EPILESSIA

Enciclopedia Italiana (1932)

EPILESSIA (dal gr. ἐπιληψία "arresto improvviso, epilessia"; lat. epilepsia, morbus comitialis; ted. Fallsucht)

Gioacchino Fumarola

Sindrome complessa, con manifestazioni neurologiche e psichiche assai varie. La più nota è la crisi convulsiva generalizzata (epilepsia maior) che può insorgere bruscamente o essere preceduta da alcuni speciali fenomeni, generalmente noti sotto il nome di aura epilettica. Questa, di durata sempre molto breve e di forma identica nello stesso malato, può, a sua volta, essere preceduta da particolari modificazioni dello stato generale (dolore di capo, cambiamento d'umore, insonnia, eretismo sessuale, ecc.). L'aura può essere sensitiva iparestesie, dolori), sensoriale (allucinazioni, macropsia, micropsia, visione colorata degli oggetti, ecc.); motoria (contrazioni muscolari isolate, espressioni mimiche particolari, afasia motoria, paralisi improvvisa d'un arto, ecc.); vasomotoria (pallore o rossore subitaneo del volto, ecc.); secretoria (scialorrea, iperidrosi, ecc.); psichica (idee strane, paramnesie, senso d'angoscia, ira improvvisa, ecc.). All'aura segue immediatamente l'attacco convulsivo: il malato impallidisce, emette un grido e cade in terra privo di sensi; tutti i muscoli del corpo, compresi quelli della respirazione, entrano in contrazione tonica: le mascelle sono serrate e fra esse rimane, talora, schiacciata la lingua; il capo è fortemente piegato all'indietro, le mani sono strette a pugno, gli avambracci e le gambe estese; le palpebre chiuse; i globi oculari rotati in alto; le pupille ordinariamente ristrette e rigide; le congiuntive iniettate; il volto cianotico; la pressione sanguigna aumentata; spesso v'è perdita d'urine; più di rado di feci e di sperma. A questa fase tonica, che dura pochi secondi, segue la fase clonica, la quale va da qualche minuto primo a un quarto d'ora: il capo, il tronco e gli arti sono agitati da scosse muscolari sempre più rapide, estese e violente; abbondante saliva schiumosa, tinta a volte di sangue per il morso della lingua, appare tra le labbra; la respirazione è stertorosa, russante; le vene del collo sono turgide; le congiuntive soffuse di sangue; le pupille fortemente dilatate, il polso frequente; la temperatura di qualche decimo superiore alla norma; la sudorazione profusa. Gli spasmi clonici s'estinguono progressivamente e subentra il coma; la respirazione diviene tranquilla, la cianosi del volto fa posto al pallore; dopo pochi minuti o qualche ora il malato riacquista a poco per volta la coscienza, ma resta per alcune ore stordito, accusando mal di capo, e senso di prostrazione generale. Egli non serba alcun ricordo dell'attacco, e qualche volta nemmeno dell'aura. I riflessi, subito dopo la crisi, ora sono aumentati, ora diminuiti; non di rado si riscontra il segno di Babinski; l'esame delle urine rivela spesso presenza d'albumina. Si possono, inoltre, osservare paresi fugaci di qualcuno degli arti, oppure stati transitorî d'afasia motoria, di cecità o di sordità. La frequenza degli accessi è variabilissima: da 1-2 all'anno fino a parecchi al giorno. A volte si ripetono a epoche fisse nel periodo mestruale, oppure di notte; altre volte si susseguono in gran numero con brevi intervalli di lucidità o senza che il malato riacquisti la coscienza (status epilepticus). Quest'ultima manifestazione è particolarmente grave, la temperatura febbrile è assai spesso elevatissima (41°-42°) e la successione delle crisi è in molti casi interrotta dalla morte.

Un'altra manifestazione epilettica è la crisi jacksoniana (dal nome del medico inglese John Hughlings Jackson; v.) caratterizzata dall'insorgenza di scosse convulsive localizzate senza perdita della coscienza, a meno che alla fine dell'attacco le scosse non divengano generalizzate. La crisi è talvolta sensitiva: essa è allora costituita da dolori e parestesie che hanno sede in una parte del corpo soltanto. L'epilessia jacksoniana è l'espressione d'un processo cerebrale a focolaio che interessa direttamente o indirettamente la corteccia cerebrale della zona rolandica del lato opposto a quello in cui si verificano le manifestazioni epilettiche. Una varietà dell'epilessia jacksoniana è la sindrome di Kojewnikow con scosse cloniche unilaterali, ripetute per parecchio tempo e seguite spesso da paresi dell'arto colpito.

