ELETTRONICA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

ELETTRONICA (App. III, 1, p. 532)

Giuseppe Francini

Negli ultimi anni le singole applicazioni dell'e. si sono rapidamente sviluppate e molte di esse si configurano ormai come campi distinti pur facendo ricorso alle stesse tecniche di base. Ciò, per es., è avvenuto per i controlli automatici, la sistemistica, l'informatica, la bioingegneria. Generalmente il distacco è legato anche al fatto che le tecniche citate si sono allargate dall'e. a tutti gli altri settori dell'ingegneria. È anche accaduto che le tecniche e i metodi di studio dell'e. sono stati largamente introdotti in tecniche più antiche e indipendenti, quali quelle delle macchine elettriche.

Oggi pertanto si tende a considerare come elettronici i dispositivi e i circuiti costruiti con certe tecniche e a cui si applicano certi metodi di studio. Qui di seguito verranno considerati gli aspetti riguardanti la microelettronica e i dispositivi elettronici a stato solido mentre si rimanda alle rispettive voci (v. circuito logico, in questa App.) per le applicazioni più specifiche.

Microelettronica.

Con il termine "microelettronica" s'intende uno specifico gruppo di tecniche circuitali che realizzano un elevato grado di miniaturizzazione e si avvalgono del metodo di fabbricazione di tipo collettivo (batch processing), ovvero la fabbricazione di numerosi componenti con un unico processo. Tale metodo, che riflette l'impossibilità pratica di manipolare i componenti circuitali singolarmente, costituisce un aspetto qualificante anche per le sue implicazioni di carattere economico e funzionale. In effetti, anche se inizialmente l'obbiettivo primario della microelettronica fu costituito dalla riduzione di peso e d'ingombro richiesta in alcune applicazioni (per es. le comunicazioni spaziali), in seguito hanno assunto un'importanza predominante gli effetti indotti, quali l'aumento di affidabilità e la riduzione del costo.

Tra le tecniche microelettroniche le più diffuse sono quelle relative ai circuiti integrati monolitici, ai circuiti a film sottile, e ai circuiti a film spesso. A volte l'insieme di tali tipi di circuiti prende il nome di "circuiti integrati", anche se si è praticamente affermato l'uso di tale dizione solo per i circuiti monolitici; gli ultimi due tipi di circuiti prendono talvolta il nome di "circuiti ibridi". Il grado di miniaturizzazione dei componenti dei tre tipi di circuiti è, nell'ordine, decrescente.

Le tecniche di realizzazione dei circuiti monolitici si basano sulla diffusione planare su un substrato semiconduttore, dei componenti circuitali, attivi e passivi, e sulla loro interconnessione mediante deposizione superficiale di una trama metallica. Le tecniche di realizzazione dei circuiti ibridi si fondano essenzialmente nella deposizione, su un supporto dielettrico, di strati o film di materiali che costituiscono gli elementi del circuito, cioè resistori, linee d'interconnessione, condensatori, ecc. e su montaggio successivo di altri componenti passivi e attivi (questi ultimi spesso costituiti da circuiti monolitici).

In tab. 1 sono riportate le caratteristiche essenziali delle tecniche monolitiche e ibride, messe a confronto con la più semplice tecnica dei circuiti stampati. L'impiego dei circuiti ibridi s'impone su quello dei circuiti monolitici allorché si debbano superare le limitazioni proprie di questi ultimi e relative: a) alla pratica impossibilità di ottenere resistori e condensatori che soddisfino le richieste di precisione, stabilità, gamme di valori, coefficienti di temperatura, ecc.; b) a eventuali ragioni di convenienza economica; c) alla pratica impossibilità di realizzare circuiti a microonde.

Per l'impiego di altre tecniche microelettroniche, quali quelle relative ai dispositivi ad accoppiamento di carica (CCD, Charge Coupled Device) e ai dispositivi a bolle magnetiche, è prevedibile un maggiore sviluppo nell'immediato futuro ed essenzialmente in applicazioni digitali.

Diversi sono gli aspetti sui quali la microelettronica ha influito, determinando enormi vantaggi. La drastica riduzione dei percorsi geometrici, la minimizzazione delle impedenze parassite, la situazione ben definita e quindi ottimizzabile dei carichi elettrici nei circuiti elementari hanno consentito di sfruttare l'elevata velocità di risposta dei moderni dispositivi elementari, che non erano pienamente sfruttati nei circuiti discreti. Peraltro la riduzione di dimensioni e l'aumento della velocità di risposta rappresentano un connubio fisico facilmente intuibile. La diminuzione dell'energia dissipata è un altro favorevole effetto causato dalla riduzione delle dimensioni dei circuiti. Ma un aspetto su cui l'influenza della microelettronica è risultata di enorme valore è quello dell'affidabilità. Molte tra le più significative realizzazioni tecniche dei nostri tempi non sarebbero state possibili senza il salto di affidabilità introdotto dalla microelettronica. Per es., gli attuali grandi calcolatori, composti ciascuno da milioni di componenti circuitali, non potrebbero in pratica funzionare se realizzati con componenti non integrati, a causa dei frequentissimi guasti.

Ricordiamo che con "affidabilità" s'intende la probabilità che un dispositivo, o un sistema, funzioni correttamente per un determinato periodo di tempo. La misura dell'affidabilità è data dal "tasso di guasto", ovvero dalla percentuale di guasto in un periodo di tempo, o, alternativamente, dal "tempo medio di guasto". Un valore indicativo del tasso medio di guasto ottenibile con i circuiti integrati è 0,001% per 1000 ore; a esso corrisponde un aumento di 50 volte del tempo medio di guasto rispetto ai circuiti a componenti discreti.

I miglioramenti di aflidabilità sono attribuibili: a) al processo di fabbricazione collettivo, che riduce l'intervento umano diretto e si svolge in ambienti rigorosamente controllabili; b) alla minore dissipazione di potenza, che riduce gli effetti di degradazione dei dispositivi a semiconduttore; c) alla drastica riduzione del numero delle saldature a contatti, che da sole costituiscono il 40 ÷ 50% delle cause di guasto.

La microelettronica ha anche un'importanza fondamentale sugli aspetti economici. La riduzione del costo unitario deriva essenzialmente dal processo di fabbricazione collettivo. Esso comporta la realizzazione simultanea non soltanto di grandi quantità di circuiti ma anche delle loro interconnessioni interne. Questo secondo aspetto ha un'importanza paragonabile al primo, dato che al costo di un'apparecchiatura elettronica contribuisce in modo rilevante il numero di interconnessioni. Gli effetti economici non si esauriscono con la diminuzione dei costi di fabbricazione. Basti pensare alle conseguenze che l'aumento dell'affidabilità ha portato sui tempi di utilizzazione degli apparati e sui costi di manutenzione. I livelli di costo e affidabilità hanno reso competitivo l'impiego dei circuiti elettronici in campi diversi, quali la meccanica e l'elettromeccanica, promovendone spesso il grado qualitativo a livello funzionale.

I vantaggi della microelettronica hanno condizionato profondamente il mercato dei componenti elettronici, come risulta in fig. 1, ove sono indicate l'evoluzione delle percentuali del mercato relative ai componenti passivi, ai componenti discreti a semiconduttore, ai circuiti integrati (monolitici e ibridi) e ai tubi a vuoto (la produzione attuale di questi ultimi è costituita, per la maggior parte, dai cinescopi per televisione).

La microelettronica costituisce una svolta concettuale nell'impiego della tecnologia, che apre non solo nuove possibilità all'utente, ma gl'impone una revisione del suo modo di affrontare i problemi. La microelettronica ha creato infatti un mescolamento di ruoli e di aree di competenza nella progettazione del sistema elettronico in quanto richiede una nuova e più stretta collaborazione tra l'esperto di materiali, il tecnologo, l'esperto di componenti, l'esperto di circuiti, il logico, il sistemista, sicché tali specializzazioni tendono a scomparire. Resta necessariamente la differenziazione tra produttore e utente ma con una linea di separazione variabile. Infatti, se il progetto sistemistico deve necessariamente essere fatto dall'utente così come la fabbricazione appartiene sicuramente al produttore, per le altre fasi non esiste una soluzione rigida. Quest'ultima dipende da ragioni di convenienza economica che in definitiva risultano imposte dalle capacità e dalla competitività delle aziende messe a confronto, in relazione all'esecuzione delle fasi intermedie del processo di fabbricazione.

La microelettronica ha anche introdotto una problematica tecnica nuova e più complessa. Per es., la determinazione del metodo ottimale di prova di elementi integrati complessi è un problema che nasce dalla pratica impossibilità di verificare tutte le possibili cause di guasto, e la cui soluzione varia da caso a caso e influenza perfino la fase di progetto a livello di sistema. Un altro problema è costituito dalla scelta tra dispositivi standard, di produzione corrente e quindi a più bassi costi, oppure realizzati su commissione il cui costo è competitivo solo per alte produzioni. Tale problema, nella maggior parte dei casi, equivale a quello della scelta tra circuiti ibridi e circuiti monolitici. Una soluzione parziale del problema, almeno per alcune applicazioni digitali, potrà essere rappresentata dalla prevedibile diffusione di quei particolari circuiti integrati monolitici, comprendenti un'intera unità di calcolo in grado di effettuare diversi tipi di operazioni logiche e aritmetiche, noti come "microelaboratori" (v. elaboratori elettronici, in questa App.).

