FLORIT, Ermenegildo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 48 (1997)

FLORIT, Ermenegildo

Bruna Bocchini Camaiani

Nato a Fagagna, in Friuli, il 5 luglio 1901, studiò dapprima nel seminario diocesano di Udine, poi fu inviato a Roma e, come alunno del seminario romano, frequentò i corsi della pontificia università Lateranense, dove ottenne la laurea in teologia. L'11 apr. 1925 fu ordinato sacerdote; frequentò poi il Pontificio Istituto Biblico, conseguendo i gradi accademici in scienze bibliche. Dal 1927 al 1929 svolse la sua attività pastorale a Palmanova, in Friuli, come cappellano dell'arcipretura e dell'ospedale locale e docente di sacra scrittura nel seminario di Udine.

Nel 1929 il F. venne nominato docente di sacra scrittura (introduzione generale e speciale) presso l'università del Laterano, dove insegnò per molti anni ricoprendo il ruolo di decano della facoltà di teologia e dal 1951 al 1954 anche quello di vicerettore dell'università. A Roma, come attività pastorale, il F. curò, dal 1930 al '54, l'assistenza diocesana dei rami femminili di Azione cattolica; nel dopoguerra quella di un circolo ACLI (Associazione cattolica dei lavoratori italiani), del "Fraterno aiuto cristiano" e dell'associazione "Nostra Signora di Sion" per ebrei convertiti.

L'attività scientifica e culturale svolta all'interno dell'ateneo pontificio fu di rilievo: diresse la collezione di monografle Lateranum, contribuì ad elaborare gli statuti dell'università sulla linea e secondo le norme indicate dalla costituzione apostolica "Deus scientiarum Dominus" di Pio XI. Fu poi nominato consultore della pontificia commissione biblica.

Le sue pubblicazioni hanno origine dall'insegnamento. Inerente alla disciplina generale è Ispirazione e inerranza biblica, in Opuscola biblica, II, Roma 1943. In una seconda edizione (ibid. 1951) ripubblicava la parte relativa alla Ispirazione biblica. Inoltre: Parlano anche i papiri. Le più recenti conferme sulla autenticità del IV Vangelo, in Opuscola biblica, I, Roma 1943, che ebbe una terza edizione nel 1951, con integrazioni sulle nuove scoperte: in particolare venivano presentati il papiro apocrifo Egerton e quello biblico Rylands, sostenendo il valore critico-apologetico di questo secondo frammento.

Alle tematiche inerenti all'introduzione speciale al Vecchio Testamento è da ricondurre il lavoro De origine et auctoritate Pentateuchi (Roma 1936), a quelle relative all'introduzione speciale al Nuovo Testamento sono da attribuire in primo luogo il saggio La storia delle forme nei Vangeli in rapporto alla dottrina cattolica, in Biblica, XIV (1933), pp. 212-248, e Il metodo della "Storia delle Forme" e sua applicazione al racconto della passione, (Roma 1935) che rappresenta la tesi di laurea all'Istituto Biblico. In entrambi i casi la risposta apologetica alla applicazione della Formgeschichte all'esegesi dei Vangeli riprendeva i temi della ispirazione divina e inerranza che si riteneva venissero escluse dai nuovi metodi di indagine. Vanno inoltre ricordati: Il primato di Pietro negli Atti degli Apostoli, in Verbum, III, (1942) e Maria nell'esegesi biblica contemporanea, Milano 1944.

Il 12 luglio 1954 fu eletto arcivescovo titolare di Gerapoli di Siria e nominato coadiutore ad sedem a Firenze, accanto al cardinale E. Dalla Costa. Il 12 settembre dello stesso anno fu consacrato e il 16 ottobre fece il suo ingresso nella diocesi fiorentina.

Da allora l'attività del F. fu interamente dedicata all'impegno pastorale nella diocesi fiorentina. La nomina, dato il legame del presule con quel gruppo che è stato definito del "partito romano", e in particolare con A. Ottaviani, sembrò a molti da collegare con le polemiche suscitate dalle non poche iniziative "imprudenti" del sindaco di Firenze, G. La Pira, e destinata ad esercitare un'azione di freno sul sindaco fiorentino, che aveva sempre goduto di una grande fiducia da parte del cardinale Dalla Costa. In realtà nei primi anni, dal 1954 al 1958, si assiste ad una "cogestione" del governo della diocesi non facile da decifrare data l'inaccessibilità degli archivi.

