Eresie

Enciclopedia dei ragazzi (2005)

eresie

Emanuela Prinzivalli

Dottrine che si contrappongono a quella ufficiale della Chiesa cattolica

Il termine eresia deriva dal greco e significa "scelta". Col tempo passò a indicare alcuni gruppi o sette che si caratterizzavano per particolari scelte filosofiche o religiose. Nelle Lettere di s. Paolo il termine ha già preso un significato negativo, con riferimento a una divisione interna alla comunità. All'eresia si contrappone l'ortodossia (dal greco "retta opinione"), nel nome della quale le eresie sono state combattute, a volte anche ricorrendo alla violenza

Alle radici del rapporto tra eresia e ortodossia

Il rapporto tra ortodossia ed eresia attraversa tutta la storia del cristianesimo, che è caratterizzato dallo sviluppo di un complesso corpo di dottrine. Nel periodo antico, in cui le diverse comunità locali erano autonome e con una fragile organizzazione interna, alla comune convinzione della necessità di una dottrina di fede condivisa non corrispondevano però uguali contenuti. Anche quando, nel 2° secolo, si elaborò l'idea di una trasmissione pubblica degli articoli di fede da Cristo agli apostoli (tradizione apostolica), per opporsi alle rivelazioni segrete di Cristo che alcuni gruppi si attribuivano, non si deve pensare che esistesse una piena uniformità fra le tradizioni delle singole chiese.

I cattolici consideravano gli eretici uomini superbi, desiderosi di autoaffermazione e di novità. Questa rappresentazione polemica non corrisponde però alla concreta dinamica storica: soprattutto nell'epoca antica l'eresia nasce da esigenze religiose altrettanto profonde di quelle dell'ortodossia; la stessa elaborazione della dottrina che finisce per prevalere ed essere considerata ortodossa dipende dalle sollecitazioni e dal confronto con le dottrine successivamente rifiutate come eretiche.

Il problema della natura divina o umana di Gesù Cristo

Per capire questo punto, si può fare riferimento al primo, fondamentale problema che affrontò il cristianesimo: capire chi fosse Gesù Cristo. In tempi piuttosto rapidi molte comunità cristiane, già all'inizio del 2° secolo, erano giunte a una doppia convinzione: da un lato credevano che Gesù Cristo fosse Dio, oltre che uomo; dall'altro condividevano la fede giudaica in un Dio unico. Ma allora Cristo in che rapporto era con il Dio unico? Nei Vangeli Gesù si riferisce a Dio come a suo Padre, quindi come a un'entità diversa da lui, e nelle comunità si battezzava nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: ci si poteva chiedere se questi erano tre nomi dello stesso Dio, oppure se erano tre distinte entità divine. Non c'era allora il rischio di ricadere nel politeismo? L'idea che Gesù fosse soltanto un uomo scelto, adottato, da Dio fu scartata quasi subito (eresia detta adozionista). Alcuni risolvevano il problema affermando che in Gesù aveva agito e patito sulla croce direttamente il Padre, oppure, meglio, che l'unico Dio si presentava in Cristo sotto l'aspetto di Figlio, mentre nella creazione si presentava sotto l'aspetto di Padre (eresia detta monarchiana). La dottrina monarchiana fu condannata in Oriente.

Altri sostenevano che Dio Padre per creare il mondo emette il suo Logos (termine greco che significa "parola" e "ragione" e che era già stato usato nel prologo del Vangelo di Giovanni), il quale poi si fa uomo per salvare il mondo: e fu questa dottrina a prevalere. Per spiegare come questi due esseri distinti, il Padre e il Logos-Figlio, fossero un solo Dio ci si affidava ad alcune immagini: il Padre e il Figlio sono come la mente e il pensiero, come la fonte e il fiume. Si giunse infine a pensare ‒ come fece il filosofo Origene (3° secolo) ‒ che il rapporto fra i due potesse essere concepito come una generazione eterna, una comunicazione ininterrotta di vita divina dal Padre al Figlio.

La controversia ariana

Questa idea, tanto ardita e così differente dal modo in cui si attua la generazione umana, non fu accettata facilmente, anche perché alcuni seguaci di Origene, per precisare meglio l'effettiva divinità del Figlio, parlavano di una sua generazione dalla "sostanza" del Padre.