Tutti i problemi aperti dalla microelettronica non hanno trovato soluzioni univoche e quanto meno statiche. Certo è che vecchi principi di progetto, quali quello di minimizzare il numero dei circuiti, sono tramontati; oggi si può dire che un parametro sicuramente da minimizzare è il numero delle interconnessioni, anche a costo di uno spreco di circuiti.

Tra le nuove prospettive aperte dalla microelettronica è il caso di accennare alle possibilità offerte dall'introduzione di un elevato grado di ridondamza nel sistema elettronico. La sovrabbondanza di circuiti dovrebbe allora consentire di realizzare sistemi adattivi, capaci di sopportare guasti elementari, ovvero capaci di "autodiagnosi" e "autoriparazione". Lo sviluppo, in tale senso, dei sistemi elettronici sarebbe certamente favorito da una migliore conoscenza degli analoghi meccanismi su cui si basano i sistemi biologici.

Tecnologia dei circuiti integrati monolitici. - Si avvale del procedimento di diffusione planare, in cui tutte le operazioni vengono effettuate su una sola superficie di una lastrina di semiconduttore, generalmente di silicio, sulla quale vengono anche realizzate le interconnessioni metalliche. Le successive fasi di diffusione sono quelle impiegate per la realizzazione di transistori planari e sono sfruttate per realizzare simultaneamente, sulla stessa lastrina, anche diodi, resistori e condensatori progettati in modo da ottenere i valori richiesti. I procedimenti di ossidazione, rimozione selettiva dell'ossido e diffusione vengono applicati a una lastrina di silicio di circa 3 cm di diametro e 0,25 mm di spessore. Le dimensioni e la posizione di ciascun componente, sia passivo sia attivo, sono precisamente determinate dalla tecnica di fotoincisione selettiva dell'ossido di silicio. La fase finale di deposizione delle interconnessioni metalliche (alluminio o molibdeno-oro) realizza il contatto elettrico tra i singoli componenti del circuito integrato. Su ciascuna lastrina lo stesso circuito è ripetuto numerose volte. Per es., un singolo circuito integrato può avere un'area di 1,5 mm2, e quindi una singola lastrina può contenere circa 350 circuiti (fig. 2). Ciascun circuito può contenere fino a 50 componenti singoli. A lavorazione ultimata ciascun circuito della lastrina viene controllato essenzialmente per verificare il corretto funzionamento in corrente continua. I circuiti che non soddisfano le specifiche richieste vengono contrassegnati con una piccola macchia d'inchiostro e successivamente scartati. La lastrina viene quindi tagliata al fine di ricavare le parti, dette chips, contenenti ciascuna un singolo circuito. Il chip viene quindi montato in un contenitore e viene in esso fissato saldandolo sulla base metallica, oppure, per evitare il contatto elettrico, interponendolo prima del vetro a basso punto di fusione. Effettuate le connessioni elettriche tra il chip e i piedini che fuoriescono dal contenitore e che costituiscono gl'ingressi, le uscite e le connessioni per l'alimentazione, il contenitore viene infine chiuso ermeticamente.

Integrazione su larga scala. - La necessità di limitare la probabilità di guasto nei circuiti a elevata complessità, dovuti essenzialmente alle interconnessioni tra singoli circuiti, ha determinato lo sviluppo di una tecnica d'integrazione molto più spinta, detta LSI (Large-Scale Integration, "integrazione su larga scala"). In tale tecnica la lastrina di silicio, ottenuta nel modo precedentemente descritto, non viene sottoposta all'operazione di taglio per la separazione dei singoli circuiti; viceversa, individuati i circuiti funzionanti correttamente, viene realizzata, mediante un'opportuna combinazione di strati isolanti e conduttori evaporati, l'interconnessione tra i circuiti elementari scelti in modo conveniente per la realizzazione della funzione circuitale prefissata. Il numero dei circuiti elementari contenuti nella lastrina dev'essere adeguatamente superiore a quello strettamente necessario per la realizzazione del circuito completo; ciò per tener conto degli scarti di lavorazione. Nel caso più semplice, che si verifica spesso nei circuiti digitali, i circuiti elementari sono tutti uguali; nel caso invece in cui il circuito complessivo debba risultare una combinazione di più tipi di circuiti elementari, i circuiti sulla lastrina vengono ripetuti a gruppi, ciascuno contenente tutti i tipi di circuito elementare richiesti. Anche se la tecnica LSI consente di realizzare circuiti molto complessi di dimensioni ridotte e ad affidabilità più elevata, essa incontra, all'aumentare del grado di complessità, dei limiti di convenienza economica derivanti dal conseguente forte aumento del costo della progettazione e delle operazioni di controllo dei circuiti elementari.

Tecniche di isolamento. - La realizzazione nella stessa lastrina di diversi componenti circuitali attivi e passivi, pone il problema di ottenere un isolamento di ciascun componente dagli altri, in modo che il contatto elettrico si verifichi solo mediante le connessioni superficiali. Vengono impiegati diversi metodi d'isolamento. Il primo metodo, detto "isolamento a diodo", sfrutta l'elevata resistenza di una giunzione p-n polarizzata inversamente. Partendo da una lastrina di silicio, drogata p, viene diffusa in essa una regione drogata n per ciascun componente (fig. 3A). Quando il circuito viene impiegato, le alimentazioni dello stesso vengono scelte in modo da determinare una distribuzione di potenziali elettrici per la quale le giunzioni p-n così realizzate risultano polarizzate inversamente. Una variante è data dal realizzare l'isolamento a diodo partendo da un substrato di silicio, drogato p, sul quale è accresciuto epitassialmente uno strato sottile drogato n ("isolamento a giunzione epitassiale"). Successivamente stretti canali drogati p, vengono diffusi fino al congiungimento col sottostante substrato a drogaggio p in modo da isolare le regioni n di ciascun componente (fig. 3B). Un diverso metodo ("isolamento a ossido di silicio"), che assicura un isolamento più elevato, è basato sulla creazione di uno strato isolante di ossido di silicio intorno alla regione di ciascun componente (fig. 3C). La configurazione finale è ottenuta partendo da una lastrina di silicio drogata n la cui superficie viene prima incisa in modo da formare degli stretti incavi e poi ossidata; infine, dopo aver depositato epitassialmente del silicio policristallino, la lastrina viene rovesciata e quindi lappata fino ad asportare l'ossido nel fondo degl'incavi.

Formazione dei componenti circuitali. - In fig. 4 è riportato un circuito integrato monolitico (B) a quattro componenti e il corrispondente schema circuitale (A). Le tre fasi di diffusione richieste per la formazione del transistore bipolare planare consentono la simultanea realizzazione degli altri componenti. Il resistore è ottenuto sfruttando la resistività della regione p diffusa, e il suo valore (20 ÷ 20.000 Ᾱ) dipende dalla profondità e dall'estensione di tale regione, oltre che dall'intensità del drogaggio. Il diodo è ottenuto dalla giunzione collettore-base di un transistore (in fig. 5 sono riportate tutte le possibili connessioni a diodo di un transistore). Il condensatore è ottenuto sfruttando la capacità (〈 100 pF) di una giunzione polarizzata inversamente. Condensatori di capacità più elevata (〈 400 pF) possono essere realizzati con una maggiore complicazione del processo di fabbricazione (fig. 6). In tali condensatori, detti "a ossido metallico", le armature sono costituite dalla regione a bassa conducibilità, drogata n, e dal soprastante strato metallico, mentre il dielettrico è costituito dall'intercapedine di ossido di silicio. La formazione dei componenti circuitali, che risulta condizionata dal tipo di componente attivo impiegato, diviene particolarmente semplice qualora, invece del transistore bipolare, si utilizzi il transistore a effetto di campo MOS (MOSFET, v. oltre: dispositivi elettronici a stato solido). In questo caso il procedimento di fabbricazione si semplifica in quanto si articola in un'unica fase di diffusione e senza la necessità di formare regioni d'isolamento, dato che il MOS risulta intrinsecamente isolato dal substrato. Da tali caratteristiche deriva una maggiore densità superficiale di componenti e quindi un più elevato grado di miniaturizzazione. A ciò contribuisce anche la possibilità di costruire resistori di area ridotta e con più esteso campo di variazione di resistenza (102 ÷ 106 Ᾱ) che deriva dallo sfruttare la resistenza di un MOS, tra sorgente e raccoglitore, e regolarne il valore mediante la tensione applicata tra porta e sorgente.

