MONALDESCHI, Ermanno

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 75 (2011)

MONALDESCHI, Ermanno (Manno)

Mario Marrocchi

– Nacque presumibilmente a Orvieto intorno agli anni Sessanta del XIII secolo da Corrado di Ermanno e da Latina dei Visconti di Campiglia, che ebbero come figli anche Berardo e Beltramo.

Il M. era nipote dell’omonimo Monaldeschi che nella seconda metà del secolo XIII aveva ricoperto importanti ruoli tanto nel Comune di Orvieto quanto, per la parte pontificia, in altre zone d’Italia. Il padre del M. era morto negli scontri contro la fazione ghibellina avvenuti intorno al castello di Radicofani. Egli faceva parte della spedizione guelfa – secondo alcuni, guidandola – che tentò di dare manforte al visconte Guasta di Radicofani. Il 18 luglio 1300, dopo aver inizialmente strappato la rocca ai ghibellini, la spedizione fu sconfitta dal conte Guido di Santa Fiora: in tale frangente Corrado rimase ucciso insieme con altri trecento uomini.

Dopo questo episodio, il M. prese il posto del padre nel Comune sia per le missioni diplomatiche sia in scontri armati. Nel 1300 fu inviato con altri cittadini presso il papa, per concludere la pace con Orvieto; l’anno seguente tentò di prendere Radicofani, in accordo con il capitano del Popolo. L’impresa fallì, ma nel 1302, morto il conte Guido di Santa Fiora, i ghibellini ripiegarono su Acquapendente, lasciando il castello al cardinale Teodorico di Orvieto. Con diversi cavalieri e fanti il M. decise di assediarla: una volta espugnata, trucidò numerosi ghibellini, vendicando così l’assassinio del padre. Dopo tale impresa, il M. rimase a presidiare Acquapendente in accordo con il pontefice.

Va sempre tenuta in considerazione la natura sfuggente del corpus documentario orvietano: anche nel tardo medioevo, quando non presenta più problemi quantitativi, la qualità delle fonti invita a un’estrema cautela nel recepire con precisione le informazioni. A titolo di esempio, si può ricordare il rapporto del M. con Bagnoregio, già evidente nel 1304, lo stesso anno in cui compare attivo anche a Gubbio: ad alcune fonti che lo indicano come signore della città sono senz’altro da preferire quelle che lo indicano come podestà, carica da lui effettivamente ricoperta nel 1318.

Fin da giovanissimo, il M. non spiccava solo per le sue capacità belliche, ma anche per l’abilità politica di gestione di una rete di rapporti di potere su base familiare costruita anche grazie alle parentele acquisite per via matrimoniale. Già intorno al 1310 aveva assunto un ruolo rilevante nel panorama cittadino orvietano e ciò risalta con ancora maggior evidenza nel momento di ripresa del partito ghibellino con la discesa di Enrico VII nel 1313. Anche in Orvieto i ghibellini tentarono di approfittare del frangente, ma i guelfi, guidati proprio dal M., riconquistarono il palazzo del capitano del Popolo. La tensione costante tra le due fazioni suggerì a Orvieto di rinnovare l’alleanza con Perugia, suggellata nella odierna Città della Pieve il 14 ott. 1313: il M. era tra i presenti.

Il 1313 è anche l’anno di un importante cambiamento amministrativo in Orvieto, con cui si procedeva alla sostituzione dei Sette con i Cinque, formalmente preposti «ad defensionem communis» ma, che in realtà avevano il ruolo di consolidare la vittoria guelfa.

Anche i legami tra le varie città si inserivano nel generale quadro degli scontri tra guelfi e ghibellini: così, nel 1314, il M. fu tra coloro che presero importanti decisioni relative ai delicati equilibri con le città toscane e negli anni successivi risulta ancora, con ruoli di primo piano, nel conflitto con i ghibellini. Alla fine del 1316, il M. fu protagonista di un trattato di pace con la parte ghibellina.

Per le tensioni con il capitano del Patrimonio, nel 1317, o con Chiusi, nel 1318, fu ancora il M. ad assumersi responsabilità di spicco mentre l’anno successivo divenne podestà di Acquapendente, dopo esserlo già stato per il castello di S. Lorenzo e aver ricoperto la carica di castellano nel castello di Grotte.