Ario (ecclesiastico del 3°- 4° secolo) si oppose a questa dottrina: egli non poteva accettare né una generazione eterna del Figlio, né una generazione del Figlio dalla sostanza del Padre: gli sembrava infatti che sostenere la prima significasse affermare non una ma due divinità uguali una accanto all'altra, mentre il concetto di generazione "dalla sostanza" del Padre gli sembrava che facesse scadere Dio al livello di un qualsiasi uomo, in cui una parte del padre si ritrova nel figlio. Secondo Ario fra Padre e Figlio intercorre invece un rapporto di creazione: solo il Padre è Dio non generato, non creato, immutabile ed eterno; il Figlio è invece creatura di Dio, ed è Dio per volere e grazia del Padre. In questo modo Ario intendeva salvaguardare l'unicità di Dio; d'altro canto il Figlio, proprio in forza della sua condizione di prima fra le creature divine, è in grado di essere mediatore fra Dio e la creazione, l'intermediario cioè tra Dio e il mondo.

Il Concilio di Nicea

La ricerca di una formulazione dottrinale soddisfacente per sanare il conflitto che era esploso fu lunga e tormentata: non bastò infatti proclamare al Concilio di Nicea (325) che il Figlio è "della stessa sostanza" del Padre (in greco, omooùsios). Il termine fu subito accusato, non solo dagli ariani, di essere estraneo alla Bibbia e di prestarsi a un'interpretazione eretica, in quanto il termine sostanza poteva anche significare la sostanza di un singolo individuo: se così inteso, il Figlio veniva a essere identificato col Padre, alla maniera monarchiana.

La soluzione del conflitto, complicato dagli interventi degli imperatori, che volevano a tutti i costi la pace religiosa, si ebbe solo quando si riuscì a interpretare la formula dell'omooùsios in modo da evitare gli opposti pericoli monarchiano e ariano, differenziando nella Trinità ciò che è comune, cioè la sostanza (ousìa in greco), da ciò che è proprio, le tre ipostasi, cioè le tre sussistenze individuali, o persone, di Padre, Figlio e Spirito Santo. In questo modo il principio dell'omooùsios poté essere proclamato al Concilio a Costantinopoli (381) e la formula cosiddetta niceno-costantinopolitana è in uso ancora oggi, accettata da tutte le confessioni cristiane. L'arianesimo continuò a vivere a lungo perché attraverso l'evangelizzazione dei Goti, compiuta dal vescovo ariano Ulfila, divenne, nei regni romano-barbarici, un elemento fondamentale della identità etnica dei Barbari, distinta, se non contrapposta, a quella romana.

Il Concilio di Calcedonia

Ancora più dolorosa fu la controversia cristologica sorta per le difficoltà di spiegare come in Cristo la natura umana e quella divina si possano unire a formare un unico essere e un'unica personalità. Il Concilio di Calcedonia (451) proclamò alla fine che Cristo è uno in due nature, ma questa formulazione non fu accettata in Oriente dai sostenitori di un'unica natura di Cristo (i cosiddetti monofisiti) perché sembrava compromettere l'unità della persona concreta di Cristo.

In entrambe le controversie, ariana e monofisita, le parti contrapposte difendevano, con prese di posizione diverse, principi ugualmente condivisi e gli eretici, al pari degli ortodossi, credevano di rappresentare la retta fede. Tuttora esistono Chiese non-calcedonesi, con lunga e gloriosa storia alle spalle: le Chiese armena, copta, etiope, siro-giacobita sono monofisite, mentre sul fronte opposto milita la Chiesa siriaca orientale, nestoriana, detta anche caldea o assira.

Il problema della natura dell'uomo

L'altro grande polo della riflessione cristiana, dopo Cristo, è l'uomo stesso. A riguardo un'altra opinione, considerata eretica dalle Chiese cristiane, si è diffusa in tutte le epoche del cristianesimo: l'idea che la materia, il corpo, il mondo siano privi di valore (o elementi negativi); che siano stati creati da un dio minore o malvagio e che Gesù, figlio del Dio sommo e buono, sia venuto a salvare solo l'anima, o l'uomo interiore. A partire dal 2° secolo, ne constatiamo la presenza nello gnosticismo, nel manicheismo, nelle dottrine dei catari del 12° secolo e ancora oggi in diversi movimenti settari.

Mentre nei primi secoli gli eretici conclamati venivano espulsi dalle comunità cristiane, quando il cristianesimo si affermò come unica religione dell'Impero e poi dei vari regni sorti in Occidente, gli eretici, una volta proclamati tali dalle gerarchie ecclesiastiche, furono perseguitati e anche messi a morte dal potere secolare.

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