TOAFF, Elio Refaèl

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 95 (2019)

TOAFF, Elio (Elihú) Refaèl

Sergio Della Pergola

– Nacque a Livorno il 30 aprile 1915, da Alfredo Sabato, rabbino livornese, e da Alice Jarach, di Casale Monferrato.

Aveva due fratelli e una sorella, tutti maggiori di lui, Cesare (nato nel 1908), Pia (1911) e Renzo (1913). Sulle origini della famiglia e del cognome, si v. la voce Toaff, Alfredo Sabato in questo Dizionario.

Ancora giovanissimo, Elio iniziò presso il Collegio rabbinico di Livorno (allora diretto da suo padre Alfredo) sia gli studi ebraici sia, in parallelo, quelli liceali.

Nella scuola rabbinica livornese, guidata da Elia Benamozegh, prevaleva un’illustre tradizione di studi orientati verso la Cabbalà – il complesso delle dottrine mistiche ed esoteriche ebraiche circa Dio e l’Universo – a differenza dell’altra scuola rabbinica esistente in Italia, quella del Collegio di Padova, orientata in senso più razionalista-illuminista e guidata prima da Samuele David Luzzatto e poi (quando, nel 1899, il Collegio si trasferì a Firenze) da Samuel Hirsch Margulies.

Nel 1938 Elio conseguì il primo livello del titolo di rabbino, quello di maskil (cólto). Negli anni precedenti aveva anche seguito gli studi universitari, condotti presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pisa. Il 5 luglio 1939 – nonostante le discriminazioni antiebraiche già in corso (v. oltre) e l’opposizione del capo della commissione, Widar Cesarini Sforza – Toaff conseguì la laurea in legge, con una tesi su Le società commerciali in Palestina, relatore Lorenzo Mossa, docente di diritto commerciale.

Dopo che, nel settembre del 1938, il governo italiano aveva promulgato le prime leggi antiebraiche (le cosiddette leggi razziali), i due fratelli di Elio, Cesare (avvocato) e Renzo (medico ginecologo), si erano trasferiti con le rispettive famiglie in Palestina (allora sotto mandato britannico), rinunciando alla cittadinanza italiana. Nel 1939 anche Elio espresse al padre l’intenzione di trasferirsi; ma questi lo convinse a rimanere in Italia, affermando (soprattutto in vista delle dure prove a cui presumibilmente sarebbe stata sottoposta la comunità ebraica italiana): «Un rabbino non ha la stessa libertà di scelta degli altri. Un rabbino non abbandona mai la sua comunità» (intervista di Elio a G. Vitale, in Pagine ebraiche, 2010, n. 5, p. 6).

Nel 1940 Elio conseguì l’ordinazione rabbinica (la semikhah, imposizione [delle mani]), ricevendo il titolo di hakham (saggio), ratificato da una commissione composta da Giacomo Augusto Hasdà (rabbino di Pisa), Ermanno Tzevì Friedenthal (di Verona) e Dario Disegni (di Torino).

La prima offerta di rabbinato giunse a Elio, nel giugno del 1940, dalla comunità di Ancona (il cui rabbino, Heimann Rosenberg, era morto nell’agosto del 1938). Egli accettò, e iniziò a officiare il 3 ottobre 1940, per la celebrazione della festività ebraica di Rosh ha-shanah (Capo d’anno). Nel maggio del 1941 venne nominato ufficialmente rabbino di quella città, dove sarebbe rimasto in carica fino al settembre del 1946.

Nel 1941, Elio sposò a Firenze un’insegnante di lettere, Lia Luperini (1917-1984; era figlia di Ezio, sindaco socialista del comune di Capoliveri nell’isola d’Elba dal 1914 al 1922, e di Nelly Corcos). Dal matrimonio sarebbero nati quattro figli, Ariel (1942), Miriam (1945), Daniel (1949) e Gadiel (1951).

L’incarico di rabbino di Ancona si svolse nel periodo più difficile della seconda guerra mondiale: infatti, dopo il settembre del 1943 la città fu oggetto di duri bombardamenti alleati, e vide anche l’occupazione tedesca e la deportazione di molti ebrei (dalle Marche ne furono trasportati in Germania 157, e ne tornarono solo 15). Toaff fu molto attivo nella difesa della locale comunità ebraica e nel salvataggio dei suoi beni culturali. La sua decisione di non aprire la sinagoga nella solenne ricorrenza dello Yom kippur (Giorno dell’espiazione), il 9 ottobre 1943, suscitò inizialmente qualche critica ma si rivelò provvidenziale: quando le truppe tedesche giunsero alla sinagoga per compiervi una retata, la trovarono deserta, e la popolazione ebraica quel giorno fu salva.

