NORIS, Enrico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 78 (2013)

NORIS, Enrico

Maria Pia Donato

NORIS, Enrico (Girolamo). – Nacque a Verona il 29 agosto 1631 da Alessandro e da Caterina Manzana, battezzato con il nome di Girolamo.

Inviato a 15 anni al collegio dei gesuiti di Rimini per lo studio delle umanità, già nel 1647 intraprese il noviziato presso gli eremiti agostiniani nel convento di S. Giovanni Evangelista della città romagnola. Nel 1649 fu mandato a Pesaro come magister studentium; due anni dopo si recò per gli studi di filosofia e teologia presso lo studio generale dell’ordine a Roma, dove, nel 1652, ricevette gli ordini minori. Intorno al 1655, fece uno degli incontri decisivi per la sua evoluzione: quello con il confratello lovaniense Christian Wulf (Lupus) che, recatosi a Roma per difendersi dalle accuse di giansenismo, vi rimase per alcuni anni, svolgendo un ruolo di primo piano nell’apertura della cultura romana, ancora plasmata dall’impronta scolastica e barocca, alla teologia positiva e all’erudizione storico-ecclesiastica, alla quale Noris avrebbe significativamente contribuito.

Ottenuto il lettorato, nel 1658 tornò come reggente degli studi a Pesaro, sede alla quale seguirono Perugia (1662-63, anno in cui tornò a Roma per ottenere il titolo di magister di teologia), Firenze (1664-66) e Padova, dal 1666. Intanto aveva intessuto i primi rapporti con eruditi e collezionisti come Antonio Magliabechi, Giovanni Lazara, Charles Patin. In una data imprecisata fu ordinato sacerdote. A Padova si dedicò allo studio delle antichità ecclesiastiche e della teologia, avviando la composizione della Historia Pelagiana. Chiamato a Roma nel 1672, riuscì in pochi mesi per motivi di salute a farsi rimandare in Veneto per portare a termine l’opera, che venne pubblicata nel 1673 con il titolo di Historia Pelagiana, Dissertatio de Synodo V oecumenica in qua Origenis ac Thodoris Mopsuesteni pelagiani erroris auctorum iusta damnatio exponitur … additis Vindiciis Augustinianis pro libris a S. Doctore contra pelagianos ac semipelagianos scriptis.

L’opera, che contiene un’ampia esposizione della lotta sostenuta da Agostino contro Pelagio e i suoi seguaci – un tema già affrontato da diversi storici della Chiesa, da Baronio a Vossius, e dallo stesso Giansenio – si avvale dell’erudizione coeva, che aveva già significativamente incrementato la disponibilità di fonti storico-canonistiche, e inoltre inserisce una dimensione dottrinale più esplicita attraverso un’approfondita trattazione dell’insegnamento agostiniano sul peccato originale e individuale, il libero arbitrio e la grazia. Tale rilettura si proponeva manifestamente come un’alternativa all’Augustinus di Giansenio, la cui condanna aveva scoperto il fianco di tutta la teologia agostiniana, e al tempo stesso rappresenta un’articolata confutazione in controluce del molinismo. Più espressamente polemica, sebbene ancorata al modulo storico-erudito, è la terza parte dell’opera, le Vindiciae, nella quale Noris ricostruisce una galleria di personaggi illustri per sapienza e santità che si attennero all’insegnamento agostiniano, confutando le accuse che gli autori moderni, specialmente gesuiti, indirizzavano ad Agostino come ispiratore prima di Lutero e Calvino, poi di Giansenio.

