PRAMPOLINI, Enrico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

PRAMPOLINI, Enrico

Marco Pierini

PRAMPOLINI, Enrico. – Nacque a Modena il 20 aprile 1894 da Vittorio, capotecnico alla Manifattura tabacchi, e da Anita Mezzani.

Il fratello maggiore Alessandro (Venezia, 12 ottobre 1891 - Roma, 27 dicembre 1976) fu attivo nell’ambiente culturale delle avanguardie come critico d’arte e letterario, poeta e traduttore con lo pseudonimo di Vittorio Orazi.

L’infanzia e l’adolescenza di Prampolini furono caratterizzate dai continui trasferimenti dovuti al lavoro del padre (Lucca, Chiaravalle Marche, Torino, Viareggio); giunse infine a Roma dove nel 1912 si iscrisse all’Accademia di S. Luca, divenendo allievo di Duilio Cambellotti. Le opere di questo periodo si inscrivono pienamente all’interno della cultura figurativa tardosimbolista, come dimostrano anche le illustrazioni pubblicate sulle riviste L’artista moderno di Torino e Primavera di Roma, mentre in Orifiamma (Ferrara) e nella napoletana Cronache teatrali, artistiche, letterarie apparve di frequente nelle vesti di critico e di recensore.

Assai intensa risulta la sua attività di illustratore lungo il secondo e il terzo decennio, durante i quali collaborò con numerose riviste adeguando lo stile al carattere più popolare (La donna, Noi e il mondo, Varietas) o viceversa più elitario o avanguardistico (Cronache d’attualità e La ruota, entrambe dirette da Anton Giulio Bragaglia, L’eroica, Noi) della testata, spostando quindi di volta in volta il registro dall’allora universalmente diffuso gusto secessionista a uno stile che rimeditava le più aggiornate ricerche artistiche europee.

Nel febbraio del 1913 visitò (e recensì su L’artista moderno del 25 marzo) la I Esposizione di pittura futurista allestita al ridotto del teatro Costanzi di Roma. Da allora si volse con entusiasmo al movimento di Filippo Tommaso Marinetti e cominciò a frequentare l’atelier di Giacomo Balla, sebbene la sua militanza, con profondo e più volte espresso dispiacere, non fosse stata mai ufficialmente riconosciuta dai futuristi fino al 1917, quando Marinetti stesso lo ammise nei ranghi.

Al 26 agosto 1913 risale la pubblicazione del primo scritto teorico di carattere futurista, Il colore dei suoni, uscito su La gazzetta ferrarese – una settimana prima dell’analogo manifesto La pittura dei suoni, rumori e odori di Carlo Carrà – e ripubblicato, con leggere varianti e titolo mutato in La cromofonia e il valore degli spostamenti atmosferici, su L’artista moderno il 10 dicembre. Nel biennio successivo partecipò alle sue prime mostre futuriste presentando opere, oggi in gran parte perdute, influenzate tanto dal dinamismo plastico di Umberto Boccioni quanto dalla coeva produzione di Balla. Intensificò in parallelo la riflessione teorica con un manifesto sull’architettura futurista (successivamente intitolato L’atmosferastruttura) apparso sul Piccolo Giornale d’Italia del 29-30 gennaio 1914 e con lo scritto La pittura pura, polemica risposta dalle pagine dell’Artista moderno del 10 gennaio 1915 a un testo di Vasilij Kandinskij uscito sulla Rassegna contemporanea nell’ottobre dell’anno precedente.

Alla metà del decennio, assieme a Balla e Fortunato Depero, fu protagonista della svolta del futurismo romano in direzione di un’astrazione sintetica analogica, perfettamente esemplificata dalle parole del Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo del marzo 1915, sottoscritto da Balla e Depero: «troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme [...] per formare dei complessi plastici che metteremo in moto». Donna + ambiente del 1916, due prove scultoree in gesso del 1917 raffiguranti il ritratto del fratello e quello dell’amico Bino Sanminiatelli e Costruzione spaziale - Paesaggio, probabilmente del 1919, sono tra le migliori testimonianze superstiti di questo momento creativo.

Al 1916 risalgono le scenografie in stile secessionista, con marcati elementi astratto-geometrici, del film Thaïs di Anton Giulio Bragaglia, anticipatrici – per il ruolo determinante che le scene dipinte hanno nella costruzione dell’opera – di quelle che avrebbero caratterizzato la cinematografia dell’espressionismo tedesco. Nello stesso anno si colloca l’incontro con Tristan Tzara, in seguito al quale fu invitato a collaborare con illustrazioni alla rivista Dada, mentre l’anno successivo conobbe Pablo Picasso, Jean Cocteau, Igor Stravinskij e Léon Bakst, giunti a Roma al seguito dei Ballets russes di Sergej Djagilev.

