VIARISIO, Enrico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VIARISIO, Enrico

Doriana Legge

VIARISIO, Enrico. – Nacque a Torino il 3 dicembre 1897 da Lorenzo e da Valentina Bonardo.

Inaugurò il suo percorso teatrale in una filodrammatica della sua città, poi nel 1917 venne scritturato dalla compagnia Carini-Gentilli-Baghetti e debuttò come amoroso nella commedia I mariti di Achille Torelli. Durante i primi anni di carriera Viarisio si formò accanto a nomi prestigiosi del teatro; lo troviamo nella compagnia di Virgilio Talli (1918-21) insieme a Maria Melato e Annibale Betrone. Talli pose l’accento sull’indirizzo comico della recitazione di Viarisio e riservò a lui la parte di Leonardo in ...E il cuore dispone di Romain Coolus e Maurice Hennequin, poi ancora un ruolo di spicco in La prima commedia di Fanny di George Bernard Shaw, dove il capocomico lo collocò in platea insieme agli altri quattro attori: tutti recitarono «con una sicurezza, con una scioltezza e con un garbo veramente singolari» (M. Praga, Cronache teatrali. 1920, Milano 1921, p. 24).

Sin da giovanissimo mostrò uno stile personalissimo, intriso di brio e buon gusto, così che per la stagione 1921-22 fu scritturato dal solo Betrone per «parti primarie di indole comica» e dal 1922 al 1924, ancora con Melato, recitando tra gli altri in Vestire gli ignudi di Luigi Pirandello al teatro Quirino di Roma il 14 novembre 1922. L’anno successivo fu attor giovane nella compagnia di Antonio Gandusio (1924-25) e con questi rimase per due interi trienni (fino al 1931): un periodo fondamentale per la sua formazione comica e pochadistica, tant’è che venne notato da Renato Simoni, uno degli intellettuali e critici più importanti di quegli anni che, in riferimento alla commedia Il battitore di Enrico Falk andata in scena il 3 luglio 1928, scrisse: «Il Viarisio diede molta comicità al personaggio del milionario» (cit. in E. Bassano, Ricordo di Viarisio, in Il Dramma, XLIII (1967), 374-375, p. 132). Poche parole bastarono dunque per sigillare la carriera di Viarisio, impegnato a dare un personalissimo colore ai personaggi di Luigi Antonelli (La rosa dei venti, 1928, e Il barone di Corbò, 1929), a quelli già nominati di Coolus e Hennequin, e ancora nelle commedie di Louis Verneuil, Guido Cantini, André Birabeau, Dino Falconi e Oreste Biancoli.

Nel 1931-32 si unì in ditta con Dina Galli e Nino Besozzi portando in scena nello stesso anno Marchesa! di Victorien Sardou, La Via delle Indie di Harold Marsh Harwood, La Costa azzurra di Birabeau e Georges Dolley. Durante l’anno teatrale 1932-33 Viarisio rimase con Dina Galli, ma insieme ad Augusto Marcacci, e poi, sempre con il suo nome in ditta, passò alla Merlini-Cialente-Viarisio-Sabbatini e poi alla Merlini-Cialente-Viarisio-Bagni (1935-36).

Nel 1934 sposò l’attrice e figlia d’arte Giuditta Marchetti.

Furono anni concitati dunque, ma passati a cesellare il successo cui lavorava con cura, soprattutto nell’ambiente del cosiddetto teatro distensivo, dove l’attore esercitò le proprie abilità macchiettistiche distinguendosi con il suo fisico asciutto, capelli perfettamente ordinati e tirati indietro, baffi sornioni e ben curati.

Viarisio raggiunse rapidamente una discreta popolarità, ma senza mai eccellere, nonostante l’iniziale serietà sembrasse spingerlo verso ben altri traguardi. Sin dagli esordi riuscì a trascinare «il pubblico alle più schiette risate» (E. Bassano, Ricordo di Viarisio, cit., p. 132).

