Eraclito di Efeso

Dizionario di filosofia (2009)

Eraclito di Efeso


Filosofo, tra i più significativi del periodo presocratico. Il cronografo Apollodoro, basandosi su presunti rapporti di E. con Dario d’Istaspe e con gli eleati, pone la sua akmé nella 69ª olimpiade (504-501 a.C.): egli verrebbe così a essere di quarant’anni più giovane di Senofane e contemporaneo di Parmenide, che almeno nella storia delle idee E. dovette precedere se, come la storiografia è incline a pensare, l’eleate polemizza con le dottrine eraclitee nel frammento in cui attacca coloro per i quali «l’essere e il non essere sono ritenuti identici, per cui di tutte le cose il cammino è reversibile» (H. Diels, Die Fragmente der Vorsokratiker, I, 28B 6). Le notizie circa la vita di E. sono piuttosto incerte e spesso confuse dalla sua fama di uomo altero e sprezzante; discendente da nobile famiglia efesia, nella quale si tramandava la dignità sacerdotale di βασιλεύς, E. avrebbe disdegnato, secondo la tradizione, questa carica, cedendola al fratello minore. La sua avversione per la democrazia, di cui sarebbe espressione il rifiuto di redigere la nuova costituzione di Efeso, sembra confermata da alcuni passaggi della sua opera in cui spesso si sottolinea l’antitesi tra «i migliori» da una parte e «i più» dall’altra. Secondo Diogene Laerzio, che ne traccia una leggendaria biografia nelle Vite (IX, 1-17), il disprezzo verso i suoi concittadini avrebbe spinto E. a ritirarsi nell’ultimo periodo della sua vita nel tempio di Artemide, dove il suo scritto sarebbe stato depositato come dono votivo e così sottratto alla conoscenza della stolta moltitudine. Lo scritto ebbe però una rapida diffusione nelle colonie dell’Asia Minore e in Magna Grecia, se è vero che il poema di Parmenide, composto circa dieci anni più tardi, contiene il riferimento polemico alle dottrine eraclitee cui si è accennato. Incline a esprimere il suo pensiero con enigmatica solennità, E. ricevette dalla tradizione l’epiteto di «tenebroso» (σκοτεινός) e fu già nell’antichità caratterizzato come il «filosofo piangente», di contro al «sorridente» Democrito. Lo scritto in cui E. espose, in prosa ionica, le sue concezioni, era intitolato Περὶ φύσεως («Intorno alla natura») e doveva, stando alla tradizione, esser diviso in tre parti (περὶ τοῦ παντός, πολιτικός, ϑεολογικός), ma né titolo né partizione risalgono all’autore. Se ne conserva un centinaio di frammenti, che gli editori hanno tentato a lungo di riordinare, cercando di ricostruire lo schema originario dell’opera. I risultati si sono però rivelati insoddisfacenti, tanto che H. Diels decise di stampare i frammenti (fatta eccezione per i primi due, che si collocano chiaramente all’inizio dell’opera) raggruppandoli secondo gli autori che li avevano tramandati, disponendo questi ultimi in ordine alfabetico. In tal modo emergeva una mappa precisa dei contesti in cui i contenuti dell’opera eraclitea erano stati trasmessi alla posterità, risultando fortemente influenzati dagli interessi particolari di ciascuno. Più che riallacciarsi alla precedente speculazione della scuola di Mileto, E. sembra affrontare quel complesso di problemi che alla nascente riflessione filosofica erano posti dall’arcaica convinzione di un’immediata corrispondenza tra la realtà, il pensiero che la conosce e il linguaggio che la esprime. «Nome» e «natura» sono quindi aspetti egualmente oggettivi di ciascuna realtà, e se «l’arco (βιός) ha per nome vita (βίος) e per opera morte», come si dice nel framm. 48, ciò vuol dire che la realtà stessa dell’arco è intrinsecamente contraddittoria. Questo modo di argomentare mostra come l’unità degli opposti sia il tema fondamentale della filosofia di Eraclito. Ciascuna realtà non può essere sé stessa se non opponendosi alle altre, in un’eterna guerra che è origine di tutte le cose, il Logos del mondo. Che poi in questa filosofia, anche per la sua opposizione a quella di Parmenide, si accentuassero motivi tendenti a presentare il mondo come un perpetuo divenire (il famoso πάντα ῥεῖ, «tutto scorre», che non si legge nei frammenti di E.) e che questo divenire fosse tradotto in una cosmologia incentrata nell’idea del fuoco come principio, è questione che riguarda piuttosto la storia dell’eraclitismo e delle sue interpretazioni. Il motivo dell’universale concordia discors, della «bellissima armonia» che nasce dalla discordia, in antitesi con l’ontologia eleatica, è uno dei temi centrali della storia della metafisica classica.

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