EPIDAURO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1973)

Vedi EPIDAURO dell'anno: 1960 - 1973 - 1994

EPIDAURO (v. vol. iii, p. 358)

N. Yalouris

Città della costa argolide. Resti di edifici pubblici sono visibili sull'acropoli e dentro il mare dove si trovano le rovine dell'antico porto. Ad una distanza di 9 km dalla città, verso S, e all'interno del Chersoneso argolide, si trova il santuario di Asklepios nella verde valle ricca di acque, circondata dai monti Tithion, Koryphaion e Kynortion.

Il più antico culto era un eroe o dio che in età storica aveva nome Malos. Nel suo santuario si riunivano ogni primavera gli abitanti della regione, per festeggiare la rinascita della natura e la vittoria sull'inverno. Queste feste, esistenti anche negli altri santuari soprattutto in quelli dedicati ad Apollo (Delfi, Delo ecc.), erano connesse in età classica col concetto di vita, di morte e della vita oltretomba. Da queste feste nacque la funzione divinatoria del santuario. Perciò molto presto Apollo sostituì Malos e, secondo le spiegazioni degli antichi, prese da questi l'epiteto di Maleàtas, indicativo della parentela e collegamento del nuovo con l'antico culto. Anche se Malos, o comunque egli si chiamasse nell'antichità, era inizialmente dio, più tardi si trasformò in eroe. Nel luogo del santuario gli Epidauri mostravano la sua tomba e organizzavano gare in suo onore. D'altra parte le cure che si facevano in E. erano poste sotto la protezione, non solo di Apollo e di Asklepios, ma anche di Malos. Soprattutto a quest'ultimo e alla sua figura collegata con quella di Apollo (Apollo Maleàtas), appartenevano le prime offerte di ogni malato che visitava l'Asklepieion. Askepios, mitico eroe-medico al quale fu insegnata la medicina dal centauro Chirone, osò secondo il mito, ridare la vita ad un morto e Zeus lo folgorò; questa punizione in età storica è spiegata sostanzialmente come un favore divino, perché in tal modo Asklepios abbandonò il peso del suo corpo mortale e finalmente libero, prese il suo posto tra gli dèi. Però rimane incerto se effettivamente si tratta di divinizzazione di un eroe o il contrario. Quando e sotto quale forma si è imposto il culto di Apollo ad E. e quando il culto di Asklepios, non è noto e resta problematico se il culto di quest'ultimo, introdotto in Grecia già alla fine del II millennio, era indigeno di E. - come sostenevano gli Epidauri - o era giunto da Trikka tessalica. In ogni modo le più antiche testimonianze del suo culto in E. non risalgono oltre la fine del VI sec. a. C., come d'altra parte dimostrano alcuni ritrovamenti, tra i quali membrature architettoniche di terracotta. Nel V sec. a. C. il culto di Asklepios doveva essere ancora limitato o aveva più eco negli strati popolari, adombrato dalla attività terapeutica del suo padre Apollo (solo a Trikka pare che Asklepios avesse conosciuto anche in un'epoca anteriore un culto esteso e un riconoscimento ufficiale). Forse per questa ragione anche la fine della epidemia scoppiata durante le guerre peloponnesiache (429 a. C. o più tardi), non fu attribuita ad Asklepios ma ad Apollo Epikoùrios e Alexikakos (Paus., viii, 41, 8). Verso la fine del V sec. a. C. il culto di Asklepios mostra una improvvisa ripresa ad E. per arrivare, nel IV sec. a. C., alla sua maggiore fioritura. Da E. si estese allora in tutto il mondo ellenico, nel più vasto senso geografico e furono fondati dal santuario più di 200 nuovi Asklepièia, tra i quali quello di Pergamo e quello di Roma (293 a. C.). Questo sviluppo del culto di Asklepios è dovuto ai profondi cambiamenti che si manifestarono allora nella vita greca attribuendo ai rapporti tra gli dei e gli uomini un nuovo, personale carattere. I Greci del IV sec. a. C., indeboliti dai grandi avvenimenti dell'epoca e torturati dai nuovi problemi interni dell'uomo (ansia metafisica, questioni sull'anima, sulla morte, sul male e sul bene), sono alla ricerca di un dio filantropo, guaritore, medico, salvatore. Le manifestazioni di devozione di tutto il mondo ellenico per questo dio, ebbero come conseguenza la trasformazione del suo santuario da ἄλσος qual'era fino al V sec. a. C., in un luogo pieno di innumerevoli offerte, opere d'arte e splendidi edifici, tra i più elaborati capolavori e i più notevoli dell'arte del IV sec. a. C. Una seconda volta il santuario conobbe una nuova fioritura nel II sec. d. C., quando si manifestò una notevole tendenza mistica, movimento che prepara l'avvento del cristianesimo. La vittoria di quest'ultimo avrà come conseguenza la chiusura di tutti gli Asklepièia e di tutti gli altri santuarî e il posto di Asklepios è preso dal Cristo e dai Santi. Accanto al tempio del santuario si costruì una basilica paleocristiana a cinque navate che, come pare, continuò in nome del Cristo le guarigioni terapeutiche.