Tecnologia dei circuiti a film sottile. - I materiali necessari per la formazione dei componenti circuitali vengono deposti sotto vuoto su un substrato isolante e la configurazione circuitale viene realizzata mediante processi fotolitografici. Il materiale costituente il substrato isolante è normalmente uno dei seguenti: allumina, ossido di berillio, vetro, vetro pyrex, quarzo, vetroceramiche, piroceramiche, fotoceramiche, zaffiro. L'allumina è il materiale più comunemente impiegato. Per realizzare i componenti circuitali si usano come materiali resistivi per resistenze: Ni-Cr, Ta drogato con Au, Ta2N, Cr, Cr-Au, Cr-SiO, Cr-Ti, Ti; come materiali dielettrici per condensatori: Al2O3, Ba Ti O3, Ti O, Ti O2, Ta2O5, Si O, Si O2; come materiali conduttivi per le connessioni: Al, Au o Ag o Cu-Au (quando si deve sovrapporre al Cr), Ni-Au, Mo, Pt, Sn, Cu-Be.

Nel seguito vengono descritte in dettaglio le tecnologie, largamente diffuse, dette al tantalio e al nichel-cromo e che prendono il nome dai materiali base costituenti i resistori. Il materiale usato come substrato è generalmente allumina; lo spessore è 0,7 mm e le dimensioni superficiali, praticamente standard, 5,08 cm × 5,08 cm e 10,16 cm × 10,16 cm; la rugosità della superficie varia tra 0,05 e 0,4 μm. Diverse tecniche vengono impiegate, in fasi successive, per la deposizione degli strati.

Spruzzamento catodico (sputtering). - Questa tecnica consiste nel sostenere una scarica elettrica in un gas rarefatto (argo), fra un elettrodo di tantalio (catodo) e i substrati ceramici (collegati all'anodo). Gli ioni positivi di argo fortemente accelerati colpiscono il catodo di Ta e dànno luogo all'estrazione di atomi o gruppi di atomi di Ta che vanno a depositarsi sui substrati aderendovi stabilmente. È possibile così ottenere strati di una varietà cristallina del Ta, detta tantalio β, che si presta molto bene come strato base per la formazione del dielettrico del condensatore. Aggiungendo altri gas nel sistema sotto vuoto (sputtering reattivo), quali N2 o N2 + O2, si ottengono deposizioni di nitruro di tantalio e ossinitruro di tantalio rispettivamente. Questi ultimi costituiscono i materiali resistivi per la formazione delle resistenze.

Evaporazione. - Questa tecnica è impiegata per realizzare resistori al Ni-Cr e le metallizzazioni d'interconnessione tra i componenti circuitali (Au). I metalli (Ni-Cr-Au oppure Ti-Pd-Au) vengono evaporati in un sistema ad alto vuoto. L'evaporazione è ottenuta portanto tali materiali a contatto con una spirale di tungsteno percorsa da corrente elettrica oppure sottoponendoli al bombardamento di un fascio elettronico ad alta intensità. Le particelle evaporate raggiungono direttamente la superficie del substrato aderendovi perfettamente, formando spessori di circa 1 μm di materiale deposto.

Accrescimento elettrolitico. - Spessori di metallizzazione più elevati, che quindi determinano valori più bassi delle resistenze delle interconnessioni, si realizzano facendo seguire un accrescimento elettrolitico, per es. oro su oro, in appositi bagni; si possono ottenere così spessori dell'ordine di 15 ÷ 20 μm.

Ossidazione anodica. - È il processo mediante il quale si trasforma una parte del Ta (sotto forma di nitruro di tantalio nei resistori o di tantalio β nei condensatori) in Ta2O5, ovvero in un dielettrico per basse frequenze, di buona stabilità ed elevata rigidità dielettrica. La trasformazione del Ta2N in Ta2O5 viene impiegata nella fase di aggiustaggio delle resistenze. La trasformazione di tantalio β in Ta2O5 è impiegata per la formazione del dielettrico nei condensatori. La tecnica consiste nel sottoporre il materiale da trasformare a un bagno elettrolitico costituito da una soluzione di acido citrico, nel quale lo stesso materiale espleta la funzione di catodo. La cella elettrolitica viene alimentata a corrente costante e tensione massima prefissata; dai valori di tali grandezze elettriche dipende la profondità dello strato che si trasforma in Ta2O5.

Tecniche ausiliarie. - Diverse tecniche ausiliarie sono impiegate nelle fasi che sono intermedie a quelle di deposizione. Ogni fase di deposizione è seguita da una fase, analoga a quelle relative al processo di fabbricazione dei circuiti integrati monolitici, di fotoincisione selettiva secondo maschere (mascheratura) che definiscono i percorsi delle metallizzazioni e le geometrie dei condensatori (si ottengono linee di larghezza massima di 20 ÷ 30 μm). Esaurite le fasi di deposizione si effettua il taglio del substrato, dato che di norma un circuito elementare occupa una superficie che è una frazione di quella del substrato standard ed è quindi necessario separare i singoli circuiti; il taglio è eseguito mediante seghe circolari diamantate oppure mediante un fascio laser. Eventuali fori vengono eseguiti mediante trapano a ultrasuoni o mediante fascio laser. Le connessioni dei componenti attivi e passivi riportati vengono eseguite o con saldature a stagno, o a ultrasuoni o per termocompressione a seconda del tipo di contenitori. Fra questi risulta particolarmente conveniente il tipo beam-lead. Esso per la compatibilità dimensionale e metallurgica perfetta dei suoi piedini di uscita con le metallizzazioni del film sottile rende possibile la saldatura collettiva dei piedini al circuito mediante termocompressione. Tecniche analoghe di saldatura vengono impiegate per l'applicazione dei piedini di uscita del circuito.

Processo di formazione dei resistori. - In fig. 7A è riportata la struttura di un resistore al Ta2N dopo l'aggiustaggio. Il processo di formazione si articola nelle seguenti fasi: 1) spruzzamento catodico del film resistivo di Ta2N (oppure di ossinitruro di tantalio, Tax Ny Oz) spesso preceduta da una fase di deposizione di Ta2 O5 che ha una funzione protettiva della superficie inferiore dello strato resistivo; 2) mascheratura e attacco acido del Ta2N per definire la geometria dei percorsi resistivi; 3) evaporazione delle metallizzazioni, Cr e Au (il cromo viene predepositato e ha la funzione di legante per l'oro); 4) mascheratura e attacco acido per definire i percorsi conduttivi; 5) mascheratura per definire le superfici resistive da sottoporre a ossidazione anodica; 6) ossidazione anodica per la riduzione dello spessore resistivo nei resistori nella fase di aggiustaggio dei valori delle resistenze (lo strato di Ta2N che si forma provvede alla protezione della superficie dei film resistivi). La gamma dei valori di resistenza va da 10 ÷ 20 Ᾱ a 100 ÷ 150 kᾹ, mentre il coefficiente di temperatura è di circa −0,0001/°C. La precisione raggiungibile nella fase di aggiustaggio può essere migliore dell'1% e lo spessore dei film resistivi è di circa 0,12 μm. Le resistenze realizzate al Ni-Cr hanno un coefficiente di temperatura minore di quella al nitruro di tantalio ma risultano meno stabili. Il procedimento descritto si complica allorché è richiesto un doppio di livello di metallizzazione, intercalato da uno strato isolante, per realizzare incroci tra percorsi conduttivi.

Processo di formazione dei condensatori. - In fig. 7B è riportata la struttura di un condensatore a tantalio. Le fasi di lavorazione principali si susseguono nel modo seguente: 1) spruzzamento catodico del tantalio β che alla fine costituirà l'armatura inferiore del condensatore (spessore dello strato circa 0,5 μm); 2) mascheratura e attacco acido del tantalio β per la definizione della geometria dell'elettrodo; 3) mascheratura per definire la superficie dell'elettrodo da sottoporre a ossidazione anodica per la sua trasformazione in dielettrico (Ta2 O5); 4) ossidazione anodica fino a una profondità di circa 0,15 μm dalla superficie; 5) evaporazione delle metallizzazioni (prima Ni-Cr e poi Au) dell'armatura superiore del condensatore e delle connessioni; 6) mascheratura e attacco acido per definire la geometria delle metallizzazioni. La capacità del condensatore dipende dalla superficie che occupa e il suo valore è ricavato tenendo conto che la struttura descritta è caratterizzata da una capacità specifica di 50 nF/cm2. La precisione è ± 2% e il coefficiente di temperatura è circa 0,0002/°C.

Circuiti a microonde. - La tecnica del film sottile può essere impiegata per realizzare circuiti fino alle frequenze delle microonde (v., in questa App.). A tali frequenze il substrato, di spessore e costante dielettrica controllati, è costituito da allumina o quarzo fuso. Mediante striscie di metallizzazione superficiale si realizzano linee di trasmissione; nella realizzazione di tipo più semplice ("microstriscia") la linea di trasmissione è ottenuta depositando una striscia di metallizzazione su una superficie con l'altra superficie del substrato completamente metallizzata. Eventuali elementi resistivi, quali si richiedono, per es., per la realizzazione di attenuatori e terminazioni adattate, possono essere realizzati al Ta2N mediante la tecnica già descritta per i resistori a bassa frequenza. La tecnologia del tantalio non può essere impiegata per realizzare condensatori a microonde: si ricorre allora, come nel caso di altri componenti attivi o passivi, all'impiego di componenti riportati. Condensatori di bassa capacità (frazioni di pF) possono essere costruiti in forma "interdigitata" sfruttando l'accoppiamento capacitivo tra due elementi di microstriscia sconnessi (fig. 8).