Il libro sollevò vivacissime reazioni. Già prima della pubblicazione, in verità, i revisori dello Studium di Padova avevano sottoposto il manoscritto al S. Uffizio a Roma. In effetti, nonostante ripetuti divieti papali, le controversie sulla grazia tra le diverse scuole teologiche non avevano fatto che acuirsi dopo la condanna di Giansenio, causando l’apertura di diversi procedimenti inquisitoriali. Noris si trovò quindi di fronte a uno schieramento antirigorista già delineato e guidato dal card. Francesco Albizzi, la cui opposizione superò grazie in larga misura al sostegno del card. Giovanni Bona. In seguito, l’opera di Noris fu oggetto di forti critiche, non solo da parte dei gesuiti (che riuscirono comunque a impedirne la circolazione in Francia grazie all’influenza del confessore del re Jean Le Tellier). Particolarmente vivace fu la reazione del minore osservante Francesco Macedo, allora lettore di morale a Padova, vertente essenzialmente sull’accusa di semipelagianesimo che ricadeva nella ricostruzione di Noris sui ss. Vincenzo di Lerin e Ilario di Arles. Tra i due scorsero fiumi di inchiostro, con l’intervento di altri autori, e la polemica finì per comportare, nel 1676, l’inquisizione dell’opera di Noris per sospetto baianesimo e giansenismo. Fu assolto da ogni accusa con l’appoggio dell’ ampio fronte antilassista che si era riunito in Curia e anche in S. Uffizio, che avrebbe portato da lì a breve alla condanna del probabilismo. A questa contribuì grandemente Lupus, tornato a Roma con una deputazione di teologi di Lovanio: nonostante il comune impegno per la difesa dell’agostinismo, tuttavia, Noris si tenne defilato nelle controversie sull’attrizione che culminarono nella condanna del 1679.

Nel 1673, grazie all’intercessione di Magliabechi, Cosimo III aveva nominato Noris suo teologo e lettore di storia ecclesiastica a Pisa, a cui si aggiunse dal 1677 la cattedra di sacre scritture. Fu anche istruttore del giovane Ferdinando de’ Medici (1663-1713). Nella città toscana, centro di una vivace vita intellettuale in rinnovamento grazie alla politica medicea di protezione delle scienze, trascorse anni di intenso lavoro, dedicandosi all’erudizione sacra e profana.

Risalgono a questo periodo la Istoria delle investiture delle dignità ecclesiastiche, pubblicata postuma nel 1741, un ampio studio della lotta per le investiture dai tempi di Innocenzo III, nel quale esaminava pure le origini della regalia pretesa da Luigi XIV con la dichiarazione di Saint-Germain del 1673, e diversi scritti antiquari e numismatici, miranti non da ultimo a illustrare le collezioni medicee in un’epoca in cui l’antiquaria acquistava crescente importanza nel patriottismo toscano, come Duplex dissertatio de duobus nummis Diocletiani et Licinii... (Firenze 1675), e Cenotaphia pisana Caii et Lucii Caesarum dissertationibus illustrata… (Venezia 1681).

Le sue opere principali in veste di antiquario – l’Epistola consularis in qua collegia LXX consulum ab anno … XXIX … usque ad annum CCXXIX… in vulgatis fastis hactenus perperam descripta, supplentur et illustrantur (Bologna 1683), e Annus et epochae Syromacedonum in vetustis urbium Syriae nummis prasertim Mediceis expositae. Additis Fasti Consulares anonimi e manuscripto Bibliothecae Caesareae deprompti (Firenze 1689) – correggevano su vari punti la cronologia stabilita e gli valsero ottima fama.

Noris intanto aveva intessuto fitti rapporti con importanti eruditi in Italia e in Europa. Da Roma, dove il numero dei suoi estimatori era cresciuto a misura delle aspirazioni a una riforma della cultura teologico-ecclesiastica dopo la svolta neotridentina del papato di Innocenzo XI, gli fu offerta già nel 1681 (a istanza di Cristina di Svezia, che lo aveva inserito nel novero dei suoi Accademici reali nel 1674) la carica di secondo custode della Biblioteca Vaticana, che declinò. Alla morte di Emmanuel Schelstrate, nel 1692 accettò invece il posto di primo custode.

Appena arrivato a Roma, la sua competenza in materia di prerogative reali fu sollecitata dal papa a proposito della régale, all’epoca in via di risoluzione e tuttavia ancora bloccata sulle sanzioni da applicare ai prelati che avevano sottoscritto la dichiarazione dei 4 articoli dell’assemblea del clero di Francia del 1682 e il giuramento al re del 1689. Noris si allineò sulla posizione del rigore, che avrebbe condotto la S. Sede a pretendere la completa ritrattazione della dichiarazione del 1682. Intanto, già preceduto da una fama di studioso, si affermava nelle istituzioni culturali romane, divenendo un punto di riferimento specialmente di eruditi e prelati veneti in curia. A Roma pubblicò alcune dissertazioni di argomento storico-ecclesiastico e storico-liturgico, mentre lavorava a una storia dell’eresia donatista che avrebbe idealmente completato l’altra sul pelagianesimo, ma che fu pubblicata solo postuma.

