COUCY, Enguerrand de

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 30 (1984)

COUCY, Enguerrand de

François-Charles Uginet

Settimo di questo nome, nacque intorno al 1340 da Enguerrand (VI) e da Caterina d'Austria, figlia del duca Leopoldo e di Caterina di Savoia. Apparteneva al secondo ramo dei signori di Coucy (Aisne, Francia) e sua nonna materna era sorellastra del conte di Savoia Aimone.

Posto nel 1347, alla morte del padre, sotto la tutela della madre e dello zio Jean de Coucy, passò presto al servizio del re di Francia Giovanni II il Buono. Quando questi venne fatto prigioniero nella battaglia di Poitiers (1356), il C. fu tra gli ostaggi lasciati in mano agli Inglesi a garanzia del pagamento del riscatto. Durante la permanenza in Inghilterra, si guadagnò la stima di Edoardo III, il quale il 27 luglio 1365 gli dette in moglie la figlia Isabella con una ricca dote comprendente la baronia di Bedford ed altre terre. Tali possedimenti si venivano ad aggiungere a quelli che il C. già aveva in Inghilterra e che aveva ereditato dalla nonna paterna Bailleul, moglie di Enguerrand (V). Inoltre nel 1367 ricevette la contea di Soissons da uno dei suoi compagni francesi, Guy de Blois, di cui aveva ottenuto la liberazione.

Rientrato in Francia, partecipò alle feste date a Parigi nel 1368 dai duchi di Berry e di Borgogna in onore del duca di Clarence, figlio di Edoardo III e quindi cognato dello stesso C., che si recava a Milano per sposare Violante Visconti, figlia di Galeazzo e di Bianca di Savoia. Il C. probabilmente seguì a Milano il duca di Clarence, Lionello, ma la morte di quest'ultimo (17 ott. 1368), attribuita a un avvelenamento disposto dallo stesso Galeazzo, dovette impedirgli di fermarsi a lungo in quella città.

In questo periodo il C. appare ancora indeciso nella scelta che gli imponevano le ostilità in atto tra il re di Francia, di cui era consigliere e vassallo, e il re d'Inghilterra, di cui era genero e vassallo. Quando nella primavera del 1369 riprese la guerra tra i due sovrani, egli preferì non schierarsi e si preoccupò di consolidare una posizione personale rivendicando i diritti che vantava sul dotario della madre contro le usurpazioni dei cugini Alberto e Leopoldo d'Austria. Il recupero dei patrimoni materni, che si trovavano in Alsazia, Brisgovia, Argovia e Sundgau, costituì il motivo della spedizione che il C. progettò nel settembre del 1369, ma che finì col rinviare a data più opportuna, essendogli venuto a mancare il sostegno delle città di Strasburgo e di Colmar.