Subito dopo, Elio e i suoi familiari si allontanarono da Ancona. Si recarono prima a Fabriano (sull’Appennino, tra Marche e Umbria), poi in Toscana, raggiungendo i genitori di Elio a Orciano (località dell’entroterra di Pisa). In seguito, tutti i Toaff si spostarono in due cittadine della provincia di Lucca: prima a Le Focette (sulla costa), ospiti dei suoceri di Elio (Ezio Luperini e sua moglie Nelly), e quindi, nell’estate del 1944, a Valdicastello, sulle colline. In quest’ultima località, i Toaff e i Luperini si rifugiarono in una miniera, con l’aiuto di due amici capoliveresi di Luperini, Giulio Vittorio Della Lucia e sua moglie Isabella Puccini Bigi (che nel 2016 avrebbero ricevuto per questo il titolo di Giusti fra le nazioni da parte del memoriale Yad Vashem di Gerusalemme). Nei mesi successivi Elio prese parte alla Resistenza, tenendo i contatti tra le formazioni partigiane locali. Ma l’8 agosto 1944 venne arrestato dalle SS; condannato a morte e messo di fronte a un plotone di esecuzione, venne liberato da un capitano delle SS (il cui nome è tuttora sconosciuto) e poté ricongiungersi alla famiglia. Nuovamente ricercato, dovette fuggire, e pochi giorni dopo fu testimone oculare della strage di Sant’Anna di Stazzema (nelle vicinanze di Valdicastello), dove il 12 agosto, in poco più di tre ore, reparti di SS e di fascisti italiani uccisero circa 560 civili, tra cui molti bambini. La zona di Valdicastello venne infine liberata il 18 settembre. Dopo la guerra, l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) concesse a Elio la tessera di partigiano ad honorem.

Nel 1946 Elio fu nominato rabbino capo di Venezia, città in cui rimase fino al 1951. Dal 1947 al 1951 vi insegnò inoltre lingua e letteratura ebraiche, presso l’Università Ca’ Foscari.

Nel 1951, dopo la morte del rabbino capo di Roma, David Prato, Toaff (che aveva allora 36 anni) fu chiamato a sostituirlo. In quanto rabbino capo della maggiore comunità ebraica del Paese, gradualmente assunse de facto il ruolo di capo spirituale dell’intero ebraismo d’Italia. In tale veste, mantenne i contatti con il governo nazionale e con le autorità cittadine riguardo a una complessa serie di problemi concernenti i diritti religiosi e civili degli ebrei in quanto minoranza, in particolare l’esenzione da mansioni lavorative o la convocazione a concorsi pubblici nei giorni delle festività ebraiche comandate. Toaff fu particolarmente attento alla promozione dell’istruzione ebraica, e durante il suo rabbinato, nel 1973, fu creato a Roma un liceo ebraico, il Renzo Levi, che si aggiunse alle scuole già esistenti (quella elementare, la Vittorio Polacco, e quella media, la Angelo Sacerdoti).

Negli anni Cinquanta e Sessanta, a Roma vi furono numerosi episodi di antisemitismo (e anche di aggressione fisica contro ebrei), che videro protagonisti soprattutto attivisti neofascisti. Nel 1958, in occasione della campagna per le elezioni parlamentari, la penetrazione di neofascisti nel rione S. Angelo (in cui si trova l’antico ghetto) provocò violente reazioni da parte della popolazione ebraica locale. Toaff chiese risolutamente alle autorità di porre fine a queste aggressioni e di mantenere l’ordine all’interno del rione. Fu inoltre promotore di provvedimenti volti ad assicurare, sia in quel momento sia negli anni successivi, l’autodifesa della comunità di fronte alle provocazioni.

