EPIRO

Enciclopedia Italiana (1932)

EPIRO (A. T., 82-83)

Giuseppe CARACI
Guido MARTELLOTTI
Paola Zancan

Con questo nome (gr. "Ηπειρος o "Απειρος "terraferma"; lat. Epīrus) gli abitanti delle isole di Corfù e Cefalonia denominarono ab antiquo le opposte sponde del continente ellenico, che è quanto dire la Grecia nord-occidentale. La designazione generica divenne nome proprio, limitato alla regione che dal Pindo scende allo Ionio di fronte a Corfù, e di qui al Golfo Ambracico o di Arta; regione che non corrisponde a un'unità fisica ben definita, ma che nell'uso classico s'intendeva delimitata a N. dall'Illiria, press'a poco sul medio bacino della Voiussa, a E. dalla Tessaglia, e a S. dall'Etolia e dall'Acarnania, abbracciando così all'incirca 17.500 kmq. Nell'uso moderno, invece, quando si prescinda dall'estensione un po' indeterminata che le varie popolazioni assegnano al toponimo, resta esclusa dall'Epiro tutta la parte di NO. chiusa entro i confini attuali dell'Albania (le antiche regioni di Tymphaea, Parava e Atintania), mentre vi si intendono inclusi i tre nomi greci di Giànnina, Prèvesa e Arta, che occupano tutti insieme una superficie di 8674 kmq., con una popolazione (1928) di 312.635 ab. Così facendo, però, si tagliano fuori anche altri lembi che storicamente si sono considerati sempre come spettanti all'Epiro, pur entro i confini della Grecia; lembi passati ai finitimi nomi di Florina, Kozánē, Tríkkala, Etolia e Acarnania.

La mancanza di linee di confine molto precise impedì già in antico che l'Epiro assumesse una chiara individualità, non solo etnografica - l'ellenizzazione cominciò soltanto in epoca ellenistica - ma anche politica, in grazia, forse soprattutto, di fattori naturali. La plastica del paese ripete un motivo comune ad altre zone della Grecia (Peloponneso nord-occidentale), ma qui più evidente e di proporzioni maggiori: una serie dl rilievi disposti prevalentemente in senso parallelo alla costa o quasi, che isolano un certo numero di bacini, ora chiusi (Giannina), ora comunicanti gli uni con gli altri e con il mare per mezzo di brecce trasversali, di regola piuttosto anguste. Gli anticlinali, che si dispiegano in genere da NO. a SE., constano di rocce giurassiche, cretaciche ed eoceniche, con larga prevalenza del calcare e conseguente grande sviluppo di fenomeni carsici, modellate non di rado a ripiani e terrazze, brulle, calve e in genere poco popolate; le valli che li dividono risultano invece di una coltre in genere poco spessa di materiali scistoso-arenacei del classico flysch, allargate spesso in pianure, sulle quali i corsi d'acqua ricchi di alluvioni hanno deposto una spessa copertura di terreno coltivabili e perciò rivestite di vegetazione e tutte punteggiate di villaggi. La costa che guarda allo Ionio libero è uniforme, e, sebbene non priva di ripari, poco adatta a richiamarvi la popolazione, che per giungervi dall'interno deve superare, l'una dopo l'altra, più serie di rilievi; quella che forma il lato settentrionale del Golfo Ambracico è frangiata di lagune e di acquitrini, i quali riducono, se non annullano, il beneficio della comunicazione che i corsi del Luros (Oropos) e dell'Arta (Arachthus) segnano verso l'interno. In questo le altezze vanno in complesso crescendo verso E. e NE. e formano, sul lato che volge alla Tessaglia, un vero e proprio baluardo con le alte pareti del Pindo, elevantisi da oltre 2000 m. a S. (Oros Voutsikáki, 2154 m.; Oros Zournáta, 2168 m.) fino a quasi 2600 m. verso N. (Smólikas Oros, 2574 m.); baluardo che si continua press'a poco con gli stessi caratteri oltre il confine albanese. La parte meridionale dell'Epiro, anch'essa tutta montagne, si apre, verso occidente, in ampî ripiani calcarei (Margarition), verso il Golfo Ambracico invece si deprime in una zona collinosa di marne neogeniche, che ancora più a E. cede il posto alle alte propaggini del Pindo, nell'impervia Dolopia. Entro l'unità dell'insieme, contrasti geologici, orografici e morfologici determinano una certa varietà di paesaggio, che non poté non avere influenza sul frazionamento politico da cui vediamo caratterizzata la vita dell'Epiro antico, almeno in epoca preromana (Caonia, Tesprozia, Molosside, Atamania, Hellopia). Ma in complesso il paese si presenta come un territorio prevalentemente montuoso, cui non mancano tuttavia zone pianeggianti adatte all'insediamento agricolo. Questo è poi favorito anche dalle condizioni climatiche, che ai caratteri mediterranei, comuni con le altre parti della Grecia, uniscono una maggiore piovosità, seppure concentrata per la più parte nei mesi invermali. A Giannina le precipitazioni ammontano in media a 1300 mm. l'anno, tre volte più che ad Atene, e alcune delle plaghe interne dell'Epiro sono fra le più umide della Grecia.