Probabilmente dopo questo fallito tentativo il C. si recò presso il cugino Amedeo VI, conte di Savoia: nel 1371 era suo luogotenente in Piemonte con un esercito di 100 lance. In un primo tempo la presenza del C. si spiega con la campagna militare che il conte di Savoia preparava contro il marchese di Saluzzo. Ma quando i rapporti tra i Savoia e i Visconti si guastarono, il C. si unì al cugino nella lega costituita da papa Gregorio XI contro i signori di Milano. Il suo ruolo divenne più rilevante quando il papa nel settembre 1372 gli propose di entrare al suo servizio: il C. risulta al soldo pontificio dal dicembre successivo. Egli doveva mettersi al servizio del legato pontificio in Lombardia, il cardinale Pierre d'Estaing, e reclutare subito truppe (Genova si rifiutò di fornirgli aiuti, ma il vescovo di Albenga, Gilberto Fieschi, e Luca Doria offrirono al papa balestrieri). Gregorio XI, inoltre, per legare maggiormente a sé il C., si offrì di intervenire nella disputa che opponeva lo stesso C. ai suoi cugini d'Austria (26 febbr. 1373). Nello stesso tempo gli chiese di accordare un salvacondotto a Bernabò e Galeazzo Visconti perché potessero comparire dinanzi al papa il 28 marzo. Quando, poi, i due fratelli rifiutarono di presentarsi, il papa ordinò al C. di raggiungere il conte di Savoia e gli altri capitani della lega nel Milanese, vietando loro di aprire qualsiasi trattativa con i Visconti. Il C., che si trovava a Ferrara insieme con il Hawkwood, si diresse verso Bergamo e l'Adda. Il 7 maggio l'esercito pontificio dette battaglia alle truppe di Bernabò a Montichiari sul Chiese a meridione di Brescia. Il C., troppo impetuoso, fu respinto e battuto, ma Hawkwood salvò la situazione. Malgrado questo successo, le truppe di Gregorio XI non osarono proseguire e preferirono ripiegare su Bologna. Ciò non impedì al pontefice di nominare il C. capitano della Lombardia inferiore (8 giugno), raccomandandogli a più riprese di rispettare le terre dei suoi alleati, Luigi Gonzaga e il marchese d'Este. Non sappiamo quale parte abbia avuto il C. nel corso degli avvenimenti successivi: è noto solo che il 23 genn. 1374 Gregorio XI gli dette congedo.

Tale congedo fu con ogni probabilità sollecitato dal re di Francia Carlo V, che si servì del C. e di altri condottieri per disperdere le bande di mercenari che infestavano il regno. In seguito il C. si recò in Inghilterra e fu incaricato di una missione presso la contessa d'Artois e il conte di Fiandra. In questo periodo, peraltro, egli non perse di vista la rivendicazione dei diritti sul dotario della madre. Grazie a una donazione, o prestito, di 40.000 libre da parte di Carlo V, egli assoldò la cosiddetta banda dei "Grands Bretons". Penetrato nel Sundgau, s'impadronì di Waldenbourg e del castello di La Cluse, infine di Buren. Respinto verso l'Alsazia dai Bernesi nel gennaio 1376, dovette ritirarsi completamente per mancanza di viveri e per timore di disordini da parte dei suoi soldati delusi e scontenti. Aveva conquistato, comunque, Nidau e Buren, che tenne fino al 1388, quando dovette cederli ai Bernesi.

Dopo la morte di Edoardo III (21 giugno 1377) il C. ruppe i suoi legami con l'Inghilterra: rimandò in patria la moglie con la figlia secondogenita e tenne presso di sé la primogenita, Maria. Si impegnò allora nella guerra contro l'Inghilterra e si unì alle forze del duca d'Angiò presso Bergerac, che fu presa il 2 settembre. La rapida conquista delle piazzeforti della regione consentì ai Francesi di minacciare Bordeaux, capitale della Guyenne inglese. Alla fine dell'anno il C. si recò a Cambrai con Bureau de La Rivière, ciambellano di Carlo V, per rendere omaggio all'imperatore Carlo IV e a suo figlio, il re dei Romani Venceslao, prima del loro ingresso in Francia. Dopo la visita imperiale e dopo che il re di Francia si fu convinto dei complotti tramati contro di lui dal re di Navarra Carlo il Malvagio, il C. partecipò alle operazioni della primavera del 1378, con le quali furono occupati tutti i possedimenti normanni del re di Navarra, ad eccezione di Cherbourg, restituita agli Inglesi il 27 luglio. Nel luglio 1380 predispose la difesa della Piccardia contro gli attacchi inglesi: la sua azione fu particolarmente abile al momento dello sbarco di Buckingham a Calais.

Alla morte di Carlo V (16 sett. 1380) il C. fece parte del consiglio di tutela istituito durante la minorità di Carlo VI per controbilanciare l'importanza del reggente, Luigi d'Angiò, fratello del re defunto. Il C., peraltro, era in ottimi rapporti con il reggente che gli donò, il 27 sett. 1380, la castellania di Mortagne-sur l'Escaut. Nel gennaio 1381 troviamo il C. nel consiglio che, sotto la presidenza di Luigi d'Angiò, doveva esercitare il governo nel regno di Francia.