Tecnologia dei circuiti a film spesso. - La deposizione degli strati conduttori, resistivi e isolanti è effettuata mediante il procedimento di stampa serigrafica. La struttura degli elementi circuitali (linee d'interconnessione, resistori e condensatori) è analoga a quella che si realizza nei circuiti a film sottile. Si possono realizzare anche più livelli sovrapposti di interconnessioni. Ma in tal caso, come pure per la realizzazione di condensatori, si richiede la sovradeposizione di strati isolanti di spessore dell'ordine dei 30 μm e quindi richiedono un maggiore controllo delle condizioni ambientali in cui avviene il processo. È per tale ragione che la maggior parte dei circuiti a film spesso sono realizzati a un solo livello d'interconnessione e impiegano condensatori riportati del tipo ceramico o al tantalio. Nel seguito vengono descritte le fasi e le caratteristiche essenziali della tecnica dei circuiti a film spesso.

Stampa serigrafica. - Il procedimento di stampa consiste nell'estrudere un materiale viscoso attraverso le aperture di una maschera per depositare la configurazione voluta sul substrato. La composizione del materiale viscoso, o pasta serigrafica, definisce le caratteristiche elettriche dello strato depositato e quindi varia a seconda che si voglia depositare un film conduttore, resistivo o isolante. La paste sono costituite da una sospensione, in un veicolo organico, di composti solidi in una percentuale del 75%. Da parte di essi (costituenti di base) dipendono le caratteristiche elettriche del film alla fine della lavorazione; dagli altri dipendono la sua adesione al substrato e, nel caso dei conduttori, la sua saldabilità. I componenti organici garantiscono le opportune caratteristiche di viscosità della pasta: la viscosità diminuisce con la pressione in modo tale che la pasta non coli attraverso la maschera ma l'attraversi solo nella fase di estrusione. I costituenti base delle paste più comunemente usate sono Au, Ag e Pd, Au e Pd, Pt e Au per i conduttori; per i resistori sono Pd e Ag, Ir, Rb e per gl'isolanti sono ceramiche ferroelettriche e vetri cristallizzabili. Le maschere per la stampa sono generalmente costituite da retini di acciaio inossidabile, contenenti da 80 a 325 maglie per pollice, rivestiti da un'emulsione fotografica che viene rimossa in corrispondenza della configurazione da stampare sul substrato ceramico. In tal modo si possono stampare linee fino a 0,3 mm di larghezza e distanti tra di loro di 0,3 mm. Per realizzare linee più sottili il retino d'acciaio, anziché essere rivestito da un'emulsione fotografica, viene ricoperto da un foglio metallico da cui vengono asportate, mediante fotoincisioni, le zone corrispondenti alla configurazione da stampare. Con tali maschere si riescono a stampare linee di 50 μm di larghezza; esse consentono un uso più prolungato della stessa maschera (fino a 100.000 operazioni). Nell'operazione di stampa la maschera è tenuta mediante una cornice a una distanza fissa dal substrato; da tale distanza dipende lo spessore dei film (decine di μm). Il substrato più comunemente usato è costituito da allumina con rugosità media superficiale di circa 0,65 μm.

Essiccamento e ricottura. - Dopo la stampa la pasta depositata viene lasciata a riposo per consentire che i film si uniformino in spessore. La successiva fase di essiccamento, che si svolge a una temperatura di circa 120 °C, ha lo scopo di far evaporare i componenti organici più volatili della pasta, Durante la successiva fase di ricottura, che si svolge a temperature fra 700°C e 1100°C, i rimanenti componenti organici si decompongono e i contenuti vetrosi si rammolliscono per garantire l'adesione delle particelle metalliche al substrato. La resistività dei film conduttori così ottenuti può variare tra 0,002 ÷ 0,12 Ᾱ/cm2 mentre quella dei film resistivi tra 0,5 ÷ 1.000.000 Ᾱ/cm2, a seconda della composizione della pasta, e con un coefficiente di temperatura di circa 0,0002/°C.

Taratura dei resistori. - Dopo il ciclo di ricottura, la precisione del valore ohmico dei resistori è circa 10 ÷ 20%. Una precisione più elevata, fino a 0,5%, è ottenuta nella fase di taratura. La taratura dei resistori viene effettuata asportando parte del film resistivo ricotto finché il valore della resistenza, tenuto sotto misura, raggiunge per incremento il valore desiderato. Il materiale ricotto viene asportato mediante un getto di polvere abrasiva da un ugello mobile o mediante fascio laser. La stessa tecnica può essere impiegata per effettuare la taratura funzionale del circuito complessivo ovvero aggiustando i valori delle resistenze del circuito, mentre questo è messo sotto prova elettrica, finché le sue caratteristiche elettriche soddisfano ai requisiti richiesti. La taratura funzionale consente una maggiore flessibilità di progettazione in quanto permette di recuperare le tolleranze dei parametri elettrici dei componenti attivi.

Nella fase finale vengono connessi i componenti riportati. I componenti attivi sono generalmente del tipo monolitico, incapsulati oppure "tessere nude"; in quest'ultimo caso si consegue una maggiore miniaturizzazione e una maggiore affidabilità del circuito. Particolarmente convenienti risultano le "tessere invertite" in quanto consentono un montaggio completamente automatizzato. Il circuito finale viene incapsulato, ermeticamente o no a seconda dell'impiego.

I circuiti a film spesso sopportano valori più elevati di potenza specifica (5 W/cm2) e di tensione (500 V/cm) degli altri tipi di circuiti integrati. Essi sono in grado di sopportare potenze più elevate, fino a 12 W/cm2, a discapito però della stabilità dei componenti circuitali.

Applicazioni circuitali. - I circuiti integrati possono essere suddivisi (tab. 2) in circuiti analogici, digitali e analogico-digitali a seconda del tipo dei segnali d'ingresso e di uscita. I tre tipi di circuiti corrispondono rispettivamente al caso in cui tali segnali sono tutti di tipo analogico (ovvero possono assumere a ogni istante qualsiasi valore), al caso in cui sono tutti segnali digitali (ovvero a essi sono associati delle variabili binarie e quindi due soli valori), e infine al caso in cui sono in parte segnali analogici e in parte segnali digitali. Gl'integrati analogici sono anche noti con il nome improprio di "integrati lineari". Diverse funzioni circuitali (elenchi 1, 2, 3, 4, 5, 6 della tab. 2, a) possono essere realizzate sia con tecniche monolitiche sia con tecniche ibride; ove si pone una scelta, essa dipende, per quanto detto in precedenza, da ragioni di convenienza economica, mentre a volte risulta imposta dai limiti di potenza dissipabile nei circuiti realizzati con tecniche a più elevata miniaturizzazione. Fra le funzioni di tipo analogico alcune (elenchi 7, 8, 9, 10) possono essere realizzate, o realizzate più convenientemente, solo mediante le tecniche ibride.

Circuiti digitali. - Il più elevato grado di complessità dei circuiti integrati, e in particolare di quelli monolitici, è stato raggiunto dai circuiti di tipo digitale. Ciò è dovuto sia all'intrinseca affidabilità dei circuiti digitali, in quanto sopportano un maggior grado di tolleranza sui valori dei parametri dei componenti circuitali, sia alla maggiore semplicità della struttura dei circuiti elementari specialmente qualora s'impieghino MOS e CMOS come componenti attivi. Un elevato grado di miniaturizzazione richiede anche un basso livello di potenza dissipata per ogni circuito elementare come si ottiene, per es., impiegando i CMOS come componenti attivi. Accanto a unità funzionali più semplici (elenco 4), spesso disponibili in più unità nello stesso circuito integrato, sono pertanto disponibili in forma integrata unità funzionali più complesse (elenco 6). Fra esse particolarmente importanti, per l'influenza che hanno avuto nello sviluppo dell'ultima generazione di calcolatori, risultano le memorie a stato solido (ROM, Road Only Memory; PROM, Programmable ROM; e RAM, Random Access Memory). Impiegate come memorie principali e unità di controllo, si sono infatti dimostrate particolamente convenienti per la realizzazione di calcolatori ("minicalcolatori e "microcalcolatori") di minor capacità di memoria ma spesso a più alta velocità di elaborazione e comunque di maggior flessibilità d'impiego e a costi notevolmente ridotti.

Circuiti digitali-analogici. - I notevoli vantaggi dell'elaborazione digitale hanno reso conveniente, in molte applicazioni, la trasformazione dei segnali analogici, con banda di frequenze fino a qualche MHz, in segnali digitali (o pseudo-digitali, come nel caso dei commutatori periodici noti come chopper). I segnali digitali così ottenuti conservano tutto il contenuto informativo dei segnali di partenza e possono essere elaborati digitalmente e quindi riconvertiti in forma analogica; dal tipo di elaborazione digitale dipende il tipo di funzione analogica realizzata. Si riescono, per es., a realizzare filtri digitali di precisione e affidabilità molto superiore rispetto ai filtri di tipo analogico fino a frequenze di qualche MHz. Determinante per lo sviluppo dell'elaborazione digitale di segnali analogici è risultata la disponibilità di circuiti di conversione analogico-digitale e digitaleanalogico (elenco 3) in forma integrata e quindi a un costo più basso.

