GOLA, Emilio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57 (2001)

GOLA, Emilio

Beatrice Avanzi

Nacque a Milano il 22 febbr. 1851 dal conte Carlo e da Irene Della Porta.

Laureatosi nel 1873 in ingegneria industriale presso il Politecnico di Milano, coltivò allo stesso tempo la passione per la pittura, studiando privatamente sotto la guida di S. De Albertis, artista particolarmente apprezzato dall'alta società lombarda per i suoi dipinti di soggetto storico e militare, che gli fornì solide basi tecniche. La formazione del G. fu inoltre arricchita dai frequenti viaggi all'estero, compiuti fin da giovane con il padre. All'età di circa sedici anni si recò in Olanda, dove studiò Rembrandt e i maestri fiamminghi e, nel 1868, a Parigi, dove tornò con cadenza regolare anche negli anni successivi, venendo a contatto con gli sviluppi della pittura impressionista. Tali esperienze contribuirono all'elaborazione di un linguaggio che assumerà caratteri del tutto personali, ma che appare, in particolar modo agli esordi, fortemente legato agli esiti più avanzati dell'arte lombarda di quei decenni. Lontano da ogni disciplina accademica (fu presente a Brera soltanto nel 1876 come "libero frequentatore" dei corsi di nudo e anatomia), il G. guardò infatti con attenzione alle ricerche degli artisti scapigliati, in particolare di T. Cremona e D. Ranzoni, del cui influsso recano impronta evidente le opere giovanili quali il Ritratto del musicista Marco Sala (ripr. in De Grada, 1989, p. 18) e un Ritratto femminile del 1879 (Milano, Quadreria dell'800), che documentano un linguaggio maturato sull'esempio ranzoniano, temperato da suggestioni luministiche derivate dalla ritrattistica olandese del Seicento.

Nel 1879 il G. esordì all'Esposizione annuale dell'Accademia di Brera (cui parteciperà regolarmente anche negli anni successivi) con due Studi dal vero e una Testa. Nel 1880 presentò alla rassegna di Brera il suo primo Autoritratto (ubicazione ignota) e all'Esposizione nazionale di belle arti di Torino Testa di paggio (Milano, Galleria d'arte moderna), tra le prove più significative del periodo giovanile: echi della pittura scapigliata sono evidenti nella ricerca di una vibrazione luminosa che dissolve la figura nell'ambiente circostante, accentuando peraltro la capacità di penetrazione psicologica che sarà propria di tutta la produzione ritrattistica dell'artista.

Si affianca a queste opere una nutrita serie di ritratti di amici e giovani colleghi, databili alla prima metà degli anni Ottanta, quali il Ritratto del professor Luigi Brianzi (1885: Milano, Galleria d'arte moderna), il Ritratto di Giuseppe Mentessi (in Giuseppe Mentessi [catal.], Ferrara 1972, n. 174), esposto a Brera nel 1882, e il Ritratto di Pompeo Mariani (1885: Milano, Galleria d'arte moderna), impostato su quella raffinata gamma di tinte scure, nelle quali il G. "scopre una nota che le collega tutte e fonde in una sola" (Colombo, 1882, p. 116), che costituisce una delle qualità più rilevanti del suo linguaggio giovanile.

Risalgono agli stessi anni anche le prime vedute dei navigli, soggetto che il G. sviluppò nel decennio successivo, affiancandolo con sempre maggior interesse alla produzione ritrattistica: un primo Naviglio. Studio dal vero (ubicazione ignota), realizzato presso il naviglio di Corsico, fu presentato all'Esposizione nazionale di Milano nel 1881. A partire da questo periodo il G. prese parte alle più importanti rassegne nazionali, quali l'Esposizione di belle arti di Roma del 1883, dove espose una serie di ritratti - tra cui il Ritratto di Luigi Gualdo (ubicazione ignota), eseguito su commissione -, l'esposizione inaugurale della Società per le belle arti e l'Esposizione permanente di Milano del 1886 (dove presentò alcune delle prime prove paesaggistiche), e l'Esposizione nazionale di Venezia del 1887. Nel 1889 un Portrait d'une dame (da alcuni critici identificato con un Ritratto della madre: De Grada, 1989, pp. 50 s.) fu premiato con una medaglia d'oro all'Esposizione universale di Parigi, segnando l'inizio di un successo all'estero che accompagnò costantemente l'attività del pittore.