Anche nei rapporti con la S. Sede, Toaff rappresentò la massima autorità religiosa ebraica. Negli anni Sessanta egli cominciò a sviluppare (in particolare con il cardinale tedesco Augustin Bea, dal 1960 capo del Segretariato per l’unione tra i cristiani, ma anche con altri importanti prelati) una rete di relazioni che avrebbe condotto a un graduale cambiamento della posizione della Chiesa cattolica nei confronti degli ebrei. I primi sintomi apparvero durante il pontificato di papa Giovanni XXIII (1958-63), e furono seguiti dalla promulgazione da parte di papa Paolo VI, nel 1965, della dichiarazione Nostra aetate (Nel nostro tempo). Il testo affermava (al punto 4) che «quanto è stato commesso durante la [...] passione [di Gesù] non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli ebrei del nostro tempo». Era un serio passo in avanti rispetto alla tradizionale accusa di deicidio nei confronti dell’intero popolo ebraico. Inoltre nel documento si condannava, per la prima volta in modo esplicito, l’antisemitismo: «La Chiesa [...] deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque» (http:// www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decl_ 19651028_nostra-aetate_it.html, 23 giugno 2019).

Nel 1977 a Toaff fu diagnosticata una malattia apparentemente incurabile, ma egli riuscì a superare il grave pericolo, anche grazie a un difficile intervento chirurgico. In quell’occasione, diede incarico ai suoi discepoli di effettuare nella sinagoga di Roma la cerimonia cabbalistica del cambiamento del nome (Shinúi hashèm), aggiungendo al suo il nuovo nome di Azriel (in ebraico: aiutami Dio). Questa cerimonia parte dal presupposto che il cambiamento del nome serva a modificare il destino della persona, che è legato al nome ricevuto alla nascita.

L’8 febbraio 1981 (presso la canonica della chiesa romana di S. Carlo ai Catinari, molto vicina all’antico ghetto) avvenne un primo storico incontro fra Toaff, nella sua veste di rabbino capo di Roma, e papa Giovanni Paolo II. Toaff rilevò in quell’occasione: «La nuova realtà [...] a partire dal Concilio Vaticano II, sta riscoprendo i valori del giudaismo, raccomandando ai cristiani il ritorno alle loro origini per la ricerca della loro più profonda identità. Tutto questo nell’intento di scoprire la verità, per sopprimere secolari pregiudizi e diffidenze, sostituendo l’insegnamento del disprezzo con la stima». Il papa nella sua risposta disse: «Auguro tutto il bene possibile per la vostra comunità, per la vostra gioventù, per le vostre famiglie. Avete sofferto terribilmente durante la guerra, forse non tanto qui in Italia, ma certo in questo quartiere» (cit. in E. Toaff, Perfidi giudei, fratelli maggiori, 1987, 2017, p. 212).

Il 9 ottobre 1982, giorno della festività ebraica di Shemini ‘aseret (L’ottavo [giorno] dell’assemblea) – dopo che per diversi giorni si erano svolte dimostrazioni contro lo Stato di Israele (in quel momento in guerra nel Libano) e contro la stessa comunità ebraica di Roma, nei cui confronti si era diffuso un clima di colpevolizzazione e in certi casi di ostilità – cinque terroristi palestinesi effettuarono un attacco alla principale sinagoga di Roma (il Tempio maggiore, ai bordi dell’antico ghetto), che causò la morte di un bambino di due anni, Stefano Gaj Taché, e il ferimento di trentasette persone. Toaff, accorso sul luogo, prestò personalmente aiuto alle vittime e si adoperò per mantenere la calma nella comunità, che voleva reagire all’attentato. Il rabbino svolse in quell’occasione un’importante mediazione con il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, e con il governo italiano, e in pochi giorni la tensione venne meno.

Il 13 aprile 1986, papa Giovanni Paolo II effettuò la storica prima visita di un pontefice al Tempio maggiore di Roma. Avvenne in quell’occasione il memorabile abbraccio fra il papa e il rabbino capo. Quest’ultimo avrebbe poi scritto: «Una folla di sentimenti mi aveva assalito quando il papa mi era venuto incontro a braccia aperte e mi aveva abbracciato. Duemila anni di storia, di dolori e sofferenze mi stringevano il cuore. [...] Il martirologio ebraico si affacciava alla mia mente con tutto il suo peso nel momento in cui papa Wojtyla, mettendo piede nella sinagoga di Roma, si accingeva a compiere un gesto di riparazione cercando di superare il fosso profondo che aveva diviso le due Comunità per tanti secoli. Che cosa significava quell’abbraccio? Era solo un gesto formale oppure voleva esprimere un sentimento di ritrovata fratellanza, un desiderio di dimostrare che le enunciazioni teoriche del Concilio si concretizzavano ora in fatti reali e irreversibili?» (Perfidi giudei..., cit., pp. 220 s.).