Circuiti analogici. - L'impiego delle tecniche microelettroniche, pur non consentendo un elevato grado d'integrazione dei circuiti analogici (elenchi 1, 2, 7, 8, 9, 10), e in particolare in forma monolitica, hanno influenzato notevolmente l'architettura dei sistemi elettronici di tipo analogico. La disponibilità, per es., di amplificatori operazionali monolitici (fig. 9) con caratteristiche molto migliori di quelle realizzate a componenti discreti, e a costi confrontabili con quelli dei dispositivi attivi discreti (transistori), ha determinato un impiego predominante di tali amplificatori nella realizzazione di funzioni analogiche fino a frequenze di qualche decina di MHz. Le tecniche di realizzazione di funzioni analogiche mediante amplificatori operazionali, già sperimentate in precedenza nelle calcolatrici analogiche, sono divenute pertanto di uso comune. Il miglioramento delle caratteristiche dei circuiti operazionali ha reso possibile la realizzazione di una più grande varietà di funzioni analogiche, rispetto a quelle comunemente usate nelle calcolatrici analogiche (invertitori, sommatori, integratori, ecc.), e che consentono quindi di soddisfare la maggior parte delle esigenze pratiche.

L'impiego delle tecniche ibride per la realizzazione di circuiti a microonde (elenchi 7, 8) è largamente diffuso nel campo radar e delle telecomunicazioni in quanto, oltre a un aumento di affidabilità, hanno determinato forti riduzioni di costo, di peso e d'ingombro: tutti fattori questi ultimi che spesso assumono un'importanza essenziale nelle applicazioni suddette.

Le tecniche dei circuiti a film sottile trovano una specifica applicazione nella realizzazione di reti, anche passive (elenchi 9, 10), in cui sia stata richiesta un'elevata precisione nei parametri funzionali del circuito o dei componenti circuitali.

Dispositivi elettronici a stato solido.

Sono qui di seguito elencati i principali dispositivi elettronici a stato solido attualmente impiegati, sia quelli di più recente realizzazione, sia anche quelli già noti da tempo.

Dispositivi a semiconduttore unico. - Dispositivi a effetto Hall. - Sono basati sulla comparsa di una forza elettromotrice VH fra due lati opposti c, d (fig. 10) di una lamina di semiconduttore (App. III, 11, p. 694) percorsa da a a b da una corrente di controllo e sottoposta a un campo magnetico d'induzione B perpendicolare al suo piano; VH è proporzionale al prodotto dell'intensità I della corrente e dell'induzione B e inversamente proporzionale allo spessore della lamina. Si usano pertanto lamine molto sottili, talvolta ottenute per evaporazioni in spessore dell'ordine di 1 μm. Le applicazioni rientrano in tre categorie: a) il dispositivo è alimentato con corrente di controllo costante e serve per misurare campi magnetici. Per un dispositivo ad arseniuro di indio si ricava, per es., con una corrente di controllo di 0,1 A e per B = 1 Wb/m2, una tensione VH = 0,15 V; b) l'induzione è alternata e si ottiene una tensione VH alternata proporzionale alla corrente continua di controllo, e ciò consente di amplificare in corrente alternata deboli segnali continui (chopper); c) il dispositivo è usato come moltiplicatore sfruttando il fatto che VH è proporzionale al prodotto di B e I; trova, per es., applicazione nella misurazione di potenze di correnti a frequenza molto elevata.

Magnetoresistenze. - Sono dispositivi realizzati con semiconduttori la cui resistenza varia secondo l'intensità del campo magnetico cui sono sottoposti (App. III, 11, p. 695). Tutti i semiconduttori sono sensibili ai campi magnetici, ma in alcuni di essi, come nel caso dell'antimoniuro di indio, l'effetto è più pronunciato. Tali dispositivi trovano applicazione nella rivelazione e nella misurazione di campi magnetici.

Termistori. - Sono dispositivi realizzati con semiconduttori la cui resistenza varia sensibilmente con la temperatura (v. varistore, App. III, 11, p. 1072). Nella maggior parte dei casi il semiconduttore è costituito da un ossido metallico. Vi sono termistori a coefficiente di temperatura negativo (NTC, Negative Temperature Coefficient) o positivo (PTC, Positive Temperature Coefficient) a seconda che la resistenza diminuisca oppure aumenti al crescere della temperatura. I termistori trovano applicazione per limitare gli effetti della temperatura sul funzionamento dei circuiti (compensazione termica).

Piezoresistenze. - Sono dispositivi realizzati con semiconduttori la cui resistenza dipende dalla pressione alla quale sono sottoposti. Semiconduttori particolarmente adatti allo scopo sono l'antimoniuro di indio e l'arseniuro di indio. Trovano applicazione nella rivelazione e nella misurazione di pressioni.

Varistori (App. III, 11, 1072). - Sono dispositivi a resistenza non lineare, tali cioè che la loro resistenza dipende dall'intensità di corrente che li attraversa. I varistori bidirezionali, in cui la resistenza non dipende dal verso della corrente, sono realizzati con un unico semiconduttore costituito, nella maggior parte dei casi, da carburo di silicio in grani sinterizzati (thyrite); i varistori unidirezionali sono invece costituiti da diodi a giunzione p-n. I varistori trovano applicazione come limitatori di tensione, per es., per la protezione di contatti o transistori in presenza di carichi induttivi.

Convertitori termoelettrici. - Sono dispositivi realizzati con semiconduttori in grado di convertire energia termica direttamente in energia elettrica (App. III, 11, p. 695); un semiconduttore particolarmente adatto è il telluriuro di bismuto.

Dispositivi a giunzione pn. - Generalità (v. semiconduttori, App. III, 11, p. 692). - La fabbricazione di una giunzione p-n, ovvero tra un semiconduttore drogato con impurità di tipo p e un altro drogato con impurità di tipo n, si può avvalere di tecniche diverse, secondo l'impiego cui la giunzione è destinata. Si hanno giunzioni a crescita epitassiale, a lega, diffuse, a diffusione, planari, planariepitassiali.

La giunzione a crescita epitassiale è ottenuta con la formazione di un film solido molto sottile di semiconduttore monocristallino su una lastrina monocristallina dello stesso semiconduttore. La deposizione avviene sottoponendo la lastrina di semiconduttore, riscaldata a temperatura elevata, a un flusso di vapore contenente un composto volatile del semiconduttore e del drogante. La giunzione p-n si può formare cambiando, in una fase intermedia del procedimento di deposizione, il tipo di drogante da p a n, o viceversa.

La giunzione a lega si forma ponendo su una lastrina di semiconduttore, drogato p o n, una piccola sfera di drogante di tipo opposto, riscaldandola e poi raffreddandola. Nella fase di riscaldamento la sfera di drogante fonde e si dissolve parzialmente nel semiconduttore; nella fase di raffreddamento il semiconduttore ricristallizza formando una lega con il drogante. In fig. 11 sono indicate le fasi successive di formazione di una giunzione a lega nel caso che il semiconduttore sia germanio di tipo n e il drogante sia indio.

La giunzione diffusa si forma per diffusione in due fasi distinte. In una prima fase, detta di deposizione, una lastrina di semiconduttore di tipo n viene riscaldata a una temperatura vicina a quella di fusione in un'atmosfera di vapore contenente il drogante di tipo p. In una fase successiva, detta di diffusione, la lastrina viene rimossa e riscaldata in un'atmosfera di ossigeno o azoto; in questa fase gli atomi di drogante diffondono dalla superficie all'interno generando uno strato superficiale di tipo p e di spessore variabile a seconda della durata della fase di diffusione. Una giunzione doppia, n-p-n, può essere realizzata mediante un ulteriore procedimento di deposizione e diffusione con drogante di tipo n. In fig. 12 è mostrato il procedimento per la formazione per diffusione di una giunzione semplice e doppia.

La giunzione planare si forma con una tecnica di diffusione planare e utilizzando come semiconduttore il silicio. Il procedimento consiste nel far seguire ogni fase di diffusione da una fase di ossidazione della superficie della lastrina di silicio di tipo n (substrato) dando luogo alla formazione di uno strato superficiale isolante di biossido di silicio. Le successive fasi di diffusione sono precedute dall'asportazione del biossido di silicio, mediante tecniche di fotoincisione, nelle zone attraverso le quali si vuole diffondere il drogante, oppure ove si vuol formare il contatto elettrico con la regione sottostante. Con questo procedimento i contatti elettrici delle varie regioni di giunzioni sono sulla stessa superficie della lastrina e risultano elettricamente bene isolati per la presenza del biossido di silicio. In fig. 13 è riportata la struttura di un transistore planare diffuso. La tecnica di diffusione planare consente la costruzione di numerosi dispositivi su una stessa piastrina, e per questo costituisce il procedimento base per la costruzione di circuiti monolitici integrati.

La giunzione planare-epitassiale si forma con una tecnica che si differenzia da quella planare solo per il fatto che il substrato non è uniforme; esso è ottenuto da una lastrina di silicio fortemente drogato (e quindi di bassa resistività), sul quale viene fatta crescere epitassialmente una pellicola di silicio (drogato dello stesso tipo) a elevata resistività, la quale continua la struttura cristallina sottostante. I transistori così realizzati possiedono resistenze di saturazione più basse e sopportano tensioni inverse più elevate. La tecnica in questione è particolarmente adatta per i circuiti integrati in quanto consente un buon isolamento tra i singoli dispositivi costituenti il circuito.