Come in antico, l'Epiro è rimasto in sostanza un paese agricolopastorale, essendo l'agricoltura sviluppata soprattutto nelle zone basse e piatte dei fondovalle e delle terrazze, la pastorizia verso l'interno donde ha luogo un'attiva transumanza con la Tessaglia. I suoi tori, i suoi cavalli e le sue pecore furono assai celebrati nell'antichità. I prodotti agricoli sono essenzialmente cereali, vino e olio, ma il loro sviluppo è intralciato oltre tutto, dalla difficoltà delle comunicazioni, che mantengono il caratteristico isolamento della regione - mancano in modo assoluto le ferrovie - e impediscono o ritardano anche la messa in valore delle sue possibilità minerarie (petrolio).

La popolazione, che è in grandissima maggioranza greca, ma con ampie isole di Aromuni nella parte settentrionale del Pindo, vive accentrata in agglomerati rurali, di cui però appena una decina oltrepassano i 2500 ab. Il centro più popoloso è la capitale, Giannina (24 mila ab.), sul margine occidentale del lago omonimo; Prevesa, all'imbocco del Golfo Ambracico, di fronte al luogo dell'antico Actium, che è l'unico porto appena degno di menzione, non raggiunge i 10 mila ab., né li raggiunge Arta, l'erede dell'antica Ambracia, che comanda l'accesso alla valle del fiume omonimo, nel punto dove questo comincia a essere navigabile. La densità di popolazione (36 ab. per kmq.) è inferiore alla media dello stato; l'aumento negli ultimi decennî è stato notevole (257 mila ab. nel 1920), anche per l'aflusso degli emigrati dall'Asia Minore.

Bibl.: E. Kurilas, Βιβλιογραϕία 'Ηπείρου καὶ 'Αλβανίας, in 'Ηπειρωτικὰ χρονικά, III (1928), pp. 50-102; IV (1929), pp. 112-145; V (1930), pp. 119-152; R. Stuart, On physical Geography and natural Ressources of Epirus, in Journal of R. Geograph. Soc., 1869; A. De Gubernatis, L'Epiro, in Boll. Soc. Geograf. Ital., VIII (1872); A. Philippson, Thessalien u. Epirus, Berlino 1897; K. Klotzsch, Epirotische Geschichte bis zum J. 280 v. Chr. Berlino 1911; S. Abdalian, L'Epire mérid. et ses gisements petrolifères, Parigi 1925.

Storia. - Conformemente alla loro vita pastorale, gli Epiroti abitavano nell'antichità villaggi isolati. Solo verso la fine del sec. IV a. C. cominciò a prendere sviluppo la fondazione di città; ma fino allora l'Epiro si mantenne relativamente estraneo alla vita e alla cultura greca: estraneo, cioè inferiore. Al che sembrano aver anche contribuito due fattori geografici: la difficoltà di contatti con l'esterno e di comunicazioni all'interno; una certa qual sufficienza della regione a sé medesima, poiché possedeva alimento bastante per una popolazione relativamente fitta, e non aveva d'altra parte alcun prodotto così abbondante e così prezioso che potesse incitare ad un'attività industriale o commerciale. Frammentato in cantoni isolati e di difficile accesso, l'Epiro possedeva tuttavia due centri naturali: l'altipiano dell'Ellopia, nodo stradale fra il settentrione e l'oriente, e la pianura d'Ambracia a sud: Dodona e Ambracia erano le due capitali.

