ENZIMI

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

ENZIMI (XIV, p. 44; App. II, 1, p. 856; III, 1, p. 558)

Vittorio Zambotti
Eugenio Mariani
Emanuele Djalma Vitali

Poiché gli e. sono di natura proteica, il problema della loro sintesi s'identifica con quello della sintesi delle proteine specifiche; soltanto la formazione dei coenzimi batte vie particolari, diverse da caso a caso. Precursori fondamentali degli e. sono gli amminoacidi. La carenza di amminoacidi, soprattutto essenziali, causa una minore produzione di e. e soprattutto di alcuni di essi; per es., se la dieta è carente di triptofano oppure di metionina, il fegato di ratto e di altri animali si impoverisce sempre più di xantinossidasi e di succinicossidasi.

Il numero di e. esistenti e già noti è elevato (oltre 700) ed è destinato a crescere ulteriormente. Ciò è comprensibile se si considera quanto numerose e complesse sono le attività che le cellule son chiamate ad assolvere. Alcuni tipi di e. sono comuni a tutti gli esseri viventi; altri esistono solo nel mondo vegetale oppure solo in quello animale. Nell'ambito poi dei vegetali o degli animali il patrimonio enzimatico varia da specie a specie e anche da organo a organo, da tessuto a tessuto dello stesso individuo. Gli e. non sono distribuiti uniformemente nemmeno in seno alla stessa cellula. Ecco alcuni esempi: il nucleo è particolarmente ricco di DNA- e di RNA-polimerasi; i mitocondri contengono gli e. del ciclo di Krebs e della catena respiratoria, la glutamato deidrogenasi, la piruvato deidrogenasi; i lisosomi sono ricchi di fosfatasi acida, β-galattosidasi, β-glucoronidasi, β-mannosidasi, catepsina; i granuli di zimogeni del pancreas contengono tripsinogeno, chimotripsinogeno, lipasi, amilasi, ribonucleasi; il citoplasma contiene gli enzimi solubili della glicosi anaerobica, l'aminoacil-t-RNA sintetasi, l'acil-CoA sintetasi, la glucosio-6-P deidrogenasi, la 6-P-gluconato deidrogenasi, ecc..

Talvolta più unità enzimatiche sono riunite in un complesso a formare un sistema enzimatico multiplo o sistema polienzimatico (o multienzimatico). Altre volte più e. possono essere riuniti in unità morfologiche che s'identificano con determinate particelle cellulari, come i già citati mitocondri, lisosomi, ecc.

Anche le membrane contengono enzimi: per es., nella membrana mitocondriale interna gli e. flavinici e i citocromi si dispongono a grappoli, che costituiscono unità o entità respiratorie complete, a sé stanti.

Nomenclatura degli enzimi. - La nomenclatura meno recente degli e. si componeva sostituendo il suffisso asi alla desinenza del substrato. Secondo questa regola l'e. che attacca il maltosio è chiamato maltasi; gli e. attivi sui glicosidi sono detti glicosidasi; quelli agenti sugli esteri sono denominati esterasi, ecc. Successivamente il suffisso asi è stato apposto anche al nome del processo chimico catalizzato. Così, per es., si chiamano deidrogenasi gli e. che operano la deidrogenazione dei substrati; decarbossilasi quelli che causano il distacco di anidride carbonica a spese di un gruppo carbossilico; idrolasi gli e. che catalizzano la scissione di composti mediante molecole di acqua, ecc.

A causa del grandioso sviluppo dell'enzimologia, il sistema di nomenclatura ora descritto si è rivelato ben presto inadeguato e quindi fonte di non poca confusione. Allo scopo di mettere ordine in questo settore, l'Unione Internazionale di Biochimica ha creato una Commissione internazionale con il compito di riordinare la classificazione e la nomenclatura degli e. e dei coenzimi, le loro unità di attività, la standardizzazione dei metodi di dosaggio nonché i simboli usati nella descrizione della cinetica enzimatica.

La Commissione internazionale, constatato che la peculiare proprietà che distingue gli e. tra loro sotto il profilo funzionale è la capacità di catalizzare una determinata reazione chimica, ha stabilito di fondare la nuova nomenclatura, denominata sistematica, sul nome chimico del substrato e sul tipo di reazione catalizzata, considerata globalmente, prescindendo dall'intimo meccanismo della stessa e dalla formazione di complessi intermedi. Tuttavia, per motivi di praticità e in analogia a soluzioni adottate in altre branche della scienza (botanica, zoologia, ecc.), la Commissione ha ritenuto consigliabile anche l'uso della nomenclatura di lavoro o convenzionale, meno precisa, ma più breve di quella sistematica. I nomi relativi sono definiti rispettivamente "nome sistematico" e "nome convenzionale" (inglese: trivial name). Ecco qualche esempio illustrativo. L'e. che catalizza l'ossidazione dell'etanolo (ad acetaldeide), con l'intervento del coenzima NAD+:

è chiamato etanolo: NAD+ ossidoriduttasi secondo la nomenclatura sistematica ed etanolo deidrogenasi secondo la nomenclatura convenzionale. (La prima denominazione indica chiaramente che nella reazione catalizzata l'etanolo è ossidato e l'NAD+ ridotto).

All'e. che catalizza il trasporto del gruppo amminico dalla L-alanina all'acido 2-ossoglutarico (= acido α-chetoglutarico):

spetta il nome convenzionale di alanina amminotransferasi e il nome sistematico di L-alanina: acido 2-ossoglutarico amminotransferasi, nome che indica il donatore (L-alanina), l'accettore (acido 2-ossoglutarico) e il gruppo (amminico) trasferito.

Parimenti l'e. che idrolizza l'acetilcolina:

è detto acetilcolina idrolasi (nome sistematico) e acetilcolina esterasi (nome convenzionale).

Per quanto concerne la nomenclatura dei proenzimi o zimogeni, si possono seguire due criteri distinti:

1) sostituendo la desinenza del nome dell'e. attivo col suffisso -ogeno come nei seguenti esempi: pepsinogeno (destinato a generare la pepsina), tripsinogeno (che dà la tripsina), ecc.;

2) apponendo il prefisso pro- al nome dell'e. attivo come nei seguenti esempi: prorennina (precursore della rennina), protrombina (precursore della trombina), ecc.

Classificazione e numerazione degli enzimi. - L'apposita Commissione internazionale ha suddiviso gli e. in sei grandi classi, corrispondenti a sei tipi differenti di reazioni catalizzate. Essi sono:

1) ossidoriduttasi; 2) transferasi; 3) idrolasi; 4) liasi; 5) isomerasi; 6) ligasi (o sintetasi).

Le ossidoriduttasi catalizzano le reazioni di ossidoriduzione; le transferasi trasportano gruppi chimici (per es. NH2, acili, ecc.) da un donatore a un accettore; le idrolasi catalizzano la scissione di composti (contenenti legami C−O, C−O−C, C−N) mediante l'aggiunta di una molecola d'acqua; le liasi rimuovono gruppi chimici dai substrati introducendo doppi legami, oppure, in senso inverso, addizionando gruppi di corrispondenza di doppi legami; le isomerasi catalizzano i processi di isomerizzazione; le ligasi, note pure come sintetasi, catalizzano l'unione tra due molecole, rompendo contemporaneamente un legame pirofosforico dell'ATP o di un trifosfato analogo.

Ogni classe di e. è suddivisa in sottoclassi e queste in sottosottoclassi, le quali comprendono le singole unità enzimatiche. Per es., la L-alanina; 2-ossoglutarico amminotransferasi appartiene alla classe delle transferasi, alla sottoclasse delle transferasi trasportanti gruppi azotati e alla sottosottoclasse delle amminotransferasi.