Il 17 giugno 1917 uscì il primo fascicolo di Noi, fondata insieme a Sanminiatelli come «rivista internazionale d’arte d’avanguardia», secondo quanto recitava il sottotitolo. Fino alla chiusura della prima serie, nel gennaio 1920, il periodico si propose come specchio delle avanguardie europee, con particolare attenzione al dadaismo, ospitando interventi di Tzara, Marcel Janco, Hans Jean Arp, Alexander Archipenko, Juan Gris, Alberto Savinio, Giorgio De Chirico, Carrà, Gino Severini, oltre che dei redattori Julius Evola e Vittorio Orazi.

La seconda serie di Noi (aprile 1923-1925) fu molto più legata al movimento di Marinetti, tanto da recare il sottotitolo «rivista d’arte futurista», ma non per questo si privò delle aperture internazionali che avevano improntato la rivista in origine e che rappresentavano in gran parte il risultato di un’opera di costante tessitura tra le avanguardie e i loro protagonisti realizzata dallo stesso Prampolini.

Tra la fine degli anni Dieci e gli inizi degli anni Venti si andò rapidamente intensificando l’attività per il teatro come scenografo e costumista (raramente persino regista) di numerose produzioni di teatro futurista (tra le altre: Teatro del colore, di Achille Ricciardi, Roma 1920; Teatro sintetico futurista, di Prampolini e Marinetti, Praga 1921; I palombari notturni, di Luciano Folgore e Massimo Bontempelli, Roma 1923; Il vulcano, di Marinetti, regia di Luigi Pirandello, Roma e Milano 1926).

L’ultima impresa del decennio fu la costituzione della Casa d’arte italiana, fondata nel marzo 1919 assieme al critico Mario Recchi in vicolo S. Nicola da Tolentino a Roma e trasferita l’anno successivo in più capaci locali in via Crispi fino alla chiusura nel 1921. Si trattava di uno spazio progettato per una rapida circuitazione di esposizioni, incontri, letture, arredato con mobili e complementi d’arredo disegnati dallo stesso Prampolini.

Gli anni Venti si aprirono all’insegna di una rimeditazione della propria pittura, ora concepita per campiture larghe e piane, con un’intenzione geometrizzante assai accentuata e forme dai contorni affilati, spigolosi, netti (Danza della tarantella - ritmo dello spazio, 1922 circa, Łódź, Muzeum Sztuki), preludio alla vera e propria fase di esaltazione della macchina teoricamente messa a punto nel manifesto Arte meccanica, redatto con Ivo Pannaggi e Vinicio Paladini e pubblicato nel secondo fascicolo della nuova serie di Noi nel maggio 1923 («Sentiamo meccanicamente. Ci sentiamo costruiti in acciaio. Anche noi macchine, anche noi meccanizzati»).

Sempre più incessante divenne in questo periodo la funzione di organizzatore e promotore culturale di Prampolini, autentico ambasciatore della nuova arte italiana in Europa: commissario per l’Italia all’Esposizione internazionale di Ginevra nel 1920 – dove allestì due retrospettive dedicate a Boccioni e Amedeo Modigliani –, l’anno successivo curatore della mostra sull’arte italiana d’avanguardia a Praga, poi transitata nel 1922 a Berlino, commissario italiano dell’Esposizione internazionale d’arte e tecnica teatrale di Vienna nel 1924 e della sezione dedicata al futurismo all’Exposition internationale des arts décoratifs di Parigi nel 1925, al cui interno ebbe una sala personale. Intrattenne relazioni sempre più intense e feconde con le avanguardie europee e i loro massimi esponenti, Walter Gropius, Pieter Mondrian, Georges Vantongerloo, Paul Klee, Fernand Léger, Robert Delaunay; rapporti divenuti ancora più stretti in seguito al suo trasferimento a Parigi, dove rimase fino al 1937 prendendo parte alle avventure dei gruppi Cercle et carré e Abstraction-Création.

Nel 1926, assieme ad altri futuristi, fu invitato per la prima volta alla Biennale di Venezia (avrebbe partecipato in seguito ad altre dieci edizioni: 1928, 1930, 1932, 1934, 1936, 1938, 1942, 1950, 1954, 1956). Nel maggio del 1927, al Théâtre de la Madeleine di Parigi, debuttò con notevole successo il Théâtre de la pantomime futuriste, ideato e prodotto da Prampolini e Maria Ricotti assemblando spettacoli futuristi di Franco Casavola, Luigi Russolo, Marinetti, Luciano Folgore, Orazi e altri.