Alcune caratteristiche si delineano comunque con nettezza: la presenza dell'anziano arcivescovo sì caratterizza sempre più come paternità spirituale, il suo modello sacerdotale assume un valore esemplare mentre il giovane vescovo coadiutore svolge gran parte del lavoro quotidiano nella organizzazione del governo pastorale ordinario. La volontà del cardinale Dalla Costa è comunque evidente in alcune decisioni e gesti significativi: sua è la decisione della separazione tra la parrocchia e l'Opera "Madonnina del Grappa" di don G. Facibeni, così come era stata sua la decisione di inviare don L. Milani a Barbiana nel 1954. Costante rimase il suo appoggio a La Pira, così come esplicito fu il suo appoggio agli operai in lotta durante la crisi per i licenziamenti alla Galileo nel 1958.

Dal 1955 comunque il F. assunse gradualmente, ma con decisione, il governo ordinario della diocesi, presiedendo le riunioni dei parroci e dei vicari, effettuando la visita pastorale. Dal 31 genn. 1958 egli ricevette dalla S. Sede "tutte le facoltà proprie dei vescovi residenziali", anche se non ne venne data notizia sul Bollettino diocesano. Dal 1959 l'arcivescovo coadiutore assunse di fatto la direzione della diocesi, mentre E. Dalla Costa si ritirava nel silenzio e nella preghiera. Contemporaneamente si delineò una direttiva romana volta ad allontanare da Firenze alcuni ecclesiastici ritenuti troppo vicini a La Pira. In alcuni casi si attuò il classico metodo del promoveatur ut amoveatur, come per E. Bartoletti, rettore del seminario destinato a Lucca come vescovo ausiliare. In altri casi il S. Uffizio, con il consenso o la sollecitazione del F., impose l'esilio da Firenze a noti religiosi, come padre E. Balducci, padre D.M. Turoldo e padre Vannucci.

La prima lettera pastorale del F., del 1959, Unirci tutti per coedificare la Chiesa, indicava già con chiarezza quelli che sarebbero stati i terni portanti della sua predicazione e delle sue direttive pastorali in diocesi. L'appello, molto ampio, alla "corresponsabilità" nella Chiesa, tendeva in primo luogo a sottolineare che "ciascun cattolico contribuisce alla diffusione della religione secondo la misura della sua fedeltà alla gerarchia ecclesiastica". Tutta la sua predicazione, la carechesi, ed anche la "missione" cittadina del 1960, si concentravano in quegli anni sul tema della Chiesa. Sull'esempio dell'arcivescovo F., inoltre, tutto l'episcopato toscano nel primi mesi del 1960 pubblicava una lettera pastorale collettiva dai toni fortemente apologetici, intitolata Il senso della Chiesa: in essa si esprimeva la convinzione che "uno dei maggiori pericoli contemporanei era il rifiuto della Chiesa" e si metteva in guardia dalla tendenza a distinguere tra "cristianesimo e Chiesa", tendenza che nasceva da "errate mentalità derivanti da pregiudizi". La lettera collettiva dei vescovi toscani era di fatto una esplicitazione, rivolta a tutti i fedeli, dei punti salienti della più ampia lettera rivolta dall'episcopato italiano al clero su Il laicismo, definito "denominatore comune... delle diverse deviazioni dottrinali e pratiche del mondo attuale..., l'errore fondamentale in cui sono contenuti in radice tutti gli altri, in una infinità di derivazioni e di sfumature". Le argomentazioni di questo testo, che pur si poneva all'interno di una tradizione intransigente molto diffusa, richiamano i temi presenti nelle encicliche di Pio XI, come la Ubi arcano ed in particolare la Quas primas, per il tentativo, dì definire, attraverso la categoria del "laicismo", "il sottofondo di tutti gli errori contemporanei" come avrebbe commentato lo stesso Florit.