Le stirpi epirotiche e la loro Lega. - Quattordici stirpi epirotiche contava Teopompo nel sec. IV. Di queste, tredici sono tramandate: Caoni, Tesproti, Cassopei, Molossi, Atintani, Oresti, Etici, Tinfei, Parauei, Atamani, Anfilochi, Agrei, Apodoti. I tentativi di completare il numero non hanno condotto ad alcun risultato sicuro.

L'opinione oggi più diffusa è che gli Epiroti siano d'origine illirica, e in stretta attinenza con la popolazione dell'Italia sud-orientale: infatti alcuni nomi di singole tribù e località ricorrono nell'una parte e nell'altra press'a poco nella medesima forma; è poi comune alle due sponde dell'Adriatico il tipo di formazione dei nomi di luogo. Il carattere greco della nazione epirotica è tuttavia difeso dal Beloch, il quale osserva come gli argomenti glottologici sopra addotti non siano affatto certi; e come d'altra parte un'origine illirica degli Epiroti sia in contraddizione con le fonti storiche e letterarie: Erodoto testimonia espressamente che già nel sec. V in Dodona si parlava greco; e se ciò può anche apparire ovvio per quell'antichissimo santuario nazionale, risulta in ogni caso dai documenti che almeno alla fine del sec. IV la lingua ufficiale della Lega epirotica era la greca. Ed è chiaro che se Tucidide ed Eforo, e ripetendolo da loro gli scrittori più tardi, chiamavano barbari gli abitanti dell'Epiro, ciò non ha niente a che fare con la loro nazionalità, ma solo si riferisce alla loro maniera di vivere relativamente primitiva.

Le stirpi epirotiche nel tempo più antico erano sicuramente governate da re. Si suddividevano a lor volta in tribù, ciascuna delle quali possedeva una sua contrada con uno o più villaggi o talvolta con un piccolo centro urbano; la tribù era un'associazione a carattere gentilizio, ma politicamente riconosciuta, onde nei documenti per la designazione di una persona era sufficiente, oltre al nome, la designazione della tribù cui apparteneva. Quest'ordinamento durò a lungo, legato alla maniera di vita degli Epiroti, durò, e fu come la base della nuova costituzione, anche dopo che i singoli regni furono distrutti e il paese politicamente unificato.

Delle stirpi tre ebbero particolare importanza: i Tesproti, i Caoni e i Molossi. Prevalsero tutte tre, successivamente. Primi i Tesproti che verso la metà del sec. V dalla costa s'erano spinti verso l'interno, estendendo il loro potere sopra il santuario di Dodona; poi i Caoni, cui già al principio della guerra del Peloponneso i Tesproti, e insieme i Cassopei loro vicini, sembrano sottostare; finalmente i Molossi, e fu lunga e gloriosa prevalenza. Si ha una vera e propria unificazione del paese sotto l'alta sovranità del re dei Molossi, il quale nei documenti è designato come "re" senz'altro o come "re degli Epiroti". Il re ogni anno rinnova cori sacrifici il giuramento d'osservare la costituzione, e i sudditi giurano a loro volta fedele sottomissione alle leggi; il re rappresenta all'estero lo stato federale, e ha in guerra il comando su tutto l'esercito. La Lega si designa ufficialmente nei documenti οἱ σύμμαχοι τῶν 'Απειροτᾶν. Funzionarî della Lega sono un presidente (προστάτας τῶν Μολοσσῶν o semplicemente προστάτας), magistrato eponimo, e un segretario. Organo della Lega un consiglio (συνέδριον). L'esistenza di un'assemblea nel periodo regio non è attestata. Sono membri della Lega le varie stirpi epirotiche; le quali però debbono avere conservato una certa autonomia: il nome stesso con cui viene designata la Lega indica piuttosto un'alleanza armata, che una sudditanza politica e amministrativa. I Molossi avevano infatti una propria assemblea, κοινὸν τῶν Μολοσσῶν, che concedeva il diritto di cittadinanza, la prossenia e altri privilegi; analogamente esisteva un κοινὸν τῶν Θεσπρωτῶν; è presumibile che anche le altre stirpi abbiano formato simili κοινά in seno alla Lega. L'esercito della Lega era costituito dai contingenti degli stati che ad essa partecipavano.

