ERMA

Enciclopedia Italiana (1932)

ERMA (‛Ερμᾶς)

Alberto Pincherle

È l'autore d'un libro tra i più celebri dell'antica letteratura cristiana greca, il Pastore (Ποιμήν), generalmente compreso nella collezione dei cosiddetti Padri apostolici (v.).

Contenuto e carattere. - L'opera comprende 5 "visioni" (‛οράσεις; ma la V è "rivelazione", ἀποκάλυψις), dodici "precetti" (ἐντολαί) e dieci similitudini" (παραβολαί) suddivise modernamente in capitoli e paragrafi; quindi si citano nella maniera seguente: V (o: vis.) III, 3, 5; M. (o: mand.; lat. mandatum) IV, 1, 2; S (o: sim.) VIII, 6, 5. Nelle visioni appaiono a E. la sua antica padrona, Rhode, e quindi la Chiesa, prima come una vecchia, che gli rimprovera l'eccessiva debolezza verso i figli peccatori, assicurandolo però del perdono se otterrà che si ravvedano, poi sempre più ringiovanita; E. assiste alla costruzione di una torre (l'edificio della Chiesa) mediante pietre di diversa provenienza (le varie categorie di cristiani) di cui quelle imperfette sono gettate via (vis. III); finalmente un mostro, immagine d'una grande tribolazione imminente, che tuttavia non fa ad F. alcun male (vis. IV). Nella vis. V, appare ad E. il Pastore, cioè l'angelo addetto alla penitenza, che gli dà precetti religiosi e morali e gli spiega le varie similitudini, alcune delle quali sono vere visioni.

Il cristiano è nel mondo come un viaggiatore in terra straniera; l'olmo e la vite simboleggiano il ricco e il povero, che devono aiutarsi a vicenda; i cristiani sono in questo mondo come alberi brulli d'inverno, ma il "secolo venturo" sarà estate per i giusti, inverno per i peccatori e permetterà di distinguerli; il servo che, ricevuta in consegna dal padrone la vigna, compie più di quanto gli era stato imposto, è associato al figlio nell'eredità (sim. V); vi sono due pastori, l'angelo della voluttà e quello del castigo; E. sconta le colpe dei figli, le quali non vengono rimesse subito dopo il pentimento; i cristiani sono simili a quei rami di salice, che sono piantati e annaffiati dall'angelo Michele, ma non tutti verdeggiano; la Chiesa è la torre in costruzione, di cui il padrone esamina le pietre, alcune trattenendo, altre facendo riquadrare, ma non ammettendole tutte gelo che l'aveva consegnato al pastore, e lo esorta a osservare i precetti e a riferire quanto ha veduto e appreso.

Lo scopo del libro appare dunque evidente: rendere pubblica la rivelazione avuta da un profeta cristiano. La grande notizia ch'egli annuncia è che, contrariamente a quanto alcuni ritengono, è ammessa una resipiscenza da parte di coloro che hanno già ricevuto il battesimo. Ma questa penitenza è straordinaria, è unica, e riguarda soltanto coloro che sono già cristiani da qualche tempo. Questa opportunità è data in vista della "grande tribolazione che s'avvicina" e che, secondo lo schema consueto delle Apocalissi, precederà di poco la venuta (parusia) del Signore; c'è tempo finché la torre è in costruzione, ma E. è avvertito che sarà ultimata presto (cfr. M. IV, 1, 8; 3, 3-4; V. II, 2, 7; V. III, 8, 9; V. IV, 1, 1; 2, 4-5; 3, 6; S. IX, 5, 2; 32, 1; S. X, 4, 5). Il Pastore si può quindi considerare un'Apocalisse, non solo per la forma esteriore, ma per il contenuto: benché E. si distingua dagli autori delle altre Apocalissi, in quanto egli non mira a dire come si svolgeranno gli ultimi eventi, bensì a trarre, dalla certezza della fine imminente, le conseguenze più opportune, nel campo morale e disciplinare. Il confronto con la rimanente letteratura apocalittica rivela anche la minore perizia teenico-letteraria di E., spesso sopraffatto dai suoi simboli e dalle sue visioni, incapace di armonizzare i diversi elementi, cosi da cadere nell'oscurità, e talvolta in contraddizioni o nell'assurdo. Da ciò dipende certo, almeno in parte, la sua strana cristologia. Gesù Cristo (di cui non ricorre il nome) sarebbe soltanto un angelo, il più venerabile (σεμνότατος: V. V, 2; M. V, 1, 7; cfr.: S. X, 1, 1) e cioè, stante la somiglianza delle funzioni, Michele (S. VIII, 1; 2; 3; cfr. S. IX, 6; 7). Nella parabola della vigna, che riceve una doppia interpretazione, morale (il vero digiuno) e teologica, E. identifica "lo Spirito Santo preesistente, creatore di tutta la creazione" con il Verbo e al primo attribuisce l'incarnazione: interpretata, poi, come adozione da parte di Dio padre (v. adozionismo); la salvezza non è dovuta al fatto che Cristo s'è incarnato, ha sofferto, è morto e risorto (di risurrezione non si parla) bensì al fatto che, come la carne dell'uomo Gesù ha saputo non contaminare lo Spirito (e fu premiata) così "ogni carne, che sarà trovata incorrotta e immacolata, e nella quale abbia abitato lo Spirito Santo, riceverà ricompensa" (S. V, 5, 2; 5, 1-8).