Nel gennaio 1382 il C. negoziò con i promotori della rivolta parigina, detta dei Maillotins, che poi egli represse severamente. Alla fine dell'anno lo troviamo, insieme con il re, in Fiandra dove si svolse la battaglia di Roosebeecke (27 nov. 1382), che segnò la sconfitta dei Comuni fiamminghi. Sempre in questo periodo svolse, insieme con Thierry de Blois, un arbitrato tra la città di Valenciennes e Thierry de Dixmude, partecipò alla guerra contro il duca di Deux-Ponts, nonché alla campagna contro gli Inglesi che, sotto il comando del vescovo di Norwich, avevano invaso le Fiandre (settembre 1383).

Il 29 giugno 1380 la regina Giovanna I di Napoli aveva designato Luigi d'Angiò come erede. Il C. partecipò alle sedute del consiglio francese per decidere l'intervento di Luigi d'Angiò, dopo che Giovanna fu fatta prigioniera da Carlo di Durazzo. Non partecipò tuttavia alla spedizione in Italia che prese il via nel giugno del 1383. Solo quando Luigi d'Angiò si trovò in gravi difficoltà nel meridione della penisola, si ventilò l'opportunità di inviargli rinforzi per via terra sotto il comando del C. (marzo 1383). La necessità di respingere un'invasione inglese fece rinviare l'attuazione di questo progetto di alcuni mesi. Nel luglio del 1384 il C. era sul punto di attraversare le Alpi alla testa di 1.200 o 1.500 lance.

Il 17 giugno 1384 egli aveva prestato al papa, uno dei promotori della spedizione, la somma di 20.000 franchi che doveva essergli rimborsata entro quindici mesi con un guadagno per il C. di 6.000 franchi. Dopo avere assistito a Milano al fidanzamento di Lucia, figlia di Bernabò Visconti, con Luigi II d'Angiò, il C., invece di dirigersi verso l'Adriatico, prese la rotta della Toscana e puntò su Firenze, la cui Signoria appoggiava segretamente Carlo di Durazzo. Questa manovra aveva un doppio obiettivo: indurre i Fiorentini ad una rigorosa neutralità e caso mai a sostenere le spese per il mantenimento delle truppe. La condotta del C. non appare, però, molto chiara: anche se sapeva che navigli carichi di grano provenienti dall'Aragona facevano vela per Taranto e che Luigi d'Angiò aveva conquistato Bari, resta il fatto che questi l'aspettava; e non si capisce perché il C. abbia indugiato in Toscana senza alcuna utilità apparente per la causa del suo principe né per quella dei papa di Avignone. Dopo alcuni diversivi punteggiati da saccheggi a danno delle popolazioni locali, l'esercito del C. si pose l'obiettivo di prendere Arezzo, tenuta da un luogotenente di Carlo di Durazzo, ma che la Signoria sperava di acquistare. La città fu presa il 28 settembre grazie all'aiuto dei Tarlati da Pietramala, ma la notizia della morte del duca d'Angiò (avvenuta il 21 settembre, ma conosciuta con sicurezza il 10 ottobre), indusse il C. a disfarsi della sua conquista alle migliori condizioni possibili. Dopo vani tentativi con Siena, finì per vendere Arezzo ai Fiorentini il 5 nov. 1384 per 40.000 fiorini e la garanzia di una ritirata sicura. Benché Luigi d'Angiò l'avesse nominato, nel testamento dettato sul letto di morte, luogotenente suo e del re di Francia, il C. abbandonò l'Italia.