Diodo a giunzione p-n (raddrizzatore). - Generalmente con il nome di raddrizzatore s'intende un diodo impiegato nel raddrizzamento di corrente alternata per la conversione della potenza alternata in potenza continua (alimentatori in continua). Quando le applicazioni circuitali riguardano segnali di potenza limitata e sono volte alla realizzazione di particolari funzioni circuitali, quali la rivelazione, la mescolazione, la commutazione, ecc., allora il dispositivo è solitamente chiamato diodo. La diversità di applicazioni determina una notevole differenziazione nella realizzazione e nelle caratteristiche dei diodi e dei raddrizzatori. I diodi (v. semiconduttori, App. III, 11, p. 696) sono giunzioni p-n di piccola area, generalmente al silicio, realizzate con tecniche di diffusione e mediante procedimento planare o mesa. In un diodo d'impiego generale il diametro della giunzione può essere di 0,15 mm, la caduta di tensione diretta di 1 V per una corrente di 0,2 A, la tensione inversa fino a 300 V con corrente di dispersione di 10 nA, e una capacità di giunzione di 8 pF per tensione nulla. Per applicazioni digitali il diametro della giunzione si riduce a 0,075 mm con conseguente riduzione della capacità di giunzione, mentre il tempo di commutazione scende a 4 nsec. Un raddrizzatore è costituito da una giunzione p-n per alte tensioni costruita in modo da realizzare piccole resistenze di contatto nelle regioni n e p della giunzione e in modo da consentire una più rapida dissipazione del calore. La giunzione generalmente è al silicio, ed è realizzata con tecniche di diffusione. La tensione diretta non supera 1 V e quella inversa può raggiungere 1500 V. La corrente diretta può avere un limite massimo tra 0,5 A e 500 A.

Diodo varactor. - È un diodo con area di giunzione molto piccola, progettato per utilizzare la variazione della capacità di giunzione con la tensione inversa applicata. Le principali applicazioni dei varactor sono l'amplificazione parametrica e la generazione di armoniche alle frequenze delle microonde. Sono anche usati per la sintonia automatica e per realizzare sfasatori e interruttori elettronici per frequenze VHF e a microonde. La maggior parte dei varactor sono realizzati al silicio, impiegando tecniche di diffusione su materiali ottenuti per crescita epitassiale. Un varactor tipico per microonde ha un diametro della giunzione di 0,025 mm, una capacità di 1 pF e una resistenza di 2,5 Ᾱ, che determina una frequenza limite di 60 GHz. Varactor per onde millimetriche con frequenze limite dell'ordine di 400 GHz sono realizzati con arseniuro di gallio.

Diodo tunnel. - È realizzato mediante una giunzione p-n in cui le regioni p e n sono fortemente drogate. L'elevato drogaggio dà luogo a una regione di giunzione molto sottile; in tali condizioni una volta applicata una tensione esterna si determina una forte conduzione elettrica anomala per effetto tunnel: infatti gli elettroni pur avendo energia insufficiente riescono ad attraversare la giunzione per la strettezza della barriera di potenziale. All'aumentare della tensione diretta il fenomeno si riduce e s'instaura di nuovo il regime di conduzione normale.

In fig. 14 è riportata la caratteristica tensione-corrente di un tipico diodo tunnel al germanio. Il tratto decrescente della caratteristica a resistenza negativa, unito all'alta mobilità dei portatori di carica ai quali è dovuto il fenomeno di conduzione anomala, fanno sì che i diodi tunnel trovino applicazioni nei circuiti digitali ad alta velocità di commutazione e per la realizzazione di amplificatori e oscillatori alle frequenze delle microonde. I semiconduttori più adatti per realizzare diodi tunnel sono il germanio e l'arsenurio di gallio. Il germanio ha limiti di frequenza più elevati, mentre l'arseniuro di gallio ha limiti di potenza superiori.

Diodo Zener. - È una speciale versione del diodo raddrizzatore a giunzione al silicio che presenta un fenomeno di rottura a basse tensioni, di solito tra 3 e 19 V. Il diodo Zener per tensione diretta si comporta come un normale raddrizzatore per alte tensioni, mentre al crescere della tensione inversa la corrente è molto piccola finché non si raggiunge la tensione di rottura oltre la quale la corrente sale molto rapidamente anche per un piccolissimo aumento della tensione. Con una corretta polarizzazione inversa questi dispositivi sono impiegati per realizzare uno stabile riferimento di tensione in quanto la tensione ai loro capi rimane costante per grandi variazioni della corrente (v. stabilizzatore di tensione, App. III, 11, p. 815). Il fenomeno base che caratterizza le proprietà di questi diodi è l'effetto Zener (v. semiconduttori, App. III, 11, p. 696); tale effetto è determinato dal forte drogaggio delle regioni p e n e quindi dal forte campo elettrico che s'instaura nella regione di giunzione: sono così sufficienti piccole tensioni inverse per determinare la ionizzazione degli atomi della regione di giunzione.

Dispositivi analoghi con tensioni di rottura tra 15 e 120 V, che basano il loro funzionamento essenzialmente sul fenomeno di moltiplicazione a valanga, sono detti "diodi regolatori"; sono impiegati come regolatori di tensione e come limitatori di tensione (varistori).

Transistore bipolare (v. transistore, App. III, 11, p. 971). - La giunzione doppia, n-p-n o p-n-p, che realizza un transistore bipolare può essere ottenuta con tecniche diverse; a seconda della tecnica impiegata i transistori possono essere catalogati nel modo seguente: 1) Transistore a lega: le giunzioni sono entrambe a lega, come indicato in fig. 15. Ha il vantaggio di realizzare una bassa resistenza di saturazione, di sopportare elevate tensioni inverse nella giunzione di emettitore e di avere un basso costo; ha lo svantaggio di una risposta limitata in frequenza. 2) Transistore mesa-diffuso: la zona delle giunzioni diffuse (mesa) è rialzata rispetto alla superficie della piastrina di semiconduttore, come risulta in fig. 16I, e viene ricavata per incisione della piastrina stessa dopo che questa è stata sottoposta ai processi di diffusione. 3) Transistore planare-diffuso: è realizzato con la tecnica di diffusione planare e la sua struttura è riportata in fig. 13. Questo tipo di transistore, oltre al vantaggio di avere basse correnti di dispersione, possiede il vantaggio di poter essere realizzato in dimensioni molto ridotte e quindi può essere impiegato utilmente a frequenze molto elevate (fino a circa 6 GHz). Prestazioni migliori in frequenza possono essere ottenute impiegando, come semiconduttore, l'arsenurio di gallio. 4) Transistore planare-epitassiale: unisce i vantaggi del procedimento planare con quelli derivanti dall'impiego di un substrato ottenuto per crescita epitassiale. 5) Transistore a lega diffuso: la giunzione di collettore è ottenuta per diffusione, mentre la giunzione di emettitore e il contatto di base sono a lega. Nella struttura finale (fig. 16II) la regione delle giunzioni risulta sopraelevata per effetto dell'incisione che viene effettuata sulla superficie circostante delle piastrine di semiconduttore. Questo tipo di transistore può essere impiegato fino a frequenze di qualche centinaio di MHz.

Tiristore. - Il tiristore, o raddrizzatore controllato al silicio (SCR, da Silicon Controlled Rectifier), è un dispositivo che normalmente blocca il passaggio della corrente, tra l'anodo e il catodo, in entrambe le direzioni, ma che si comporta come un raddrizzatore normale non appena un piccolo impulso di corrente è applicato a un terzo terminale di comando (gate). Nel nuovo stato, detto di conduzione, il dispositivo può passare solo se polarizzato direttamente. Il dispositivo può ritornare nel precedente stato, detto di blocco, solo se la corrente diretta che lo attraversa si riduce a un basso valore, detto corrente di mantenimento. Il passaggio dallo stato di blocco a quello di conduzione si può avere anche in assenza dell'impulso di comando qualora la tensione diretta superi la cosiddetta tensione di autorottura; nelle applicazioni del tiristore questo tipo di funzionamento viene generalmente evitato limitando il valore della tensione applicata. Il tiristore è una giunzione multipla p-n-p-n la cui struttura, ottenuta di solito sottoponendo due superfici opposte di una lastrina di silicio di tipo n a procedimenti di diffusione, è riportata in fig. 17. Il dispositivo è impiegato per il controllo della corrente continua ottenuta per raddrizzamento di corrente alternata. La tensione massima sopportabile può arrivare fino a 1500 V mentre la corrente massima varia tra 1 e 200 A; la corrente di comando è generalmente di pochi mA.