Dall'epoca in cui il servizio archeologico greco, sotto la direzione di Kavvadias ha messo in luce i monumenti del santuario (1881-1898) non si è fatta alcuna ricerca sistematica in questa località; negli ultimi due decennî però piccole ricerche particolari e nuovi studî sui monumenti e sui ritrovamenti ci hanno portato a nuovi risultati che completano le nostre conoscenze e revisionano alcune conclusioni.

I principali monumenti del santuario sono stati costruiti nel IV sec. a. C. Le loro fasi più antiche non ci sono note; soltanto dal santuario del Maleàtas provengono ritrovamenti che dimostrano che il luogo era abitato già nel Proto-Elladico; essi provengono dalla stipe accanto al santuario e consistono in cocci, frammenti di un rhytòn di steatite con una processione a rilievo, idoletti di terracotta, una spada, un pugnale di bronzo e sigilli; coprono il periodo dal Proto-Elladico fino al Tardo Elladico III b e dimostrano, soprattutto gli idoletti, che già dall'epoca micenea questo luogo era sacro. Altri ritrovamenti si datano all'età geometrica e arcaica. Rimane incerto se questo culto miceneo si interruppe nel Tardo Elladico III b, perché la maggior parte del santuario rimane inesplorato e per conseguenza la mancanza dei ritrovamenti postmicenei potrebbe essere casuale. I più importanti rimaneggiamenti e ricostruzioni degli edifici del santuario nell'età della sua maggiore fioritura, sono stati fatti nel II sec. d. C. e in quest'epoca sono stati costruiti nella zona nuovi edifici, soprattutto civili (ville, terme, ecc.).

Il tempio di Asklepios era uno dei più piccoli peripteri della Grecia, ad un'unica navata e opistodomo, ma era anche tra i più splendidi per la decorazione a lastre di marmo bianche e nere nel pavimento della cella e per i materiali preziosi, come ebano, avorio, oro, usati per la porta e altrove. Alcuni frammenti marmorei della sima, dei gocciolatoi e del soffitto a cassettoni del tempio sono stati riconosciuti ultimamente nei magazzini del Museo Archeologico Nazionale di Atene. La decorazione scultorea del tempio, frontone e acroteri, è stata completata negli ultimi anni con nuovi frammenti, 200 circa, piccoli e grandi, che sono stati trovati dimenticati nei magazzini del museo di E. e del Museo Archeologico di Atene. Questi nuovi frammenti, insieme con quelli che erano stati già esposti in questi due musei, sono stati raggruppati nel Museo Nazionale di Atene, dove è stato possibile confrontarli e integrarli. In tal modo le due composizioni frontonali sono state interpretate chiaramente e sono state rivedute le ricomposizioni antiche. Sul frontone occidentale, che raffigurava una amazzonomachia, un complesso di due Greci e di una amazzone equestre, Pentesilea, - tutte tre le figure lavorate probabilmente nello stesso blocco marmoreo - dominavano, al centro della composizione. In totale 10 amazzoni, (quattro equestri), combattono contro altrettanti Greci, formando con loro composizioni di una straordinaria drammaticità e vigore.