Rientrato in Francia, partecipò ai festeggiamenti tenutisi ad Amiens in occasione del matrimonio del re con Isabella di Baviera (luglio 1385), non lontano dall'Ecluse dove si facevano grandi preparativi per invadere l'Inghilterra. L'esercito destinato a questa impresa fu in realtà utilizzato soprattutto per riprendere ai cittadini di Gand il porto di Damme, dato che indecisioni nel comando e difficoltà impreviste impedirono di effettuare lo sbarco in Inghilterra. Tutta l'operazione, condotta dallo zio del re, Filippo l'Ardito duca di Borgogna, si concluse con una tregua con gli Inglesi (1388).

Non scemava, nel frattempo, l'interesse del C. per l'Italia. Pensò ad un certo momento di sposare una figlia di Bernabò Visconti, ma la morte di quest'ultimo (1385) lo distolse da tale idea ed egli si risolse a maritarsi con Isabella, figlia del duca di Lorena (febbraio 1386). Comunque fu in Italia dalla fine del mese di settembre 1385 per portare a conclusione le trattative tra il conte di Virtù da un canto e Bologna e Firenze dall'altro dirette a stabilire una difesa comune contro le compagnie di ventura (Boüard, p. 86). Il trattato che seguì lasciava mano libera a Gian Galeazzo Visconti, ormai unico signore di Milano, per combattere i suoi vicini, Francesco da Carrara e Antonio della Scala, signori rispettivamente di Padova e di Verona. Peraltro, la presenza del C. presso il conte di Virtù si spiega anche con il progetto di quest'ultimo di dare in moglie la figlia Valentina al giovane Luigi II d'Angiò, progetto che fallì.

La guerra contro l'Inghilterra impegnò il C. fino al 1388, quando la sospensione del conflitto permise al re di Francia di interessarsi di nuovo alle vicende italiane.

Il momento coincideva con il ritorno al potere degli antichi consiglieri di Carlo V, fra i quali era il Coucy. Questi, facendo parte del consiglio, rafforzò la propria amicizia con il giovane fratello del re, Luigi duca di Touraine (dal 1392 duca d'Orléans), il quale nel 1386 aveva sposato Valentina Visconti. In quello stesso tempo il re di Francia ebbe la possibilità di occuparsi nelle rivendicazioni di Luigi II d'Angiò sul Regno di Napoli: il C. assistette all'incoronazione del giovane principe che ebbe luogo ad Avignone il 1º novembre 1389.

Non lo seguì, però, a Napoli. Il C. accettò, infatti, il comando di uno dei tre corpi di spedizione che nel maggio del 1390 partirono per la Tunisia: l'impresa era stata decisa dal re di Francia su richiesta dei Genovesi e messa agli ordini del duca di Borbone. Non riuscendo ad impadronirsi del porto di Mahdia, il C. fu tra coloro che consigliarono di ritornare in Europa; decisione questa che costò molto cara ai Genovesi, i quali, comunque, utilizzarono il viaggio di ritorno per occupare a nome della Repubblica Cagliari, Ogliastro e Terracina che servivano come basi di rifornimento ai corsari barbareschi.

Appena il C. rientrò a Parigi, il consiglio reale decise di dare il via a una grande spedizione in Italia: Carlo VI in persona doveva attraversare le Alpi nel marzo del 1391 alla testa di un esercito di almeno 12.000 lance, comandate oltre che dal C., dal conte di Savoia, e dai duchi di Touraine, di Berry, di Borgogna e di Borbone. Obiettivo ufficiale dell'impresa era di ristabilire Clemente VII a Roma. Ma le offerte di pace avanzate allora dal re d'Inghilterra Riccardo II, forse sollecitato dal papa Bonifacio IX preoccupato dal progetto francese, fecero rinviare l'attuazione del progetto.