La sua era una comicità mai invadente, una sorta di «crepuscolarismo poetico ch’era un segno viarisiano nettissimo» (ibid.), ma il talento non bastò a renderlo eccellente: sembrò così non sondare mai a fondo le profondità dell’arte scenica, ma piuttosto sostare comodamente nei propri successi. Se da un lato una certa critica teatrale storceva il naso, nell’ambiente cinematografico e televisivo Viarisio invece fu molto più apprezzato. Infatti, a partire dagli anni Trenta, la sua raffinata comicità e le sue doti nel repertorio leggero lo spinsero verso il cinematografo: si affermò allora come uno degli attori brillanti più apprezzati del cinema sonoro, anche se con il passare degli anni la sua dinamicità sembrò sbiadire portandolo a recitare ruoli secondari o da comprimario.

Nel 1932 debuttò in Paprika di Carl Boese accanto a Elsa Merlini, Renato Cialente, Vittorio De Sica e Sergio Tofano, e da quel momento continuò ad apparire ininterrottamente nelle pellicole legate al genere dei ‘telefoni bianchi’ e comico-sentimentali: L’impiegata di papà (1934) di Alessandro Blasetti, Tempo massimo (1934) di Mario Mattoli, Cavalleria (1936) di Goffredo Alessandrini, I due misantropi (1937) di Amleto Palermi e Gli uomini non sono ingrati (1937) di Guido Brignone, e poi ancora Due milioni per un sorriso (1939) di Carlo Borghesio e Mario Soldati, Bionda sottochiave (1939) di Camillo Mastrocinque.

Seppure con una presenza intermittente, Viarisio prese parte anche a opere più impegnate, tra le quali Il cappello a tre punte (1935) di Mario Camerini e Quattro passi tra le nuvole (1942) di Blasetti. Nel dopoguerra apparve ancora in Prima comunione (1950) di Blasetti, Stazione Termini di De Sica e I vitelloni di Federico Fellini (entrambi del 1953), Carosello napoletano (1954) di Ettore Giannini.

Nel 1939 la nota rivista di teatro Il Dramma, diretta da Lucio Ridenti, dedicò a Viarisio la copertina e un affilato editoriale; secondo Ridenti l’attore – che non recitava in teatro ormai da anni – «si è fatto una popolarità cinematografica e più che per ambizione, amore alla celluloide, sete di celebrità, si è adagiato sulla poltrona Frau della comodità; [...] Viarisio ha trovato nel Cinematografo una tranquilla esistenza [...] Il Teatro ha così perduto un attore che aveva sulla scena qualità e risorse ben diverse di quelle cinematografiche. Viarisio è oggi sullo schermo l’Oreste Bilancia 1914, cioè proprio l’attore da film comico che a quell’epoca, con tutti noi, Viarisio detestava in nome dell’Arte» (Il Dramma, XV (1939), 317, p. 3).

Eppure l’intensissima attività cinematografica non impedì a Viarisio di fare ritorno sulle scene. Dapprima si trattò di riviste di prosa come quelle presentate dalla compagnia Viarisio-Porelli-Pola: Passaggio dell’Equatore di Umberto Morucchio (1940), Ti prego... fa le mie veci di Bokaj (1940), Servizio completo di George Abbot (1940), dove un cronista anonimo racconta: «Il pubblico ha riso continuamente e si è divertito tutta la sera alle vorticose e buffe avventure che si susseguono in questi tre atti americani, fatti come il gioco delle scatole a sorpresa. [...] È il metodo di gran parte del Teatro comico e burlesco di intrigo, rifatto col gusto e l’ambiente d’oltre Oceano. [...] La recitazione ha dato al lavoro una vivacità, una festosità instancabili. Il Viarisio, il Porelli, il Collino e lo Scandurra hanno gareggiato in entusiasmo comico facendo salire le scene di insieme a tono di clamorosa buffoneria» (in Il Dramma, XVII (1941), 346, p. 26). Poi Viarisio recitò ancora in Fra due guanciali (1942) di Alfredo Testoni, La città delle lucciole (1941) e Buongiorno! (1942) di Falconi e Biancoli. Inoltre, il 18 dicembre 1943 al teatro Argentina di Roma, l’attore prese parte allo spettacolo commemorativo per Renato Cialente: Goldoni e le sue sedici commedie nuove di Paolo Ferrari, nella parte di un garzone di caffè.