La serie dei re. - Il primo re di cui la storia conservi il ricordo è Tharyps, che regnò dal 430 al 390 a. C. circa. Educato in Atene, introdusse nel suo paese semibarbaro molti elementi di quella civiltà, dando impulso all'evoluzione culturale e politica; di lui dice Giustino che per primo compose leggi e istituì il senato e le magistrature annuali e la forma della costituzione: onde non è improbabile che sotto di lui sia avvenuta l'unificazione dell'Epiro. L'unificazione comunque fu un fatto compiuto durante il regno del figlio e successore Alceta, il quale, avendo già esteso il proprio dominio fino alle coste, poté nel 375 partecipare come alleato di Atene alla seconda lega marittima. Alceta, salito al trono intorno al 390, vi fu nel 385 ricondotto da Dionisio, tiranno di Siracusa: quando ne fosse stato cacciato e perché, non sappiamo. Regnava ancora nel 373, anno in cui intervenne in Atene al processo di Timoteo, in difesa di lui. Ad Alceta successero i figli Neottolemo e Aribba, che per qualche anno ebbero comune reggenza. Certo Neottolemo morì prima del 357, poiché in quell'anno sua figlia Olimpia non da lui, ma dallo zio e tutore Aribba fu maritata a Filippo di Macedonia. Con questo matrimonio la casa regnante d'Epiro entra in relazione con la casa regnante di Macedonia. Primo Alessandro, fratello d'Olimpia, fu da Filippo collocato sul trono paterno; il regno d'Epiro s'accresce della regione cassopica (343-2). Negli anni che seguono, due fatti, sopra le fortunose vicende della famiglia reale, sono particolarmente significativi: la lunga correggenza di Olimpia, madre di Alessandro Magno, al trono d'Epiro (331-317); l'inclusione dell'Epiro, nella divisione dell'impero avvenuta in Babilonia subito dopo la morte di Alessandro Magno, nella sfera soggetta all'amministrazione di Antipatro e Cratero. La storia dell'Epiro si svolge dunque d'ora innanzi nell'orbita del predominio macedone.

Unito alla Macedonia, anche l'Epiro è travolto con la Macedonia nelle guerre civili: Olimpia nel 317 muove con l'esercito epirota sotto il comando del re Eacida, figlio di Aribba, contro Filippo Arrideo ed Euridice, che dominavano in Macedonia con l'appoggio di Cassandro. La spedizione, sul principio vittoriosa, si chiuse poi, sopraggiunto Cassandro, con la prigionia e la morte di Olimpia. Conseguenza di questi avvenimenti fu l'insurrezione del popolo epirota contro Eacida, che venne deposto dal trono. La regione passa a Cassandro, il cui ufficiale Licisco assume la reggenza in nome del giovane Neottolemo, figlio di quell'Alessandro I che Filippo aveva posto sul trono. Dopo un vano tentativo di Eacida di riacquistare il potere perduto, tentativo che terminò con la morte di lui, e dopo un breve regno del fratello di Eacida, Alceta II il potere regio passò nel 307 a Pirro, figlio d'Eacida, ancora fanciullo poiché era nato nel 319. A due anni, travolto nella rovina paterna, era stato portato a rifugio presso il re illirico Glaucia; a dodici anni Glaucia lo ricollocava sul trono, approfittando della debolezza di Cassandro impegnato contro Demetrio. Le vicende della casa regnante d'Epiro sono tuttora legate alle vicende della casa regnante di Macedonia: Pirro a Demetrio, che ne sposò (circa il 303) la sorella Deidamia; Neottolemo a Cassandro. Nel 302 la partenza di Demetrio per l'Asia, e il conseguente dominio di Cassandro nella Grecia, determinano la cacciata di Pirro dal trono, cui risale Neottolemo.

