ELETTROCARDIOGRAFIA

Enciclopedia Italiana (1932)

ELETTROCARDIOGRAFIA (da elettro-, e dal gr. καρδία "cuore" e γράϕω "scrivo")

Mario Barbara

La possibilità di registrare i fenomeni elettrici, che sono in stretto rapporto con le varie fasi dell'attività cardiaca, rappresenta una meravigliosa conquista della scienza e un sussidio diagnostico di grandissimo valore. Spetta a un italiano, C. Matteucci, il merito d'aver aperta la strada agli studî d'elettrofisiologia, a W. Einthoven (1903) d'aver creato uno strumento prezioso: l'elettrocardiografo.

La parte essenziale di questo apparecchio è rappresentata da un galvanometro a corda (oggi s'usano anche galvanometri a bobina mobile) assai sensibile, il quale consta d'una potente elettrocalamita fra i due poli della quale è teso un filo di quarzo argentato, oppure di platino, del diametro di 2-3 μ. Un dispositivo speciale, costituito da una lampada ad arco o a incandescenza, da un microscopio d'illuminazione e da uno di proiezione, fra i quali è situata la corda, permette di proiettarne l'ombra sopra una feritoia d'una camera fotografica, dietro la quale scorre, a velocità costante, una striscia di carta sensibile. Siccome la carta si svolge in direzione perpendicolare a quella delle oscillazioni della corda (che si fanno in senso orizzontale), la risultante di questi due movimenti è rappresentata da una linea retta durante i periodi nei quali la corda è ferma (linea isoelettrica) e da onde positive o negative (a seconda che si estrinsecano verso l'alto o verso il basso rispetto alla linea isoelettrica) quando la corda stessa, percorsa da correnti di direzione diversa, devia verso destra o verso sinistra.

L'apparecchio è completato da due quadri di distribuzione per mezzo dei quali si procede all'eliminazione delle correnti che circolano alla superficie del nostro corpo, ma che non sono in rapporto con l'attività del cuore.

Il principio su cui è basata l'elettrocardiografia è rappresentato dal l'esistenza di fenomeni elettrici che si manifestano allorquando un muscolo entra in attività. La fisiologia infatti insegna che se s'uniscono con un galvanometro le due estremità d'un muscolo e se ne eccita una, questa diventa elettronegativa rispetto a quella che si trova in riposo. A causa di siffatta differenza di potenziale elettrico si genera una corrente (corrente d'azione) che viene registrata dal galvanometro con una deviazione della corda e che sul tracciato è rappresentata da un'onda (positiva o negativa); ben presto però, poiché lo stimolo percorre il muscolo in tutta la sua lunghezza, si ha il fatto opposto e cioè che il punto primitivamente eccitato è già allo stato di riposo e quindi elettropositivo rispetto all'altro che è ancora elettronegativo: la corda del galvanometro allora devia in senso opposto e disegna sulla carta un'onda di senso opposto alla precedente.

Quest'esperimento di fisiologia è troppo semplice; ben diversamente procedono le cose nel cuore umano, nel quale l'eccitazione subisce rallentamenti (conduzione atrio-ventricolare), mutamenti improvvisi di direzione e percorre vie differenti simultaneamente (branca destra e sinistra del fascio di His). La curva elettrica cardiaca sarà perciò la risultante di tutti questi fattori che potranno a volte elidersi, a volte sommarsi nei loro effetti.

