EPIFITE

Enciclopedia Italiana (1932)

EPIFITE (dal gr. ἐπί "sopra" e ϕῡτόν "pianta")

Carlo Avetta

Epifite o arboricole si dicono quelle piante che non radicano nel terreno. ma s'insediano sin dall'imzio della loro vita sui tronchi o sui rami degli alberi, che servono loro esclusivamente di supporto, per collocare in piena luce il loro corpo e soprattutto le foglie, quando si tratta di arboricole cormofite. Già si credeva che tutte le piante viventi su altre piante fossero parassite; ma le vere epifite, tranne qualche eccezione, sono generalmente innocue perché non chiedono alla pianta ospite se non l'appoggio, tantoché possono vivere anche su substrati inorganici, o su un sostegno di vetro o di metallo.

Fornite sufficientemente e anche abbondantemente di clorofilla, la difficoltà maggiore per esse, data la loro ubicazione, è quella di procurarsi l'acqua e i sali occorrenti per il loro ricambio; per cui presentano spesso dispositivi particolari, che ovviano a tali difficoltà. Appunto per tale motivo le Cormofite a vita epifitica preferiscono il clima caldo dei tropici, data la grande umidità dell'atmosfera e le frequenti piogge di quelle regioni. Nei nostri climi esse sono invece quasi esclusivamente rappresentate da Alghe e soprattutto da Licheni e Muschi abbarbicati alla corteccia degli alberi e solo eventualmente da qualche Felce o altra Cormofita, che approfitta delle screpolature della scorza dove è accumulato del terriccio, per insediarvisi. Muschi e Licheni si adattano nel nostro clima all'epifitismo, perché sono reviviscenti, cioè possono disseccarsi senza morire, entrando in uno stato di vita latente, per tornare a vegetare col ritorno dell'umidità.

Nelle regioni tropicali le Cormofite epifite sono molte e svariate: Felci, Orchidacee, Aracee, Bromeliacee, Asclepiadacee, ecc. Tutte, dovendo limitare quanto è possibile la perdita di acqua, sono piante schiettamente xerofite, cioè presentano strutture varie intese a quello scopo. Si fissano al substrato mediante radici d'attacco relativamente corte, non ramificate, che sfuggono la luce e s'aggrappano tenacemente come fili metallici. In molte Aracee e Orchidee oltre a tali radici d'attacco, se ne sviluppano altre, molto più lunghe, che pendono liberamente nell'aria senza ramificare e se riescono a raggiungere il suolo vi penetrano, ramificano e si comportano allora come ordinarie radici terrestri di nutrizione. Queste radici aeree, quando non hanno rapporti col terreno, sono destinate a raccogliere l'acqua di pioggia che assorbono per mezzo di un tessuto che riveste la loro superficie, detto velo radicale, le cui cellule, vuote di contenuto vivente, presentano nelle loro pareti ispessimenti svariati e non di rado anche fori, e sono piene d'aria o di acqua secondo il grado di umidità dell'ambiente. Esse assorbono l'acqua e quando sono piene d'aria il velo appare di colore bianco; se invece contengono acqua, lasciano trasparire il colore verde del sottostante tessuto vivente, al quale la cedono a poco a poco. In altre Orchidee tropicali epifite, è caratteristica la presenza dei cosiddetti pseudobulbi, cioè di rigonfiamenti della base dei fusti aerei, funzionanti da serbatoi acquiferi che nel periodo delle piogge si riempiono d'acqua. Le radici aeree crescenti verso il basso delle orchidacee e Aracee epifite possono anche intrecciarsi formando una specie di cestello nel quale, in seguito a putrefazione delle foglie cadutevi dentro, si accumula dell'humus e quindi anche dell'acqua. Ma è specialmente tra le Felci erbacee che abbondano le epifite accumulatrici di humus: nell'Asplenium nidus le foglie formano sul fusto una fitta rosetta e lo spazio imbutiforme che esse delimitano sopra la gemma si riempie di humus. In alcune specie di Polypodium e di Platycerium si differenziano invece speciali foglie concave che servono a contenere humus e acqua. Un'Asclepiadacea (Dischidia rafflesiana) va anche più oltre nella trasformazione delle foglie: alcune di esse prendono la forma di urne profonde con stretta apertura dove si condensa l'acqua di traspirazione e in esse entrano radici della pianta che vi crescono ramificandosi e vi assorbono oltre che acqua anche importanti sostanze azotate, poiché le urne sono ordinariamente riempite da colonie di formiche e dai loro escrementi e cadaveri. Il limite estremo di queste epifite tropicali è raggiunto dalle Bromeliacee americane, nelle quali possono mancare le radici (Tillandsia usneoides) o esservi solo sviluppate come organi d'attacco. La presa dell'acqua in tali piante avviene esclusivamente per opera di peli squamosi che rivestono le foglie; spesso nelle Bromeliacee le basi delle foglie, stipate l'una contro l'altra, delimitano uno spazio imbutiforme nel quale si raccoglie l'acqua (epifite cisterna).

Un singolare e strano esempio di epifitismo transitorio con esito letale per l'ospite a cui l'epifita finisce col sostituirsi diventando pianta terrestre, è dato da certi Ficus dei paesi tropicali (Ficus religiosa o fico delle pagode; Ficus bengalensis o fico dei baniani). Questa meravigliosa pianta delle Indie orientali, germogliando sui rami degli alberi dai semi portativi dagli uccelli carpofagi, si sviluppa in forma di grandiosa epifita con numerose radici aeree penzolanti, ma solo quando queste hanno potuto raggiungere il terreno penetrandovi e la pianta non si limita più alla magra nutrizione epifitica, essa assume il suo definitivo aspetto caratteristico. L'albero ospite viene a poco a poco stritolato e distrutto e un numero sempre maggiore di radici aeree si dirige verso il suolo raggiungendolo e formando un colonnato, cosicché da una modesta epifita quale era all'inizio, questo Ficus diventa un albero grandioso, sotto la cui estesissima chioma può trovare ricetto un intero villaggio.

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