EMPEDOCLE d'Agrigento

Enciclopedia Italiana (1932)

EMPEDOCLE ('Εμτεδοκλῆς, Empedŏcles) d'Agrigento

Guido CALOGERO

Filosofo greco, nato (secondo la datazione di Apollodoro coincidente col rapporto cronologico istituito da Aristotele fra lui e Anassagora) nel 483-2 a. C. e vissuto, secondo Aristotele ed Eraclide, sessant'anni. Sacerdote, oratore, medico, taumaturgo, viaggiò per la Magna Grecia e si conquistò quella fama che poi abbellì di leggende la sua morte, narrando fra l'altro come egli si fosse gettato nel cratere dell'Etna per accreditare, con la sua sparizione, la voce che fosse stato assunto tra gli dei, e come il cratere stesso, espellendo uno dei suoi sandali bronzei, avesse palesato la verità. Temperamento complesso, egli si manifesta in una delle due opere che gli si possono sicuramente attribuire (Καϑαρμοί "Purificazioni") come un sacerdote erede della religiosità orfico-pitagorica, nell'altra (il Περὶ ϕύσεως "Della natura") come un filosofo continuatore delle ricerche intorno all'essenza della natura e preoccupato di conciliare pluralisticamente gli opposti motivi dell'eleatismo e dell'eraclitismo.

Nei Καϑαρμοί (è controverso se realmente essi siano posteriori, come pare, al Περὶ ϕύσεως) minore è il contenuto originale di Empedocle: vi si ritrova anzitutto, insieme con elementi polemici contro l'antropomorfismo (fr. 134 Diels) che ricordano Senofane, la dottrina pitaoorica della metempsicosi, con la conseguente condanna di ogni uccisione di animali (fr. 137) e persino con la personale confessione di E., di ritenersi anch'esso anima purgante attraverso moltepliei esistenze umane e non umane (fr. 115 e 117). Nel Περὶ ϕύσεως si ha invece il primo grande tentativo che il pensiero greco abbia compiuto per dare ragione insieme all'essere eleatico e al divenire eracliteo. Ammesso il primo, tutto il mondo determinato delle cose scompariva come irreale parvenza di fronte all'unità dell'ente; ammesso il secondo, di nulla pareva più possibile affermare la verità, perché di nulla poteva dirsi che "fosse" qualcosa. Il pluralismo dei naturalisti greci del sec. V (Empedocle, Anassagora, Democrito) cerca di risolvere il problema restando sullo stesso piano dell'antica fisica ionica, ma rinunciando all'ormai insostenibile idea dell'unità del principio. L'ammissione di una molteplicità di principî sembra infatti conciliare le ragioni dell'eraclitismo con quelle dell'eleatismo, attribuendo i caratteri del divenire eracliteo al vario mescolarsi degli elementi primordiali e dando invece a questi ultimi gli attributi della realtà eleatica (e cioè quella costanza eterna nelle proprie determinazioni formali, che come carattere eleatico del reale era stata propriamente indicata da Melisso - fr. 8 Diels - nella sua ipotetica rappresentazione dell'immediato mondo sensibile sotto specie di realtà eleatica). Di queste concezioni pluralistiche, la prima, idealmente e storicamente, è quella di E., che non conosce ancora la molteplicità infinita delle omeomerie di Anassagora o degli atomi di Democrito e pone a base del reale quelle quattro: "radici di tutto" (ῥιζώματα τῶν πάντων), terra acqua aria fuoco, che dovevano poi, attraverso le sistemazioni platoniche e aristoteliche, rimanere per tanti secoli i tipici elementi delle cose. Così s'intende la parola empedoclea (fr. 8), che non vi siano al mondo né nascite né morti, ma soltanto mescolanze e separazioni. E queste sono prodotte da due forze divine, l'Amore e l'Odio (Φιλία e Νεῖκος, e molti altri sinonimi), che operano antagonisticamente, l'una tendendo a realizzare l'assoluta mescolanza dei rizomi, l'altra a totalmente separarli l'uno dall'altro. Quando opera solamente l'Amore, i quattro elementi sono perfettamente unificati nello Sfero, e non esiste il mondo: dove l'eleatismo non è soltanto nella reminiscenza della sfera parmenidea, ma anche nell'idea della perfezione come unità superiore alle differenze del mondo. D'altra parte, il mondo non esiste neanche quando opera solamente l'Odio: ché allora i quattro elementi sono assolutamente separati, e non possono comporsi in alcuna esistenza particolare. L'esserci delle cose è quindi determinato dalla contemporanea azione antitetica dei due principî, e si realizia in periodi cosmici, delimitati da momenti di assoluto dominio dell'una o dell'altra delle due forze. Analogo catattere eleatico (ma di un eleatismo approssimativo, di un Parmenide mal capito) ha anche la gnoseolooia di E., secondo cui il simile si conosce col simile (e cioè ogni elemento del reale con la parte che in noi gli corrisponde), e le sengazioni derivano da efflussi (ἀπορροαί) che uscendo dalle cose penetrano attraverso i pori dell'organismo.

Edizioni e traduzioni: L'edizione migliore è quella di H. Diels, in Fragm. d. Vorsokratiker, I, 4ª ed., Berlino 1922, pp. 193-283, e in Poet. philos. fragm., Berlino 1901, p. 74 segg. Cfr. inoltre la traduzione, con largo commento critico, di E. Bignone, Torino 1916.

Bibl.: S. Ferrari, E., Roma 1891; J. Bidez, La biographie d'E., Gand 1894; H. v. Arnim, Die Weltperioden B. E., in Festschrift per Th. Gomperz, Vienna 1902, pp. 16-22; E. Bodrero, Il principio fondam. d. sistema di E., Roma 1905; W. Nestle, Der Dualismus d. E., in Philologus, LXV (1906), pp. 545-57; F. Jobst, Lukrez u. E., Erlangen 1907; W. Kranz, E. u. die Atomistik, in Hermes, XLVII (1912), pp. 18-47; A. Rostagni, Il verbo di Pitagora, Torino 1924, pp. 183-247. - Per la bibliografia più specifica v. Ueberweg-Praechter, Grundr. d. Gesch. d. Philos., I, 12ª ed., Berlino 1926, pp. 48*-49*.

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