La citata commissione internazionale ha stabilito anche un numero di codice per ciascun enzima. Il codice è formato da quattro numeri arabici, separati tra loro da un punto. Il primo numero indica la classe a cui l'e. appartiene, il secondo la sottoclasse, il terzo la sottosottoclasse, il quarto è il numero d'ordine dell'e. nella sottosottoclasse. Per es. la cisteina amminotransferasi (L-cisteina: acido 2-ossoglutarico amminotransferasi) ha la seguente numerazione: 2.6.1.3., dove il 2 indica che l'e. in parola appartiene alla classe delle transferasi, il 6 alla sottoclasse delle transferasi trasportanti gruppi azotati, l'1 alla sottosottoclasse delle amminotransferasi, mentre il 3 indica che l'e. in questione occupa il terzo posto nell'elenco delle amminotransferasi, che costituiscono la sottoclasse a cui appartiene.

Nella tab. 1 si riporta un elenco delle sei classi, di alcune sottoclassi e di un certo numero di sottosottoclassi degli e., con nomenclatura sistematica e convenzionale (o di lavoro) e relativo codice.

Costituzione e struttura. - Nel 1922 si dimostrò che gli e. sono di natura proteica. Le ricerche in questo settore ebbero un forte impulso nel 1926 con la preparazione della ureasi allo stato cristallino per merito di J. B. Sumner. Negli anni successivi numerosi altri e. furono cristallizzati: fra essi la pepsina (1930), la tripsina (1931), l'e. (o fermento) giallo di Warburg (1934), catalasi (1937), lisozima (1937), triosio-fosfato deidrogenasi (1939), lattato deidrogenasi (1940), aldolasi del muscolo (1943), esocinasi (1946), ecc. Alcuni di questi e. sono costituiti da proteine semplici (per es. l'ureasi), altri da proteine coniugate (per es. la catalasi). Pertanto, secondo il tipo di proteina che li costituisce, gli e. possono essere distinti in due gruppi principali:

1) E. costituiti da proteine semplici (oloproteine, oloprotidi). Un esempio di questo tipo di e. è la ribonucleasi (fig. 1).

2) E. costituiti da proteine coniugate (eteroproteine, eteroprotidi), in cui esiste un gruppo non proteico. Il gruppo aproteico può essere unito saldamente al resto della molecola, come per es. nel citocromo C: in questo caso si parla di gruppo prostetico. In molti altri casi il gruppo aproteico è legato piuttosto lassamente e si dissocia più o meno facilmente (come il NAD+, il NADP+, ecc.; vedi oltre). In questi casi la parte proteica è denominata apoenzima e il gruppo aproteico coenzima; dalla loro unione si ottiene l'e. completo, che viene definito oloenzima, ma che comunemente è chiamato semplicemente enzima:

apoenzima + coenzima = (olo)enzima

Il coenzima che si stacca facilmente dall'apoenzima è definito da molti autori substrato speciale o cosubstrato; in questi casi l'apoenzima è considerato enzima. In molti e. il gruppo prostetico ha una struttura tetrapirrolica (identica o simile a quella dell'eme), mentre i coenzimi sono derivati di vitamine (tab. 2).

Negli e. costituiti da proteine semplici, la proteina interviene nel determinare sia la specificità, sia la reazione (vedi oltre); invece negli e. costituiti da proteine coniugate, il compito di partecipare direttamente alla reazione spetta al gruppo prostetico e al coenzima i quali, di solito, fungono da trasportatori intermedi di elettroni, o di atomi, come H, o di gruppi, come metili, −NH2, ecc., mentre la porzione proteica e l'apoenzima sono responsabili della specificità.

L'attività di alcuni e. dipende soltanto dalla loro struttura proteica; in altri casi è richiesta, in più, la presenza di strutture non proteiche, dette cofottori. I cofattori più caratteristici sono gli ioni metallici, ma alcuni autori considerano cofattori anche i coenzimi già ricordati. L'ione metallico può fungere da ponte che unisce il substrato e l'e. (si forma un complesso di coordinazione), oppure può agire da gruppo catalitico vero e proprio (vedi oltre).

Specificità. - Una delle caratteristiche più importanti degli e., che li contraddistingue dalla maggioranza degli altri catalizzatori conosciuti, è la specificità. Si distinguono vari tipi e gradi di specificità: specificità di legame, di gruppo e di substrato.

a) Specificità di legame. - L'e. attacca solamente un determinato legame chimico. Così la pepsina scinde certi legami peptidici, la lattasi il legame glicosidico che unisce il galattosio al glucosio (nel lattosio), ecc.

b) Specificità di gruppo chimico. - L'e. attacca soltanto un determinato gruppo chimico (gruppo alcolico, gruppo aldeidico, ecc.). Per es., la etanolo deidrogenasi del fegato ossida (deidrogena) l'alcole etilico e con velocità diverse anche altri alcoli.

c) Specificità di substrato. - L'e. attacca certi composti e non altri, benché suscettibili di subire la stessa reazione. La specificità può essere assoluta, per cui una piccola modificazione della molecola del substrato è sufficiente per impedire all'e. di esplicare la sua azione. Per es. l'ureasi idrolizza l'urea (H2NCONH2) in anidride carbonica (CO2) e ammoniaca (NH3), ma non agisce su nessuna delle uree sostituite finora note. Altre volte la specificità è minore (specificità relativa), come nel caso della già citata etanolo deidrogenasi.

Altri e. sono specifici per gl'isomeri geometrici o isomeri cis-trans. La fumarasi, per es., addiziona facilmente acqua a livello del doppio legame dell'acido fumarico (struttura trans), ma è completamente inattiva sull'acido maleico, isomero dell'acido fumarico, che ha struttura cis.

In alcune reazioni enzimatiche, il substrato è costituito da una molecola simmetrica. Il glicerolo e l'acido citrico appartengono a questa categoria; tuttavia essi si comportano asimmetricamente (fig. 2). Dell'uno e dell'altro è attaccata soltanto la parte di molecola corrispondente all'area che nella figura è colorata, mentre non lo è quella compresa nell'ovale grigio.

Alcuni decenni fa E. Fiscker tentò di spiegare la specificità degli e. con l'esempio della chiave e della toppa della serratura: l'e. è considerato la chiave che apre solo la propria serratura. Secondo la concezione di Fischer l'e. (e. in particolare il sito attivo) possiede una struttura molto rigida, la quale respinge, per motivi sterici, le molecole che differiscono strutturalmente dal substrato normale (fig. 3). Più recentemente Koshland ha proposto una nuova teoria per spiegare la specificità degli e. (induced-fit theory). Secondo questa teoria la struttura dei biocatalizzatori è meno rigida e la geometria della proteina enzimatica può essere modificata dall'unione del biocatalizzatore con il substrato (fig. 4).

Sito attivo. - Per poter agire, ogni e. (E) deve formare con il proprio substrato (S) un complesso, chiamato complesso substrato-enzima (SE):

Poiché la maggior parte dei substrati sono rappresentati da molecole di dimensioni spesso molto piccole in confronto a quelle del biocatalizzatore, è ovvio ritenere che solo una piccola porzione della molecola enzimatica è impegnata nella formazione del complesso substrato-enzima. Questa piccola porzione è definita sito attivo.

Il sito attivo di un e. è formato innanzitutto dagli amminoacidi e dai legami peptidici che sono a contatto diretto con il substrato (tramite le catene laterali e forse anche con l'intervento di molecole di H2O) e dagli amminoacidi e dai legami peptidici che, pur non essendo a contatto diretto con il substrato, possono interagire direttamente nel processo catalitico. Gli amminoacidi che costituiscono il sito attivo non devono essere necessariamente adiacenti nella catena peptidica; lo sono invece nello spazio a seguito del ripiegamento della catena proteica (struttura secondaria e terziaria della molecola). Una rappresentazione schematica di un sito attivo è riprodotta nella fig. 5.

