EMILIA

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 42 (1993)

EMILIA

Stefano Palmieri

Sposa del duca di Gaeta Giovanni (III), nulla ci è noto di lei anteriormente al gennaio del 998 allorché, secondo quanto riferiscono le fonti note, si recò, già duchessa, insieme con il consorte a Serapo, località sul golfo di Gaeta, per incontrarsi con Nilo di Rossano, colà da alcuni mesi ritiratosi coi suoi discepoli a vivervi il suo aspro impegno di penitenza e di ascesi.

A causa del titolo di "senatrix" che, unito a quello di "ducissa", sempre accompagna il suo nome nella documentazione a noi pervenuta, sono state attribuite ad E. origini romane: alcuni studiosi hanno infatti avanzato le ipotesi che ella facesse parte della famiglia dei Crescenzi, o - forse con maggiore probabilità - di quella dei conti di Tuscolo, e che il suo matrimonio con il duca di Gaeta si fosse concretato nel quadro della politica di alleanze matrimoniali caratteristica di quelle casate romane.

La visita di E. e di Giovanni (III) a Nilo di Rossano non dovette essere stata motivata solo da pietà o zelo religioso; così come la visita fatta al patriarca, intorno alla metà di marzo del 999, dall'imperatore Ottone III dovette servire a quest'ultimo per intrecciare legami con i duchi di Gaeta e intervenire nella vita interna di quella entità politica. Proprio in quell'occasione, infatti, il vescovo di Gaeta Bernardo (II), fratello del duca Giovanni (III), dovette ricorrere presso il tribunale imperiale contro alcuni "famuli" della mensa vescovile, i figli di Passero Capruca, i quali, con l'appoggio del duca di Fondi, del conte di Traetto e di altri importanti membri della famiglia ducale, avevano dichiarato di essere "uomini liberi", usurpando in tal modo beni di quella Chiesa. Lo prova il fatto che, sempre nel marzo di quello stesso anno Notkero (o Notcherio), cappellano e messo dell'imperatore, tenne a Gaeta un placito per giudicare sulla vertenza.

Si trattò di un episodio, cui si dovette annettere - e non solo in sede locale - la massima importanza, perché assistettero al placito i due duchi di Gaeta, Giovanni (III) e suo figlio Giovanni, il duca di Fondi Marino, il conte di Traetto Dauferio, altri maggiorenti, e il popolo della città. Notkero risolse la controversia in senso favorevole al presule: poiché non solo non avevano potuto fornire prove documentarie a sostegno di quanto asserivano, ma si erano anche rifiutati di accertare la veridicità delle loro tesi mediante un "giudizio di Dio" - si sarebbe trattato di affrontare un duello "ad spatham" -, i figli di Passero Capruca dovettero riconoscere il loro stato giuridico di "servi" ed impegnarsi a rinunziare, per il futuro, a nuove rivendicazioni.

I buoni rapporti instauratisi fra Ottone III e la famiglia ducale di Gaeta sono testimoniati anche da un altro placito, che Notkero, sempre come messo imperiale, tenne, l'aprile successivo, nella città tirrenica e nel corso del quale decise, sempre in favore del vescovo Bernardo, una controversia tra il presule ed il conte di Traetto Dauferio, il quale dovette restituire alla Chiesa di Gaeta la metà di un casale. Il 1:6 ott. 999, inoltre, a Roma l'imperatore concesse al duca Giovanni (III) il castello di Pontecorvo con tutte le sue pertinenze. Questa donazione, grazie alla quale il ducato raggiunse la sua massima estensione territoriale, doveva far parte di una più complessa trattativa intercorsa tra il duca di Gaeta ed Ottone III, alla quale non doveva essere rimasta estranea anche l'abbazia di Montecassino. Infatti l'imperatore sul finire di quel medesimo anno si recò a Gaeta dove, il 12 novembre, restituì solennemente all'abate di Montecassino alcuni beni, che erano stati usurpati dal padredi Giovanni (III).

Alla felice conclusione delle controversie, che erano state portate dinanzi al giudizio del cappellano e messo imperiale Notkero nel marzo e nell'aprile del 999, E. apportò senza dubbio un contributo decisivo, dal momento che nel maggio del 1002 ricevette dal vescovo Bernardo (II) in donazione un appezzamento di terreno "propter magnum adiutorium, quod in sacro nostro episcopio exibuistis, ad recolligendum res ipsius nostri episcopii". Terreno che E. permutò poco dopo, in quello stesso mese, con la chiesa di S. Pietro in Virga, anche essa di proprietà della Chiesa di Gaeta. Alcuni studiosi hanno avanzato l'ipotesi che anche in occasione delle trattative per la restituzione dei beni usurpati alla abbazia di Montecassino E. abbia esercitato la sua influenza; ma tale suggestione storiografica, che si configura come una proiezione retrospettiva di future esperienze politiche, non trova conferma nella realtà, quale risulta dalla documentazione in nostro possesso. Rimasta vedova - Giovanni (III) è menzionato per l'ultima volta nell'agosto del 1008 -, E. restò al fianco del figlio Giovanni (IV), continuando a svolgere una sua funzione politica, come è dimostrato dal fatto che nell'aprile del 1009, insieme col figlio, riconobbe ufficialmente all'abbazia di Montecassino la proprietà, sin'allora contestata, della dipendenza di S. Scolastica, manifestando con ciò una volontà di buon vicinato nei confronti del cenobio, che fu costante nella sua opera.

