ENRICO VI imperatore

Enciclopedia Italiana (1932)

ENRICO VI imperatore

Raffaello Morghen

Della casa degli Hohenstaufen, figlio di Federico I Barbarossa e di Beatrice di Borgogna, nacque nel 1165. Di corpo saldo e di acuta intelligenza, fu coraggioso, ambizioso, ostinato come il padre, pur non avendo di lui il sentimento profondo, se pur rigido, della giustizia, né la coscienza della maestà e della missione dell'Impero. Così fu minnesinger e amante della cultura e valente nelle arti cavalleresche come Federico II, senza uguagliarne l'altezza dello spirito. E se pure non può negarsi ai disegni della sua politica, che la morte precoce gl'impedì di colorire, i caratteri di un'avida e irrequieta volontà di dominio, i mezzi che adoperò per raggiungere i suoi fini, e un'azione di governo senza grandezza d'ispirazione e senza unità di direttive, solo coerente a sé stessa nella ferocia spietata con cui represse le forze ostili, diminuiscono la sua figura di fronte a quelle del padre e del figlio.

A soli tre anni fu nominato re dei Romani, a 19, associato all'Impero col titolo di Cesare, quantunque già precedentemente il pontefice Lucio III avesse rifiutato la richiesta coronazione. Il rifiuto pontificio era del resto giustificato, oltre che da motivi di carattere ideale, dalla diffidenza che ispirava l'azione politica del Barbarossa che, anche dopo la pace di Costanza, non sembrava aver deposto ogni sentimento di rivalsa e ogni aspirazione ad attuare i suoi disegni di supremazia. Fallitogli infatti, specialmente per l'influenza della Chiesa, un progetto di matrimonio fra Guglielmo il Buono e una sua figlia, che gli avrebbe dato modo di estendere nel Mezzogiorno la sua potenza, egli riusciva con una fortunata azione diplomatica, che l'ostilità della Curia non era valsa a impedire, a ottenere quel predominio in Italia che non aveva potuto affermare in trent'anni di lotte, per mezzo del matrimonio di suo figlio Enrico con Costanza d'Altavilla, zia di Guglielmo il Buono ed erede del regno di Sicilia e di Puglia. Nel 1186 le nozze venivano con gran pompa celebrate a Monza e nel 1190, morti già il vecchio imperatore e Guglielmo il Buono, E. rimase unico signore di diritto dell'Impero e del trono normanno. Non gli riuscì però molto agevole entrare in possesso della vistosa eredità. Già fin dal giorno della partenza del Barbarossa per la crociata (1189), la feudalità potentissima aveva rialzato il capo in Germania contro la monarchia, e il giovane imperatore aveva dovuto lottare aspramente contro il suo più potente vassallo, Enrico il Leone duca di Baviera, più volte ribelle e più volte sottomesso dal Barbarossa, mai completamente domato. Nel 1190 però E., impaziente di cingere la corona imperiale e di raccogliere l'eredità siciliana, finì col venire a un accordo con Enrico il Leone per affrettarsi a scendere in Italia. Il 15 aprile 1191 fu incoronato imperatore in Roma da Celestino III, comprando, con un basso mercato, l'acquiescenza dei Romani alla sua incoronazione, abbandonando slealmente al loro odio Tuscolo che si era data in suo potere.

Sceso nel regno di Sicilia e di Puglia, si trovò di fronte un rivale nella persona di Tancredi di Lecce, bastardo di Ruggero II, intorno al quale si era raccolta gran parte della nobiltà nazionale. Per insuccessi militari e per una grave epidemia scoppiata nel suo esercito, dovette ritirarsi da Napoli ch'egli aveva inutilmente cinta d'assedio, mentre la stessa imperatrice Costanza, già accolta trionfalmente in Salerno, veniva ora trattenuta in quella città come prigioniera. La sconfitta rinsaldò le fila dei suoi nemici. Il papa si dichiarò in favore di Tancredi, al quale erano pure alleati Enrico di Brunswick, figlio di Enrico il Leone, e Riccardo Cuor di Leone re d'Inghilterra, cognato di Enrico il Leone e legato alla monarchia normanna come fratello di Giovanna, vedova di Guglielmo il Buono.

Ma la prigionia di Riccardo Cuor di Leone, caduto in potere del suo nemico il duca Leopoldo d'Austria, e la morte di Tancredi di Lecce valsero a risolvere improvvisamente la grave situazione dell'imperatore. Tolti di mezzo i suoi più potenti avversarî, egli venne con Enrico il Leone a un nuovo accordo, che fu sanzionato dal riconoscimento dell'avvenuto matrimonio di Enrico di Brunswick con la cugina dell'imperatore, Agnese; e nel 1194 poté scendere di nuovo in Italia e impadronirsi senza contrasti del regno di Sicilia e di Puglia. Sibilla, vedova di Tancredi, e i figli di lui, venuti prima a un accordo col vincitore, poi, col pretesto d'una congiura, imprigionati, furono inviati in Germania e custoditi in stretto carcere.