Non passò molto tempo, tuttavia, che le Vindiciae (intanto ristampate a Bruxelles e a Lipsia) tornarono sotto accusa al S. Uffizio. Il conventuale Lorenzo Brancati da Lauria estrapolò una lista di proposizioni sospette di giansenismo che furono esaminate da una commissione di teologi. Ancora una volta, nel 1694 l’opera fu scagionata, e la vicenda si trasformò in un successo per lui che fu nominato qualificatore del S. Uffizio. «Ella riderebbe nel sentirmi pronunziare sentenze di tortura, di prigioni, di galera, vedendomi di cronista fatto criminalista ... io sto al tavolino col corpo, ma con la mente nel paese di Malabar, per stendere un consulto per quei missionari», scriveva a Magliabechi (Clarorum Venetorum, I, p. 272). Nonostante la modestia, giocò un ruolo importante in diverse questioni che agitavano allora la Chiesa, anche dopo la sua elevazione al cardinalato.

Fu creato cardinale nel concistoro del 12 dicembre 1695, alla prima promozione di Innocenzo XII, e assunse il titolo di S. Agostino nel gennaio 1696. La sua promozione gratificava la corte di Firenze, ma rispondeva soprattutto all’affermazione di un modello di prelato integerrimo e dotto che caratterizzò l’età neotridentina, specialmente a ridosso dell’abolizione del nepotismo; insieme con altre nomine coeve che videro un’ampia rappresentanza di teologi di ispirazione rigorista, sanciva inoltre i nuovi equilibri dottrinali in Curia.

Da cardinale fu attivo prevalentemente nel S. Uffizio e nella congregazione dell’Indice. In questa cercò senza successo di opporsi alla condanna dei bollandisti Daniel van Papenbroek e Godefroid Henskens, mentre nell’Inquisizione giocò un importante ruolo nella complessa procedura che portò nel 1699 alla condanna delle Maximes des Saints di Fénelon. Dal punto di vista dottrinale, riteneva Fénelon apertamente quietista, ma come membro della commissione cardinalizia nominata dal papa per studiare il modo di non irritare la corte di Francia presso la quale il vescovo di Cambrai godeva di potenti protezioni, accettò la soluzione di un breve semplice di condanna senza titolo e nome dell’autore e senza dichiarare eretica nessuna proposizione. Si occupò inoltre a lungo dei riti malabarici e cinesi, e fece anche parte su quest’ultima questione della commissione cardinalizia che esaminò i quesiti proposti dal missionario francese Charles Maigrot, assumendo, in linea con i principi dell’agostinismo, una posizione negativa nei confronti degli accomodamenti.

Nel marzo 1700 assunse formalmente la guida della Biblioteca Vaticana con il titolo di bibliotecario di S. Chiesa. In quello stesso anno, partecipò al conclave che elesse Clemente XI, candidato di ripiego degli zelanti ma non sgradito alla Francia, equidistante in teologia ma pur sempre fautore degli indirizzi di riforma di ispirazione neotridentina.

Da Clemente XI Noris, che aveva anni prima pubblicato una dissertazione De cyclo paschali Ravennate annorum XCV (Firenze 1691), fu incaricato nel 1701 di esaminare con una commissione particolare di cui faceva parte anche il connazionale e protetto Francesco Bianchini, esperto di cronologia e di astronomia, la possibile riforma del calendario, da tempo caldeggiata da astronomi e studiosi sia protestanti (in particolare da Leibniz) sia cattolici, che tuttavia si risolse in un nulla di fatto.

Ormai da tempo indebolito e quasi cieco, morì il 23 febbraio 1704. Fu sepolto nella sua chiesa titolare.

Noris è considerato il fondatore della scuola agostiniana italiana. La sua Historia Pelagiana ebbe non meno di dieci edizioni nel Settecento, oltre a tre edizioni nelle raccolte di Opera (delle quali la migliore fu pubblicata a cura di Pietro e Girolamo Ballerini a Verona nel 1729-34). In quanto tale, continuo però a essere al centro di attacchi e polemiche: proprio l’edizione dei Ballerini nel 1747 fu proibita dall’Inquisizione spagnola. Gli agostiniani ottennero nel 1748 da Benedetto XIV una lettera a difesa dell’ortodossia di Noris, e tuttavia Roma non conseguì prima del 1758 la cancellazione dall’Indice spagnolo.

