EMANUELE FILIBERTO, duca di Savoia

Enciclopedia Italiana (1932)

EMANUELE FILIBERTO, duca di Savoia

Romolo QUAZZA
Pompilio SCHIARINI

Nacque l'8 luglio 1528 a Chambéry, terzogenito di Carlo II di Savoia e di Beatrice di Portogallo; ebbe in appannaggio la Bresse. Cadetto, delicatissimo di salute, fu dapprima destinato al sacerdozio e affidato a C. L. Allardet, abate di Filly; ma quando divenne erede del trono per la morte del fratello Luigi (1535), l'indirizzo educativo mutò e gli esercizî fisici lo irrobustirono. Ebbe allora a maestro di lettere G. Bosio. Proprio in quel tempo si fece più rapido il dissolvimento dello stato sabaudo: Carlo II, travolto dalla lotta franco-spagnola, nel 1536 subì l'occupazione francese, non ottenne dall'imperatore l'assegnazione del Monferrato e con la tregua di Nizza (18 giugno 1538), sancita sulla base dell'uti possidetis, vide il ducato quasi tutto in mani straniere. E. F., perduta la madre l'8 gennaio 1538, promesso sposo a Margherita, figlia di Francesco I, fu poi, per il mutare degli eventi, fidanzato a Maddalena, figlia di Ferdinando, futuro imperatore (25 luglio 1541). Nella fiducia di giovare allo stato sabaudo, fu mandato presso Carlo V, e lo raggiunse a Worms il 23 luglio 1545. Tra le numerose persone che lo seguirono nel viaggio per Milano e Trento, tre dovevano essere i suoi consiglieri: Giacomo e G. B. Provana di Leynì e Aimone di Ginevra, cui s'aggiunse in Germania Giov. Tom. Langosco di Stroppiana.