Pacificati i grandi feudatarî tedeschi e conquistato il Regno, E. si trovò all'apogeo della sua potenza e si diede senz'altro ad attuare quel sogno di dominio universale che era nel sangue degli Svevi. Represso con ferocia inaudita ogni tentativo di rivolta nel Regno, affidati i maggiori feudi della Toscana, delle Marche e della Romagna e i beni matildini al fratello Filippo di Svevia e a principi tedeschi, costituita nell'Italia Settentrionale una lega di città favorevoli all'Impero contro la lega dei comuni ribelli, egli volgeva gli avidi sguardi anche al vicino Oriente con l'intento di estendere anche colà la sua potenza. A tale scopo al fratello Filippo aveva fatto sposare Irene, figlia d'Isacco Angelo e vedova di Ruggero, figlio di Tancredi di Lecce; e con la scusa di proteggere il debole parente e con velati propositi di crociata inviò una spedizione di armati contro Costantinopoli. Ma egli non aveva forze sufficienti per sostenere una così vasta politica, tanto più che la nobiltà feudale, infida in Germania come in Sicilia, rendeva molto deboli le basi del suo potere. Così quando nel 1196, nella dieta di Würzburg, volle tentare di rendere il potere imperiale da elettivo ereditario nella sua famiglia, non riuscì a superare la viva opposizione dei principi. In Sicilia poi la feroce repressione di tutte le forze che si aggruppavano intorno ai Normanni e la larga distribuzione di feudi fatta a vassalli tedeschi avevano eccitato contro l'imperatore un sordo fermento di ribellione che scoppiò in rivolta palese nel 1196. A capo della rivolta era il nobile Giordano che aspirava a cingere la corona di Sicilia. Pare che la stessa imperatrice Costanza fosse favorevole ai ribelli. Certo non approvava la politica spietata del marito contro la nobiltà feudale, che si raccoglieva intorno al trono dei Normanni nel nome d'una tradizione oramai nazionale. Anche questa volta la ribellione fu soffocata nel sangue e Giordano perì fra i supplizî più atroci. Riaffermato il suo potere, l'attività di Enrico VI si volse principalmente a cercare una base d'accordo con la Chiesa.

Solo da una famosa lettera di Enrico VI al papa, scritta da Capua il 18 dicembre 1196, sulla cui interpretazione si è affaticata la critica dell'ultimo trentennio, sappiamo che l'imperatore aveva fatto al papa offerte "che rappresentavano il massimo che da parte dell'Impero fosse mai stato concesso alla curia" che il papa aveva opposto un rifiuto a tali proposte, che l'imperatore però non aveva perso la speranza che il pontefice sarebbe ritornato sulla sua negativa. Seguendo una preziosa testimonianza contemporanea di Gerardo Cambrense, la critica è ormai concorde nel ritenere che l'imperatore avrebbe tentato di ottenere l'adesione e l'acquiescenza del papato ai suoi disegni politici proponendo un piano finanziario che, a spese dell'Impero, avrebbe posto la Chiesa al sicuro da ogni ristrettezza economica. Secondo tale progetto la curia avrebbe avuto il diritto di godere della rendita d'una prebenda in ogni chiesa per tutta l'estensione dell'Impero. L'ipotesi è avvalorata dal fatto che già il Barbarossa aveva proposto qualche cosa di simile. Il papato rifiutò l'una e l'altra volta per non cadere di nuovo alla mercé dell'Impero.

Mentre si trascinavano ancora tali trattative, l'imperatore morì improvvisamente a soli 32 anni il 20 settembre 1197, lasciando al figlioletto Federico, che aveva soli tre anni, la triste eredità d'una memoria esecrata, d'un trono malsicuro, d'innumerevoli nemici.

Fonti: Le fonti principali per lo studio della vita e dell'opera politica d'Enrico VI sono le cronache tedesche, fra le quali particolarmente importanti gli Annales Colonienses, gli Annales Marbacenses, la cronaca di Burcardo Urspergense, pubblicate nei Mon. Germ. Hist., SS. Fra le cronache italiane hanno importanza notevole, per il periodo di Enrico VI, quelle di Riccardo da S. Germano, di Goffredo di Viterbo e di Romualdo Salernitano, mentre l'espressione delle passioni avverse scatenatesi in Sicilia per la venuta dello Svevo può cogliersi direttamente in due fonti coeve: la Epistola di Ugo Falcando a Pietro tesoriere della chiesa di Palermo, in cui riecheggia la voce del partito nazionale che si stringe intorno a Tancredi; e il Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli, panegirico in versi ispirato da sensi di cortigianesca devozione verso l'imperatore, in cui si narrano le vicende della lotta fra Tancredi e lo Svevo. Ambedue queste fonti sono state ripubblicate dal Siragusa (in Fonti per la storia d'Italia, Roma 1897-1908). Il Liber è anche pubblicato in una buona edizione dal Rota (Rer. Ital. Script., n. ed., XXXI, p. I) che ha tentato, senza riuscirci completamente, di difendere l'attendibilità del resoconto storico del panegirista. Complemento alle fonti per il periodo di Enrico VI sono i Reg. Pont. Rom. di Jaffé e di Potthast.

Bibl.: Opera ancor oggi fondamentale su Enrico VI è quella di T. Toeche, Kaiser Heinrich VI., Lipsia 1867, con ampî regesti documentarî e precise relazioni sulle fonti. Fra gli studî più recenti sono da segnalare H. Bloch, Forschungen zur Politik Kaiser Heinrichs VI., Berlino 1892; J. Haller, Kaiser Heinrich VI., Berlino 1915. Per l'interpretazione della lettera di Enrico VI del 18 dicembre 1196 vedi I. Caro, Die Beziehungen Heinrichs VI. zur römischen Kurie, Berlino 1902; J. Haller, Innocenz III. und das Kaisertum, in Hist. Viert., 1920; id., Heinrich VI. und die röm. Kirche, in Mitt. des Inst. für österr. Geschichtsforschung. XXXV (1914); Pfaff, Kaiser Heinrichs VI. höchstes Angebot an die römische Kurie, Heidelberg 1927; E. Bonaiuti, Gioacchino da Fiore. I tempi, la vita, il messaggio, Roma 1930.

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