Nel frontone orientale, che raffigurava una Ilioupersis, le figure erano di ugual numero (20), ma la maggior parte di queste erano più grandi di quelle del frontone occidentale, (mentre le figure degli angoli erano molto più piccole) e formavano composizioni altrettanto drammatiche.

Due indirizzi decisamente diversi si distinguono nelle sculture dei frontoni; ad uno appartengono le figure del frontone O, le quali si incrociano violentemente fra di loro, però sono morbide nel loro plasticismo. Le amazzoni, con gli orecchini accentuano più la grazia femminile che la caratteristica guerriera; l'abito, nelle figure vestite copre il corpo, formando morbidi svolazzi con pieghe non profonde a spigoli arrotondati, sui quali si creano contrasti di luce. Nel frontone orientale le figure hanno una severa, dura e geometrica disposizione, che però resta esteriore. Inoltre gli abiti compatti, pieni di pieghe larghe e profonde, con gli spigoli acuti, si sviluppano indipendentemente dal corpo con accentuati giochi di luce e ombra. Inoltre all'interno di ognuno dei due frontoni alcune figure dimostrano un indirizzo particolare.

Del frontone O possiamo ricordare, per esempio, l'amazzone del gruppo n. 4754, dai capelli che cadono liberi e morbidi sul collo e dalle fini pieghe a spigoli acuti, caratteristiche che non si incontrano sulle altre figure del frontone. Nel frontone orientale, la figura femminile n. 4694 con il chitone trasparente incollato al corpo, che si indovina pieno e turgido, si distingue chiaramente dalle altre figure.

Di un altro indirizzo si rivelano anche la figura maschile a piedi (n. 4723) dello stesso frontone, che si incrocia con l'altra, la cui mano sinistra si conserva sopra l'avambraccio della prima. Il creatore di questa scultura è più convenzionale e conservatore nella costruzione del corpo, nella organizzazione delle pieghe, che cadono trasversalmente con scanalature parallele e monotone. Nello stesso frontone possiamo ancora distinguere il gruppo di due figure femminili (n. 4642) e il torso femminile (n. 4681) che dimostrano straordinarie somiglianze fra di loro e con l'acroterio della Nike (n. 162), (di cui si conserva solo la parte superiore) e con il frammento (n. 4761) che appartiene forse alla parte inferiore della stessa Nike. La costruzione del corpo, la poca accentuazione dei seni, la disposizione del vestito e la speciale lavorazione delle pieghe nella parte posteriore, non trovano confronti. Va notato che questi due complessi, soprattutto quello del frontone orientale, sono caratterizzati da una evidente tendenza alla drammaticità, che si manifesta nella frequenza di inusuali schemi di figure intrecciate, violentemente piegate e con le membra distorte e contratte. Questa drammaticità però rimane esteriore e qualche volta anche retorica. Altra caratteristica comune di questi due complessi è la contrapposizione di movimenti spiraliformi che percorre i corpi e le singole composizioni e fa vivere decisamente le figure in uno spazio tridimensionale. Qualche volta questo movimento è triplo: mentre la parte inferiore del corpo è volta a sinistra, la parte superiore è volta a destra e infine la testa è di nuovo volta a sinistra, come nella Menade di Skopas a Dresda. Questa posizione è più netta nelle figure del frontone orientale.