Opere: Oltre a quelle citate, tutte più volte ristampate integralmente o parzialmente e incluse nelle varie collezioni di Opera, si ricordano: Adventoria amicissimo ac doctissimo viro P. Francisco Macero… in qua de inscriptione libri S. Augustini de gratia Christi … disseritur, Firenze 1674; Ad Antonium Magliabechium … in nota Ioannis Garnerii ad inscriptiones episturalum synodalium XC et XCII inter augustinianas censura, ibid. 1674; Concessiones officii et missae de S. Silicio papa, Roma 1688; De cruce stationali, ibid. 1694; Historica dissertatio de uno ex Trinitate in carne passo, ibid. 1695. Furono pubblicati postumi Parenesis ad … Joannem Harduinum…, Amsterdam 1709; Historia donatistarum ex Norisianis schedis excerpta, Verona 1732; Opuscula aliquot norisiana nimirum Historiae Gothescalcanae synopsis, ibid. 1732.

Fonti e Bibl.: Il corpus documentario più consistente è conservato alla Biblioteca Angelica di Roma, dove i mss. 179-184 contengono documenti sui principali affari teologici affrontanti da Noris. Questi sono ormai da integrare con la documentazione di e su Noris presso l’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, in particolare per le censure contro l’Historia Pelagiana e scritti collegati: S. Offitii, Censurae librorum 1676, 20; St. st. N 3 k, l; UV 1. Sull’opera di Fénelon: St. st. N 1 m, n, o; sulla régaleSt. st. E 1 b. Inoltre, un voto di Noris sull’Immacolata Concezione in St. st. M 6 c. Alla Biblioteca nazionale di Roma, ms. Vitt. Em. 838 è un Breve racconto dell’origine dei dispareri nati tra i pp. Maestri Macedo osservante e N. agostiniano. Il ms. 911 dell’Angelica contiene 123 lettere di Noris al confratello Diodati Nuzzi. Importanti carteggi furono pubblicati già nel Settecento, in particolare Clarorum Venetorum ad A. Magliabechium … epistolae, I, Firenze 1745; Lettere del card. N. sopra vari punti di erudizione, scritte a diversi, in appendice a Istoria delle investiture, Mantova 1741; Joannis Bona…epistolae selectae, Torino 1755, p. 298-306, cui si aggiungano L.G. Pélissier, Le cardinal Henri de N. et sa corréspondance, Roma 1890, e C. Nicaise, Lettres de l’abbé Nicaise au cardinal N. (1686-1701), Besançon 1903. Si vedano poi: F. Bianchini, Vita del cardinal E. N. veronese detto Lucrate Agorettico, in Le vite degli arcadi illustri, I, Roma 1708, pp. 199-222; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt, VI, Pisa 1780, pp. 8-121; C. Cipolla, Note di storia veronese. Appunti sul card. E. N. da due mss Corsiniani, in Nuovo Archivio veneto, n.s., VII (1904), pp. 126-138; G. Bolla, E. N., Bologna 1931; D.A. Perini, Bibliographia augustiniana cum notis biographicis. Scriptores itali, III-IV, Firenze 1935, pp. 20-27; A.M. Martínez, Introducción a la teología del cardenal Enrique N., agustino (1631-1704), Santiago de Chile 1946; F. Rojo Martínez, Ensayo bibliográfico de N., Bellelli y Berti, in Analecta Augustiniana, XXVI (1963), pp. 294-331; B. van Luijk, Le controversie teologiche nei secoli XVII-XVIII, in Augustiniana, XIII (1963), pp. 201-225; M.K. Wernicke, Kardinal E. N. und seine Verteidigung Augustins, Würzburg 1973; M.P. Donato, Le strane mutazioni di un’identità: il “letterato” a Roma 1670-1750, inGruppi ed identità sociali nell’Italia di età moderna. Percorsi di ricerca, a cura di B. Salvemini, Bari 1998, pp. 275-314; R. Marzocchi, La biblioteca del cardinale E. N., in Bibliotheca, I (2003), pp. 135-155; P. Stella, Il giansenismo in Italia, I, Roma 2006, p. 60 e passim.

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