Il tema dei navigli, con i loro corsi d'acqua popolati dalle lavandaie, divenne dominante nella produzione del G. dalla metà degli anni Ottanta, secondo un orientamento influenzato dalla conoscenza della pittura realista fiamminga, studiata durante i suoi viaggi, cui si aggiunse l'esempio delle impressioni milanesi di Mosè Bianchi. Partito da tali suggestioni, il G. giunse a un'interpretazione personale del tema attraverso la trascrizione del dato reale nei termini di un naturalismo tonale teso a una lettura profondamente lirica del vero, evolvendo verso una moderna, personale pittura di luce e colore, che giunse a superare il gusto "aneddotico" caro allo stesso Bianchi.

In tal senso, opere quali Naviglio pavese a Milano (1890: ripr. in De Grada, 1989, n. 72), impostato su toni prevalentemente grigio-azzurrati di forte valenza evocativa, Le lavandaie sul Naviglio (1893: Milano, Pinacoteca Ambrosiana), serena veduta immersa nelle luci dell'alba, e Lavandaie sul Naviglio (1894: ibid., Fondazione Cariplo), testimoniano l'evoluzione di una ricerca concentrata sullo studio delle variazioni atmosferiche e stagionali, affidato alla sapiente modulazione tonale, cui vengono ricondotti anche i valori plastici e compositivi del quadro.

Seguendo tale orientamento, il G. declinò il tema in numerosissime varianti, secondo una condotta che caratterizzò tutta la sua attività e fu propria anche della più tarda produzione paesaggistica ispirata alla Brianza, ad Alassio e a Venezia. Con opere sul tema dei navigli fu presente, nell'ultimo decennio del secolo, alle principali rassegne nazionali, quali: la I Triennale di Milano del 1891, dove espose Paesaggio nei dintorni di Milano e Lungo il Naviglio. Studio (ubicazione ignota); l'Esposizione d'arte moderna di Torino del 1892; e la II Triennale di Milano del 1894. Nel 1895 espose alla I Biennale di Venezia (cui partecipò con regolarità in tutte le sue edizioni, fino al 1922, a eccezione della IV) Lungo il canale a Milano (ubicazione ignota), veduta della via Alzaia popolata dalle predilette figure di lavandaie, dove giunse a esiti di piena maturità nell'elaborazione di calibrati rapporti tonali volti a cogliere i mutevoli valori della luce vespertina e dei suoi riflessi nell'acqua.

La ricerca di una fusione cromatica, che trasfigura la realtà in una dimensione di intenso lirismo (lo stesso G. disse di desiderare "che le donne del suo quadro fossero color dell'acqua e l'acqua color delle donne, e le piante delle donne e dell'acqua insieme": Colombo, 1895, pp. 47 s.), caratterizzò, negli stessi anni, anche le prime impressioni ispirate alla Brianza, quale Paesaggio in Brianza, esposto alla stessa Biennale veneziana del 1895. A questo si accostano, per soggetto e condotta, le opere realizzate sullo scorcio del secolo tra cui Lavandaia in Brianza del 1895 circa (Venezia, Galleria internazionale d'arte moderna) e Alta Brianza del 1896 (ripr. in De Grada, 1989, n. 87), presentate alle maggiori rassegne in Italia, quali le Triennali milanesi del 1897 e del 1900, e all'estero, tra cui l'Esposizione internazionale di Berlino del 1896. In Brianza il G. era solito trascorrere lunghi periodi nel "Buttero", la villa avita di Olgiate Molgora, paese dove ricoprì, dal 1901, importanti cariche amministrative in qualità di consigliere comunale e sindaco. Tali soggiorni si fecero inoltre più frequenti dopo la morte, nel 1907, della moglie Maria, figlia del nobile veneziano Fabio Mannati, che il G. aveva sposato a Venezia nel 1904 e dalla quale ebbe l'unico figlio, Carlo, nato nel 1906.

