Epilessia

Dizionario di Medicina (2010)

epilessia

Giancarlo Di Gennaro

La chirurgia dell’epilessia

La terapia chirurgica dell’epilessia riguarda qualsiasi intervento neurochirurgico che abbia come obiettivo la cura delle epilessie focali non controllate dalla terapia medica. Lo scopo è di ottenere il massimo controllo dell’epilessia con il minimo di effetti collaterali, evitando così l’impatto negativo delle crisi e della terapia medica sullo stato di salute, sugli aspetti cognitivi, socio-lavorativi e affettivorelazionali dei pazienti, migliorando la loro qualità della vita.

Studio prechirurgico

Prima dell’intervento è necessaria una valutazione multidisciplinare del paziente, finalizzata principalmente alla definizione della zona epilettogena (la regione corticale da cui originano le crisi e che è necessario rimuovere o disconnettere per consentirne la guarigione). Tale studio inizia con l’anamnesi epilettologica, che analizza le caratteristiche cliniche delle crisi e la loro stabilita nel tempo. La loro semeiologia può essere infatti considerata il risultato della disorganizzazione funzionale delle regioni corticali sequenzialmente interessate dalla scarica epilettica e fornisce, pertanto, i primi elementi per una ipotesi di localizzazione della zona epilettogena. Le caratteristiche cliniche anamnestiche delle crisi sono verificate dalla video- EEG, esame cardine dello studio prechirurgico, che accoppia la ripresa in video del paziente in corso di crisi con le eventuali modificazioni dell’EEG, in modo da rinforzare l’ipotesi localizzatoria. Il paziente è monitorato 24 ore su 24 ed è anche costantemente osservato da personale specializzato che, interagendo con lui durante una crisi, valuta la presenza di sintomi o segni non altrimenti desumibili dal solo esame del video (perdita di coscienza, disturbi del linguaggio, sottili modificazioni del tono muscolare, ecc.). La risonanza magnetica cerebrale ad alta risoluzione riveste un ruolo fondamentale in quanto consente di svelare un’eventuale lesione strutturale alla base dell’epilessia del paziente (lesione epilettogena). Per ottenere il massimo rendimento da questo esame occorre che venga guidato da un’ipotesi di localizzazione, formulata sulla base dei dati elettroclinici a disposizione. In questo senso la collaborazione tra epilettologo e neuroradiologo permette di effettuare un esame individualizzato. Altre tecniche di neuroimaging cosiddette funzionali (RM funzionale, PET e SPECT) sono oggi disponibili, ma il loro ambito di utilizzo nelle varie epilessie e la loro attendibilità non riscuotono un consenso unanime e sono considerate, pertanto, ancillari. Un aspetto importante è rappresentato dalla valutazione neuropsicologica e da quella psichiatrica. In generale, la valutazione delle funzioni cognitive del paziente mediante una serie di test neuropsicologici contribuisce alla identificazione della corteccia sede di eventuale disfunzione, alla valutazione dei rischi di deficit di memoria (come conseguenza della resezione del lobo temporale) e, nei casi dubbi, alla determinazione della dominanza emisferica. La valutazione psichiatrica esplora invece principalmente la presenza di componenti psicopatologiche e di eventuali disturbi della personalità, a rischio di scompenso postchirurgico, nonché la tenuta della rete di supporto socio-familiare. Qualora le indagini non invasive non riescano a individuare la zona epilettogena, si può ricorrere a quelle invasive. La stereoelettroencefalografia (SEEG) è una metodologia di registrazione dell’attività elettrica cerebrale, che utilizza elettrodi intracerebrali impiantati con tecnica stereotassica (➔ stereotassico, apparato). La strategia d’impianto si basa sulla formulazione di un’ipotesi di localizzazione della zona epilettogena e va pertanto individualizzata in base alle esigenze del singolo caso. Vanno esplorate le strutture da cui si ipotizza che origini la scarica critica e quelle verosimilmente sede della sua successiva organizzazione. Vengono utilizzati elettrodi ad ago con contatti registranti lungo il loro decorso. Un’altra metodica di esplorazione è quella con elettrodi subdurali, organizzati in griglie di silicone di varia estensione, applicati mediante craniotomia direttamente a contatto della corteccia cerebrale. Lo scopo, al pari della SEEG, è la registrazione diretta dell’attività elettrica cerebrale, ma è anche consentita l’elaborazione di una mappa delle funzioni corticali tramite stimolazione elettrica.

Chirurgia

La chirurgia curativa si propone l’obiettivo dell’abolizione completa delle crisi. Esistono resezioni individualizzate, come la lesionectomia (rimozione di una lesione strutturale), la resezione sublobare, lobare e multilobare (a seconda dell’estensione dell’ablazione), o standardizzate, come la lobectomia temporale anteromesiale, l’amigdalo-ippocampectomia selettiva (interventi eseguibili nell’epilessia del lobo temporale mesiale), l’emisferectomia (per es., nell’epilessia associata all’encefalite cronica di Rasmussen). Vi è inoltre la possibilità di praticare la disconnessione, ossia la separazione anatomico-funzionale, anziché l’asportazione, del tessuto epilettogeno, per il quale viene preservata la vascolarizzazione. Lo scopo è quello di ridurre le complicanze postoperatorie, per es. in interventi molto estesi. La chirurgia palliativa è invece tesa alla riduzione dell’intensità e della frequenza delle crisi epilettiche e non alla loro soppressione. Lo scopo è quello di limitare o impedire la propagazione della scarica elettrica e di diminuire l’eccitabilità neuronale modulando circuiti inibitori o facilitatori. Possono essere considerati interventi palliativi la callosotomia (separazione delle vie intercommissurali che passano attraverso il corpo calloso; ➔ commissurotomia), le transezioni subpiali multiple (selettiva interruzione delle fibre intracorticali a orientamento orizzontale, preservando l’architettura colonnare) e le varie tecniche di neuromodulazione, quali la stimolazione del nervo vago e di nuclei cerebrali profondi (DBS, Deep Brain Stimulation).