Il resto della molecola enzimatica serve a mantenere i componenti del sito attivo nella conformazione richiesta per la catalisi efficiente e specifica. (Una parte della molecola può anche non esercitare alcuna funzione nel processo catalitico). L'importanza della struttura tridimensionale (con formazione) è facilmente deducibile dalle gravi alterazioni della attività catalitica (che possono sfociare nell'inattivazione dell'enzima) che si osservano quando la conformazione del biocatalizzatore è modificata dagli agenti denaturanti (calore, urea, solventi organici, ecc.).

La formazione del complesso substrato-enzima, in cui il substrato è unito all'e. con legami covalenti, è stata ampiamente dimostrata (per es. nelle reazioni catalizzate dalla tripsina, dalla triosio-fosfato deidrogenasi, dalla aldolasi, ecc.). In parecchi casi sono state anche identificate le sequenze degli amminoacidi presenti nel sito attivo. Alcune di queste sequenze sono riportate nella tab.1.

Tripsina, chimotripsina e altri e. hanno molte sequenze aminoacidiche in comune, in particolare nei pressi del sito attivo. La fosfogliceraldeide deidrogenasi del muscolo e del lievito hanno strutture molto diverse, ma in corrispondenza del sito attivo vi è una sequenza di 18 amminoacidi identici.

Recenti ricerche hanno portato a distinguere, nel sito attivo, due parti: il gruppo (o sito) di fissazione (deputato a legare il substrato) e il gruppo (o sito) catalitico, più direttamente responsabile della catalisi.

Negli e. può esistere anche un altro sito o, meglio, zona, detta zona di regolazione, di cui si parlerà in seguito (vedi e. allosterici).

Meccanismo d'azione. - Le reazioni chimiche che decorrono spontaneamente sono quelle esoergoniche (esotermiche), cioè quelle in cui ha luogo una diminuzione dell'energia libera; inoltre non tutte le molecole presenti in un sistema prendono parte alla reazione: ma soltanto quelle attivate, cioè portate a uno stato di transizione.

Le molecole attivate possiedono una carica di energia superiore a quella delle molecole normali. La differenza di energia tra una molecola attivata e una molecola normale prende il nome di energia di attivazione. La grandezza dell'energia di attivazione varia da un sistema all'altro. Il numero delle molecole capaci di raggiungere, nel sistema, lo stato di attivazione e quindi di reagire è tanto più piccolo quanto maggiore è la differenza (o dislivello) fra l'energia allo stato iniziale e quella allo stato di attivazione (fig. 6). Se la differenza è eccessiva, nessuna molecola raggiunge lo stato di attivazione e pertanto il decorso della reazione è impossibile; diminuendo il dislivello, un numero sempre maggiore di molecole raggiunge lo stato di attivazione e la reazione inizia.

La diminuzione del dislivello si può realizzare:

1) innalzando l'energia dello stato iniziale, ricorrendo, per es., al riscaldamento;

2) abbassando l'energia di attivazione necessaria.

Gli e. agiscono con la seconda modalità, cioè abbassando l'energia di attivazione. Lo scopo viene raggiunto attraverso la formazione del complesso substrato-enzima. La formazione di questo complesso richiede un'energia di attivazione minore di quella necessaria al decorso diretto della reazione, in assenza del biocatalizzatore. Il risultato finale equivale a un abbassamento dell'energia di attivazione.

Il substrato unito all'e. nel complesso substrato-enzima subisce poi le modificazioni caratteristiche della reazione enzimatica, dopo di che l'e. si stacca, torna libero e rientra nel ciclo.

Gli e. non modificano l'equilibrio di una reazione reversibile; essi possono soltanto accelerarla in entrambi i sensi, ma l'equilibrio finale è lo stesso sia in presenza che in assenza del biocatalizzatore. In linea di massima non vi sono eccezioní a questa regola. Tuttavia, riferendola all'insieme delle reazioni cellulari, la situazione si presenta in modo diverso. Nelle cellule, le reazioni non decorrono isolate; inoltre il medesimo substrato (S) può andare incontro a differenti vie metaboliche:

In pratica il substrato S può essere trasformato in C → D → E oppure in L → M → N. Le reazioni 1 e 2 sono dunque in concorrenza. Se l'e. che catalizza la reazione S → C è più attivo, nella cellula si forma prevalentemente il composto (terminale) E; se è più attivo l'e. che catalizza S → L, si produrrà principalmente N.

Si deve aggiungere che gli e. non mutano le leggi della termodinaminamica. Se la reazione A B è esoergonica, essa decorrerà spontaneamente, ma sarà più veloce in presenza dell'enzima. La reazi0ne inversa (endergonica) avrà luogo in scarsissima misura sia in presenza che in assenza dell'e., per cui il sistema si comporta come se la reazione non fosse reversibile. Tuttavia la reazione inversa, B → A, può verificarsi se essa è accoppiata a un'altra reazione, in grado di fornire l'energia chimica necessaria al decorso del processo. Questo fenomeno è molto frequente nelle cellule viventi (per es. nella biosintesi dei costituenti cellulari).

Cinetica delle reazioni catalizzate da enzimi. Influenza della concentrazione del substrato e dell'enzima. - I principi generali della cinetica delle reazioni chimiche sono applicabili anche alle reazioni catalizzate dagli e., ma queste ultime presentano una caratteristica particolare, non osservata di solito nelle reazioni non enzimatiche, cioè il fenomeno della saturazione da parte del substrato. Nella fig. 7 si vede l'effetto. della concentrazione di substrato sulla velocità della reazione enzimatica A → B. A bassa concentrazione di substrato (S), la velocità di reazione v è proporzionale alla concentrazione di S e la reazione è quindi di primo ordine rispetto al substrato. Ma quando la concentrazione del substrato supera un determinato valore, la velocità di reazione tende a crescere in misura minore e non è più proporzionale alla concentrazione del substrato; in questa zona la reazione è di ordine misto. Aumentando ulteriormente la concentrazione del substrato, la velocità diventa costante e indipendente dalla concentrazione del substrato stesso: a questo punto la reazione è di ordine zero rispetto al substrato e l'e. è saturato (cioè completamente legato) dal substrato. In tali condizioni (stato di saturazione), il fattore che limita la velocità è rappresentato esclusivamente dalla concentrazione dell'enzima. Tutti gli e. possono raggiungere lo stato di saturazione, ma varia enormemente la concentrazione del substrato necessaria per raggiungerlo.

L'effetto della saturazione portò L. Michaelis e M. L. Menten a formulare, nel 1913, una teoria generale dell'azione e della cinetica enzimatica, che più tardi fu ampliata da G. E. Briggs e J. B. S. Haldane. Questa teoria, fondamentale per la valutazione quantitativa dell'attività e dell'inibizione enzimatiche, prende in considerazione le reazioni già ricordate, tutte considerate reversibili, che si possono riassumere così:

In queste reazioni:

a) la velocità di formazione di ES da E + S è data da

b) la velocità di scissione di ES è data da:

Quando la velocità di formazione di ES è uguale alla velocità della sua scissione;

Riordinando l'espressione si ha:

La costante Km è detta costante di Michaelis-Menten.

Quando la concentrazione del substrato è così alta che in pratica tutto l'e. presente nel sistema è sotto forma di ES, la velocità di reazione è massima (Vmass).

Facendo qualche opportuna sostituzione e sviluppando l'ultima equazione si ottiene:

che è l'equazione di Michaelis-Menten.

Nel caso particolare in cui V = Vmass/2, dalla equazione di Michaelis-Menten emerge un'importante relazione numerica:

Dividendo per Vmass e riordinando si ottiene:

da cui risulta che la Km è uguale alla concentrazione del substrato, alla quale la velocità della reazione è pari alla metà di quella massima. Km ha le dimensioni di mole litro-1.