La prima campagna, cui prese parte E. F., fu quella smalkaldica: presso Ingolstadt per l'imperturbabile sua serenità destò l'ammirazione di Carlo V. La scarsità dei mezzi mise spesso in angustie il principe; lo aiutarono in momenti critici il card. Crist. Madruzzo di Trento e la governatrice dei Paesi Bassi, Maria. Altra causa di profonda sofferenza morale fu la nomina al governo di Lombardia di Ferrante Gonzaga. Nell'estate del 1551 E. F. accompagnò Filippo in Spagna e seppe sventare un tentativo di sorpresa da parte dei Francesi a Barcellona. Di ritorno in Piemonte servì agli ordini del Gonzaga nella campagna del 1552. Non riuscì sempre a moderare l'irritazione destata dall'odio dei Piemontesi per gli Spagnoli e dalla loro simpatia per l'avveduto governo del Brissac. Convinto che solo in altri campi avrebbe potuto trovare la salvezza dello stato, chiese di partecipare all'impresa di Metz. Dopo il fallimento di questa e l'invio in Spagna del duca d'Alba, e dopo un breve periodo di comando di Adriano di Croy, fu proclamato luogotenente generale in Fiandra e comandante supremo dell'esercito (27 giugno 1553); e subito dopo s'impadronì di Hesdin. Morto il padre (16 agosto 1553) e fatto prigioniero dal Brissac il luogotenente Renato di Challant, E. F. mandò in Piemonte (dicembre 1553) Andrea Provana di Leynì, i cui consigli gli furono preziosi per la sistemazione dello stato. La luogotenenza fu data al conte di Masino; e si presero misure per la sicurezza delle fortezze della valle d'Aosta e di Nizza. Intanto E. F. faceva costruire la fortezza di Hesdinfert e quivi (settembre 1554) ebbe luogo il tragico episodio della ribellione del conte di Waldeck e della sua uccisione, episodio che accrebbe il prestigio di E. F. Non poté, per ragioni di prudenza politica, ottenere il governo di Milano; ma appena avvenuta l'abdicazione di Carlo V (16 gennaio 1556), fu nominato governatore dei Paesi Bassi. La profonda soddisfazione fu subito turbata dalla tregua di Vaucelles (5 febbraio 1556), per la quale il suo stato restava in mani nemiche e gli si offriva un'indennità derisoria, da lui rifiutata. Abbattuto un momento, riprese animo constatando il generale malcontento; perciò prese parte più attiva al lavorio diplomatico e insistette affinché Filippo II, ottenuta l'alleanza inglese (7 giugno 1557), riprendesse la lotta. Mentre in Italia Cuneo costringeva il Brissac a ritirarsi, il duca entrò in azione verso la metà di luglio, tentando una sorpresa su S. Quintino; frattanto un altro corpo faceva diversione verso la Bresse. La sorpresa fallì e rinforzi francesi entrarono in città, ma il sobborgo dell'Ile fu tenuto dagli Spagnoli. Il Montmorency, nell'errata convinzione che E. F. avesse diviso le sue truppe per mandarle incontro a Filippo II, si avvicinò il 10 agosto alla città, tentò di passare la Somme, ma dovette ripiegare dinnanzi alla resistenza del presidio dell'Ile. Allora E. F., che aveva notata l'incertezza delle mosse francesi e che per la prima volta poteva agire di sua volontà, spiegò i suoi e con la cavalleria avvolse da tutte le parti il nemico, movendo all'assalto. La precisione delle mosse, la collaborazione perfetta della fanteria, della cavalleria e dell'artiglieria, unita alla bravura dei capitani spagnoli, rese la vittoria clamorosa e travolgente; l'inseguimento procurò ricco bottino; i più illustri Francesi e lo stesso conestabile caddero prigionieri. Gli ordini sospensivi di Filippo II attenuarono le conseguenze immediate della vittoria, ma le ripercussioni diplomatiche furono vastissime. E. F., oltre al trionfo morale, ebbe dal riscatto dei prigionieri, a lui lasciato, e ammontante a circa mezzo milione di scudi, un notevolissimo vantaggio economico, che gli permise d'iniziare la fortificazione di Villafranca e la formazione d'una marina militare. L'anno seguente, dopo l'occupazione francese di Calais e Guines e la vittoria spagnola di Gravelines, gli eserciti avversarî stettero due mesi circa inattivi l'uno di fronte all'altro, presso Cateau-Cambrésis; in seguito a trattative avviate dal Montmorency e dal Saint-André, prigionieri di E. F., fu firmata una tregua a Cercamp (18 ottobre 1558), e aperta la conferenza per la pace.

La parte riguardante gli stati sabaudi fu la più difficile, giacché Enrico II pretendeva conservare 12 terre ed E. F. acconsentiva solo per quattro, profferendo di sposar Claudia, secondogenita del re, poiché la matura età di Margherita rendeva problematica la discendenza. Scomparse le difficoltà inglesi con la morte di Maria Tudor, e accettata da parte di E. F. la mano di Margherita, l'11 febbraio 1559, furono riprese le trattative a Cateau-Cambrésis. Il 24 marzo l'accordo parve crollare per l'inattesa pretesa spagnola di avere in Piemonte tante piazze quante i francesi. Solo quando E. F., chiamato presso Filippo II a Groenendal, ebbe accettato il 26 marzo di firmare un patto segreto che lo legava alla Spagna e impegnava a fedeltà verso di essa i castellani di Nizza e Villafranca, le trattative furono concluse e firmati i due trattati di pace. Per quello tra Francia e Spagna (3 aprile), E. F. ebbe lo stato come era nel 1536, meno Torino, Chieri, Pinerolo, Chivasso, Villanova d'Asti, che rimanevano alla Francia fino a quando accordi diretti non ne avessero soddisfatto le pretensioni, e Asti e Vercelli, poi sostituita da Santhià, tenute dagli Spagnoli. E. F. s'impegnava alla neutralità e doveva sposare entro due mesi Margherita, che conservava il godimento del Berry e riceveva 300.000 scudi di dote. E. F. giunse a Parigi il 21 giugno; le nozze (9 luglio 1559) perdettero ogni solennità e gioia per il mortale ferimento di Enrico II. Nonostante le molte ostilità e l'esasperazione delle truppe francesi d'occupazione in Piemonte, E. F. ottenne la consegna delle terre e, rimesso il governo dei Paesi Bassi a Margherita duchessa di Parma e tacitati i creditori, entrò a Nizza il 3 novembre 1559. Ivi il 1° giugno successivo subì l'assalto del corsaro Ucciallì.