Al trono d'Epiro Pirro ritorna definitivamente nel 297, con truppe e denaro fornitigli da Tolomeo d'Egitto, di cui aveva sposato la figlia Antigone. Il regno aveva ora press'a poco il medesimo ambito territoriale che gli aveva dato Filippo: comprendeva le regioni dei Molossi, dei Tesproti, dei Caoni, e la Cassopia. Ma la guerra civile, parte o risonanza della più grande guerra onde ardeva tutto il mondo ellenico, aveva impoverito il paese. Pirro uccise Neottolemo e si mise in gara con gli altri diadochi. Il primo acquisto fu nel 295 l'isola di Corcira (e forse insieme anche Leucade) portatagli in dote da Lanassa, figlia di Agatocle, sua seconda moglie. Poiché Pirro nulla trascurò che al suo regno potesse recar giovamento, neanche i matrimonî: ebbe almeno quattro mogli (una quinta, di cui è menzione in Giustino, non è così certa), che gli assicurarono per un certo tempo amichevole relazione con i rispettivi padri: Tolomeo Sotere, Agatocle siracusano, Audoleonte re dei Peoni, e Bardilio re degl'Illiri. Grande aumento territoriale venne al suo regno quale compenso dell'aiuto prestato ad Alessandro nella guerra di successione tra i figli di Cassandro: l'Epiro s'accrebbe allora, nel 294, della Tinfea e Parauea, regioni di confine a nord-est, e di Ambracia, dell'Anfilochia e dell'Acarnania a sud. Nel 291 Pirro, alleato agli Etoli, appoggiò la sollevazione beotica contro Demetrio; due anni dopo Demetrio mosse vendicatore contro Pirro e gli Etoli, ma fu sconfitto a pieno. Dopo questa vittoria i successi militari seguirono ininterrotti: intorno al 285 il suo regno toccava l'Acheloo e le Termopile, il fiume Assio e il mare Adriatico. Un anno più tardi era di nuovo ridotto a poco più che il regno paterno. Felice nelle conquiste, Pirro non seppe trarre da esse profitto, né mantenerle durevolmente; onde le vittorie finirono di regola in un insuccesso, così in Grecia come in Italia: e n'è ragione uno squilibrio fra le doti di generale, eminentissime, e le doti di uomo di stato, assai meno eminenti, che fu causa di sproporzione fra le imprese concepite e i mezzi a disposizione, e fece del principe un avventuriero e della sua opera un episodio. Reduce dalla campagna d'Italia, che lo tenne impegnato negli anni dal 280 al 275, una clamorosa vittoria riportata il 274 su Antigono Gonata, lo rese una seconda volta signore della Tessaglia e della Macedonia superiore. La morte lo colse due anni dopo in Argo, quando i confini del regno d'Epiro sembravano prossimi a coincidere con i confini di Macedonia e di Grecia (v. pirro). Gli successe il figlio Alessandro II, che nella pace stipulata con Antigono dovette rinunciare alle conquiste in Macedonia, in Tessaglia e nel Peloponneso. Il regno d'Epiro era ritornato pressoché ai suoi antichi confini; ma sembrava essere come il centro di gravità verso il quale erano attratti tutti gli stati confinanti, dall'Illiria all'Acarnania. Si rese tuttavia presto evidente che la fortuna d'Epiro, unicamente legata alla fortuna di Pirro, doveva per ciò stesso cessare con la vita di lui: poco dopo la sua morte cominciò a manifestarsi ai margini del regno un fenomeno di disgregazione, a ostacolare il quale Alessandro dovette concentrare tutte le sue forze. Condusse vittoriosamente una guerra contro il principe illirico Mitilo; mosse poi, alleato agli Etoli, contro l'Acarnania che fu sottomessa e divisa fra i due vincitori: la parte orientale alla Lega etolica, la occidentale con Leucade all'Epiro. Effimeri successi in Macedonia e in Tessaglia furono invece ripagati con l'occupazione macedone della regione illirico-epirota percorsa dall'Aoo, nella quale il predominio di Antigono fu suggellato dalla fondazione di Antigoneia. L'Epiro ritornava nell'orbita macedone, da cui invano Pirro aveva tentato di toglierlo, cercando appoggio altrove, specie in Egitto. E invero alla morte di Alessandro II il trono passò al figlio Pirro II, sotto la reggenza della madre Olimpiade; la quale, contro la crescente potenza etolica, chiese appoggio e protezione a Demetrio II di Macedonia. Morto Pirro II senza lasciare eredi, gli successe per breve tempo il fratello Tolomeo; morto pure Tolomeo, il popolo insorse, e il partito repubblicano ebbe il sopravvento. Deidamia, figlia di Pirro II, aveva cercato di venire a patti; ma, ribellatosi il popolo di Ambracia, fu uccisa nel tempio di Artemide (231). Con la sua morte si spegne la casa degli Eacidi, e si chiude la serie dei re d'Epiro (v. eacidi).