L'equazione di Michaelis-Menten può essere trasformata algebricamente in altre, molto utili per esprimere graficamente vari dati sperimentali. Per es., prendendo il reciproco di entrambi i membri dell'equazione e sviluppando opportunamente si ottiene l'equazione di Lineweaver-B-urk:

che rappresenta una retta con un'inclinazione di Km/Vmass e una intercetta di 1/Vmass sull'asse 1/V contro 1/[S] (fig. 8).

Effetto della temperatura sull'attività enzimatica. - Un aumento della temperatura accelera il movimento delle molecole e di conseguenza la velocità delle reazioni chimiche. Ciò vale anche per le reazioni catalizzate dagli enzimi. Tuttavia, oltre un certo limite gli e., che sono proteine, vengono denaturati e quindi inattivati, per cui la reazione enzimatica si arresta. La temperatura, a cui la velocità di reazione è massima, è definita ottimale.

Effetto del pH sull'attività enzimatica. - Le reazioni enzimatiche sono molto sensibili al pH dell'ambiente (fig. 9). Il pH, a cui la velocità di reazione è massima, è definito ottimale. Il pH ottimale varia da 1 (pepsina) a 10 (arginasi), ma per lo più è compreso tra 5 e 8.

Importanza dei gruppi solfidrilici. - I gruppi solfidrilici (−SH) o per lo meno alcuni di essi, sono necessari per l'attività catalitica di determinati enzimi. Se i solfidrili sono ossidati a disolfuro (−SS−), l'e. diviene inattivo. La papaina, che è un e. proteolitico di origine vegetale ricco di gruppi solfidrilici, esposta all'ossigeno diventa inattiva; aggiungendo un riducente opportuno, che riduca i gruppi −SS− a −SH, il criocatalizzatore riacquista la sua piena attività. Osservazioni simili sono state fatte per un grande numero di e., fra cui la triosio-fosfato deidrogenasi e la piruvato carbossilasi.

Effetto dei cationi e degli anioni. - Spesso per l'attività dell'e. è richiesta la presenza di un catione (Na+, K+, Mn2+, Mg2+, Ca2+, Zn2+, ecc.) oppure, ma raramente, di anioni (per es., Cl-).

Effetto dell'acido adenilico ciclico. - Un certo numero di e., in particolare le proteine cinasi, sono fortemente attivate dall'acido adenilico ciclico (cAMP). Questi e. sono formati da due subunità, di cui la prima comprende il sito attivo, la seconda una zona di fissazione dell'AMP ciclico. Quando le due subunità sono unite tra loro, l'e. è inattivo (perché il suo sito attivo è nascosto o impedito). Aggiungendo l'attivatore, esso si combina con la subunità regolatrice e la stacca (reversibilmente) dalla subunità catalitica, per cui il sito attivo è messo allo scoperto e l'attività catalitica compare (fig. 10).

Effettori allosterici. - Molto interessante è anche la regolazione dell'attività enzimatica dei cosiddetti e. allosterici da parte di certe sostanze denominate effettori allosterici. Gli e. allosterici sono formati da varie subunità identiche, dette protomeri, formate da uno o più catene polipeptidiche. Ciascun protomero ha un sito attivo (uno solo) e una zona di regolazione, comprendente:

a) un gruppo a cui si lega l'attivatore (o effettore attivante);

b) un gruppo a cui si unisce l'inibitore (o effettore inibente).

In pratica l'e. esiste in due forme, tra loro in equilibrio (fig. 11): la forma catalitica (R o relax) e la forma inibita (T o tense). Nella forma catalitica R l'e. può combinarsi sia con il substrato sia con l'attivatore; nella forma inibita (T) può unirsi soltanto all'inibitore. Il passaggio (reversibile) da una forma all'altra è detto transizione allosterica.

I ligandi (substrato ed effettori), fissandosi (reversibilmente) al l'e. spostano l'equilibrio verso la forma R o T, che contemporaneamente viene stabilizzata. Più precisamente l'attivatore (che può essere anche il substrato) unendosi all'e., favorisce la forma R, la quale lega il substrato (una molecola per ogni protomero) e lo trasforma. L'inibitore (che può essere anche un metabolita derivato (dal substrato), fissandosi all'e. favorisce la formazione della forma T, la quale non lega il substrato e pertanto rimane cataliticamente inattiva. In pratica, l'attività degli e. allosterici, compresi quelli implicati nel metabolismo, è regolata dalla concentrazione dei vari substrati e dei corrispondenti metaboliti. Questo fenomeno è particolarmente evidente nel controllo del metabolismo con il meccanismo della retroinibizione o feed-back.

Inibizione enzimatica. - L'inibizione dell'attività catalitica degli e. può essere reversibile o irreversibile. La seconda (irreversibile) implica la modificazione permanente di uno o più gruppi funzionali dell'e. e di conseguenza il blocco duraturo dell'attività catalitica; invece nell'inibizione reversibile, tale blocco può essere rimosso. A sua volta l'inibizione reversibile può essere competitiva o non competitiva. La prima può essere rimossa aumentando la concentrazione del substrato, il che non avviene nel secondo caso.

a) Inibizione reversibile competitiva. - L'esempio classico e molto istruttivo d'inibizione competitiva è quello offerto dalla succinato deidrogenasi in presenza di malonato o di altri acidi dicarbossilici. La succinato deidrogenasi ossida (deidrogena) il succinato a fumarato; aggiungendo concentrazioni crescenti di acido malonico, che ha una struttura molto simile a quella dell'acido succinico, si ha una notevola caduta dell'attività succinato deidrogenasica. L'acido malonico infatti compete per il sito attivo, al quale normalmente si lega l'acido succinico, impedendo così la formazione del complesso succinato-enzima, per cui la reazione non può avere luogo. Tuttavia, aumentando adeguatamente la concentrazione dell'acido succinico, l'inibizione può essere rimossa. Da quanto esposto si deduce che nell'inibizione competitiva l'inibitore (I) si lega reversibilmente all'e. (E):

La competizione tra l'inibitore e il substrato (S) per il sito attivo del'e. può essere schematizzata così:

Quanto più l'inibitore è energico, tanto più l'equilibrio è spostato verso sinistra.

b) Inibizione reversibile non competitiva. - Caratteristica dell'inibizione enzimatica non competitiva è la mancata rimozione del blocco dell'attività del biocatalizzatore anche dopo un forte aumento della concentrazione del substrato. In altri termini, il grado d'inibizione non competitiva non dipende dalla concentrazione del substrato. In questi casi l'inibitore (I) si lega all'e. libero (E) oppure unito al substrato (ES) in una zona diversa dal sito attivo:

Nei complessi IE ed IES, l'e. è inattivo e quindi la reazione enzimatica non ha luogo.

Il tipo più comune d'inibizione reversibile non competitiva è quello dato dai reagenti (soprattutto cationi: Cu2+, Hg2+, Ag+, ecc.) che si combinano con i gruppi −SH dei residui di cisteina, gruppi essenziali per l'attività catalitica di certi enzimi:

Un altro tipo d'inibizione enzimatica non competitiva si osserva negli e. che per svolgere la loro attività catalitica hanno bisogno di ioni metallici. Questi biocatalizzatori sono inibiti dagli agenti capaci di legarsi allo ione, sottraendolo alla sua funzione. Ecco qualche esempio: Il cianuro inibisce gli e., la cui attività dipende dal Fe2+ o dal Fe3+, in quanto forma con questi ultimi complessi inattivi simili rispettivamente al ferrocianuro e al ferricianuro. L'agente chelante etilendiammina tetracetato (EDTA) sottrae Mg2+, Ca2+ e altri cationi bivalenti, inibendo così gli e. la cui attività è condizionata da questi ioni.

c) Inibizione irreversibile. - Nell'inibizione irreversibile la molecola dell'e. è in qualche modo "storpiata" stabilmente, per cui non è più in grado di legare il substrato.