Nel corso della cerimonia, Toaff disse: «Il [...] ritorno [del popolo ebraico in terra d’Israele] è stato chiamato dai nostri maestri “l’inizio dell’avvento della redenzione finale” [...]. [Esso] deve essere riconosciuto come un bene e una conquista irrinunciabili per il mondo, perché [...] prelude – secondo l’insegnamento dei profeti – a quell’epoca di fratellanza universale a cui tutti aspiriamo e a quella pace redentrice che trova nella Bibbia la sua sicura promessa. Il riconoscimento a Israele di tale insostituibile funzione nel piano della redenzione finale che Dio ci ha promesso non può essere negato» (Perfidi giudei..., cit., pp. 221 s.). Nelle sue parole di risposta il papa disse: «L’odierna visita vuole recare un deciso contributo al consolidamento dei buoni rapporti tra le nostre due comunità, [...] perché siano superati i vecchi pregiudizi e si faccia spazio al riconoscimento sempre più pieno di quel “vincolo” e di quel “comune patrimonio spirituale” che esistono tra ebrei e cristiani» (Il papa al tempio ebraico di Roma, in La Civiltà cattolica, CXXXVII (1986), 3261, pp. 270 s.).

L’incontro in sinagoga rappresentò uno dei grandi (e probabilmente irreversibili) momenti della storia degli ultimi secoli. In quell’occasione si stabilì anche un rapporto personale fra i due uomini, che ebbe un’eco senza precedenti nella menzione del «rabbino di Roma» (appunto Toaff) – assieme a Stanisław Dziwisz, suo segretario, e a Joseph Ratzinger, suo successore – nell’ultima parte (scritta il 17 marzo 2000) del testamento spirituale del papa, reso pubblico dal Vaticano il 7 aprile 2005, cinque giorni dopo la sua morte (http://www. vatican.va/gpII/documents/testamento-jp-ii_20050407_it.html, 13 giugno 2019).

Dopo la guerra del Golfo del gennaio 1991, Toaff si adoperò perché il Vaticano riconoscesse diplomaticamente lo Stato d’Israele. Dopo un lungo processo di valutazione e negoziato fra le parti, l’Accordo fondamentale di riconoscimento sarebbe stato firmato nel dicembre del 1993, divenendo effettivo nel maggio del 1994.

Nel febbraio del 1991 Toaff guidò una missione segreta italiana in Yemen, finanziata dal ministero degli Esteri, di cui facevano parte Pietro Cordone, ambasciatore a Sana’a (la capitale yemenita), il figlio di Toaff, Ariel, professore all’Università Bar-Ilan in Israele, Scialom Tesciuba, presidente della comunità degli ebrei tripolini di Roma, e Samuel Zarrugh, all’epoca segretario (e successivamente presidente) della comunità ebraica di Livorno. La missione – che durò due settimane ed ebbe come base la sede dell’ambasciata italiana – aveva il triplice compito di censire gli ebrei rimasti in Yemen, di organizzare il loro trasferimento all’estero (attraverso un centro di raccolta predisposto a Ladispoli, nei pressi di Roma) e di distribuire loro (attraverso l’ambasciata italiana) denaro e viveri di prima necessità. La maggior parte degli ebrei yemeniti espresse la volontà di trasferirsi in Israele, e nei mesi successivi molti di loro raggiunsero l’Italia e si spostarono poi in Israele, per lo più nella città di Rehovot (nei pressi di Tel Aviv), dov’era già presente una vasta comunità originaria dello Yemen. La logistica di questa operazione avvenne di concerto con l’ambasciata italiana.

Toaff, come già accennato, svolse anche un importante ruolo di mediatore fra la comunità ebraica e le autorità dello Stato italiano. Fu in tale veste che, tra il 1976 e il 1998, espresse posizioni di non equivoca condanna nelle vicende relative a tre criminali di guerra nazisti, gli ufficiali delle SS Herbert Kappler (responsabile dei 335 civili inermi uccisi nelle Fosse Ardeatine di Roma il 24 marzo 1944), Erich Priebke (vice di Kappler) e Walter Reder (responsabile di varie stragi di civili in Toscana e in Emilia, tra l’estate e l’autunno del 1944). Toaff criticò fortemente le liberazioni premature di Kappler e Reder (avvenute rispettivamente nel 1976 e nel 1985).