Nel teatro di rivista Viarisio trovò un terreno a lui più congeniale, dove irrompere in argomenti di stretta attualità con il suo proverbiale sarcasmo: Niente abbasso solo evviva (1945), Cantachiaro n. 1 (1944-45), Cantachiaro n. 2 (1945), Col cappello sulle ventitré (1945), Soffia so’ n. 2 (1945, diretta da Mattoli), Pio...pio...pio (1946). In un’intervista concessa a Dino Falconi e Angelo Frattini (autori della Guida alla rivista..., 1953), Viarisio disse: «Nel teatro di prosa, a far ridere, si corre il rischio di essere guardati male. L’attor comico moderno ha avvezzato il pubblico ad accontentarsi di sorridere. Confesso che quasi mi sentivo spaesato. E finalmente mi sono reso conto che soltanto in Rivista c’era la possibilità di far ancora davvero ridere» (E. Bassano, Ricordo di Viarisio, cit., p. 132).

A quel punto fu facile per lui fare il salto nel grande spettacolo: fra il 1946 e il 1950 apparve insieme a Wanda Osiris in Domani è sempre domenica (1946-47), Si stava meglio domani (1947-48), Il Diavolo custode (1950-51). A metà tra la rivista di prosa e quella a grande spettacolo si collocarono altri successi: Quo vadis? (1949-50) di Biancoli, Falconi, Orio Vergani; Gran Baldoria (1951-52) di Garinei & Giovannini, musiche di Gorni Kramer. L’ultima apparizione per il teatro di rivista fu nel 1955 in Valentina (1955) con Isa Barzizza e Isa Pola (trasmessa poi dalla RAI dal 7 al 28 settembre 1958). Viarisio continuò a lavorare nel cinema fino agli anni Sessanta, tratteggiando con la sua personale ironia i personaggi dei film di Sergio Corbucci (Il giorno più corto, 1963, con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia) e prendendo parte anche a diversi musicarelli – quel sottogenere cinematografico di commedia musicale che veicolava il successo di alcuni giovani cantanti del tempo – nelle pellicole di Ettore Maria Fizzarotti Non son degno di te (1965), Se non avessi più te (1966) e Stasera mi butto (1967).

Negli ultimi anni della sua carriera si dedicò soprattutto alla televisione, e in particolar modo fu impegnato negli sketch pubblicitari di Carosello insieme a Lia Zoppelli. I due recitavano con gran dinamismo un colloquio in rima che culminava in un’incomprensione finale; a quel punto appariva in scena il prodotto Alemagna da sponsorizzare e Viarisio prorompeva con un «Alemagna? Ullallà, ma è una cuccagna!», quindi la coppia metteva da parte i motivi di discordia e si dedicava con un sorriso a gustare le famose prelibatezze.

Morì a Milano il 1° novembre 1967, in seguito a un attacco cardiaco.

Un articolo lo ricorda come un «caratterista di razza [...] figura quasi emblematica del teatro e del cinema italiano fra la due guerre [...] un professionista serio e laborioso, il quale aveva saputo adeguarsi ai nuovi mezzi di comunicazione e di espressione senza perdere quel tratto signorile che lo distingueva anche nelle mascherate» (L’Unità, 2 novembre 1967, p. 9).

Fonti e Bibl.: D. Falconi - A. Frattini, Guida alla rivista e all’operetta, Milano 1953; M. Garinei - L. Giovannini, Quarant’anni di teatro musicale all’italiana, Milano 1985, p. 46; G. Geron, E. V., ‘brillante’ per antonomasia, in Sipario: rassegna mensile dello spettacolo, LIII (1999), 598, pp. 48 s.; M. Giraldi - E. Lancia - F. Melelli, 100 caratteristi del cinema italiano: gli interpreti ‘minori’ che hanno fatto grande il nostro cinema, Roma 2006, pp. 205 s.

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