Un ben noto tipo d'inibizione irreversibile è offerto dagli agenti alchilanti, tra cui la iodoacetamide, che reagiscono in maniera irreversibile con i gruppi SH non facenti parte del sito attivo o del gruppo catalitico. Per es., la citata iodoacetamide reagisce così:

La reazione procede totalmente verso destra, con formazione di un derivato, nel quale l'alchilante è unito all'e. con legame covalente.

Un altro esempio d'inibizione irreversibile è offerto dal diiodiopropilfluorofosfato (DIFP), appartenente alla classe dei composti organofosforici tossici. Questi composti sono veleni nervini, perché si combinano con l'acetilcolinesterasi (indispensabile alla trasmissione degl'impulsi nervosi), inattivandola; alcuni sono usati come insetticidi. Il DIFP si combina stabilmente con il gruppo ossidrilico della serina della molecola enzimatica, bloccandone l'attività catalitica. L'azione di molti farmaci, in medicina, è basata proprio su un effetto inibente specifico verso un e. importante del metabolismo cellulare.

Inattivazione degli enzimi. - Nell'inattivazione degli e. si ha la perdita definitiva, irreversibile, dell'attività catalitica, perdita dovuta a una profonda alterazione o denaturazione della proteina enzimatica. L'inattivazione si può ottenere con mezzi fisici (per es., temperatura elevata, irradiazione, ecc.), chimici (trattamento dell'e. con acido nitroso, con ossidanti, con metalli pesanti, ecc.), biochimici (scissione idrolitica dell'enzima).

Proenzimi o zimogeni, e loro attivazione. - Alcuni e. sono sintetizzati come proenzimi o zimogeni, inattivi. Il tripsinogeno, il pepsinogeno, il chimotripsinogeno sono altrettanti esempi di zimogeni. Per trasformare uno zimogeno in e. attivo, bisogna rimuovere un peptide che funge da inibitore. Per es., per convertire il tripsinogeno a tripsina è necessario staccare dalla molecola un esapeptide costituito da valina, quattro molecole di acido aspartico e lisina (fig. 12), il che provoca un cambiamento nella configurazione della proteina originaria, che diventa attiva. In vivo il distacco è effettuato (catalizzato) dalla enterocinasi e dalla tripsina, dopo che essa è formata:

Isoenzimi. - Gl'isoenzimi (o isozimi o e. ibridi) sono e. più o meno di versi tra loro, che catalizzano la stessa reazione.

L'esistenza degl'isoenzimi è legata alla struttura quaternaria delle proteine. L'esempio più noto (e più sfruttato a scopi diagnostici) è la lattato deidrogenasi (LDH). Esistono cinque isoenzimi della LDH separabili con tecniche adeguate differenti per composizione, proprietà fisiche, immunologiche e catalitiche. Il trattamento con soluzioni concentrate di cloruro di guanidio, in presenza di mercaptoetanolo, scinde la LDH in quattro subunità di due tipi diversi. Contrassegnando i due tipi rispettivamente con H ed M e combinandoli opportunamente in modo da formare un tetramero, si ottengono appunto cinque distinte lattato deidrogenasi: HHHH, HHHM, HHMM, HMMM, MMMM.

Gl'isoenzimi conosciuti sono ormai numerosi, tra cui si ricordano, fra gli altri, la fosfatasi alcalina, la glutammico ossalacetico transaminasi, la creatina cinasi. Tuttavia non è ancora stato accertato che tutti gl'isoenzimi siano strutturati in maniera analoga alla lattato deidrogenasi.

Controllo genetico della sintesi degli enzimi. Induzione e repressione. - Sotto il profilo genetico (gli studi relativi sono stati compiuti soprattutto nei Batteri), gli e. possono essere distinti in enzimi costitutivi e in enzimi induttivi (o adattativi).

Gli e. costitutivi sono sempre presenti in una determinata specie batterica (per es. la citocromossidasi negli aerobi obbligati) anche se in quantità variabile secondo le condizioni sperimentali. Gli e. induttivi sono invece quasi assenti (poche unità per mg di proteine) in una data specie batterica, ma compaiono in grandi quantità (centinaia e migliaia di unità per mg di proteine) se detta specie batterica viene coltivata in un terreno contenente l'induttore. (L'induttore è il substrato su cui il biocatalizzatore neosintetizzato agirà, oppure una sostanza strutturalmente affine al vero substrato).

L'induzione enzimatica, descritta all'inizio del secolo da Dienert, è stata poi studiata a fondo da F. Jacob e J. Monod. Esempi classici sono l'induzione della β-galattosidasi in Escherichia coli e in Saccharomyces ludwigk. (La β-galattosidasi idrolizza i β-galattosidi, tra cui il lattosio, che scinde in galattosio e glucosio). L'e. non è presente normalmente in questi microrganismi, ma compare entro 1-2 minuti quando essi siano fatti crescere su un terreno di coltura contenente lattosio. Allontanando questo disaccaride dal terreno colturale, la β-galattosidasi scompare molto rapidamente.

Altri esempi sono la formazione del citocromo nel lievito, indotta dall'ossigeno; la formazione di penicillasi in certi microrganismi, indotta dalla penicillina. Quest'ultimo caso è particolarmente interessante, perché la penicillasi distrugge l'antibiotico e ciò permette di comprendere la resistenza di alcuni ceppi microbici alla penicillina. Infatti durante il trattamento con l'antibiotico, i ceppi non inducibili scompaiono, mentre quelli che producono la penicillasi sopravvivono e si moltiplicano. Non ogni substrato funge da induttore enzimatico. Affinché l'induzione possa verificarsi è necessario che le cellule contengano l'informazione necessaria alla sintesi dell'enzima. L'induzione enzimatica è possibile anche nell'animale e nell'uomo, ma in maniera meno vistosa e drammatica che nei Batteri.

All'induzione si contrappone la repressione enzimatica, che consiste nell'arresto o nella marcata riduzione della sintesi di uno o più e., provocata dalla presenza di determinate sostanze di basso peso molecolare (dette repressori) nel mezzo colturale. La conseguente assenza di un e. altera il metabolismo cellulare, fino ad arrestarlo. J. Monod e G. Cohen osservarono che Escherichia coli coltivata in un terreno ricco di triptofano arrestava la produzione di triptofano sintetasi, il sistema enzimatico capace di sintetizzare tutto il triptofano necessario al microrganismo.

Un'interpretazione del meccanismo dell'induzione e della repressione enzimatica è stata data da F. Jacob e J. Monod. Essa è imperniata sostanzialmente sul controllo della sintesi delle proteine, la quale, com'è noto, avviene in più tappe, le più caratteristiche delle quali sono denominate trascrizione e traduzione. Nella prima, una porzione (uno o più geni) del DNA (depositario dell'informazione genetica) trasmette (trascrive) le informazioni all'RNA messaggero (m-RNA). L'm-RNA esce dal nucleo e si unisce ai ribosomi, dove dirige la sintesi proteica, determinando la sequenza degli amminoacidi e di conseguenza le loro proprietà (per maggiori particolari v. proteine: biosintesi delle proteine, in questa App.). Il processo è dunque controllato dal DNA o, più precisamente, dai geni, in particolare dall'operone.

L'operone è un'unità genetica che comprende i seguenti geni:

a) geni strutturali, i quali contengono il codice (l'informazione) che regola la sintesi degli e. appartenenti a una determinata catena metabolica;

b) un gene regolatore, che comanda la sintesi di una particolare proteina, il repressore, il quale ha una forte affinità per il gene operatore, al quale può unirsi;

c) il gene operatore, che comanda il funzionamento o il non funzionamento dei geni strutturali dell'operone (se questo gene è libero, i geni strutturali funzionano; se si lega all'operone, li arresta);

d) il gene promotore, che è formato da due parti: l'una serve da punto di attacco a un complesso formato dall'AMP ciclico e da una proteina particolare recettrice dell'AMP ciclico, indicata con la sigla CRF.