A Nizza, ove rimase circa un anno, iniziò opera di restaurazione dello stato, che proseguì poi da Vercelli e da Torino.

Mente ormai matura per il continuo contatto con le difficoltà dei governi, convinto della bontà del principio assolutista, volle cancellare tutte le divisioni e le disparità. Perciò proibì gl'infausti nomi di Guelfi e Ghibellini (29 dicembre 1559); abolì gli statuti cittadini e feudali (31 gennaio 1560) e soppresse praticamente le assemblee; unificò il controllo finanziario di tutto il ducato costituendo un'unica Corte dei conti; conservò i Parlamenti di Torino e di Chambéry, supreme Corti di giustizia istituite dai Francesi, mutandone il nome in quello di Senato, col beneficio di maggiore unità nell'amministrazione giudiziaria; dal '61 adottò la lingua italiana nei documenti pubblici. S'occupò di tutti i rami della pubblica economia, tentando mezzi diversi per risollevarla. Curò le condizioni dei lavoratori e sperò, ma invano, dall'abolizione della servitù della gleba di poter suscitare un nuovo gruppo di proprietarî attivi, contribuenti alle imposte; promosse, concedendo esenzioni, con provvedimento analogo a quello di altri principi del tempo, l'immigrazione di agricoltori e di artigiani; recò vantaggi cospicui alla coltivazione del suolo stimolando opere d'irrigazione. Con esenzioni e misure varie favorì l'erezione di opifici, mirando a regolare e a proteggere l'iniziativa privata, partecipando direttamente ad alcune imprese, specialmente minerarie, e dando l'esempio di operosità nelle sue tenute private. Per migliorare il commercio, curò la viabilità, frenò la speculazione, istituì una banca e i Monti, che prestassero a tasso moderato, e tentò di fissare (20 aprile e 29 settembre 1561) una sola unità di computo fra le molte varietà di monete in corso. Pensò anche di stabilire commercio diretto con l'Oriente attraverso il porto di Nizza, favorendo in ciò gli Ebrei, ma dovette desistere per l'ostilità spagnola e papale. Nel 1567 l'organismo finanziario del ducato poteva dirsi costituito e, grazie all'amministrazione rigorosa, dal 1574 aumentarono rapidamente le riserve. Rispettoso e osservante della chiesa, ma non di rado in conflitto con essa per le questioni in cui l'autorità dello stato urtava con quella ecclesiastica, E. F. guardò con fiducia al Concilio di Trento, dove lo rappresentò Marc'Antonio Bobba, e curò che fossero eseguiti i decreti tridentini, formando un episcopato eccellente, favorendo il sorgere di seminarî e di collegi, sotto l'impulso del Possevino e del Ghislieri; collegi gesuiti furono istituiti a Mondovì (1561), a Chambéry (1564), a Torino (1565). In tutte le scuole inferiori fu severamente vigilata l'ortodossia degl'insegnamenti; nelle scuole universitarie, invece, regnò libertà di indagine. Il duca favorì la formazione dello studio di Mondovì, chiamandovi da altri paesi i dotti piemontesi, e consentendo poi il trasporto a Torino (1566). Benevolo verso gli eruditi, accordò protezione alla storia, all'archeologia, alla scienza, più che alla poesia. Speciale passione ebbe solo per le matematiche applicate all'arte militare e per l'architettura; nutrì fiducia nelle ricerche alchimistiche; assimilatore meriglioso; rude, ma capace di spiegare un fascino personale irresistibile; semplice nella vita quotidiana, fastosissimo nelle grandi occasioni, rivelò come caratteristiche fondamentali volontà indomita e attività instancabile, le quali, congiunte con un equilibrato criterio, gli permisero di compiere un gigantesco lavoro di consolidamento all'interno e una avvedutissima opera di diplomazia. (Per gli ordinamenti militari di Emanuele Filiberto v. qui appresso).