Dagli anni intorno all'inizio del secolo, il G. approfondì le sue ricerche sul paesaggio brianzolo nei pressi di Mondonico, dove aveva uno studio nella villa dell'amico setaiolo Silvio Sala, soffermandosi a ritrarre le lavandaie che si radunavano nella valletta presso il torrente Molgora, il "valloncello di Mondonico" che egli considerò un "santuario del colore" (Bozzi, 1904, p. 341): risalgono a questo momento opere quali Valloncello con lavandaia e panno bianco (1899: ripr. in De Grada, 1989, n. 81), Ruscello (1900 circa: ripr. ibid., n. 88) e Paesaggio (1900: Roma, Galleria nazionale d'arte moderna). Con Al valloncello di Mondonico (Milano, Galleria d'arte moderna), che l'artista presentò, insieme con altre impressioni brianzole, all'Esposizione nazionale del Sempione del 1906 in cui fu scelto come rappresentante del gruppo lombardo, la sua pittura giunse a risultati di sempre maggior libertà nell'impaginazione scandita dal succedersi di zone d'ombra e di luce e nella modulazione delle tinte su gamme di suggestiva ricchezza.

Grazie a questa autonoma, personale ricerca di una pittura lirica, fondata sull'emozione generata dalla luce-colore, il G. raggiunse esiti di profonda originalità, ponendosi come uno dei migliori interpreti di una "via lombarda" al postimpressionismo europeo, condizione favorita dalla sua costante attenzione verso una cultura di respiro internazionale (ai frequenti viaggi in Olanda e Francia si aggiunsero quelli in Inghilterra) e confermata dai numerosi riconoscimenti ottenuti all'estero.

Nel 1892 aveva ottenuto una medaglia d'oro all'Esposizione internazionale di Monaco, città dove espose frequentemente, partecipando anche alle mostre della Secessione. In seguito fu premiato alle Esposizioni universali di Parigi nel 1900 e di Saint Louis nel 1904. Nel 1901 fu invitato al Carnegie Institute di Pittsburgh e, l'anno seguente, fu scelto dalla Famiglia artistica di Milano come rappresentante della pittura italiana per la II Esposizione italiana di San Pietroburgo. Inviò opere alle Esposizioni internazionali di Buenos Aires (1910) e San Francisco (1915).

Nel frattempo il G. continuò a dedicarsi alla produzione ritrattistica, prediligendo figure femminili dell'alta società lombarda, che seppe restituire con acuta sensibilità. Ritrasse, tra le altre, le attrici Sarah Bernhardt ed Eleonora Duse, e donna Vittoria Cima, presso il cui salotto, che era solito frequentare con l'amico A. Boito, aveva conosciuto la moglie Maria.

Opere quali il Ritratto della contessa Maria Chiara Arese Pallavicino (1890-95: ripr. in De Grada, 1989, n. 35), Ritratto di signora (1903: Milano, Fondazione Cariplo) e Signora in rosa (ripr. in De Grada, 1989, n. 33) documentano l'evoluzione dai modi scapigliati degli esordi verso un linguaggio più personale, attento agli esiti della ritrattistica internazionale (da J.S. Sargent a J. Whistler), fondato su una raffinata sensibilità coloristica e su un sapiente impiego della luce, volta a definire le masse con effetti di soffusa morbidezza (spesso accentuata dall'uso del pastello) e a sottolineare gli studiati equilibri dei tagli compositivi.

