VISCONTI, Ennio Quirino

Enciclopedia Italiana (1937)

VISCONTI, Ennio Quirino

Giulio Quirino Giglioli

Insigne archeologo e umanista, nato a Roma il 1° novembre 1751 da Giovan Battista Visconti. Il padre pose subito ogni cura nell'istruzione del figlio, il quale cominciò a far parlare di sé come fenomeno a tre anni e otto mesi. lnfatti in un saggio dimostrò di conoscere i ritratti di tutti gli imperatori romani, di saper leggere i caratteri italiani, latini e greci, e tante altre nozioni miracolose a quell'età. Altri saggi posteriori confermarono l'eccezionale cultura del giovanetto, che, a tredici anni, già era in grado di tradurre con grande abilità l'Ecuba di Euripide e, pur conservando la più vivace natura giovanile, possedeva quella formidabile cultura umanistica che gli permise di essere il più geniale e dotto archeologo del tempo, e il consulente ricercatissimo degli studiosi dell'antica letteratura, come avvenne per il Monti, il quale dovette a lui il minuto riscontro della traduzione dell'Iliade che in questo modo riuscì, pur ignorando egli il greco, la migliore esistente.

ll 7 agosto del 1771 E. Q., al quale il padre, che sognava per lui l'ascesa al cardinalato e forse al pontificato, aveva fatto seguire gli studî di legge, si laureò in giurisprudenza. Pio VI gli conferì la carica di cameriere d'onore, più due pensioni ecclesiastiche e l'uffizio di custode della Biblioteca Vaticana. Ma il giovane, il quale forse, come dimostra la sua futura entusiastica adesione alla Repubblica Romana, aveva anche tendenze volterriane, non sentiva vocazione alcuna al sacerdozio e mai si piegò ai voleri del padre, il quale, quando poi apprese la sua volontà di sposare una giovinetta, Teresa Doria, giunse ad ottenere dal papa la soppressione dell'impiego e delle pensioni. E. Q. trovò ricetto in casa del principe Sigismondo Chigi, che lo fece suo bibliotecario, dandogli ad assistente il giovane abate Carlo Fea. Lo sdegno paterno dovette per necessità placarsi quando, avendo avuto nel 1778 incarico dal papa di illustrare il museo Pio Clementino, fu costretto, se voleva fare cosa degna (e in ciò il vecchio si rivelò chiaroveggente), a ricorrere al figlio già autore di eruditissimi e geniali scritti. Il V., amico intimo del Piranesi e del Guattani, dottissimo e laboriosissimo, compì il primo volume, che nel 1783 pubblicò col solo nome di suo padre. Morto Giovan Battista, E. Q. fu subito incaricato di continuare l'opera.

ll secondo volume, che suscitò anche maggiori consensi del primo, uscì nel 1785: seguì il quarto nel 1788 mentre il terzo fu pubblicato solo nel 1790. Il quinto uscì nel 1796, il sesto nel 1798 e infine il settimo, dopo lunga interruzione dovuta agli avvenimenti politici, solo nel 1807.

Intanto si addensava sull'Italia la bufera dell'invasione francese e col trattato di Tolentino si imponeva la cessione di cento capolavori alla Francia. La condotta del V. in questa circostanza è poco chiara. Egli, fino dal 1793, al tempo dell'eccidio di Basserville, cominciava a partecipare all'azione favorevole alla Francia. Quando poi alla fine del 1797 avvenne l'eccidio del generale Duphot, che servì di pretesto al Direttorio di Francia per decidere l'occupazione di Roma, che avvenne nel febbraio 1798, il V. prese un atteggiamento decisissimo. Fin dal 29 gennaio 1798 infatti inviò una memoria al Direttorio di Francia schierandosi dalla sua parte e dando preziose informazioni. La cosa è veramente dolorosa, perché mostra che il V. non solo mal ripagava la fiducia di Pio VI, ma faceva ciò dopo che quel museo stesso, fondato da suo padre e da lui con tanto amore e tanta dottrina illustrato, era stato privato dei più insigni capolavori. Della Repubblica Romana il Visconti fu uno dei consoli, carica che tenne fino al settembre, quando fu destituito perché si era, nonostante le affermazioni contrarie dei suoi avversarî, opposto agli abusi finanziarî.

Il V. intanto era stato nominato membro della sezione di storia e antichità del nuovo Istituto nazionale delle scienze e delle arti, della quale fu presidente.

Pur essendo stato per la sua intransigenza e onestà messo fuori dalle cariche e quasi tenuto in stato di arresto, il V. era troppo compromesso per restare a Roma alla prima occupazione napoletana del 28 novembre 1798, durante la quale riparò a Perugia. Ritornò a Roma nel maggio 1799 al ritirarsi dei Napoletani, ma quando essi nel novembre successivo rioccuparono ancora una volta Roma, fuggì con la moglie e i figli in Francia, dove doveva rimanere fino alla morte.

Nominato infatti subito amministratore del Museo di antichità e dei quadri del Louvre, fu accolto con grandi onori e gli fu creata una cattedra di archeologia. In breve l'insigne studioso, che un suo contemporaneo, il Millin, definì la più bella conquista fatta dalla Francia in Italia, divenne il capo dell'archeologia a Parigi. Conservatore delle antichità nel 1803, quando il Primo Console riordinò l'Istituto di Francia fu da lui nominato membro per la classe di belle arti; l'anno seguente l'Istituto stesso volle eleggerlo membro anche della classe di storia e letteratura antica.

Quando, istituito l'Impero, papa e cardinali passarono a Parigi, la casa del V. nonostante le sue avventure politiche, divenne per questi ultimi un centro di riunione. Oltre a numerose memorie alcune delle quali tuttora inedite, il V. pubblicò il catalogo del Museo Napoleone; e, specialmente per incarico dell'imperatore, si accinse a due opere colossali: l'iconografia greca e quella romana. Per la prima volta, tutto il materiale iconografico allora esistente fu riunito ed esaminato con severo metodo scientifico.

L'importanza di quest'opera lo fece prendere dopo la Restaurazione sotto la protezione degli stessi Borboni, che nel 1817 curarono la stampa della parte romana, rimasta purtroppo incompiuta per la morte del Visconti, avvenuta il 7 febbraio 1818.

Molte delle conclusioni iconografiche del V. sono rimaste acquisite alla scienza, come si deve a lui l'identificazione di alcuni dei capolavori dell'arte greca, quali l'Afrodite di Cnido di Prassitele, l'Eirene di Cefisodoto, il gruppo di Menelao e Patroclo detto Pasquino, ecc.

Alla caduta del regime napoleonico, il V., che ormai era divenuto un francese, si maravigliò e addolorò di quello smembramento del Museo Napoleone, che pure, per merito soprattutto del Canova, permise a Roma e all'Italia di riavere la maggior parte dei capolavori perduti. In quegli anni egli dette prova dell'altissima sua competenza archeologica nel giudizio entusiasta dato al governo inglese sul valore delle sculture del Partenone portate in Inghilterra da lord Elgin, mentre lo stato frammentario e corroso impediva anche a eminenti studiosi del tempo di riconoscerne il valore. Il V. è sepolto a Parigi nel cimitero del Père Lachaise.

Bibl.: Vedi G. Sforza, E. Q. V. e la sua famiglia, in Atti della Soc. Ligure di st. patria, LI, Genova 1923, sia per la bibl. completa degli scritti, sia per la citazione delle pubbl. biografiche precedenti.

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