Priebke, estradato nel 1995 in Italia dall’Argentina (dove si era rifugiato nel 1948), fu processato per tre volte tra il maggio del 1996 e il marzo del 1998, e infine condannato all’ergastolo; nel febbraio del 1999, anche a causa della sua età avanzata, gli fu concesso di scontare la pena in regime di detenzione domiciliare.In occasione dell’identificazione e dell’arresto di Priebke in Argentina nel maggio del 1994, Toaff affermò che «secondo il concetto ebraico, le uniche persone che possono perdonare sono solo quelle che hanno ricevuto l’offesa. Nel nostro caso solo le vittime delle Fosse Ardeatine potrebbero farlo, ma sono morte. Per cui non ci può essere perdono [...] ma una rapida estradizione, seguita da un processo e da una pena che dovrà essere comminata secondo quanto prevedono le leggi italiane» (https://ricerca.repubblica. it/repubblica/ archivio/ repubblica/1994/05/08/toaff-chiediamo-solo-giustizia.html?ref=search, 12 giugno 2019). In seguito al rinvio a giudizio di Priebke nell’aprile del 1996, in un’intervista per il canale televisivo Rete 4, intervista che in quel momento non venne condivisa da tutta la comunità ebraica di Roma, e in altre occasioni Toaff dichiarò: «Cosa vuole che mi importi del sangue di Priebke: io voglio che dal suo processo venga la condanna del nazismo e di ciò che avvenne quel giorno alle Fosse Ardeatine. Si tratti poi per Priebke di infermeria o di arresti domiciliari va deciso a seconda delle sue condizioni. Certo deve rimanere in vita per meditare sul male che ha fatto, deve essere isolato senza nessun privilegio e messo di fronte alla sua coscienza se ce l’ha» (http:// www1.adnkronos. com/Archivio/AdnAgenzia/1996/04/29/Cronaca/PRIEBKE-TOAFF-MI-INTERESSA-LA-CONDANNA-NON-LA-PENA_194900.php, 12 giugno 2019; v. anche E. Toaff, Perfidi giudei..., edizione del 2017).

L’8 ottobre 2001 Toaff, di fronte a una folla commossa, annunciò il proprio ritiro dalla funzione di rabbino capo di Roma, che aveva svolto per cinquant’anni. In quell’occasione si accomiatò con queste parole: «Nel Pirké avòt (Massime dei padri) è scritto: “Rabbi Shimon afferma l’esistenza di tre tipi di corone con cui l’uomo può adornarsi: la corona della Torah, la corona del Sacerdozio, e la corona del Regno. Ma la corona di gran lunga più importante è il

(kèter shem tov) – la corona che dà un nome onesto e onorato”. Spero che il mio lungo magistero tra di voi mi abbia fatto meritare questa corona ed a questa sia sempre legato il mio ricordo» (Discorso di commiato del Rabbino Elio Toaff, in Perfidi giudei..., cit., pp. 241 s.).

Toaff, dopo la sua nomina a rabbino capo di Roma, fu per molti anni presidente della Consulta rabbinica italiana; diresse inoltre il Collegio rabbinico italiano, l’Istituto superiore di studi ebraici e la rivista Annuario di studi ebraici. Sul piano internazionale, fu membro fin dalla fondazione (1957) dell’esecutivo della Conferenza dei rabbini europei, del cui presidium fece parte dal 1988.

Fu autore di molti libri, articoli e traduzioni (le sue principali opere si troveranno elencate qui di seguito). Molto significativa fu la sua attività divulgativa – su temi relativi alla religione, alla cultura e alla filosofia ebraiche – svolta a partire dal 1970 negli interventi alla trasmissione Ascolta si fa sera di RAI Radio 1, che ottennero per molti anni un successo di pubblico ampiamente superiore all’ammontare della popolazione ebraica in Italia.

Nel 1991 gli fu conferita la laurea honoris causa dall’Università Bar-Ilan di Ramat Gan, in Israele. Il 24 aprile 1995, su decreto del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, fu insignito dell’onorificenza di cavaliere di gran croce al merito della Repubblica italiana. Nel 2003, a Gerusalemme gli fu conferito il Premio per l’educazione ebraica dall’allora presidente della Repubblica di Israele, Moshe Katzav.

In occasione del suo novantesimo e novantacinquesimo genetliaco (2005 e 2010), Toaff ottenne pubblici festeggiamenti, e una fondazione in suo nome fu creata nel 2010 presso la comunità ebraica di Roma per promuovere la cultura e l’educazione ebraica.