Riguardo alla lotta contro gli eretici, due questioni gli si presentarono: quella di Ginevra e quella dei Valdesi. Sperò sulle prime di poter essere designato dalle potenze cattoliche e dal papa a esecutore di una specie di crociata contro il focolare del calvinismo, ma l'impresa si manifestò, allora come più tardi, un'utopia. Dopo avere nel 1560 usato molta moderazione nelle spedizioni punitive contro i Valdesi, fu poi costretto alla guerra dalla loro ribellione (1561); ma finì per seguire i consigli della moglie e firmò (5 giugno 1561) un trattato che assicurava libertà di culto entro le Valli e confermava privilegi. In seguito, per non alienarsi il papa e la Spagna, dovette mostrare maggior rigore (editto 10 giugno 1565).

Nato il 12 gennaio 1562 l'erede desiderato, E. F. affrontò la questione dello sgombero delle fortezze da parte dei Francesi e, valendosi della sconvolta atmosfera della politica francese, coadiuvato dalla duchessa, poté ottenere (Blois, 8 agosto 1562) la restituzione di Torino, Chieri, Chivasso, Villanova d'Asti. La Francia conservò Pinerolo, ebhe Savigliano e Perosa. Gli Spagnoli, poiché rimanevanci i Francesi, non vollero abbandonare Asti e Santhià. Il 12 dicembre 1562 Torino fu sgombrata; e il duca e la duchessa vi fecero ingresso solenne il 7 febbraio 1563 e vi risiedettero abitualmente.

Stretti tra Francia e Spagna, non potendo contare sugli stati italiani, assorti in altri problemi, o nemici per aspirazioni contrastanti, E. F. fondò la sua politica estera sull'amicizia con gli Svizzeri, che, per la loro posizione centrale in possesso delle vie alpine, potevano avere grande peso nei maggiori problemi. Lasciata così in sospeso la questione di Ginevra, poté riavere il paese di Gex, il Genevese, il Chiablese e qualche altro diritto minore; dal 1563 al '70 strinse con Losanna, Berna e altri cantoni patti, che, sebbene osteggiati dai principi e dal papa, lo resero più sicuro e in grado di tenere un contegno indipendente. Assecondando il movimento monferrino contro il duca Guglielmo Gonzaga, che aveva distrutto l'autonomia di Casale secondo il principio assolutistico caro allo stesso E. F., e appoggiando la corrente casalasca, che per affinità etnografica e per legami commerciali tendeva alla Casa sabauda, si fece protettore dei ribelli monferrini presso l'imperatore, accolse e aiutò i fuorusciti, non abbandonò mai la veste di pretendente alla successione paleologa. Intanto la fermezza, la prudenza, l'attività svolta avevano imposto al mondo la sua personalità; con gli stessi mezzi ottenne la definitiva liberazione del territorio. Assolvendo felicemente il compito, affidatogli da Caterina de' Medici di tutelare il passaggio per l'Italia di Enrico III, ottenne la restituzione di Pinerolo, Savigliano, Perosa. Allora gli Spagnoli si indussero a sgombrare Asti e Santhià (settembre 1575). Così lo stato era ricostituito e si poteva riprendere la marcia in avanti.

Verso il mare, riuscì a procurarsi per denaro la città di Oneglia, mentre già anni prima con l'acquisto della contea di Tenda e poi delle signorie di Maro e di Prelà, aveva reso libera la via da Cuneo a Nizza. Nel 1576 si volse al marchesato di Saluzzo, pericolosa minaccia francese agli stati sabaudi. Dopo aver invano tentato di trattarne il cambio con la Bresse e averne negoziato l'acquisto per denaro, ricorse all'astuzia, destreggiandosi tra il Birago e il Bellegarde. Stava per trionfare, quando lo colse la morte in Torino (30 agosto 1580). Più tardi le sue spoglie furono deposte nella cappella della SS. Sindone, da lui decretata nel 1578.