La repubblica. - Al governo monarchico successe un governo repubblicano. Costituzione e amministrazione non subirono però mutamenti radicali. La lega conservò il suo carattere di associazione federale, con diritto di cittadinanza federale. Ma, mentre per il periodo regio l'esistenza di un'assemblea non è attestata, il più alto potere consultivo e deliberativo appartenne ora all'assemblea generale, cui spettava l'elezione dei magistrati federali e la decisione su paci, guerre, alleanze, sul richiamo dell'esercito, sull'invio e la scelta di ambasciatori, sulla concessione del diritto di cittadinanza e di altre distinzioni; costituiva inoltre il tribunale per i delitti contro la Lega. Il sinedrio sussistette nella sua funzione di consigliere; sussistette pure il προστάτας τῶν Μολοσσῶν, sul cui ufficio peraltro nulla sappiamo. Il comando dell'esercito fu affidato a un collegio di tre strateghi (tanti almeno Livio ne ricorda), ma uno fra essi predominava, stratego capo, eponimo, vero presidente della Lega, vero erede del potere regio; pare probabile che fosse assistito da un ipparco o comandante della cavalleria.

La nuova repubblica si trovò subito impegnata in una guerra contro gl'Illirî, che s'erano avanzati fin presso Fenice; a superarli molto contribuirono gli aiuti inviati dalla Lega etolica e dalla Lega achea, in questo tempo fra loro alleate. Ma tanto grande dovette sembrare il pericolo, che la pace fu suggellata da un trattato d'alleanza illirico-epirota, cui naturalmente seguì la rottura con Etoli ed Achei; e seguì pure il distacco dell'Anfilochia e di Ambracia, che accedettero spontaneamente alla Lega etolica. Al distacco di Ambracia, che Pirro aveva scelta come sua residenza e che da allora era rimasta residenza regia, si può presumere sia dovuta l'elezione di Fenice a capitale della federazione degli Epiroti. L'ambito territoriale di questi corrispondeva ora a quello del regno d'Epiro prima delle conquiste di Pirro; poiché gli Atamani si resero indipendenti con un re loro proprio (che è menzionato per la prima volta all'anno 220); e per un certo tempo anche la Cassopia, che poi fu incorporata alla Lega etolica.

La repubblica epirotica, ridotta di territorio e di potere, incapace di difesa contro la potentissima e pugnace Lega etolica, già nel 229 s'unì in alleanza alla Macedonia e, continuando anche in questo la tradizione monarchica, comperò la protezione macedone con la propria subordinazione politica. Alleati ad Antigono Dosone, anche gli Epiroti divennero membri della grande simmachia ellenica da lui fondata (223), e come tali parteciparono alla cosiddetta guerra sociale, condotta da Filippo V (che era frattanto succeduto a Dosone) e dai suoi soci contro la Lega etolica (219-217). Iniziatesi le operazioni l'estate del 219, Filippo venne attraverso la Tessaglia e fece dell'Epiro la sua base: di lì mosse verso l'Etolia e conquistò il castello di Ambraco che cedette agli Epiroti. Ma nell'autunno gli Etoli penetrarono nell'Epiro superiore, distrussero quanto poterono e non risparmiarono neppure il santuario di Dodona. Altre scorrerie etoliche devastatrici avvennero nel 217. Nella prima guerra romano-macedone gli Epiroti stettero dalla parte di Filippo, ma si fecero mediatori della pace stipulata a Fenice (205). Nella seconda si mantennero neutrali. A passare dalla parte romana molto erano stati sollecitati dal console Villio (198), cui l'alleanza del vicino stato federale epirotico sarebbe stata di capitale importanza ad effettuare il suo piano di penetrazione in Tessaglia (movendo da Apollonia avrebbe dovuto attraversare l'Epiro); ma gli Epiroti non rinunciarono alla neutralità, ch'era in sostanza filomacedone, sebbene non siano mancati neppure allora taluni che per inimicizia a Filippo passarono ai Romani. La sconfitta di Filippo all'Aoo determinò il distacco dell'Epiro dalla Macedonia e l'alleanza con Roma (198).