Il meccanismo d'induzione è schematizzato nella metà superiore della fig. 13; quello della repressione nella metà inferiore.

L'ipotesi di Monod e Jacob è di notevole significato biologico ed è inoltre largamente utile ai fini dell'interpretazione di numerosi altri problemi biologici, come il meccanismo delle mutazioni, l'azione dei farmaci, degli ormoni, la patogenesi di talune malattie.

Endoenzimi ed esoenzimi. - Gli e. che agiscono entro la cellula sono detti endoenzimi o enzimi intracellulari, quelli che operano fuori della cellula esoenzimi o e. extracellulari. I primi catalizzano i processi delle varie vie metaboliche; i secondi hanno per lo più il compito di scindere le grosse molecole presenti nel terreno colturale e nell'ambiente in cui vivono e si moltiplicano. Esempi comuni di esoenzimi sono la pepsina, la tripsina e, in generale, gli e. digestivi; le cellulasi, che degradano la cellula a cellobioso; le amilasi, che degradano l'amido a destrina e maltosio; le proteasi, che idrolizzano le proteine a polipeptidi e amminoacidi.

Numerosi microrganismi patogeni esercitano la loro azione tramite esoenzimi. Ecco alcuni esempi: la lecitinasi o α-tossina di Clostridium perfrigens che, è responsabile dell'azione necrotizzante associata alla gangrena gassosa; la ialuronidasi di Streptococcus pyogenes, che degrada la sostanza intercellulare costituita da acido ialuronico e da condroitinsolfati; la strepto-DNA-asi, che scinde l'acido desossiribonucleico; la streptocinasi, che attiva la plasmina dando origine a un sistema che lisa la fibrina; la coagulasi secreta da alcuni Staphlococcus, che favorisce la coagulazione del plasma; l'ureasi che trasforma l'urea in ammoniaca e anidride carbonica; la collagenesi prodotta da Clostridium histolyticum, che idrolizza il collagene.

Gli e. prodotti da numerosissimi microrganismi non patogeni sono alla base del loro impiego nelle industrie fermentative (v. fermentazione). Altri microrganismi sono utilizzati per produrre in larga scala e. di uso industriale o farmaceutico. Tra questi si possono ricordare: le amilasi (prodotte da Aspergillus oryzae e da alcuni Rhizopus), l'invertasi (prodotta da Saccaromyces cerevisiae), la proteasi (prodotta da Aspergillus oryzae o da altri aspergilli e anche da Batteri), le pectinasi (prodotte da penicilli, aspergilli, ceppi di Mucor, Rhizopus, Botrytys, Fusarium).

Enzimi autolitici. - Un gruppo di e., denominati autolitici, localizzati nella parete cellulare allo stato inattivo, si attivano rapidamente nel caso di lesioni o di morte delle cellule e ciò porta a una rapida degradazione della parete cellulare e alla disintegrazione del protoplasma (autolisi).

Enzimopenie ed errori metabolici congeniti. - Lo studio delle relazioni tra geni ed e. (riassunte nella famosa ipotesi "un gene-un enzima") consente di dare un'interpretazione razionale dei difetti genetici, che sono l'espressione di alterazioni a carico del DNA (mutazioni). Alcune di queste alterazioni possono causare il blocco della sintesi di una proteina enzimatica (enzimopenia) oppure la formazione di una proteina difettosa con perdita o modificazione dell'attività catalitica. Dai blocchi metabolici che ne conseguono derivano quadri morbosi diversi (v. metabolismo, Malattie congenite del; cenetica umana).

Diagnostica enzimatica. - Il sangue e, quindi, il plasma e il siero, contiene un certo numero di e., alcuni dei quali, come quelli della coagulazione, la ceruloplasmina, la pseudocolinesterasi, ecc., sono sempre presenti nei fluidi citati, essendo versati costantemente nel torrente circolatorio dalle cellule che li producono. Altri, precisamente quelli tipicamente intracellulari, o non sono presenti o lo sono in quantità estremamente piccole in condizioni fisiologiche. La loro concentrazione aumenta quando qualche noxa lede le cellule di un organo, in modo da provocare la fuoriuscita parziale o totale del loro corredo enzimatico. Il quadro degli e. che compaiono nel plasma e nel siero in queste condizioni è caratteristico e correlabile con l'organo leso. Pertanto il suo studio facilita notevolmente la diagnosi di lesione d'organo. Particolare importanza rivestono, sotto questo profilo, gli e. "organo-specifici" cioè gli e. localizzati o secreti esclusivamente o prevalentemente dalle cellule di un determinato organo: per es., la carbomilfosfato - ornitina carbamil transferasi (OCT) aumenta fortemente nelle epatiti acute; la ATP: creatina fosfato transferasi, chiamata anche creatina fosfocinasi (CPK), cresce nell'infarto del miocardio; l'α-amilasi nella pancreatite acuta, ecc. Al significato diagnostico degl'isoenzimi, versati nel siero, si è già accennato in precedenza.

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Applicazioni industriali. - Molti e. esplicano importanti funzioni negli organismi animali e vegetali, altri hanno interesse perché utilizzati in svariati processi industriali: per la preparazione e trattamento di prodotti alimentari (formaggi, birra, vino, pane, ecc.) o per l'effettuazione di trasformazioni chimiche: idrolisi dei carboidrati, inversione dello zucchero, solubilizzazione della gelatina, asportazione di macchie da tessuti, ecc.

Si calcola che la produzione mondiale di e. superi il valore di 60 miliardi; oltre la metà di questo fatturato spetta agli e. proteolitici derivati dal Bacillus subtilis, impiegati nelle polveri detergenti (v. detergenti, in questa Appendice).

Si hanno e. estratti da organismi sia vegetali che animali; la maggior parte però di quelli usati è di origine microbica.

Fra quelli estratti da vegetali vanno ricordati:

Papaina, proteasi presente nelle varie parti della Carica papaya (XXVI, p. 247). Il lattice proveniente da incisioni praticate nei frutti ben cresciuti, non maturi, si lascia coagulare ed essiccare, viene messa in commercio sotto forma di polvere, di granuli o in soluzione; il prodotto contiene oltre a papaina altri e. (chemopapaine, lisozima, ecc.). La sua attività si misura in base al tempo richiesto per solubilizzare, in condizioni normalizzate, campioni di carne in polvere o di latte coagulato. La papaina risulta inattivata da agenti ossidanti, dai metalli pesanti; si usa nella stabilizzazione della birra, nell'ammorbidimento delle pelli, ecc.;

Ficina, e. delle piante della famiglia del fico, ad azione e comportamento in gran parte simile a quello della papaina.

Bromelina (o bromelaina), e. proteolitico della Bromeliacee; si estrae dal succo di spremitura delle parti di scarto dell'ananas (torsolo, bucce ed anche foglie) per precipitazione con acetone o con solfuro ammonico. Trova impieghi analoghi a quelli della papaina.

Gli e. di origine animale sono di maggiore interesse; fra di essi da citare:

Pepsina (XXVI, p. 713) del succo gastrico, usata oltre che a scopi terapeutici (per attivare la digestione) per preparare idrolizzati proteici, per idrolizzare la gelatina dei film e delle lastre fotografiche onde consentire il ricupero dell'argento, ecc.;

Pancreatina (XXVI, p. 177), che si estrae dal pancreas fresco di animali bovini e di suini; la sua azione è dovuta alla presenza di un e. proteolitico (tripsina) e di uno amilolitico (amilopsina) e di una lipasi (steapsina). Oltre che in medicina, come digestivo nell'insufficienza pancreatica, si usa nella sbozzimatura dei tessuti, nell'industria del cuoio, ecc.;

Rennina, che si estrae dal quarto stomaco dei vitelli; il prodotto (presame e caglio) contiene diversi e. (specie chimosina dotata di proprietà proteolitiche); si usa per coagulare il latte per farne formaggio. Se lo stomaco dei vitelli non si usa subito deve essere conservato sotto sale, a bassa temperatura. Il materiale privato del grasso, frantumato viene estratto con acqua salata, la soluzione chiarificata, filtrata si usa tal quale o sotto forma di polvere ottenuta dalla soluzione per evaporazione a bassa temperatura.