Le ambizioni di Gian Galeazzo Visconti e i timori della Repubblica fiorentina continuavano a condizionare la situazione in Italia: i due antagonisti puntavano entrambi sull'appoggio del re di Francia, ma il conte di Virtù era avvantaggiato dal fatto che il fratello del re era suo genero. Nel gioco delle pressioni che agitavano la corte francese il C. era decisamente dalla parte del signore di Milano: mentre si preparava la spedizione in Italia, egli accettò di recarsi presso Giovanni III d'Armagnac per tentare di dissuaderlo dal mettersi al soldo dei Fiorentini contro Gian Galeazzo Visconti, perché questa alleanza era incompatibile con gli ambiziosi progetti del re di Francia: ma il tentativo fallì. La fine della lotta tra la lega toscana e il signore di Milano fu contrassegnata in Francia da una crescente influenza di Luigi de Touraine e in generale da una ripresa dell'offensiva diplomatica verso l'Italia.

Bona di Borbone, reggente degli Stati di Savoia e madre del defunto conte Amedeo VII, morto a quanto si diceva avvelenato, per difendersi dalle accuse degli avversari chiese un arbitrato della corte francese. Carlo VI inviò a Chambéry una commissione della quale faceva parte il C. per risolvere la controversia: l'8 maggio 1393 fu pronunciato un lodo arbitrale che confermava provvisoriamente la reggenza a Bona e concordava il matrimonio del giovane conte Amedeo VIII con Maria figlia del duca di Borgogna. Da Chambéry il C. si diresse verso Avignone, dove arrivò il 16 maggio. Era incaricato di negoziarvi una importante missione insieme con il vescovo di Noyon, Philippe de Moulins, ed il segretario del re, Jean de Sains. Si trattava di ottenere dal papa una bolla in favore di Luigi d'Orléans in tutto simile a quella del 17 apr. 1379 che aveva creato il regno d'Adria per Luigi dAngiò. Il progetto era stato ispirato dal conte di Virtù che pensava di appoggiarsi al genero per estendere la sua influenza in Italia a danno dei Fiorentini. Il papa esitò a ripetere un gesto che gli si era rivelato contrario agli interessi della S. Sede. Fece fallire le trattative e una seconda ambasceria del C. nel maggio del 1394 non ebbe alcun successo. Il progetto del regno d'Adria si eclissò definitivamente dopo la morte improvvisa di Clemente VII, sopraggiunta il 16 settembre.

Nel frattempo, però, si era aperto un nuovo settore alle aspirazioni francesi: Carlo VI e suo fratello cominciarono a ricevere inviti da parte di Genovesi che volevano affidare ad un principe straniero il governo della città dilaniata dalle discordie. L'insediamento di un principe francese a Genova non poteva essere realizzato senza l'accordo dei signore di Milano. L'8 luglio 1394 il C. venne nominato procuratore e commissario generale del duca d'Orléans e capitano delle sue truppe in Lombardia. Nel corso dell'estate furono reclutate truppe che egli condusse ad Avignone (4 settembre) e di lì ad Asti, città controllata dal duca d'Orléans, il 22 settembre. Quindi passò a Pavia, dove si accordò con Facino Cane in previsione di un'azione militare contro Genova, ma anche per predisporre il terreno ad un accordo con Gian Galeazzo Visconti. L'obiettivo era la conquista di Genova e della Liguria per il duca d'Orléans. Dopo essersi accordato con il marchese del Monferrato (16 ottobre) e con il principe di Acaia (21 novembre), il C. trattò con vari signori locali (Fieschi, Del Carretto, Doria), reclutò nuove truppe provenienti in parte dai resti dell'esercito di Giovanni III d'Armagnac e riuscì a mettere insieme circa 3.000 uomini. Gli avvenimenti politici della Repubblica di Genova, dove il potere fu ripreso nel corso dell'estate dal doge Antoniotto Adorno, nemico giurato di Savona, consigliarono a quest'ultima di chiedere l'aiuto dei Francesi e il 3 nov. 1394 la città si dette al duca d'Orléans ponendo certe condizioni. Il C. le accettò tutte, sperando, peraltro, di riuscire a ritrattarle una volta conquistata Genova, perché in realtà egli faceva il doppio gioco, e prometteva al doge Adorno di consegnargli Savona appena si fosse data al duca d'Orléans. All'inizio di dicembre, ricevuti pieni poteri da Carlo VI e dal duca d'Orléans, si recò a Pavia per accordarsi con Gian Galeazzo Visconti: questi s'impegnò a collaborare con il re di Francia per porre termine allo scisma e concluse con costui un'alleanza difensiva-offensiva.