Non va trascurato che la seconda metà degli anni Dieci del Trecento furono in Orvieto quelli dell’ascesa di Napoleone Orsini con la parte del Popolo, i cui rapporti con i Monaldeschi erano piuttosto conflittuali. Lo stesso declino del potere dell’Orsini, nel 1322, è da porsi in stretto legame con le azioni e le scelte della famiglia del Monaldeschi.

Nel giro di un ventennio, dunque, il M. era riuscito a far crescere considerevolmente il proprio ruolo e, insieme con lui, quello della sua famiglia, nella più generale ascesa della città di Orvieto. Egli non aveva trascurato la costruzione di una rete di alleanze: per parte di madre, discendeva dall’antica famiglia dei Visconti di Campiglia, e ciò lo portava a relazioni con la nobiltà terriera toscana; tramite il suo matrimonio, saldava invece le sue sorti con quelle della famiglia Caetani di Bonifacio VIII. Nel biennio tra il 1313 e il 1315, il M. risulta essere l’orvietano più frequentemente citato in collegamento a uffici pubblici e, fino al 1322, il terzo più citato.

Il declino di Orsini aprì in Orvieto una fase molto delicata, nel corso della quale fu lo stesso potere del Popolo ad appannarsi. Cresceva, peraltro, l’indebitamento del Comune con la nobiltà. Secondo Waley, i Monaldeschi prestarono al Comune oltre quattromila fiorini tra il 1324 e il 1333. Di questi, circa i tre quarti erano del M. e ciò giocò senz’altro un ruolo importante nella sua ascesa. Furono questi gli anni durante i quali il suo potere continuò a crescere, in mezzo a conflitti tra centri e signori del contado e con un rinnovamento del duecentesco patto di alleanza tra Orvieto e Siena nel 1316, dopo quasi novant’anni di inimicizia. Con il declino della parte ghibellina, del Popolo e di altre famiglie un tempo paragonabili ai Monaldeschi per ricchezza e potere – si pensi ad esempio agli equilibri con i Filippeschi fino alla metà del secolo XIII – era all’interno dei diversi rami di questa famiglia che andava maturando una sorta di concorrenza interna. Il M. riuscì ad attrarre a sé i Monaldeschi del ramo cosiddetto della Vipera e, in particolare, Buonconte di Ugolino. Intanto, cresceva la rivalità nei confronti di Napoleone di Pietro «Novello», del quale traspare dalle sia pur discontinue fonti un ruolo di rilievo assoluto nelle vicende orvietane dei primi decenni del secolo XIV. Per il M. la crescita di Napoleone si palesava sempre più come il principale ostacolo al potere. Nel 1333, uno dei principali alleati del M., Ugolino della Greca, fu ucciso da un sodale di Napoleone, Vanne de’ Mazzocchi. Si conservano sentenze riferite a condanne agli stessi M. e Napoleone, oltre che a loro alleati, per rissa e per porto illegale d’armi. Intanto, in un acuirsi della crisi interna al Popolo, il capitano condannava i Sette per cospirazione: sebbene la sentenza rimanesse non eseguita e l’episodio appaia non del tutto chiaro, senz’altro c’era un clima di generale tensione, che sfociò, il 20 apr. 1334, nell’assassinio di Napoleone, nel quale furono coinvolti numerosi seguaci del M., tra cui alcuni parenti stretti: il figlio Corrado e il nipote Ugolino. Gli assassini furono condannati al solo pagamento di una pena di 1500 fiorini: condanna lieve, forse nata da un estremo tentativo di compromesso tra il regime di Popolo e le ambizioni del Monaldeschi. Il 6 maggio, nel pieno della crisi, prendeva servizio il nuovo capitano, Giacomo dei Bardi di Firenze. Il Consiglio del Popolo decise che i responsabili dell’assassinio di Napoleone fossero condannati all’esilio, così come alcuni esponenti di entrambi gli schieramenti, tra cui due fratelli di Napoleone. Il capitano fu dotato di forze speciali, venticinque cavalieri e settantacinque fanti, al fine di poter controllare la situazione locale. In una successiva seduta, si stabiliva la necessità di discutere sullo stato del contado e su una riforma del costituto, giudicata necessaria proprio per via dei recenti disordini. Il provvedimento principale stabiliva che l’autorità fosse assunta da una Balia di dodici membri scelti dal capitano e dai Sette che doveva avere pieno potere sulle materie riguardanti l’utilità della città, del Comune e del Popolo. Tale struttura diveniva l’unico corpo con potere legislativo del Comune: designava tutti gli ufficiali e aveva il potere di dichiarare lo stato di guerra e di pace. In caso di mancata partecipazione alle riunioni, per volontà o impossibilità, il potere della Balia sarebbe stato inefficace. I voti a favore di questa modifica furono centodue, i contrari solo quattro. Il 12 maggio furono scelti i Dodici, sette dei quali provenienti da importanti famiglie dei popolari, favorevoli al potere signorile del M.: la loro elezione era un altro passo verso la sua presa del potere. Il capitano, allora, pur convocando la prima seduta per il 14, rifiutò di prendervi parte. I Dodici e i Sette riuniti stabilirono di dare al M. e a Ugolino di Buonconte i pieni poteri; il M. fu nominato gonfaloniere del Popolo e della Giustizia a vita; a lui, a suo figlio Corrado, a suo nipote Monaldo di Berardo e a Ugolino fu dato il potere di sedere nei vari Consigli e di votare come membri ordinari. Il potere effettivo in Orvieto passava quindi nelle mani dei Monaldeschi e, in particolare, del M., che godeva dell’appoggio del fratello Beltramo, vescovo della città dal 1328, e forse del vescovo di Perugia, ottenuto anche grazie alla cessione di Chiusi al capoluogo umbro. Il fatto che diversi esponenti del Popolo avessero appoggiato la presa di potere signorile del M. si spiega con il clima di forte insicurezza causato dal declino economico seguito alla sconfitta dei ghibellini del 1313. Di fronte a ciò, e al disordine in cui si trovava il contado, giocarono a favore del M. la ricchezza e la determinazione.