Gli elementi comuni citati, ed altri ancora, fanno attribuire il disegno di questi due frontoni alla stessa mano, ma l'attuazione si deve attribuire a mani diverse, per lo meno tre, secondo i nomi che ci sono stati tramandati dalle epigrafi che riguardano la costruzione del tempio: Timotheos, Hektoridas e Theo... (Theodotos o Theotimos); il nome di un quarto autore è cancellato, non sappiamo però se per caso ritornava di nuovo il nome di uno di questi tre.

L'autore dei disegni e dei modelli dei due frontoni deve essere Timotheos, l'autore dei typoi, che fu ricompensato con 900 dracme, come ci informa la stessa epigrafe.

Anche dei due acroterî laterali del frontone orientale abbiamo adesso nuovi frammenti degni di nota, oltre ad uno centrale, probabilmente la Nike 11.162. L'acroterio centrale del frontone occidentale, la Epione, è stata completata da due grandi frammenti con la clamide volante attaccata ad una delle sue ali, di cui una parte si distingue chiaramente tra le pieghe. Si chiarisce così che questa figura non rappresenta Epione ma una Nike. L'uccello che essa afferra con la mano destra, per la sua forma e le sue caratteristiche assomiglia ad una pernice. Il nome d'altra parte dell'uccello è collegato con la pianta terapeutica Perdikion. Così questo uccello, che la Nike tiene nelle sue mani prenderebbe un significato speciale e diventerebbe il "simbolo parlante" in cima al tempio del medico divino.

Per il tempio di Artemide dagli ultimi lavori del Roux, che ha riconosciuto molte membrature architettoniche finora sconosciute del tempio, la ricostruzione è stata corretta efficacemente. Dietro le due colonne angolari della pròstasis a sei colonne, c'era un pilastro - e non colonne come si credeva fino ad ora - che costituiva la sporgenza dei lati lunghi della cella; inoltre la serie di colonne all'interno della cella (quattro colonne al fondo e rispettivamente quattro ai lati) erano corinzie, con 20 scanalature, secondo il modello delle colonne peloponnesiache e non 24 come quelle attiche; esse hanno fornito il modello alle colonne corinzie della thòlos. Ma anche altre correzioni propone il Roux per le colonne dell'ordine interno e per la rampa davanti al tempio e l'altare. Inoltre, dopo le ultime ricerche, è stata corretta anche la sistemazione della Nike acroteriale del tempio e sono stati completati alcuni frammenti. Le tre Nikai conosciute finora, insieme con una quarta, il torso della quale è stato trovato nei sotterranei del Museo Nazionale di Atene, vengono ricostruite adesso rispettivamente come acroterî laterali dei due frontoni. Il principio di Vitruvio (De Arch., iii, 12) acroteria... mediana ottava parte (alta) quam angularia, sulla quale si era basata anteriormente la diposizione delle tre Nikai, un acroterio centrale e due laterali, non è applicato, perché le quattro Nikai hanno la stessa altezza e soltanto due di queste sono un po' più voluminose. Per questa ragione esse sono state proposte come acroteri laterali del frontone orientale, anche perché sono di qualità superiore alle altre due, le quali dovevano appartenere al frontone O. Acroteri e tempio sono datati alla fine del IV sec. a. C.