Una terza manifestazione epilettica è il piccolo male, che si differenzia dall'attacco convulsivo classico, per la brevità della durata e per la mancanza dell'elemento convulsivo. La sua principale varietà è l'assenza caratterizzata da una subitanea e transitoria sospensione dei processi psichici: l'ammalato s'arresta hruscamente nel mezzo delle sue occupazioni o del discorso, resta per qualche secondo immobile, con gli occhi sbarrati e lo sguardo fisso, indi riprende il lavoro interrotto o la frase incominciata, senza serbare memoria alcuna dell'accaduto. Altre varietà di piccolo male sono: la vertigine epilettica, la sincope, che è uno stadio più avanzato della vertigine, e la crisi narcolettica (brusca insorgenza d'un sonno profondo che nessuno stimolo riesce a turbare).

Gli equivalenti epiletiici sono particolari manifestazioni, analoghe all'attacco, che possono sostituire. Possono essere: motorî (fughe, automatismi ambulatorî); ipnici (pavor nocturnus, enuresi notturna, sonnambulismo); sensitivi (dolori, parestesie); sensoriali (scrosci, bagliori); musicali (S. De Sanctis); viscerali, secretorî, psichici (accessi d'ira, di malumore, stati crepuscolari).

L'epilettico può presentare stignate somatiche (malformazioni craniche, asimmetrie mimiche, anomalie congenite degli occhi e degli orecchi, ipoestesia tegumentaria, oltre alle cicatrici per le ferite riportate durante la crisi) e stigmate psichiche (tendenza al contrasto nell'umore, negli affetti, nelle idee e nel contegno). Se le crisi si ripetono frequentemente e soprattutto se la loro insorgenza risale all'età evolutiva, si stabilisce la degenerazione epilettica (deficienza del senso etico, indebolimento mentale, iperemotività, impulsività) che può giungere a un vero stato demenziale.

Fatta eccezione della forma tardiva (esiste un'epilessia senile), la malattia suole manifestarsi fra i 15 e i 20 anni, ma è relativamente frequente anche nell'infanzia e nell'adolescenza. Tra i fattori etiologici il primo posto spetta alla predisposizione ereditaria, intesa meno come eredità similare e più come disposizione generica: tra le cause degenerative la maggiore importanza è dovuta all'alcoolismo e alla lue dei genitori. Le prime manifestazioni sintomatiche sogliono esplodere, in seguito all'azione di cause esterne, quali, intossicazioni, tossinfezioni, traumi cranici, emozioni violente, stimolazioni periferiche (epilessia riflessa). L'evoluzione è variabilissima: nelle forme giovanili assume spesso carattere progressivo, nelle forme tardive subisce soste e remissioni frequenti. La prognosi è tanto più sfavorevole, quanto più numerosi e precoci sono gli accessi.

Patogenesi. - Nell'epilessia cosiddetta sintomatica, l'anatomia patologica dimostra porencefalie, cicatrici postencefalitiche, placche di meningite, tumori, cisti, lesioni traumatiche; nell'epilessia cosiddetta essenziale le lesioni sono invece microscopiche: proliferazioni nevrogliche, processi sclerotici, lesioni vasali. Alterazioni simili sono state anche riscontrate, più raramente, nel midollo spinale. Nell'epilessia si riscontrano: notevoli perturbamenti del ricambio dell'azoto; periodi d'alcalosi sanguigna e d'ipocalcemia prima d'ogni crisi; instabilità neurovegetativa, con manifestazioni prevalentemente vasomotorie; variazioni della formula leucocitaria; una speciale tossicità del sangue, con presenza frequente di sostanze convulsivanti. Probabilmente esistono anche fenomeni di disfunzione endocrina, specie a carico della tiroide. Numerosi autori tendono perciò ad ammettere che la crisi epilettica sia in rapporto con fenomeni vasomotorî cerebrali, ad azione prevalentemente anemizzante, la cui produzione sarebbe favorita dalle alterazioni anatomiche, e determinata, in misura variabile, dai fattori or ora elencati. Ma il meccanismo per il quale questi fatti provocano la manifestazione epilettica ci è ancora assolutamente ignoto. Per parecchi anni s'è considerata la corteccia cerebrale come unica sede dello scatenamento dell'attacco: vedute recentissime (P. Hartenberg) farebbero supporre invece che il fenomeno nervoso sia costituito, nella sua essenza, da un'inibizione corticale che porterebbe a una liberazzione dei centri sottocorticali automatici (soprattutto nel corpo striato) e alla conseguente insorgenza dei movimenti convulsivi tonici e clonici (epilessia striata).