Con il potere assoluto, cui era pervenuto con un lungo percorso e che gestì con molta intelligenza, il M. chiuse la fase di libero comune per Orvieto. Nella forma, cambiava pochissimo delle precedenti forme amministrative: i Sette rimanevano e la carica che egli, personalmente, assumeva era sostanzialmente onorifica. Ma la presenza dei Dodici e il prendere parte alle deliberazioni che questi assumevano gli davano il potere assoluto sulla città.

Il M. promosse opere come la costruzione delle strade per Chianciano e per Sarteano e i ponti sul Paglia. Provvide, inoltre, a rafforzare le difese di Orvieto, che guidò in uno scontro con gli Orsini, i quali puntavano a impadronirsi di buone porzioni del contado. Il suo fu un governo personalistico e autoritario, attraverso il quale il M. tentò di contrastare un processo di declino che fu però inarrestabile.

Il M. morì nel 1337, probabilmente nel mese di luglio, dopo tre anni dalla presa del potere.

Alla sua morte, il fratello Beltramo sperò di succedergli, ma fallì nel suo intento: morì nel 1345 e Orvieto finì per trovarsi più strettamente integrata al sistema centralizzato dello Stato della Chiesa, voluto dal cardinale E. de Albornoz, e non riacquisì più quella forma di autogoverno locale che l’aveva resa simile a molti altri centri dell’Italia centro-settentrionale dei secoli centrali del Medioevo.

Fonti e Bibl.: Cipriano Manenti, Historie, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XV, 5, pp. 431-439; Codice diplomatico della città di Orvieto, a cura di L. Fumi, Firenze 1887, pp. 411, 415, 420, 422, 424 s., 428, 432, 442; J. Glénisson - G. Mollat, Gil Albornoz et Androin de la Roche (1353-1367), Paris 1964, p. 68; G. Pardi, La signoria di E. M. in Orvieto, Roma 1895; Id., Comune e Signoria a Orvieto, Todi 1922; D. Waley, Medieval Orvieto. The political history of an Italian City-State, 1157-1344, Cambridge 1952, pp. XIV, 73, 83, 87, 94 s. 97 ; 107, 116 s., 121, 123, 127, 129, 130-133, 139, 141; E. Carpentier, Orvieto à la fine du XIIIe siècle. Ville et campagne dans le cadastre de 1292, Paris 1986, 202, 263, 270.