L’esperienza dell’arte meccanica giunse al termine alla fine degli anni Venti, lasciando il passo al cosiddetto idealismo cosmico, interpretazione in chiave spirituale, extraterrestre, cosmica appunto, dell’aeropittura futurista e non priva di tangenze con l’arte surrealista, come sembrano indicare i dipinti Forme forze nello spazio del 1932 (Lugano, collezione privata), Metamorfosi cosmica del 1935 circa (Roma, collezione privata), Rarefazione solare del 1940 (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea). Si palesa con decisione, in questa fase, anche un rinnovato interesse di Prampolini per il polimaterismo, come le serie Intervista con la materia, dei primi anni Trenta, e Automatismo polimaterico, dei primi anni Quaranta, esplicitano fin dal titolo.

Gli anni Trenta sarebbero stati anche quelli delle maggiori imprese nel campo dell’architettura (già avviate qualche tempo prima con il padiglione del Futurismo all’Esposizione internazionale di Torino del 1928 e gli interni di casa Manheimer a Parigi del medesimo anno), soprattutto per quanto concerne gli allestimenti effimeri e le decorazioni d’interni: nel 1933 le vetrate policrome per il palazzo delle Poste di Trento e i mosaici in ceramica per l’analogo edificio di La Spezia, oltre alle pitture murali per la V Triennale di Milano (rapidamente imbiancate, assieme a quelle realizzate dagli altri futuristi); nel 1934 l’allestimento, progettato con l’architetto Giuseppe Rosso, della I Mostra di plastica murale per l’edilizia fascista al Palazzo Ducale di Genova (dove futurismo e influssi del costruttivismo russo, uniti alla vocazione polimaterica, si combinarono per dar vita a uno dei più riusciti allestimenti prampoliniani); nel 1938-39 quattro padiglioni della Mostra autarchica del minerale italiano, all’interno dei quali agì da architetto, allestitore e decoratore.

L’incessante interrogarsi di Prampolini sulla propria arte lo condusse, nei primi anni Quaranta, a confrontarsi nuovamente con Picasso, alla cui produzione plastica dedicò il volume Picasso scultore (Roma 1943), in piena sintonia con gli sviluppi del contemporaneo secondo postcubismo (Cassandra, 1947 circa, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea).

L’immediato dopoguerra lo trovò protagonista di un’altra vasta impresa di promozione e organizzazione artistica: l’Art club, associazione internazionale assai ramificata che nell’arco di un decennio, a partire dal 1945, realizzò un centinaio di mostre personali e collettive di artisti italiani e stranieri che lavoravano nel solco delle più aggiornate ricerche.

Agli albori del decennio successivo la consueta prospettiva materica del suo sperimentalismo collocò il pittore in parallelo con le esperienze dell’informale, pur se da una posizione di piena autonomia creativa (Organismo plastico, 1953-54, Trieste, Museo Revoltella; Astrazione plastica X, 1955 circa, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea), dalla quale irradiò la propria influenza sugli artisti delle più giovani generazioni, come Piero Dorazio e Achille Perilli.

Morì a Roma il 17 giugno 1956.

L’archivio delle carte di Enrico Prampolini, ventisette buste per un totale di 143 fascicoli, è stato donato dagli eredi al Centro ricerca e documentazione arti visive del Museo d’arte contemporanea di Roma (MACRO).

Opere. Tra i numerosi scritti teorici e critici di Enrico Prampolini si ricordano, oltre a quelli già segnalati: Costruzione assoluta di moto-rumore, in L’artista moderno, 10 maggio 1915, pp. 149-151; Scenografia futurista, in La balza futurista, 12 maggio 1915, pp. 17-21; La scultura dei colori e totale, in Bollettino spirituale, filosofico, letterario, artistico, ascetico, sentimentale, III (1916), gennaio-febbraio, pp. 4 s.; L’estetica della macchina e l’introspezione meccanica nell’arte, in De Stijl, V (1922), 7, pp. 102-105; L’architettura futurista, in La città futurista, febbraio 1928, p. 3; Dalla danza impressionista alla danza futurista, in Oggi e domani, 23 novembre 1931, p. 5; Al di là della pittura verso i polimaterici, in Stile futurista, agosto 1934, pp. 8-10; Arte polimaterica (verso un’arte collettiva?), Roma 1944; Lineamenti di scenografia italiana (dal Rinascimento ad oggi), Roma 1950; Concezione dello spazio nelle arti plastiche, in Arte figurativa e arte astratta. Atti del Convegno, Venezia 1954, Firenze 1955, pp. 91-96.

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