentre il Corner vi si piegò malvolentieri, tanto che anche dopo la laurea proseguì imperterrito a raccogliere pareri in vista di un secondo titolo in teologia.

Assistita dal Rinaldini, il 25 giugno 1678 la C. poté finalmente sostenere la propria dissertazione davanti al Collegio dei medici e dei filosofi, e ricevere poi dalle mani del suo maestro le insegne dottorali e la corona d'alloro. Il 9 luglio venne poi aggregata per acclamazione al Collegio, ma non partecipò ulteriormente alla sua attività. L'eccezionalità dell'avvenimento fu naturalmente celebrata con una fioritura di composizioni encomiastiche, che il Corner amava distribuire a tutti girando per Venezia; ma anche all'estero esso suscitò l'ammirazione e il plauso degli ambienti eruditi.

Dopo la laurea la C. tornò a Venezia, ma verso la fine del '79 decise di trasferirsi definitivamente a Padova, nel palazzo che la famiglia possedeva in contrada del Santo. Riprese qui con rinnovato impegno gli studi, dedicandovisi - a parere del Rinaldini, con cui era in continuo contatto - "più del giusto". Già precedentemente alla laurea la sua salute aveva dato segni di cedimento, che durante il soggiorno padovano si intensificarono e si aggravarono ulteriormente. Gravemente debilitata dal susseguirsi di tante malattie, morì infine di cancrena a trentotto anni, il 26 luglio 1684. Venne sepolta nella chiesa di S. Giustina, a Padova.

Pare che prima di morire desse disposizione di distruggere tutti i suoi manoscritti. Giudicando dal poco che è rimasto di lei, non si trattò forse di una grave perdita. Le sue opere si riducono comunque a quattro discorsi accademici su temi politici, morali e religiosi, undici elogi, cinque epigrammi, un acrostico, sei sonetti e un'ode, cui si può aggiungere la traduzione già citata dell'Alloquium Iesu Christi, che godette della fortuna di cinque edizioni (Venezia, Giuliani, 1669, 1673;ibid., Hertz, 1681;Parma, Rosati, 1688;Venezia, Hertz, 1706).

Sono opere di circostanza, o di esibizione erudita e artificiosa piuttosto faticose e farraginose anche quando sono ispirate, come l'ode al Crocifisso, da una, genuina sensibilità religiosa, "Scarsissimo o nullo è il valore di tutta cotesta letteratura ascetica e rimeria spirituale": così ne scrisse il Croce, prendendola ad esempio di tutto un filone letterario minore del Seicento, e ci sembra che il suo giudizio possa difficilmente esser soggetto a revisioni.

Quanto poi al valore di riscatto femminile che è stato talvolta attribuito alla sua figura, occorre dire che in tutta la vicenda della C. non è dato cogliere anche il più tenue barlume di una difesa della dignità delle donne, di una rivendicazione della loro capacità, se non del diritto, a competere con gli uomini almeno sul piano culturale. "L'ornamento che rende gratiose le donne e famosissime da per tutto - ebbe anzi a scrivere - è il silenzio; né sono fatte che per istar in casa, non per andar vagando" (Opera, p. 184). Non si vede dunque come si possa dare del suo "primato" una lettura in chiave femminista. Gli unici accenni in questo senso vennero semmai dagli amici Espinay e Cato de Court, che, scrivendole per deprecare le opposizioni alla sua laurea in teologia, sostennero la possibilità per una donna di essere più intelligente e più colta di molti uomini. Paradossalmente, proprio la sottolineata eccezionalità delle sue doti sembra invece risolversi in un'implicita riconferma della "naturale" inferiorità femminile. "In ea praeter sexum nihil muliebre": così la celebrarono appunto gli accademici Infecondi. Del resto lo spiraglio aperto con la sua laurea venne immediatamente richiuso, e fu proprio suo padre ad opporsi tenacemente alle richieste analoghe presentate dalla figlia di C. Patin, perché si sarebbe "in tal modo levato il lustro a cotesta università et a tanto e sì famoso Studio".

Non sorretto da opere che ne testimoniassero la grandezza, o dalla forza di rivendicazioni ideali che altri potessero raccogliere, l'astro della C. conobbe un repentino declino, destinato in sostanza a durare sino alla fine del secolo scorso, quando uscirono le biografie della benedettina M. Pynsent e del gesuita A. De Santi, per conoscere poi una nuova fortuna di studi in concomitanza con le celebrazioni per il terzo centenario della laurea. Che però tale interesse non abbia prodotto che ulteriori ricostruzioni biografiche, per quanto accurate e documentate, ci sembra in definitiva un segno del suo scarso rilievo nella storia della cultura e del costume.

Una raccolta delle opere e di alcune lettere con una biogr. della C. è stata pubbl. da B. Bacchini in Helenae Lucretiae (quae et Scholastica) Corneliae Piscopiae ... Opera quae quidem haberi potuerunt ..., Parmae 1688; cfr., inoltre, Lettera overo colloquio di Christo N. R. all'anima devota composta dal R. P. D. Giovanni Laspergio ... in lingua spagnola e portata nell'italiana dall'ill.ma sig.ra E. L.C.P. ..., Venetia 1669; altri scritti in Epantismatologia overo raccoglimento poetico ... nella solenne coronatione in filos. e medic. del sig. Angelo Sumachi ..., Padova 1668.1 pp. 7-10; Seconda corona ... percoronar di nuovo il ... p. Giacomo Lubrani ..., Venetia 1675, pp. 45-64; Poesie de' signori accad. Infecondi di Roma, Venezia 1678, p. 341; Compositioni delli sigg. Accad. Ricovrati, Padova 16783 p. 57; Oratione di A. Dragoni e componim. d'altri soggetti in lode di Giovanni Cornaro ..., Udine 1683, pp. 138 s.; Componim. poetici delle più illustri rimatrici d'ogni secolo, raccolte da L. Bergalli, II, Venezia 1726, p. 169; lettere in C. Rinaldini, Commercium epistolicum, Patavii 1682, p. 65 (e v. anche pp. 66 s., 81-91); e in C. Ivanovich, Minerva al tavolino..., Venezia 1681, pp. 84 s., 90-101.