Unità, autore, data. - L'unità d'autore non è più contestata in base alla lingua e allo stile, quella di composizione è respinta da tutti, dovendosi almeno distinguere nello scritto due parti: le prime 4 visioni e il Pastore vero e proprio, da vis. V (in cui questo personaggio compare per la prima volta, e che ha netto carattere d'introduzione) alla fine. Che questa seconda parte circolasse isolata, fa supporre qualche dato della tradizione manoscritta. Ma il bisogno di distribuire la composizione entro un certo numero di anni sorge allorché s'investiga la persona dell'autore.

Il Pastore è stato ritenuto Scrittura ispirata da alcuni Padri, come Origene: da ciò probabilmente la sua attribuzione all'Erma salutato da S. Paolo (Romani, XVI, 14). Ma la supposta canonicità dello scritto è l'unico fondamento di questa ipotesi, abbandonata da tutti in seguito alla scoperta del Canone muratoriano (v. muratori), secondo il quale il libro fu scritto nuperrime temporibus nostris da Erma fratello del vescovo Pio, e non è opera ispirata. Questa notizia è confermata dal cosiddetto catalogo liberiano; ma l'uno e l'altro documento potrebbero risalire al medesimo autore (Ippolito romano?). Si obbietta che il dato del Muratoriano, sostanzialmente avverso al Pastore, non per antimontanismo (Streeter) bensì, se mai, per rigorismo (che s'adatterebbe a Ippolito), può essere tendenzioso; che difficilmente un Erma fratello di Pio avrebbe parlato semplicemente di "capi" (προηγούμενοι) della chiesa, e di "presbiteri" e vescovi al plurale, senza menzionare l'episcopato monarchico (non è tuttavia necessario supporre che E. si riferisca a una determinata chiesa locale); che uno schiavo o un esposto, quale E. dice d'essere stato, difficilmente avrebbe potuto conoscere un fratello; che lievissime e blande sono le allusioni allo gnosticismo, mentre mancano quelle al montanismo. Alcuni tendono pertanto a far risalire la composizione del Pastore alla fine del sec. I o all'inizio del sec. II, almeno per le parti più antiche, distribuendo il resto in un lasso di tempo sufficiente per attribuire l'opera al fratello di Pio. E. riceve dalla Chiesa un libretto, da consegnare a un Clemente, addetto a scrivere alle altre chiese (V. II, 4, 3); e Clemente sarebbe l'autore della nota lettera della chiesa di Roma a quella di Corinto. Ma - pur senza pensare che E. volesse "antidatare" il suo scritto - occorre tener presente la finzione apocalittica, per cui quel libretto dev'essere anteriore all'opera di E. La quale è indubbiamente d'origine romana; e l'autore del Muratoriano doveva essere bene informato intorno alla chiesa di Roma. "Clemente", inoltre, potrebbe essere un simbolo e designare una categoria di scritti, appunto come la I Clementis, autorevoli ma non ritenuti ispirati. Una data di qualche anno anteriore a Pio, p. es. 125-135, spiegherebbe come Origene trovasse il libro già accolto da tempo nella chiesa alessandrina.