Nel 192, allo scoppiare della guerra fra Roma e Antioco III di Siria, quando già ad Antioco erano acceduti, oltre agli Etoli, gli alleati Elei e tutta l'Eubea, gli Epiroti invece tergiversavano. Il timore finalmente prevalse; la Lega non accedette ad Antioco. Tuttavia, a cagione di questo loro contegno incerto, gli Epiroti avevano destato sospetti; perciò dovettero giustificarsi con un'ambasceria che si presentò prima al console, poi al Senato; la risposta del Senato fu tranquillante. Gli Epiroti, come alleati dei Romani, entrarono apertamente in guerra contro gli Etoli (191); si mostrarono alleati zelantissimi e molto spinsero prima e molto collaborarono poi all'assedio di Ambracia, che probabilmente speravano sarebbe stata di nuovo unita all'Epiro. Ma la pace del 189 non recò loro vantaggio né mutamento. Negli anni che seguono si delineano nettamente i partiti filoromano e filomacedone, capitanato il primo da Carope (nipote di quel Carope che già nel 198 e di nuovo nel 192 aveva favorito i Romani), il secondo da Antinoo, Cefalo e altri. La crisi economico-sociale che, come il resto della Grecia, travagliava anche l'Epiro, e inoltre l'intollerabile condotta di Carope condussero nella primavera del 170 a una vera e propria insurrezione in favore dei Macedoni. A combattere i ribelli Appio Claudio Centone, che aveva il comando supremo nell'Illiria e nell'Epiro, chiese agli Achei un soccorso di cinquemila uomini, che fu rifiutato. Ciò valse a protrarre alquanto l'agonia della libertà epirotica. Ma l'anno dopo, 167, giunse terribile la vendetta dei Romani che non avevano dimenticato le vittorie di Pirro. Ai soldati di Paolo Emilio, vincitori della Macedonia a Pidna, fu assegnata la preda d'Epiro: oro, argento, raccolti; settanta centri comunali furono distrutti; centocinquantamila abitanti, uomini, donne e fanciulli, tratti in schiavitù. La Lega epirotica cessò di esistere. L'anno 148 l'Epiro, annesso alla Macedonia, divenne provincia romana. Unito alla Macedonia l'Epiro rimase finché della stessa provincia fece parte anche l'Acaia: quando questa, nel 27 a. C. da Augusto, o, secondo altri, già da prima, fu costituita in provincia autonoma, l'Epiro fu aggregato a essa. Nel sec. II d. C. invece lo troviamo ricordato come provincia a sé, retta da un procuratore imperiale, che comprendeva insieme anche l'Acarnania e le isole Ionie: esso non fu mai tuttavia una provincia di grande importanza, il che si rivela anche dal fatto che molto spesso i suoi uffici si cumulavano nelle mani d'uno stesso funzionario insieme con gli uffici delle provincie contigue, l'Acaia e la Tessaglia. Dopo Diocleziano si ebbero due provincie dell'Epiro: l'Epirus vetus, corrispondente alla provincia antica, e l'Epirus nova con capitale Dirrachio, che comprendeva il litorale illirico, già parte della Macedonia (v.).

Per la storia dell'Epiro nell'età moderna, v. albania: Storia, grecia: Storia.

Bibl.: Fondamentale per la storia d'Epiro il contributo del Beloch nei volumi della sua Griechische Geschichte, 2ª ed., Berlino 1914-1927. V. inoltre: E. Kuhn, Entstehung der Städte der Alten, Lipsia 1878; H. Schmidt, Epeirotika, Marburgo 1894; R. Schubert, Geschichte des Pyrrhus, Königsberg 1894; B. Niese, Geschichte der griechischen und Makedonischen Staaten seit der Schlacht bei Chaeroneia, Gotha 1893-1903; G. Freemann, History of federal government, 2ª ed., Londra 1903; M. P. Nilsson, Studien zur Geschichte des alten Epeiros, in Lunds Universitets Årsskrift, n. s., I (1909); G. Klotzsch, Epeirotische Geschichte his zum Jahre 280, Berlino 1911; G. Corradi, Gli ultimi Eacidi, in Atti dell'Accademia di Torino, XLVII (1911-12), p. 192 segg.; W . W. Tarn, Antigonos Gonatas, Oxford 1913; G. De Sanctis, Storia dei Romani, II-IV, Torino 1916-1923; G. Bottin, Les tribus et les dyunastes d'Épire avant l'influence macédonienne, in Musée Belge, 1925; W. Judeich, König Pyrrhos' römische Politik, in Klio, XX (1925). Per la costituzione: Hermann-Swoboda, Griechische Staatsaltertümer, I, 3, p. 308 segg., Tubinga 1913; Busolt-Swoboda, Griechische Staatskunde, p. 470 segg., Monaco 1926. Iscrizioni: C. Carapanos, Dodone et ses ruines, Parigi 1878; Collitz, Sammlung der griechischen Dialekt-Inschriften, Gottinga 1884-1915, nn. 1334-1337. Monete: P. Gardner, Greek coins: Thessaly to Aetolia; B. V. Head, Historia Numorum, 2ª ed., Oxford 1911.