Fonti e Bibl.: Le seguenti indicazioni sono limitate alle fonti e alle opere più rilevanti, rinviando per inform. più dettagliate alle bibl. quanto mai esaurienti pubbl. da M. Tonzig, in N. Fusco, E.L.C.Piscopia, Pittsburgh 1975, pp. 4981, e da F. L. Maschietto, E.L.C.Piscopia prima donna laureata nel mondo, Padova 1978, pp. XXI-XLI; Bibl. Apost. Vaticana, Barb. lat. 4502. cc. 98-103: Discorso accademico sopra la Madonna della Neve recitato nell'Accad. degli Infecondi ... a die 4 ag. 1672 dall'ill.ma sig.ra E.L.C.Piscopia ...; Ibid., Barb. lat. 6462, cc. 169-173, 179-180v, 182-185, 191 s.: tredici lettere dellaC. al card. Francesco Barberini (18 apr. 1671-18 dic. 1677); Ibid., Ottob. lat. 2479 (I): la descrizione della disputa filosofica sostenuta il 30 maggio 1677; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 2393 (= 11.724), cc. 19-23: tre lettere della C. a Nicolò Venier riformatore dello Studio di Padova (non ricordate da Tonzig e Maschietto); Ibid., Mss. It., cl. VII, 1847 (= 9617), c. 30: un breve di Innocenzo XI alla C., 6 maggio 1684; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Mss. Morosini-Grimani, b. 442, fasc. XVII: una lettera della C. ad Antonio Grimani; Ibid., Cod. Cicogna 1216: Poesie eroiche di diversi auttori, cc. 104-107v: Il Sole coronato dal Sole. Nel mirabil dottor. dell'ill.ma sig.ra E.L.C.Piscopia ...;Ibid., Mss. Correr 872: B. Dotti, Sonetti in morte della n. d. sig.ra E.C. Piscopia ...; lettere dei Riformatori dello Studio di Padova per la laurea della C. e per proibire la laurea di altre donne in Arch. di Stato di Venezia, Riform. dello Studio di Padova, b. 75, cc. n. n. (18 ott. 1677, 16 giugno 1678, 7 febbr. 1679); Ibid., b. 490: la lettera del padre della C. contro la laurea della Patin, 27 febbr. 1679; Padova, Bibl. del Museo civ., B. p. 125-1: G. Scardova, Vita compendiosa di E.L.C.Piscopia;Ibid., B. P. 126-XIV: G. Ottaviani Cantù, Descrizione della funzione in cui venne conferita la laurea alla n. d. E.C.Piscopia ...;Padova, Archivio antico dell'università, ms. 365: Index quartus actorum sacri collegi, cc. 24v, 25, 26rv. Cfr., inoltre, C. Rinaldini, De resolutione et compositione mathematica libri duo, Patavii 1668, p. 157; Id., Geometra promotus, Patavii 1670, pp. 59-60; F.F. Frugoni, De' ritratti critici, III, Venetia 1669, pp. 262-67; G. Leti, L'Italia regnante..., IV, Valenza 1676, pp. 4372; G. P. Oliva, Lettere..., Venetia 1681-1683, I, pp. 4, 159 s.; II, pp. 8, 25, 46, 138 s., 198, 240, 252, 271 s.; J. Mabillon-M. Germain, Museum Italicum..., I, Luteciae Parisiorum 1687, pp. 35 s.; le lettere del Barbarigo sulla laurea della C. in S. Serena, S. Gregorio Barbarigo e la vita spirituale e culturale nel suo semin. di Padova, I, Padova 1963, pp. 184 s., 198-202, 204, 210, 215 s.. Oltre a quella del Bacchini, le principali biografie della C. sono quelle di M. Deza, Vita di H.L.C. Piscopia, Venezia 1686; A. Lupis, L'eroina veneta, overo la vita di E.L.C.Piscopia, Venetia 1689; M. Pynsent, The Life of H.L.C.Piscopia ..., Rome 1896; A. De Santi, E.L.C.Piscopia. Nuove ricerche, in La Civiltà cattolica, s. 17, IV (1898), pp. 172-186, 421-440, 678-689; V (1899), pp. 176-193, 433-447; F. Dalmazzo, L.C.Piscopia oblata benedettina, Subiaco 1943; delle cit. biogr. di N. Fusco e F. L. Maschietto, non arreca alcun contributo e presenta alcune imprecisioni la prima, mentre è fondata su una accuratissima ricerca originale e sostanzialmente equilibrata nei risultati quella di Maschietto, su cui si veda la rec. di F. Ambrosini in Arch. veneto, CXIII (1979), pp. 144-151; il giudizio di B. Croce è in Appunti di letter. secentesca inedita o rara, in La Critica, XXVII (1929), pp. 471 s.; un recente tentativo di riconsiderare criticamente la figura e la vicenda della C. è stato compiuto da P. H. Labalme, Women's roles in Early Modern Venice, an Exceptional Case, in Beyond their Sex. Learned Women of the European Past, New York-London 1980, pp. 129-152.

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