Dal canto suo Genova avendo deciso di darsi al re di Francia e non al duca d'Orléans, cominciò a preoccuparsi delle manovre del Coucy. I delegati di Adorno andarono a pregarlo di non considerarsi solo il luogotenente del duca d'Orléans e di ricordarsi che Carlo VI l'aveva anche nominato suo "procuratore e commissario generale al di là dei monti". Il C. non riuscì a catturare i messaggeri genovesi inviati a Parigi il 25 novembre con l'incarico di offrire al re la sovranità sulla città, con la preghiera di prenderla subito, prima che il duca d'Orléans - e quindi il C. - facesse altri danni alla Repubblica. Egli, tuttavia, continuò a perseguire i progetti del duca d'Orléans in vista dell'eventuale conquista di Bologna e delle Marche. Cercò anche di interessare Venezia e Firenze alla questione genovese.

Ad evitare le conseguenze di una decisione del re su Genova, decisione che la malattia mentale di Carlo VI ritardava, Luigi d'Orléans sollecitò la conquista di Genova. Con l'aiuto del conte di Virtù il C. si propose di allontanare l'Adorno dalla città, ma le difficoltà di tesoreria, che lo costrinsero ad impegnare i gioielli e il vasellame, provocarono la disaffezione delle truppe. Il colpo di grazia giunse il 15 marzo, quando egli apprese ad Asti che il re di Francia aveva accettato le offerte dei Genovesi e aveva deciso che il duca d'Orléans gli avrebbe ceduto Savona per la somma di 300.000 franchi: era l'opposto di quanto stabilito nell'accordo concluso con il C. il 17 novembre precedente. Con la stessa occasione gli fu dato ordine di licenziare le truppe e di unirsi agli ambasciatori inviati da Parigi per trattare con i Genovesi le condizioni alle quali essi offrivano la signoria al re di Francia. Il C., piuttosto deluso dalla piega degli avvenimenti, che rimettevano in discussione tutti i progetti di Luigi d'Orléans in Italia, non si recò a Genova e rinforzò invece le difese di Savona, assediata dall'Adorno. Il 9 giugno diede ordine di reclutare truppe e riprese la campagna in nome del duca d'Orléans. Le operazioni iniziarono celermente, ma il 12 luglio il C. fu ferito all'assedio di Laigueglia e, non più in grado di guidare le truppe, si ritirò a Cherasco. Nel frattempo aveva ricevuto da Luigi d'Orléans l'ordine di difendere Savona. Malato e colpito dalla febbre, restò ancora in Piemonte per consolidare la posizione di Savona impiegando a tale scopo le somme avute per la dote di Valentina Visconti. Lasciò definitivamente Asti il 13 ott. 1395 dopo avere rilasciato ai Savonesi, che gliel'avevano richiesto, un documento con il quale confermava le disposizioni del trattato concluso il 17 nov. 1394.

Rientrato in Francia, si fece rimborsare dal duca d'Orléans le spese per la campagna e alla fine di aprile del 1396 lasciò Parigi per rispondere all'appello lanciato da re Sigismondo d'Ungheria contro i Turchi di Bāyazīd I. Sulla via per Venezia egli si fermò a Milano dove eseguì una ultima missione per incarico di Carlo VI: quella di distogliere Gian Galeazzo Visconti dal suo atteggiamento ostile alla Francia nella questione genovese. Era accompagnato da una quindicina di cavalieri al soldo di Luigi d'Orléans.

Fatto prigioniero alla battaglia di Nicopoli il 28 sett. 1396, morì a Brussa (in turco Bursa) in Bitinia il 18 febbr. 1397.

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