Triac. - E una versione particolare del tiristore, che è in grado di commutare dallo stato di conduzione a quello di blocco anche nel caso di polarizzazione inversa (interruttore simmetrico): quando l'anodo è positivo la commutazione ha luogo per un impulso di comando positivo, viceversa quando l'anodo è negativo ha luogo per un impulso di comando negativo, applicati entrambi allo stesso elettrodo. Questo particolare funzionamento è dovuto alla simmetria della struttura del dispositivo (fig. 18) assimilabile a due SCR, uno n-p-n-p e l'altro p-n-p-n, in parallelo. Sono disponibili triac per correnti massime fino a 20 A. I triac sono essenzialmente impiegati in sistemi per il controllo della potenza alternata.

Diodo a quattro strati. - E una versione, a dimensioni ridotte, del tiristore, in cui manca l'elettrodo di comando. La commutazione avviene per il fenomeno di autorottura. La tensione di commutazione è generalmente bassa e compresa tra 5 e 65 V; la corrente massima non supera 200 mA. Questo diodo trova applicazioni in circuiti elettronici di commutazione.

Transistore monogiunzione (o unigiunzione). - E un dispositivo a unica giunzione p-n la cui struttura (fig. 19) è ottenuta da una barretta di silicio debolmente drogato n ad alta resistività, detta base, a due estremità della quale sono disposti due contatti ohmici B1 e B2; su un altro lato un contatto ohmico, E, genera una giunzione p-n. Il funzionamento del dispositivo è basato sul fatto che, quando la tensione tra E e B1 supera un certo valore (circa la metà della tensione tra B2 e B1), la giunzione p-n si polarizza direttamente e un flusso elevato di lacune viene iniettato nella base e si dirige verso B1; questo flusso di cariche libere positive riduce la resistenza della regione di base compresa tra E e B1 determinando un abbassamento della caduta di tensione tra tali terminali. Per la stessa ragione il dispositivo presenta quindi un tratto di funzionamento a resistenza negativa tra E e B1. Il transistore monogiunzione consente realizzazioni molto semplici di generatori di forme d'onda impulsive e in genere non sinusoidali. E spesso impiegato per generare gl'impulsi di comando dei tiristori.

Dispositivi a effetto di campo. - Il FET (Field Effect Transistor, transistore a effetto di campo) è costituito da un "canale" di materiale semiconduttore con due giunzioni p-n formate longitudinalmente sui due lati opposti del canale stesso. Tali giunzioni normalmente sono polarizzate inversamente, e la concentrazione dei portatori è tale che le regioni di svuotamento delle giunzioni si estendono entrambe all'intenno del canale limitando l'area effettivamente conduttiva del canale stesso. Il potenziale di un elettrodo di comando regola la profondità delle regioni di svuotamento e quindi anche la corrente che può fluire tra due elettrodi, detti "sorgente" e "collettore", posti all'estremità del canale. In fig. 20A è riportata la struttura di un FET al silicio a diffusione planare. Le dimensioni della regione attiva sono molto piccole; dimensioni tipiche sono: lunghezza di canale 5 μm, larghezza di canale 1,5 μm. Sono possibili due tipi di FET a seconda del tipo di drogaggio: a canale n e a canale p. Valori tipici che definiscono le caratteristiche del FET sono: resistenza d'ingresso (tra elettrodo di comando e sorgente) 106 Ᾱ, resistenza tra sorgente e collettore 1000 Ᾱ, tensione di rottura tra elettrodo di comando e sorgente 25 V, transconduttanza 2 mA/V; corrente di collettore 5 mA. Il FET sostituisce con vantaggio il transistore bipolare ove siano richieste un'alta impedenza d'ingresso e una bassa corrente d'ingresso (per es., stadi iniziali di amplificatori in continua od operazionali). È impiegato anche in amplificatori a controllo automatico di guadagno e come convertitore di frequenza nei ricevitori. Ha limiti in frequenza inferiori a quelli dei transistori anche se FET all'arsenurio di gallio sono stati impiegati per amplificatori a microonde, a frequenze tra 1 e 10 GHz.

Il MOS (Metal Oxide Semiconductor, detto anche MOSFET o FET a metallo e ossido di semiconduttore) è un altro tipo di transistore a effetto di campo, ove però la conducibilità del canale è controllata dall'elettrodo di comando mediante un meccanismo d'induzione elettrica, analogo a quello che si verifica nelle armature di un condensatore (fig. 20B). Le due regioni di collettore e sorgente sono costituite da due regioni a elevato drogaggio di tipo p, ottenute per diffusione in una lastrina di silicio drogato n, e separate da una distanza molto piccola (circa 7,5 μm). Uno strato isolante molto sottile, di spessore circa 0,15 μm, costituito da ossido di silicio viene formato sulla superficie della lastrina di silicio, tra sorgenti e collettore; un elettrodo di alluminio viene successivamente depositato sopra la superficie ossidata. Se viene applicata una tensione tra collettore (negativo) e sorgente (positivo) la giunzione n-p si polarizza inversamente e dalla sorgente al collettore può fluire soltanto una corrente molto piccola. Se però l'elettrodo di comando assume un potenziale sufficientemente negativo rispetto alla sorgente, le cariche libere positive (lacune) vengono attratte alla superficie della regione n, sottostante l'elettrodo di comando, modificandone il drogaggio da n a p. Si forma così un canale p, che congiunge le regioni p2 e p2, la cui profondità varia uniformemente da punto a punto (per effetto della regione di svuotamento che si genera a causa della giunzione p-n che si forma con la regione sottostante il canale) e dipende dal potenziale dell'elettrodo di comando. In tal modo la corrente dalla sorgente al collettore può fluire liberamente, ma il suo valore dipende dal potenziale dell'elettrodo di comando. Il MOS descritto è del tipo a canale p; effettuando un drogaggio opposto si realizza un MOS a canale n. Si possono avere inoltre due tipi di MOS, detti rispettivamente a diminuizione e ad aumento di canale a seconda che, quando l'elettrodo di comando è allo stesso potenziale della sorgente, esista o meno un canale tra le due zone di collettore e sorgente. Nel tipo ad aumento di canale la conduzione tra la sorgente e il collettore inizia quando la tensione dell'elettrodo di comando supera un certo valore, detto tensione di soglia (circa 4 V). Altri valori che definiscono le caratteristiche del MOS sono: resistenza d'ingresso (tra elettrodo di comando e sorgente) di 1013 Ᾱ, tensione di rottura, tra sorgente ed elettrodo di comando, di 30V, transconduttanza 1 mA/V, corrente di collettore di 5 mA. I MOS per la semplicità della loro struttura e del processo di fabbricazione, e per le loro ridotte dimensioni hanno un basso costo e sono particolarmente adatti per i circuiti integrati. L'elevata tensione di soglia consente un'alta discriminazione nei confronti degl'impulsi di rumore: ciò li rende particolarmente adatti per i circuiti digitali. Per la stessa ragione e per l'elevata impedenza d'ingresso, i MOS sono adatti per accoppiamento diretto (in continua) di più circuiti. Il principale svantaggio dei MOS è che la loro velocità di risposta è inferiore a quella dei transistori bipolari.

C-MOS (MOS complementare). - È un dispositivo costituito da una coppia di MOS, realizzati su una stessa piastrina di semiconduttore (chip), uno a canale n e l'altro a canale p, in cui i due elettrodi di comando, e analogamente le due sorgenti, sono collegati a uno stesso terminale. Un'apposita tecnica di costruzione consente di realizzare due MOS (complementari) di caratteristiche quasi perfettamente antisimmetriche. Il dispositivo trova larga applicazione in quanto alle caratteristiche dei MOS unisce il vantaggio di un bassissimo consumo di potenza (da 10-9 a 10-12 W per dispositivo).

Dispositivi ad accoppiamento di carica (CCD, Charge Coupled Device). - Costituiscono una classe di strutture a semiconduttori in cui cariche minoritarie, eccedenti la concentrazione all'equilibrio termico e generate da un segnale esterno, vengono trasportate all'interno di una buca di potenziale mobile; buca che costituisce il mezzo di trasporto del segnale utile attraverso il semiconduttore. Il trasporto della carica avviene lungo una zona delimitata da un opportuno drogaggio e tramite una trama di elettrodi il cui potenziale elettrico varia nel tempo in modo da generare, nella suddetta zona, la configurazione di potenziale a buche mobili. In definitiva i dispositivi in questione effettuano la manipolazione del segnale in forma di pacchetti di carica elettrica. I CCD si avvalgono di tecniche di fabbricazione molto semplici, che consentono la realizzazione di un elevato numero di dispositivi per unità di superficie. Risultano inoltre molto affidabili, a basso consumo e consentono elaborazioni, a basso rumore, di segnali analogici. I CCD vengono impiegati per realizzare sensori d'immagini con definizione, prestazioni dinamiche e lineari particolarmente elevate: in essi la generazione di pacchetti di carica avviene per effetto fotoelettrico. Consentono altresì di realizzare amplificatori (in congiunzione a strutture MOS) a basso rumore, linee di ritardo, filtri analogici, registri di scorrimento analogici. I CCD consentono anche di realizzare in forma semplice memorie digitali a registri di scorrimento e non solo di tipo binario.