Gli e. di origine microbica sono quelli di maggiore interesse industriale in quanto la loro disponibilità non viene a essere legata a quella degli organismi animali o vegetali, ma solo alla capacità produttiva dei microorganismi che nella maggior parte dei casi può essere espansa a piacere.

Di solito i microorganismi non producono un solo e., ma diversi, che servono a idrolizzare i materiali nutritivi a disposizione e ad assicurare l'effettuazione delle reazioni metaboliche. Le tecniche seguite per lo sviluppo dei vari microorganismi necessari alla produzione di e. sono quelle tipiche dei processi di fermentazione, cioè mediante colture sia in superficie che sommerse (oggi sempre più frequentemente).

Raggiunto lo sviluppo desiderato, il ricupero, ma specie la purificazione degli e., presenta non poche difficoltà. Poiché la maggior parte degli e. microbici sono extracellulari al termine del processo di sviluppo dei microorganismi gli e. si troveranno nel liquido; questo viene separato dai solidi in sospensione per filtrazione o per centrifugazione. Nel caso di e. endocellulari, cioè trattenuti all'interno delle cellule, queste debbono essere sottoposte a lisi perché mettano in libertà gli enzimi. Dalla soluzione parzialmente concentrata gli e. si separano per precipitazione (mediante aggiunta di solventi o di sali inorganici), per estrazione con solvente.

Il prodotto che così si ottiene non è mai puro, però in alcuni casi esso può essere usato in questo stato, in molti altri casi è necessario sottoporlo a trattamento di depurazione. Fra i metodi più usati sono da ricordare quelli di adsorbimento e di separazione cromatografica; si basano sull'adsorbimento preferenziale della molecola dell'e. rispetto a quelle delle impurezze, al pH adatto, su substrati di tipo inorganico (fosfato di calcio, caolino, idrato di alluminio, ecc.) od organico (polimeri, resine scambiatrici, ecc.). Naturalmente poi una volta che l'e. percolando attraverso uno strato di adsorbente è stato da questo preferenzialmente adsorbito, occorre rimuoverlo, ciò che di solito si può fare sfruttanto per es. l'azione eluitrice di soluzioni tampone alcaline; l'e. infine si può separare per dialisi. Colonne di resine scambiatrici sono particolarmente efficaci come adsorbenti per la separazione di enzimi. Dalle soluzioni relativamente pure e concentrate di e. questi possono anche essere separati e depurati per cristallizzazione.

Poiché pochi sono gli e. che possono essere messi in commercio allo stato puro per la loro valutazione si ricorre di solito alla misura delle loro attività nei riguardi dell'impiego al quale il singolo e. è destinato.

Nonostante i molti sforzi effettuati non si è giunti ancora, salvo che in pochi casi, a definire un insieme di unità internazionali di attività degli e., di facile determinazione.

Così si è definita l'unità come la quantità di e. capace di catalizzare la trasformazione di una micromole di substrato al minuto in condizioni standardizzate. Ma unità di questo tipo non sono di facile applicazione poiché per es. i substrati possono essere costituiti da prodotti complessi, non sempre di facile caratterizzazione.

In pratica si preferisce perciò spesso valutare gli e. in confronto a prodotti ad attività nota, nelle particolari condizioni di uso.

Dai numerosi e. che è possibile produrre per via microbica solo pochi hanno interesse industriale e fra questi alcuni carboidrasi, proteasi, glucosossidasi, pectinasi, ecc.

Proteasi. La maggior parte dei microorganismi ha la capacità di produrre e. proteolitici che risultano differenti per quantità, composizione e attività da specie a specie.

Le proteasi utilizzate industrialmente si possono suddividere in base all'origine (batteriche, da funghi, pancreatiche, vegetali) o al campo di pH entro il quale si esplica la loro attività in maniera ottimale; si distinguono infatti proteasi acide (che agiscono preferenzialmente a pH 2 ÷ 5); si ottengono per lo più da funghi e hanno peso molecolare di circa 35.000; neutre (che agiscono preferenzialmente a pH 6 ÷ 9, più diffuse fra i batteri e i funghi e aventi peso molecolare 40 ÷ 45.000), alcaline (che agiscono preferenzialmente a pH 10 ÷ 11, pure diffuse fra batteri e funghi con peso molecolare compreso fra 25 e 30.000).

I maggiori quantitativi di proteasi batterica derivano da colture di Bacillus subtilis che producono un e., la subtilisina, attivo nel campo di pH 6 --11 dotata di attività proteolitica ed esterasica. Le proteasi batteriche alcaline hanno acquistato notevole interesse perché da alcuni anni utilizzate nei detergenti in polvere per l'ammollo e nelle lavatrici per idrolizzare le macchie dovute a materiali proteici (v. detergenti, in questa Appendice).

In fig. 14 è riportato lo schema di un processo di produzione di e. microbici, da Bacillus subtilis, separati dai brodi di fermentazione a mezzo di solventi.

Le proteasi batteriche neutre si usano per solubilizzare la gelatina delle lastre fotografiche, le proteine che imprigionano i fili della seta, si aggiungono al latte da essiccare in modo da ottenere un prodotto di-più facile digeribilità o alle farine da pane per ottenere un pane più soffice e di aroma migliore.

Le proteasi da funghi (Aspergillus oryzae, Streptomyces griseus) hanno importanza nella preparazione di formaggi, nella sbozzimatura di fibre, nella lavorazione dei pesci, ecc.

Alle proteasi vegetali (papaine) e animali (pepsina, tripsina, rennina) si è già accennato più sopra.

Carboidrasi. - E. capaci di agire sui carboidrati; a seconda che questi siano costituiti da amido, cellulosa, emicellulosa, glucosio, lattosio, ecc. si distinguono in amilasi, cellulasi, emicellulasi, glucasi, lattasi, ecc. Particolarmente importanti sono le amilasi del malto, capaci di scindere l'amido e che trovano diversi impieghi. L'orzo germogliato contiene una α e una β-amilasi; la prima attacca amilosio e amilopectina in corrispondenza dei legami α-1,4 in punti casuali della catena dando frammenti più o meno corti, mentre la β-amilasi attacca la catena alle estremità non riducenti per dare β-maltosio (per la diversa azione delle due amilasi, v. amido, in questa Appendice).

Un gruppo di e. amilolitici importanti è costituito da quelli capaci di attaccare i legami α-1,6 nel punto di ramificazione delle molecole di amido, o di altri polisaccaridi (glicogeno, ecc.), provocando il distacco della ramificazione laterale dalla catena principale.

L'α-amilasi può essere ottenuta da batteri; importante quella del B. subtilis dotata di marcata attività liquefacente e destrinizzante sull'amido gelificato (ma non su quello grezzo) ma minore saccarificante; la sua azione si sfrutta nella sbozzimatura dei tessuti (trattati con adesivi a base di amido), nella preparazione di sciroppi di glucosio per degradazione di amido, per es., di mais.

Si ha anche una α-amilasi da muffe del tipo Aspergillus o Rhizopus usata nella preparazione di cibi e bevande, nella panificazione (per modificare la struttura dell'impasto del pane e aumentare la formazione di zuccheri).

Altra carboidrasi d'interesse industriale è la amiloglucosidasi (o glucoamilasi), prodotta da muffe e capace di attaccare sia i legami α-1,4 che β-1,6; viene usata nella preparazione di sciroppi di glucosio e nella preparazione della birra per trasformare in alcole le destrine presenti dopo la fermentazione principale.