Cura. - Nella terapia medicamentosa i bromuri (bromuro di sodio, di potassio, d'ammonio, di stronzio, alla dose di 2-6 grammi al giorno) già considerati come medicamenti di scelta, vengono ora meno usati a causa soprattutto del pericolo d'intossicazione (bromismo, v.). Il regime declorurato aumenta il potere terapeutico del bromuro, permettendo così di limitarne la somministrazione giornaliera a soli tre grammi. L'efficacia del tartrato borico potassico (1-3 grammi al giorno), vantata specialmente dai neurologi francesi, è tuttora discussa. La feniletilmalonilurea (v. barbiturico, acido) o luminal (in Francia: gardénal) è attualmente l'antiepilettico per eccellenza: bisogna però ricorrere a cure prolungate, con dosi quotidiane da 5 a 30 centigrammi. Nello status epilepticus si sono ottenuti ottimi risultati introducendo il luminal natrium in soluzione sia per via lombare (G. Fumarola e C. Enderle, 1923) che per via suboccipitale (G. Ayala, 1926); e più recentemente, sono state sperimentate con successo le iniezioni endovenose di somnifen. Il rutonal (fenilmetilmalonilurea), che può essere adoperato in casi d'intolleranza o mancata efficacia del luminal, è il medicamento di scelta nel piccolo male. Buoni risultati dànno le cure combinate (luminal-bromuri, luminal-belladonna, ecc.). Non sembra sufficientemente dimostrata l'efficacia di numerosi altri metodi terapeutici proposti: proteinoterapia aspecifica, autoemoterapia, calciterapia, iniezioni d'emulsione di materia cerebrale, terapia tiroidea, ecc. Hanno molto importanza le norme dieteticoterapiche: astensione dall'alcool e dal caffè; il vitto deve essere leggiero, misto e variato; specialmente nei bambini, sembra che la cioccolata possa esercitare un'azione sfavorevole. S'è già accennato al regime declorurato come complemento efficace della terapia bromica. Il regime zuccherato (200 grammi di zucchero al giorno oltre il vitto consueto) preconizzato da S.L. Wladyczko (1925) sembra dia risultati favorevoli. Basandosi sull'esperienza che il digiuno esercita una benefica azione sul rallentamento della crisi, e che durante il digiuno stesso l'acidosi sanguigna aumenta notevolmente, ricordando anche che, come s'è detto, ogni crisi convulsiva è preceduta da un periodo di alcalosi, R. M. Wilder ha istituito un regine acidogeno somministrando notevoli quantità di grasso: le esperienze in tale senso, praticate finora quasi esclusivamente nell'America Settentrionale, avrebbero dato risultati abbastanza incoraggianti. Pure da autori americani, specie da T. Fay, è stato preconizzato assai recentemente (1929-30) un regime ipoidratato, consistente nel praticare ripetute punture lombari, e nel limitare giornalmente i liquidi somministrati a non più di 500 cmc. Nella forma poi di origine luetica la terapia deve essere anche specifica. La cura chirurgica, o mai abbandonata per ciò che concerne l'epilessia cosiddetta essenziale, è da proporre ogni volta che una placca meningitica, un neoplasma, una lesione ossea, provochino delle crisi jacksoniane (v. cranio-cerebrale, chirurgia). I dati sui risultati della radioterapia sono ancora troppo scarsi per egprimere un'opinione netta.

Bibl.: I. I. Muskens, Epilepsie, Berlino 1926; Ph. Pagniez, L'Épilepsie, Parigi 1929.

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