Morì a Roma il 19 aprile 2015, undici giorni prima di compiere cento anni, nella propria abitazione, circondato da membri della sua famiglia.

Dopo solenni cerimonie funebri davanti al Tempio maggiore di Roma e davanti al Tempio di Livorno, fu sepolto a Livorno nel Cimitero israelitico detto dei Lupi, accanto al padre Alfredo, alla madre Alice, alla moglie Lia e alla madre di lei.

In conclusione, Toaff fu un’importante figura di ebreo, ma anche un capo spirituale di portata globale, che nei suoi quasi cent’anni di vita si trovò a essere protagonista o testimone di rilevanti avvenimenti storici, che oscillavano fra la tragedia e la speranza nell’avvenire. Toaff nel corso della sua vita espresse una fede ebraica incrollabile, trattò alla pari con le massime autorità dello Stato italiano e della Chiesa cattolica, fu attivo nel dialogo interreligioso con tutte le grandi confessioni, operò in tutti i modi per promuovere il miglioramento delle condizioni di vita della comunità ebraica di Roma, tragicamente mutilata dalla persecuzione nazifascista, fu il maestro di due intere generazioni di rabbini italiani, promosse l’educazione e la cultura ebraica con il suo lavoro (rispettato in tutto il mondo ebraico), ma seppe anche divulgare concetti complessi presso un pubblico più ampio. Toaff fu un costante e sincero sostenitore dello Stato d’Israele e un attivo combattente per i diritti civili e la giustizia sociale. Egli seppe sempre comunicare con tutti, dai potenti ai più umili, suscitando rispetto, gratitudine e nostalgia. Grazie all’insieme di questi valori e della sua attività instancabile, servì da esempio e punto di riferimento per i più giovani alla ricerca della propria identità religiosa e civile.

Opere. Perfidi giudei, fratelli maggiori, Milano 1987, Bologna 2017; Essere ebreo, Milano 1994, 2005 (con A. Elkann); Il Messia e gli ebrei, Milano 1998 (con A. Elkann). Tra i saggi e gli articoli si ricordano: Hahinuch beItalia (L’educazione in Italia), in Hahinuch ha’ivrí bitfuzoth hagolah (L’educazione ebraica nella diaspora), Yerushalayim 1948, pp. 153-156; Il carnevale di Roma e gli ebrei, in Scritti in memoria di Sally Mayer, 1875-1953. Saggi sull’ebraismo italiano, a cura di U. Nahon, Gerusalemme-Milano 1956, pp. 325-343; Un rapporto inedito di Napoleone sugli ebrei in Toscana, in Annuario di studi ebraici, 1963-1964, monografico: Raccolta di studi in memoria di Sabato Alfredo Toaff, a cura di E. Toaff, pp. 69-113; L’educazione presso gli ebrei (con A. Toaff), in La pedagogia. Storia e problemi maestri e metodi sociologia e psicologia dell’educazione e dell’insegnamento, VIII, Storia della pedagogia, Milano 1971, pp. 109-169; Il libro dello splendore (Brani scelti dallo Zohar), Fossano 1971 (con A. Toaff); La parola di Dio nella Bibbia. Esperienza ebraica, in La parola di Dio e l’ecumenismo, Atti della IX Sessione di formazione ecumenica del Segretariato attività ecumeniche, Napoli… 1971, Roma 1972, pp. 21-32; Il registro del mohel astigiano Shemuel Jarach (1600-1624), in Studi sull’ebraismo italiano. In memoria di Cecil Roth, a cura di E. Toaff, Roma 1974, pp. 281-304; La rinascita spirituale degli ebrei italiani nei primi decenni del secolo, in La rassegna mensile di Israel, s. 3, 1981, vol. 47, n. 7-12, monografico, pp. 63-73. Si veda inoltre la traduzione: Deuteronomio, in Bibbia ebraica con traduzione a fronte, a cura di D. Disegni, I, Il Pentateuco e Haftaroth, Torino 1960, 1989, pp. 288-351.

Fonti e Bibl.: L. Gulli, Papa Wojtyla e ‘i fratelli maggiori’, Roma 2005, pp. 30-52; E. T.: un secolo di vita ebraica in Italia, a cura di A. Foa, Torino 2010; A.M. Piattelli, Repertorio biografico dei rabbini italiani dal 1861 al 2015, Gerusalemme 2017, s.v.

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