Le correnti d'azione del cuore si propagano alla superficie del corpo e da questa si possono derivare mediante l'applicazione d'elettrodi impolarizzabili, costituiti da strisce di piombo fasciate con panni di lana imbevuti con soluzione fisiologica. Tali elettrodi s'applicano alle estremità dei soggetti in esame. Le modalità di derivazione di tali correnti sono assai numerose, ma ormai l'esperienza ha dimostrato che per gli scopi clinici sono sufficienti le tre prime derivazioni di Einthoven che sono le seguenti:

I. Derivazione = braccio destro-braccio sinistro; II. Derivazione - braccio destro-piede sinistro; III. Derivazione = braccio sinistro-piede sinistro. I cuori normali hanno tutte le parti della curva elettrocardiografica più evidenti in seconda derivazione, mentre quelli ammalati possono sottrarsi a questa regola. Se noi osserviamo un elettrocardiogramma normale in II derivazione osserviamo tre onde positive e due negative. Le prime, secondo la nomenclatura di Einthoven, sono chiamate P, R, T (A, J, F secondo G. F. Nicolai), le seconde Q e S (Ja, Jp secondo G. F. Nicolai). L'onda P, o complesso atriale, è dovuta all'attività delle orecchiette, le onde Q, R, S, T costituiscono il complesso ventricolare.

Questo è la risultante di due elettrocardiogrammi e cioè di quello del ventricolo destro e di quello del ventricolo sinistro come ha potuto dimostrare Th. Lewis, studiando i tracciati ottenuti previa distruzione d'una delle branche del fascio di His. Sul significato delle varie onde del complesso ventricolare riportiamo le conclusioni del Lewis: 1. Il primo evento Q della maggior parte dei cardiogrammi è dovuto all'entrata in attività del setto interventricolare per l'intermediario della branca sinistra del fascio di His. 2. La deflessione R manifesta la discesa dell'onda d'eccitazione sul setto e sulle fibre che si diffondono alla regione trabecolare del ventricolo destro, ed è dovuta in gran parte all'eccitazione del ventricolo destro, per una minima parte del ventricolo sinistro. 3. La biforcazione della sommità di R è dovuta a un difetto di sincronia fra i due complessi ventricolari. 4. S è dovuta alla propagazione dal basso in alto dell'onda d'eccitazione a livello del ventricolo sinistro. Nell'elettrocardiogramma umano: in d. I, Q è evento del ventricolo sinistro; R è principalmente un evento del ventricolo sinistro; S del ventricolo destro. In d. III, Q è un evento del ventricolo destro; R è principalmente un evento del ventricolo destro; S del ventricolo sinistro.

Per quanto riguarda l'onda T essa, secondo G. R. Mines e Th. Lewis "rappresenta la fine di quel fenomeno elettrico che al suo inizio provoca le onde Q, R, S del gruppo ventricolare". Nel tracciato sono inoltre da prendere in considerazione tre tratti orizzontali dei quali il primo tra P e Q (tratto α) corrisponde al tempo che impiega lo stimolo a passare dagli atrî ai ventricoli; il secondo fra S e T (tratto β) corrisponde al tempo nel quale l'eccitazione ha invaso tutti i ventricoli, ma non ha ancora incominciato a ritrarsi; infine il terzo fra T e P (tratto γ) corrisponde al riposo diastolico del cuore. La durata media normale dei varî accidenti della curva elettrocardiografica è la seguente: P = 0″,07 − 0″,10; tr. α = 0″,13 − 0″,21; R = 0″,04; QRS = 0″,07; tr. β = 0″,09 − 0″,11; T = 0″,19; tr. γ variabile a seconda della frequenza del ritmo.

Dalle modificazioni della curva elettrocardiografica noi possiamo oggi trarre deduzioni diagnostiche di grandissima importanza soprattutto quando si tratti d'interpretare i disturbi del ritmo. Oggi è possibile riconoscere con facilità estrema se le varie forme di aritmie cardiache siano dovute a extrasistoli o a fibrillazione delle orecchiette, a influenze vagali sul nodo di Keith e Flack o a dissociazione atrioventricolare; è possibile anche dedurre dal confronto delle varie derivazioni se v'è preponderanza (per ipertrofia o dilatazione) della sezione destra o sinistra del cuore o se vi sono disturbi nella conduzione intracardiaca.

Bibl.: V. aritmia.

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