Per il teatro la datazione accettata finora, metà del IV sec. a. C. (solo la L. Shoe datava il teatro alla fine del IV sec., e la parte superiore del kòilon, al di sopra del diàzoma, al II sec. a. .), è stata rivista ultimamente dal von Gerkan e dal Mueller-Wiener; i loro risultati, in sintesi, sono i seguenti: 1) la forma geometrica che costituisce la base del disegno del teatro è un pentagono iscritto in un cerchio e non un quadrato iscritto in un cerchio, come diceva Vitruvio per i teatri greci. Di questo pentagono uno dei lati corrisponde al lato del proscenio, mentre l'angolo opposto corrisponde all'inizio della scaletta mediana del kòilon. I due altri angoli a destra e a sinistra di esso, definiscono il luogo delle altre scalette (klìmakes). 2) Il kòilon, che formava una ellisse, è definito da tre centri. Inizialmente comprendeva la parte inferiore del diàzoma costituito da 34 serie di gradinate per 6200 spettatori. 3) La parte del kòilon sotto il diàzoma, le porte delle pàrodoi, le rampe, il proscenio con la scena e l'orchestra, sono stati costruiti all'inizio del III sec. a. C. con un disegno unitario. 4) Nel II sec. a. C., forse nel 170-160, sono state aggiunte le 21 seriè di gradinate sopra al diàzoma (l'epiteatro), e così i posti degli spettatori si sono circa raddoppiati, raggiungendo la cifra di 12.300. 5) Nella stessa epoca sono state fatte, nella zona della scena, aggiunte e cambiamenti: nell'angolo orientale è stata aggiunta la rampa posteriore e in quello occidentale è stata costruita una sala nuova (dimensioni m 7 × 9) la quale forse era utilizzata come sala per i cori. Nella stessa epoca sono stati eliminati i pilastri dietro la scena e questa parte fu chiusa con un muro. 6) In età tardo-romana (fine del III sec. d. C.) la scena fu distrutta fino all'euthynteria, sopra la quale furono costruiti nuovi edifici con materiali presi da diverse costruzioni del santuario. In questa epoca non è stato fatto alcun cambiamento al teatro, tranne alcune riparazioni senza importanza. Sulla base di questi risultati vengono contestati da molti studiosi i dati relativi alla datazione del teatro che soprattutto sono basati sulla osservazione della forma di certi membri architettonici e non su documenti più sicuri, come per esempio monete, epigrafi, cocci, ecc. Il solo nuovo elemento positivo della ricerca di von Gerkan e Müller-Wiener è l'accertamento che nelle fondamenta del teatro è stato trovato materiale architettonico riusato proveniente da edifici del IV sec. a. C.; però a quale periodo in particolare di questo secolo si possa datare questo materiale è un problema non risolto e, per conseguenza, non può contraddire la datazione accettata finora del teatro, cioè alla metà del IV secolo.

Altri monumenti ad E del santuario sono: a) il santuario ipetrale π, che ha una forma rettangolare e portico dorico in facciata, costituito da 4 colonne. Dietro il portico esisteva un cortile rettangolare con tre ingressi datato al IV sec. a. C.

b) Il santuario Y era un edificio rettangolare, separato internamente in due parti, datato al IV sec. a. C.

c) La costruzione Ω, degli Epidòtoi di forma rettangolare, divisa internamente in due parti; quella settentrionale era occupata quasi interamente da una esedra semicircolare in calcare, ricostruita in età antonina.

d) Il portico di Kotis, era un grande edificio rettangolare con doppio ordine di colonne, l'esterna dorica e l'interna ionica; fu restaurato da Antonino Pio.

e) Il tempio Λ, che si trova sulla strada che porta a Kynortion, era considerato dal Kavvadias come dedicato ad Afrodite. Questa attribuzione era puramente ipotetica. Dopo il lavoro del Roux intorno a questo tempio del quale ha riconosciuto altre nuove membrature architettoniche, bisogna rivedere la ricostruzione data da Kavvadias. Si tratta, secondo il Roux, di un tempio unico nel Peloponneso per la sua forma pseudoperiptera, su di un podio con quattro gradini. In facciata aveva quattro colonne ioniche e una per parte sui lati lunghi. Il lato esterno dei muri della cella ingloba un ordine di colonne ioniche addossate che sporgono per un quarto del loro diametro, così distribuite, due angolari nel lato orientale, quattro nel lato occidentale e rispettivamente 5 nel lato meridionale e settentrionale. L'ordine di colonne all'interno della cella era corinzio. La qualità del lavoro e della costruzione, gli elementi decorativi delle membrature architettoniche, ispirati certamente a quelli della thòlos di E. datano questa costruzione alla fine del IV sec. a. C. o al principio del III.

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