Dispositivi speciali per alte frequenze. - Diodo Schottky. - Questo diodo ha un effetto raddrizzante analogo a quello della giunzione p-n ed è costituito da una giunzione (giunzione di Schottky) tra metallo e semiconduttore debolmente drogato. Generalmente la giunzione ha un diametro di 5 μm ed è ottenuta per placcatura, o evaporazione, o spruzzo di un metallo su silicio, o arseniuro di gallio, drogato con impurità di tipo n, e una successiva fase di riduzione per fotoincisione dell'area metallizzata. Sono impiegati come rivelatori e mescolatori a basso rumore, fino a frequenze dell'ordine di 20 GHz. Richiedono generalmente una corrente continua di polarizzazione esterna di qualche microampere. Sono impiegati anche in applicazioni digitali, e in questo caso sono più noti con il nome di diodo Hot Carrier; valori tipici dei parametri per applicazioni digitali sono: tempo di commutazione minore di 10 nsec., limite massimo di corrente tra 1 e 40 A, limite massimo di tensione 40 V.

Diodo ESBAR (Epitaxial Schottky BARrier). - E un diodo Schottky, a bassa resistenza di contatto, in cui la giunzione è realizzata impiegando, come semiconduttore, un substrato di arseniuro di gallio ottenuto con tecnica epitassiale. Viene impiegato a microonde come varistore e varactor a basso rumore.

Diodo a contatto a punta. - E un particolare tipo di diodo Schottky nel quale la giunzione è realizzata dal contatto di una punta di un elettrodo metallico (baffo di gatto) sul semiconduttore. L'area della giunzione è così molto ridotta ed è possibile realizzare capacità di giunzione molto basse, fino a un valore di 0,001 pF, che ne rendono possibile l'impiego come rivelatori e mescolatori fino a frequenze delle onde millimetriche (400 GHz). Le caratteristiche di rumore sono peggiori degli altri diodi per frequenze inferiori a 20 GHz, ma prevalgono nei confronti degli altri diodi per quanto riguarda i valori della potenza limite del segnale (la massima potenza continua è di circa 12 W per frequenze comprese tra 2 e 4 GHz).

Diodo backward. - È un particolare tipo di diodo tunnel che presenta un basso valore di resistenza negativa per polarizzazione diretta, in quanto la corrente dovuta all'effetto tunnel è molto ridotta. Viceversa, polarizzato inversamente, presenta un'elevata conducibilità, analogamente al diodo tunnel: per una corrente inversa di 1 mA è sufficiente una tensione di soli 0,15 V. Per tali caratteristiche viene impiegato a microonde come rivelatore a larga banda di frequenza e a basso rumore, e come mescolatore doppler. Ha limiti di potenza molto bassi che restringono le sue applicazioni al caso di segnali di bassa potenza. Il diodo non richiede in genere una polarizzazione esterna.

Diodo step-recovery (o snap-back). - È un diodo a giunzione p-n a diffusione ottenuto da materiale semiconduttore epitassiale, generalmente costituito da silicio. Il suo principio di funzionamento è analogo a quello del diodo varactor; la differenza sta nel fatto che si utilizza anche la forte non linearità della capacità (di diffusione) che la giunzione presenta in conduzione diretta. Tale tipo di funzionamento determina una forte distorsione della forma d'onda di corrente che risulta così ricca di armoniche. La conduzione diretta determina un assorbimento di potenza da parte del diodo e pertanto le sue applicazioni sono limitate ai casi in cui tale inconveniente può essere accettato. Il diodo recovery è impiegato a microonde come generatore e formatore d'impulsi e come moltiplicatore di frequenza.

Dispositivi a effetto Gunn. - Sono costituiti da una barretta di semiconduttore di arseniuro di gallio e fosfuro di indio drogato n, all'estremità della quale vengono realizzati dei contatti ohmici (catodo e anodo). Applicando tra catodo e anodo una tensione di qualche V, a causa delle ridotte dimensioni della barretta si genera un forte campo elettrico. Se il campo elettrico supera un certo valore di soglia (3 MV/cm nell'arseniuro di gallio) la mobilità degli elettroni decresce rapidamente, fino a determinare un andamento decrescente della velocità degli elettroni al crescere del campo elettrico (effetto Gunn): si ha una resistenza differenziale negativa. Quando il dispositivo è polarizzato con una tensione corrispondente alla regione a resistenza negativa, la distribuzione del campo elettrico non è uniforme lungo la barretta, e dalle caratteristiche di tale distribuzione, associate a differenti strutture del dispositivo, dipendono le caratteristiche e le applicazioni del dispositivo stesso. Se la distribuzione del campo elettrico è stazionaria, ovvero se la lunghezza della barretta è sufficientemente ridotta in modo tale che la carica iniettata nel catodo non cresce troppo nell'attraversare la barretta, allora il dispositivo, per frequenze sufficientemente elevate, presenta una resistenza negativa che ne consente l'impiego per realizzare amplificatori e oscillatori a microonde stabili e sintonizzabili elettronicamente. Si ottiene in tal modo una potenza continua di 5 W a 5 GHz e una banda di frequenza fino a un'ottava (66%). Se la distribuzione del campo elettrico non è stazionaria, come si verifica nel caso che la barretta sia sufficientemente lunga, si ha una configurazione di carica spaziale, ad alta concentrazione localizzata, che si muove attraverso la barretta. Tale caratteristica è propria dei dispositivi funzionanti nel cosiddetto "modo a onda viaggiante", in cui l'onda di carica viene eccitata da un segnale a microonde applicato a un elettrodo di accoppiamento posto nei pressi del catodo e il segnale amplificato viene prelevato amplificato in un analogo elettrodo nei pressi dell'anodo. Il dispositivo appena descritto è impiegato per realizzare amplificatori per microonde e linee di ritardo a sfasatori variabili elettronicamente regolando la tensione continua tra catodo e anodo. Va ricordato che esistono diversi altri modi di funzionamento a seconda della particolare applicazione.

Diodo IMPATT (IMPact Avalanche and Transit Time). - È un tipo di diodo a giunzione p-n a resistenza negativa impiegato nel campo delle microonde; può avere diverse strutture: 1) diodo Read, in cui il semiconduttore (silicio o arseniuro di gallio) è drogato p+ n i n+ o n+ p i p+ (con p+ e n+ s'intende un drogaggio p e n molto spinto, con i s'intende un semiconduttore intrinseco, ovvero non drogato); 2) diodo Misawa, drogato p i n; 3) diodo a giunzione brusca, drogato p+ n. Il funzionamento dei vari tipi di diodo è però analogo: infatti il diodo viene polarizzato inversamente in modo da generare, nella regione di giunzione, cariche elettriche libere con il meccanismo di moltiplicazione a valanga. La carica elettrica così generata viene modulata dal segnale a microonde applicato esternamente e quindi viene iniettata in una regione di semiconduttore in cui il campo elettrico è di bassa intensità e ove produce la potenza utile interagendo con il campo elettrico prodotto dal segnale a microonde; le cariche a energia ridotta vengono raccolte da uno o più collettori. Condizione essenziale perché abbia luogo, in modo proficuo, la suddetta interazione è che il tempo di transito delle cariche iniettate attraverso la regione d'interazione sia confrontabile, e in certi casi in un rapporto preciso (1/2), con il semiperiodo del segnale a microonde. I diodi IMPATT vengono impiegati (tra 1 e 100 GHz) per realizzare oscillatori, amplificatori e amplificatori ad aggancio di fase di potenza elevata (3W a 10 GHz).

Diodo TRAPATT (TRApped Plasma Avalanche Triggered Transit). - Può essere considerato un tipo particolare di diodo IMPATT in cui il semiconduttore è drogato n+ p p+. In questo tipo di diodo la generazione di cariche non avviene in una zona fissa ma su tutta la regione del semiconduttore, lungo il fronte di una configurazione di campo elettrico a elevata intensità che si muove molto rapidamente attraverso il semiconduttore generando, mediante il fenomeno di moltiplicazione a valanga, un'elevata concentrazione di cariche (plasma). Il diodo TRAPATT rispetto allo IMPATT ha un rendimento di potenza più elevato (20% a 10 GHz in funzionamento impulsivo), ma ha peggiori caratteristiche di rumore e basso limite di frequenza (inferiore a 50 GHz).

Diodo PIN (da drogaggio p-i-n). - È costituito da una lastrina di semiconduttore intrinseco (in realtà debolmente drogato), ad alta resistività, costituito generalmente da silicio, sulle cui superfici vengono diffuse delle regioni fortemente drogate, una p e l'altra n, sulle quali vengono effettuati i contatti elettrici. Le due regioni rimangono separate dal semiconduttore intrinseco per uno spessore che varia da 10 a 200 μm. Il diodo polarizzato inversamente presenta a microonde un'impedenza molto elevata, mentre per un valore moderato della corrente diretta presenta una bassa impedenza. La resistenza del diodo può essere quindi variata notevolmente variando la polarizzazione del diodo. Il diodo viene impiegato generalmente a microonde come interruttore su linee di trasmissione, attenuatore variabile, limitatore, modulatore di ampiezza e per realizzare sfasatori digitali a comando elettronico. Il limite massimo di potenza può raggiungere un valore di diversi kW con tensioni massime di rottura da 200 a 1000 V. Il tempo di commutazione dipende dalla potenza impiegata per la commutazione e può essere anche inferiore a 1 μsec. Vedi tav. f. t.

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