Da tale condotta, che raggiunse esiti di piena maturità nella serie di ritratti della MarchesaEmilia Sommi Picenardi (1912-14: in collezione privata e presso la Galleria nazionale d'arte moderna di Roma), il G. si indirizzò in seguito verso una resa più "lirica", meno descrittiva del soggetto, come in Ritratto di giovane donna (1912 circa: ripr. in De Grada, 1989, n. 31), dove la semplificazione dei mezzi formali rimanda agli studi di nudo che si affiancarono alla produzione ritrattistica intorno al 1910. Secondo tale orientamento, il soggetto divenne qui "pretesto di pittura pura" (Dell'Acqua, 1951, p. 109): si vedano, per esempio, Nudo, La mia modella e Modella in posa (ripr. rispettivamente in De Grada, 1989, nn. 95, 93, 89), con caratteri di estrema libertà nelle ricerche cromatiche e nel vigore delle pennellate che modellano i corpi con forzature al limite della deformazione "espressionistica".

Ad analoghi risultati di profonda libertà espressiva il G. giunse anche, parallelamente, nella produzione paesaggistica, che proseguì ininterrotta nell'ultimo decennio di attività, passando dalle rinnovate ricerche sul tema della Brianza (Presso il ponticello a Mondonico, 1914, a Milano, Banco Ambrosiano Veneto, e Lavandaie a Mondonico, 1916, ripr. in De Grada, 1989, n. 58) a una personale riflessione sul tema del mare, approfondito nel corso di lunghe villeggiature estive ad Alassio negli anni della guerra. Qui il G. dipinse una nutrita serie di vedute animate da figure di bagnanti, quali Giornata di sole ad Alassio (1919 circa: Milano, Galleria d'arte moderna), Sulla spiaggia ad Alassio (1917: ibid., Fondazione Cariplo), Sulla spiaggia (ripr. in De Grada, 1989, n. 109), che segnarono un'ulteriore evoluzione verso una condotta caratterizzata da una stesura abbreviata, sintetica, che fonde figure e natura in un unico "flusso emotivo e atmosferico" (Mascherpa, 1976), dove la luce si genera dalla stessa materia pittorica, dai toni accesi e dissonanti, di accentuato valore espressivo, secondo modi sensibili agli echi delle ricerche europee di indirizzo espressionista.

Tale inedita, moderna libertà di stesura e composizione, sulla via di una pittura "che si fa segno e materia" (ibid.), ormai lontana dagli schemi del naturalismo ottocentesco, caratterizzò anche le ultime vedute di Venezia e del Lido, cui il G. si dedicò dal 1919 fino alla morte, quali L'isola di San Giorgio (Milano, Galleria d'arte moderna, Raccolta Grassi), Venezia (ripr. in De Grada, 1989, n. 114) e Venezia dalla riva degli Schiavoni (1923: ibid., n. 111), in cui la sua ricerca si rinnovò negli audaci tagli prospettici e nella resa di un'atmosfera rarefatta, di intensa luminosità, affidata al prevalente uso di toni argentati.

Alle partecipazioni a esposizioni collettive (tra cui l'Esposizione nazionale di Torino del 1919 e la I Biennale romana del 1921) si affiancarono negli ultimi anni due mostre personali presso la galleria Pesaro (1920) e la Bottega di poesia (1923) a Milano, che segnarono l'inizio di una fortuna critica destinata a riscattare l'opera del G. dai pregiudizi dovuti alla sua condizione di "dilettante", quale fu a lungo considerato, poiché la sua estrazione sociale lo escludeva dalla pratica "professionale" della pittura legata a necessità economiche.

Il G. morì a Milano il 21 dic. 1923.

La critica successiva (a partire da R. Giolli e da Margherita Sarfatti, che nel 1926 curò la mostra postuma ospitata presso la Biennale di Venezia) ne riconobbe la statura, sottolineandone il ruolo decisivo nel rinnovamento del linguaggio naturalista lombardo tra i due secoli e il profondo influsso sui giovani delle nuove generazioni, dall'allievo D. Frisia ad A. Tosi.

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