Il despotato di Epiro. - Dopo la presa di Costantinopoli del 1204 e lo smembramento dell'Impero, Venezia, a cui sarebbe toccato il dominio di tutto l'Epiro, si limitò a occupare Durazzo e nell'Epiro si costituì un despotato greco sotto il governo di Michele Angelo Comneno (1205-1214). Questi riuscì a organizzare saldamente il suo stato, la cui capitale Arta divenne il rifugio di quanti non volevano assoggettarsi al dominio dei Latini. Ma il tentativo dei despoti d'Epiro andò a cozzare contro i Bulgari e soprattutto contro la rivalità del regno di Nicea. Il fratello e successore di Michele, Teodoro Angelo (1214-1230), ripresa Durazzo e Corfù ai Veneziani, nel 1222 assaliva Demetrio di Monferrato, entrava vittorioso a Tessalonica e si faceva incoronare imperatore. Nel 1224 sconfiggeva a Seres Roberto di Courtenay. Ma nel 1230, vinto e fatto prigioniero a Klokotnica dallo zar dei Bulgari, Giovanni II Asen, doveva rinunciare al trono in favore del fratello Manuele, il cui regno veniva limitato a Tessalonica e alla Tessaglia. Intanto Michele II Angelo (1237-1271), figlio di Michele I, riusciva a ricostituire il despotato di Epiro e ad assicurarsi una salda base politica, dando in moglie una sua figlia a Manfredi, re di Sicilia, e un'altra al principe d'Acaia, Guglielmo di Villehaidouin. Ma la sua espansione in Macedonia veniva arrestata da Michele Paleologo (battaglia di Pelagonia, 1259). Durante il regno di Niceforo I (1271-1296), Carlo d'Angiò, erede dei diritti di Manfredi, occupò Durazzo e parte dell'Epiro, ma la sua impresa fallì soprattutto per l'insurrezione dei vespri. Nel 1279, tuttavia, Niceforo riconosceva, su tutto l'Epiro, la sovranità degli Angioini. A Niceforo successe il figlio cinquenne Tommaso, sotto la reggenza della madre, la quale, per sottrarsi all'influenza degli Angioini, si alleò con Bisanzio. Nel 1318 la linea degli Angeli si estinse, essendo stato il despota Tommaso ucciso da Nicola Orsini, conte di Cefalonia (1318-1321), che ne prese il posto e lo lasciò al fratello Giovanni II Orsini. Gli Orsini seguitarono la politica di ravvicinamento a Bisanzio; ma ormai l'importanza del despotato di Epiro era finita. Conteso a lungo tra Bizantini e Serbi, durante il regno di Niceforo II (1335-1358), perì, alla morte di questo, smembrato tra la Serbia e l'Albania. Nei dominî serbi, di cui era capitale Giannina, al tirannico Tommaso Preljubović (1367-85) successe la moglie Maria Angelina, che nel 1385 scelse come sposo e reggente Esaù Buondelmonti (1386-1408). A lui successe il nipote Carlo I Tocco, conte di Cefalonia e Zacinto, che cercò di ricostituire il despotato tentando anche la riconquista di Naupatto, dal 1407 possesso veneto. Alla sua morte il territorio fu di nuovo smembrato tra i suoi successori, le cui discordie facilitarono l'avanzare dei Turchi. Dopo la morte di Scanderbeg (v.), l'Epiro divenne definitivamente possesso turco.

Bibl.: Oltre le storie generali della grecia, v. P. A. Aravantinos, Χρονογραϕία τῆς 'Ηπείρου, Atene 1856-7; Meliarakis, ‛Ιστορία τοῦ Βασιλείου τῆς Νικαιας καὶ τοῦ Δεσποτάτου τῆς 'Ηπείρου, Atene 1898; V. Vasil′evskij, ‛Ηπειρωτικά, in Vizantijskij Vremennik, III (1896) p. 233, segg.

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