Stando al Pastore, E. sarebbe stato uno schiavo, venduto in Roma; in base a S. IX, 1, 4 lo si è creduto (Rendel Harris, Robinson) nativo d'Arcadia. Le notizie sulla moglie e sui figli sono accolte da alcuni come storiche; è piùi probabile che siano anch'esse simboliche (i fedeli della chiesa in cui E. è, non presbitero o vescovo, ma profeta). Le maggiori affinità con gli scritti del Nuovo Testamento sono con Giacomo; sono citati degli apocrifi (Eldad e Modad). Che E. avesse presente la Tavola di Cebete è difficile ammettere; i rapporti con il Poimandres della letteratura ermetica sono di derivazione comune da un tipo di rivelazione mistica, di cui E. avrà conosciuto una forma popolare; dubbia anche e discussa la vera natura dei rapporti con la Didaché (cfr. M. II, 4-6 e Did., I, 5). Lingua e stile sono estremamente popolari. La Chiesa creata "prima fra tutte le cose" (V. II, 4, 1; cfr. V. I, 1, 6; 314) somiglia a un eone gnostico (p. es., nel sistema di Valentino).

Manoscritti e ediz.: Il Pastore è contenuto, non intero, in due codici greci: quello dell'Athos (G; fino a S. IX, 30, 3), fu scoperto nel 1856 da C. Simonides (le cui falsificazioni hanno a lungo ostacolato la costituzione d'un testo critico), e il sinaitico (v. bibbia, VI, pp. 889 e 892; fino a M. IV, 3, 6); in frammenti papiracei e pergamenacei dei quali il più importante quello della Michigan University. Se ne conoscono inoltre varie versioni: due latine, la Vulgata e la Palatina (del cod. Vaticano-palatino lat. 150); etiopica, copta (saidica) e frammenti di quella in medio-persiano (sogdiano; scoperta fra i mss. manichei del Turkestān cinese). Classiche ma superate, le edizioni di O. v. Gebhardt-A. Harnack, Patrum apostolicorum opera, III, Lipsia 1877 e di F. X. Funk, Patr. apost., I, 2ª ed., Tubinga 1901. Traduzioni: italiana, di M. Monachesi, Roma 1923 (passi scelti e riassunto); francese, di A. Lelong, con testo, Parigi 1912; tedesche: di M. Dibelius, in Handbuch z. Neuen Testament (del Lietzmann), Ergän-zungsband, IV, Tubinga 1923; di H. Weinel, in Hennecke, Neutestamentl. Apokryphen, 2ª ed., Tubinga 1924; inglese, di K. Lake (The Apostolic Fathers, II, Londra 1917, con testo), tutte con introduzione e note.

Bibl.: J. A. Robinson, Barnabas, Hermas and the Didaché, Londra 1920, pp. 26-42; C. H. Turner, The Shepherd of Hermas and the problem of its text, in Jour. of theol. studies, 1920, p. 193 segg.; H. Koch, Die Busschrift des P. H., in Festgabe A. v. Harnack, Tubinga 1921, p. 173 segg.; A. Loisy, L'apocalyptique chrétienne, in Rev. d'hist. et de littér. relig., 1922, p. 254 segg.; C. Bonner, in Harvard theol. review, 1925, p. 115 segg. e 1927, p. 105 segg. (per il pap. Michigan); W. J. Wilson, The career of the prophet Hermas, in Harv. theol. rev., 1927, p. 21 segg.; B. H. Streeter, The primitive Church, Londra 1929, p. 203 segg.; O. Stählin, in W. von Christ, Gesch. der gr. Lit., II, 2, 6ª ed., Monaco 1924, p. 1220 segg.

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