Gli ordinamenti militari di Emanuele Filiberto. - Per dar forza alla sua politica, E. F., non appena rientrato nei suoi stati, intese a costituire quegli ordinamenti militari, esistenti già embrionalmente e oramai solo di nome, fino dai tempi di Amedeo VII. Così, formò gradualmente quella milizia che, sorta con poco frutto in altri stati d'Italia, doveva sostituire con milizie cittadine gli eserciti mercenarî; onde ben a ragione poté il Balbo affermare che la prima data della storia delle armi presenti è l'anno 1562 "in cui quel duca di Savoia istituì dodici reggimenti provinciali". In breve furono 23 mila i fanti, tra savoiardi, piemontesi e nizzardi, scelti tra gli uomini dai 18 ai 50 anni, che, insieme coi volontarî ascesero a circa 36 mila, tutti armati e pagati dal duca (ma solo in guerra) e divisi in colonnelli (reggimenti) di 6 compagnie di 4 centurie di 4 squadre. Le squadre si esercitavano ogni domenica, le centurie ogni 15 giorni, le compagnie ogni mese, i colonnelli le quattro tempora, tutta la milizia i Pentecoste e a San Matteo. Dai feudatarî E. F. preferì contribuire in danaro, anziché gente armata. La cavalleria, circa 700 uomini, era obbligata per turno a servire due mesi ogni anno. Oltre alla guardia ducale, vi erano 3 mila fanti di presidio nelle fortezze; e per di più artiglieri e bombardieri. E vi furono ingegneri militari (fra cui il celebre Paciotto d'Urbino), i quali, sotto l'energica attività del duca, migliorarono antiche fortificazioni, altre ne fecero sorgere a presidio dello stato rinascente. Ma ciò che costituì ben presto la superiorità - sempre maggiore e proseguita nei secoli - di quelle milizie paesane sabaude, rispetto ad altre italiane del tempo, fu la nuova coscienza che, con l'interessamento personale diuturno, E. F. seppe infondere in quelle genti, tenute allora, per gli eventi del tempo, in poco conto; risvegliando le virtù militari che poi le resero ammirabili come soldati non meno che come cittadini.

Né minori furono le cure dedicate dal gran principe alla creazione di una marina da guerra, nonostante le angustie finanziarie. Le spese del mantenimento essendo gravose, il numero delle galee in efficienza fu ridottissimo, non essendo riuscito che parzialmente per opposizione di Filippo II, il disegno di trasformare in ordine militare marinaresco il ricco ordine di S. Lazzaro, fuso (novembre 1572) con quello di S. Maurizio istituito da E. F. Tuttavia è gloria non piccola quella della partecipazione di tre navi sabaude, comandate da Andrea Provana di Leynì, all'impresa cristiana contro il Turco finita con la vittoria di Lepanto, alla quale concorsero con grande valore.

Bibl.: L'opera più completa è in Coll. stor. sab. (2 voll., Torino 1928). Il vol. I steso da A. Segre abbraccia il periodo 1528-29; il II di P. Egidi va dal 1559 al 1580 e contiene una nutrita nota bibliografica, alla quale si rinvia il lettore. Per altri studî notevoli si veda l'elenco in P. Silva, E. F. (profilo storico in Coll. Formiggini), Roma 1928. Ampie rassegne storiche degli studî apparsi in occasione del IV centenario dalla nascita di E. F. hanno pubblicato C. G. Mor, in Arch. stor. ital., LXXXVII (1929), pp. 77-95 e C. Contessa, in Arch. veneto, LIX (1929), pp. 362-398. Per la questione del Monferrato e di Saluzzo vedi: R. Quazza, E. F. e Guglielmo Gonzaga (1559-80), in Atti e memorie della R. Accad. Virgil., XIX-XX, Mantova 1929.

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