Quando, intorno all'aprile del 1012, morì Giovanni (IV), E. fu la protagonista della crisi politico-istituzionale provocata dalla lotta per la suecessione al ducato. Il suo ruolo di reggente in nome del nipote Giovanni (V), ancora minore, venne infatti combattuto, almeno inizialmente, come è provato da un documento dell'agosto di quell'anno, nel cui protocollo è menzionato quale duca di Gaeta il "console" Leone, figlio di Docibile e nipote del duca Gregorio, esponente di un ramo collaterale della famiglia di Giovanni (V). Tuttavia, da un altro documento del suc:cessivo mese di settembre E. risulta di nuovo alla guida del ducato. La sua posizione, ad ogni modo, non doveva essersi ancora rafforzata, perché, a partire dal 1015 e sino al 1024, negli atti d'archivio a noi pervenuti compare come correggente e tutore, in alternativa con la duchessa, un Leone "console e duca". Impossibile, allo stato attuale delle ricerche, dire se si tratta dell'omonimo figlio di Docibile - il quale, fallito il suo tentativo di usurpazione, si sarebbe tuttavia acconciato a dividere il potere con E. -, o se si tratta invece - come sembra più probabile - dell'omonimo "senatore", figlio della stessa E. e zio di Giovanni (V), nominato correggente dalla madre per rafforzare il proprio vacillante potere.

E. appoggiò la politica antibizantina promossa dal papa Benedetto VIII. Anche prescindendo dall'ipotesi di un legame di parentela esistente tra i due - il pontefice apparteneva alla famiglia dei conti di Tuscolo - lo prova il fatto che ella permise a quel papa di far acquartierare intorno al 1012 con le sue truppe in, una torre fortificata sul Garigliano Datto, cognato di Melo di Bari, promotore della rivolta pugliese contro l'Impero d'Oriente. Lo conferma l'aver E. consentito nel luglio del 1014 che si riunissero in Castro Argento, in territorio di dominio gaptano, tanti illustri protagonisti della politica campana del tempo, ufficialmente per assistere ad un placito in cui il principe di Capua Pandolfo (II) avrebbe dovuto giudicare su una controversia insorta tra il conte di Traetto Dauferio e l'abbazia di Montecassino: l'arcivescovo di Capua, il vescovo di Gaeta Bernardo (II), il duca di Napoli Sergio IV, lo stesso abate di Montecassino Atenolfo, oltre alle parti in causa ed a personalità gaetane, capuane e napoletane. Il placito, che non si concluse con un giudizio, perché le parti si accordarono prima, avrebbe fornito in realtà - secondo il Mor - l'occasione per un incontro politico ad alto livello. L'ipotesi è verisimile, dato che effettivamente appare in seguito operante un accordo tra i sovrani che si erano incontrati a Castro Argento. Proprio a Gaeta, presso di E., si rifugiò infatti il duca Sergio IV quando nel 1027 fu costretto ad abbandonare Napoli, caduta nelle mani del principe di Capua Pandolfo (IV). Ed a Gaeta, nel febbraio del 1029 Sergio IV, duca di Napoli, alla presenza della duchessa E., di Sighelgaita, probabilmente la vedova di Giovanni (IV), e del duca Giovanni (V), promise con atto solenne a tutti i Gaetani "maiores et minores" la totale esenzione fiscale ed il riconoscimento della piena personalità giuridica per quanti di essi avessero trafficato a Napoli, e questo in cambio dell'appoggio per la riconquista del suo ducato.

Nulla sappiamo, per il silenzio delle fonti note, circa l'atteggiamento che E. assunse in quegli anni nei confronti dell'azione militare e politica svolta dal normanno Rainulfo Drengot, primo conte di Aversa, e dal principe Pandolfo (IV). Siamo solo informati del fatto che, tra l'agosto del 1032 ed il gennaio del 1033, il ducato di Gaeta cadde nelle mani del dinasta capuano, ma ci restano ignoti i particolari del fatto e le vicende successive della duchessa.

E. morì prima del gennaio del 1036, quando in sua memoria uno dei suoi figli, il "senatore" Leone, fece donazione di un casale al monastero di S. Giovanni di Felline, da lei fondato presso Itri.

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