Si hanno e. capaci di attaccare i carboidrati con legami β-1,4 (tipici della cellulosa e delle emicellulose); si distinguono cellulasi capaci di attaccare la cellulosa nativa, anche cristallina, o solo i prodotti di parziale demolizione; si ottengono da insetti, da molluschi o da batteri in processi di fermentazione in superficie o sommersa; tali e. hanno optimum di temperatura di 45-55 °C e di pH fra 4 e 6.

Glucosiossidasi. - È prodotta da diversi funghi, specie del tipo Aspergillus e Penicillium; è capace di ossidare ad acido gluconico il glucosio, ma non i disaccaridi contenenti glucosio.

Il suo optimum di pH è compreso fra 5 e 7, quello di temperatura fra 55 e 60 °C.

Data la sua capacità a sottrarre ossigeno si usa per stabilizzare prodotti finiti, inscatolati, imbottigliati (birra, limonate, maionese) che potrebbero essere alterati dall'ossigeno rimasto nelle confezioni; stabilizza anche prodotti proteici poiché ossidando il glucosio presente evita l'imbrunimento. Si usa in diagnostica per rilevare il glucosio nell'urina dei diabetici.

Glucosoisomerasi. - È un e. isolabile da batteri e streptomiceti dotato della proprietà d'isomerizzare il glucosio a fruttosio. Questa trasformazione (che solo con difficoltà si può effettuare per via chimica), consente di trasformare sciroppi di glucosio (ottenuti da amido per idrolisi acida o meglio con glucoamilasi) in sciroppi contenenti glucosio e fruttosio dotati di potere dolcificante superiore, poiché il fruttosio è più dolce del glucosio. Si preparano oggi per questa via sensibili quantità di sciroppi usati in alternativa al saccarosio sia per usi alimentari che industriali (bibite, marmellate, ecc.).

Pectinasi. - Si hanno diversi tipi di pectinasi distinte in base al loro modo di agire sulle pectine (XXVI, p. 578; App. II, 11, p. 513): pectinesterasi, capaci di favorire il distacco di gruppi metossilici dando metanolo e acido pectico, pectatoliasi o poligalatturonasi capaci rispettivamente di spezzare o idrolizzare i legami glicosidici. Le pectinasi si utilizzano per eliminare le pectine (o sostanze analoghe) dai succhi di frutta facilitandone la chiarificazione, impedendo la formazione di geli, o per rendere più facilmente comprimibile la polpa della mela nella preparazione del sidro, per favorire la separazione dei tessuti polposi dalle scorze di agrumi.

L'impiego degli e., che in molti casi sono degli ottimi catalizzatori, trova talora delle serie limitazioni per diverse ragioni: costo elevato, instabilità, difficoltà di separazione dell'e. dai prodotti di reazione, necessità di impiego in operazioni di tipo discontinuo.

Recentemente si sono preparati e. immobilizzati, cioè fissati a un supporto, ciò che ha portato a un aumento di stabilità, sia a temperatura ambiente che a temperature più elevate, e alla possibilità di separare facilmente (per filtrazione, per centrifugazione, con cicloni, ecc.) gli e. al termine delle reazioni e di usarli più volte o anche alla possibilità di effettuare reazioni a ciclo continuo anziché discontinuo, usando apparecchi sia a letto fisso che a letto fluido.

Si hanno diversi sistemi d'immobilizzazione:

- adsorbimento degli e. su superfici solide, che a seconda dei casi possono essere argille attivate, allumina, silice, ecc.; il sistema molto semplice presenta delle limitazioni perché l'e. può venire desorbito a contatto del substrato o perché a contatto di questo può risultare instabile;

- fissazione mediante legami chimici, per lo più di tipo covalente, a una matrice solida costituita da polimeri sintetici (polistirene, resine acriliche, ecc.) o naturali (amido, cellulosa) o da loro derivati (amido-dialdeide, esteri della cellulosa, ecc.). I legami covalenti che s'instaurano fra supporto ed e. possono alterare l'attività degli e.; infatti se vengono bloccati i siti attivi della molecola si può avere un'inattivazione parziale o totale dell'enzima.

- inclusione in matrici gelatinose, per es. ponendo l'e. all'interno di un materiale polimerico che viene poi sottoposto a reticolazione o creando attorno all'e. un polimero reticolato, operando la polimerizzazione in soluzione o in sospensione.

Il sistema ha il vantaggio di non provocare sensibili alterazioni dell'e., però si ha una ridotta accessibilità del substrato all'e.; perché questo possa essere raggiunto occorre che il substrato diffonda attraverso la matrice polimerica, ciò che può avvenire in maniera limitata per il peso molecolare del substrato o per la scarsa permeabilità del polimero.

Si possono anche inglobare e. in materiali polimerici destinati a essere foggiati sotto forma di filamenti, così che questi possono poi essere immersi facilmente nei liquidi con cui debbono essere posti a contatto e dai quali sono poi tolti alla fine della reazione e possono essere riutilizzati.

Recentemente si è rivolta molta attenzione all'immobilizzazione non già degli e. ma dell'intera cellula contenente gli enzimi. Ciò ha il vantaggio di eliminare le laboriose e costose operazioni di estrazione dell'e., di avere un prodotto dotato di maggiore stabilità, contenente più e. capaci di catalizzare reazioni successive.

Per l'immobilizzazione delle cellule si adottano sistemi analoghi a quelli citati per gli enzimi.

Le pellicole gelatinose contenenti culture microbiche che si sviluppano nei filtri percolatori nel trattamento delle acque di rifiuto (cfr. App. I, p. 18) si possono considerare un sistema, rudimentale, d'immobilizzazione delle cellule; analogamente la cosiddetta "madre dell'aceto".

Applicazioni in terapia e diagnostica. - Sebbene sia stato dimostrato che la patogenesi di numerose malattie è direttamente o indirettamente connessa a particolari carenze enzimatiche (enzimopenie), come nel caso di malattie metaboliche congenite (v. metabolismo, Malattie congenite del; genetica umana, in questa App.), non sembra ancora possibile realizzare adeguate terapie sostitutive mediante somministrazione parenterale degli e. carenti. Il conseguimento di un simile obiettivo è infatti frustrato da almeno due ordini di limitazioni: da una parte la difficoltà di far pervenire, a livello delle strutture cellulari degli organi coinvolti nel processo morboso, gli e. somministrati, i quali circolano invece negli spazi extracellulari e solo per breve tempo; dall'altra, il rischio di reazioni allergiche o comunque di risposte immunitarie indesiderabili.

L'impiego terapeutico di e. per via parenterale è tuttavia indicato in alcune manifestazioni tromboemboliche (nelle quali, per attivare la fibrinolisi, si può somministrare per via endovenosa urocinasi oppure streptocinasi) e in certe forme di leucemia, nelle quali l'inoculazione di l-asparaginasi mira a idrolizzare l'asparagina presente nel sangue circolante e a sottrarre in tal modo un importante fattore di crescita alle cellule neoplastiche.

In declino, a causa delle frequenti reazioni allergiche e febbrili, appare l'impiego di e. proteolitici (tripsina, chimotripsina, bromelina, ecc.) e di streptodornasi, per via iniettiva o aerosolica, nel trattamento di focolai suppurativi, ematomi ed essudati ad elevata viscosità della pleura, dei bronchi, dei seni paranasali.

Più vasto è il ricorso alla terapia enzimatica per via orale, in alcune forme d'insufficienza digestiva e di malassorbimento intestinale. Enzimi pancreatici sono usati con successo per supplire al deficit della secrezione esocrina del pancreas, come nella malattia fibrocistica (mucoviscidosi), o alla sua totale mancanza, in caso di ablazione dell'organo (pancreatectomia).

In diagnostica, grazie alla loro specificità di azione, molti e. sono stati vantaggiosamente impiegati nella determinazione qualitativa e quantitativa di sostanze presenti nel sangue e nei liquidi biologici (glucosio, urea, ecc.).

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