Era venuta ne la mente mia

Enciclopedia Dantesca (1970)

Era venuta ne la mente mia

Mario Pazzaglia

Sonetto della Vita Nuova (XXXIV 7-11), su schema abba, abba: cde, dce, con due ‛ cominciamenti ', cioè con due diverse redazioni della prima quartina.

Oltre che nella tradizione testuale della Vita Nuova, è presente anche in quella " estravagante " che fa capo al codice Escorialense e III 23 (O 63 sup. della Bibl. Ambrosiana; 1081 della Bibl. Palatina di Parma), con varianti che a D. De Robertis sono apparse in gran parte d'autore (ad es., v. 9 Parlando; v. 11 dolenti; v. 12 con minor pena ). La presenza, in questi codici, del secondo cominciamento soltanto ha indotto il critico (seguito, per altre ragioni, dal Maggini e dal Montanari) a considerarlo come prima redazione effettiva, contrariamente all'opinione del Leo e del Folena. È difficile raggiungere una conclusione sicura, e inopportuno ricercare un progresso stilistico fra le due redazioni; converrà attenersi al discorso di D., che presenta i due concepimenti senza stabilire fra di essi una distanza temporale; sostanzialmente, dunque, coevi, anche se ben distinti per ispirazione. Il primo, infatti, incentrato quasi epigrammaticamente sulla ‛ gloria ' di Beatrice, anticipa e al tempo stesso ottunde la conclusione del sonetto; il secondo, delineandone solo l'occasione storica, dispone la lirica in una sequenza più dinamica che culmina nella rivelazione finale (oggi fa l'anno che nel ciel salisti), dove il lamento si trasfigura nel tema della memoria e della gloria, centrale nel libro e soprattutto in quest'ultima parte.

Secondo il racconto in prosa, il sonetto fu scritto nel primo anniversario (giugno 1291) della morte di Beatrice. D., pensando a lei, disegnava uno angelo sopra certe tavolette; distolto, per poco, dall'arrivo di persone cui si convenia di fare onore, riprese poi a disegnare angeli, finché decise di tradurre in parole questa pura immagine contemplativa. Ma il sonetto situa l'occasione storica in un limbo remoto, e porta in primo piano il tormento del destrutto core (vv. 5-11), con una ripresa un po' stanca d'immagini stilnovistiche, lontane dall'aristocraticismo intellettuale e figurativo del Cavalcanti e intonate su una modulazione di effusa e dimessa elegia. Soltanto nel finale (come nel ‛ primo cominciamento ') si fa strada il tema risolutivo della memoria come partecipazione all'attualità della ‛ gloria ' di Beatrice.

C'è qui ancora un'oscillazione fra il lamento di Venite a intender (Vn XXXII 5 ss.) e la visione estatica della donna divenuta spirital bellezza grande, / che per lo cielo spande / luce d'amor che li angeli saluta di Quantunque volte (XXXIII 5 ss.), mentre scompare il tema dell'invocazione alla morte. In tal senso il sonetto esaurisce il compianto in morte di Beatrice, iniziato con Li occhi dolenti (XXXI 8 ss.), e appare proteso verso la nuova conquista di Oltre la spera (XLI 10 ss.) e della sua intelligenza nova (v. 3) di un amore che trionfa ancora una volta sulle " oscure qualità " della passione e sull'agostiniana " ferita " del tempo.

Bibl. - Oltre ai commenti (in primo luogo Barbi-Maggini, Rime 134-136; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, Oxford 1967, II 142-145), si vedano: D. De Robertis, Il canzoniere escorialense e la tradizione veneziana delle rime dello Stil nuovo, in " Giorn. stor. " suppl. n. 27, Torino 1954, 27-28 e 36-40; U. Leo, Das Sonett mit zwei Anfängen (" Vita Nuova " c. XXXIV), in " Zeit. Romanische Philol. " LXX (1954) 376-388 (cfr. la recens. a entrambi di G. Folena, in " Rass. Lett. Ital. " I [1955] 107, 108-109); D. De Robertis, Il libro della " Vita nuova ", Firenze 1961, 163-165; F. Montanari, L'esperienza poetica di D., ibid 19682, 94-95.