Da collegare al documento dell'episcopato italiano, esplicitamente richiamato, è la nota Punti fermi, apparsa su L'Osservatore Romano del maggio 1960, una delle proibizioni più decise della collaborazione politica tra cattolici e socialisti. In realtà il severo monito contro la cosiddetta "apertura a sinistra" era la necessaria conseguenza dì una serie di deduzioni che attribuivano a una "malsana teoria laicista", che avrebbe "offuscato i principi fondamentali della dottrina cristiana sulla struttura della Chiesa", la richiesta della "piena autonomia del credente nella sfera civile. Donde l'assurda scissura di coscienza tra credente e cittadino".

Va sottolineata la forte omogeneità, la medesima matrice teologico-culturale, tra il testo dell'episcopato italiano, che era stato redatto dall'arcivescovo di Genova G. Siri, la nota del giornale varicano, le lettere dell'episcopato toscano e del Florit. Pertanto una così forte insistenza della predicazione nella diocesi fiorentina sul tema della Chiesa era da collegare al diffondersi nel mondo cattolico di richieste di una qualche autonomia dei laicato e al ribadire la necessità di "credere nella efficacia sociale della Chiesa", come il F. aveva titolato un paragrafo della sua prima lettera pastorale.

Segnali emblematici di un mutamento di linea nei confronti dell'azione politica di La Pira giunsero nel 1961, quando quest'ultimo presiedeva una giunta di centro-sinistra: veniva smentita dalla Curia la possibilità di un incontro di preghiera tra cristiani e musulmani in occasione del gemellaggio Firenze-Fez, attuato dal sindaco, mentre un articolo de L'Osservatore toscano metteva in guardia da rischi di "irenismo" e di "compromessi della verità". Di analogo significato risultava il gesto del novembre 1961, quando il F. presiedette in cattedrale una solenne celebrazione per i morti italiani di Kindu in coincidenza con la proiezione del film Tu ne tueras pas, voluta da La Pira tra numerosissime polemiche. L'azione del sindaco e di altri in favore dell'obiezione di coscienza avrebbe incontrato negli anni successivi contrarietà da parte dell'arcivescovo.

Nominato amministratore apostolico nel dicembre 1961, alla morte di E. Dalla Costa, il F. venne eletto arcivescovo il 19 marzo 1962. Partecipò ai lavori conciliari apertisi in quell'anno (dal 1960 egli aveva fatto parte della pontificia commissione per i vescovi ed il governo della diocesi).

Nel primo periodo il F. sollecitò il clero e il laicato ad esprimere liberamente pareri, esigenze, proposte, sia in una lettera al clero per il concilio, sia partecipando ad un'assemblea del laicato fiorentino organizzata dalla delegazione per l'apostolato dei laici.

Nel dibattito conciliare che si era svolto nella prima sessione con momenti di tensione e che aveva portato all'abbandono di non pochi degli schemi preparatori il F. era intervenuto relativamente alle "fonti della Rivelazione", auspicando una "sintesi supenore" che permettesse di superare le contrapposizioni, con la proposta di riprendere il confronto a partire dal testo tridentino e anticipando così un tentativo di mediazione che sarebbe stato confermato dalla partecipazione ai lavori della commissione teologica. Nelle lettere pastorali di questi anni si può notare il tentativo, non privo di oscillazioni, di adeguarsi alle novità di temi e di accenti introdotte dal dibattito vaticano; tale tentativo era comunque sempre connesso alla riaffennazione di una sostanziale continuità tra la teologia preconciliare, il lavoro relativo delle commissioni preparatorie e le tematiche emerse nel dibattito del concilio. Così per la quaresirna del 1963 il F. scriveva su I laici nella Chiesa, sottolineando la loro appartenenza al popolo di Dio e al sacerdozio di Cristo, ma richiamando anche la "consacratio mundi" secondo la prospettiva propria di Pio XII, che proprio la tematica ecclesiologica del popolo di Dio tendeva a superare. Analogamente, nel 1964, la pastorale era dedicata all'ecumenismo, con talune aperture teoriche sul tema dell'unità dei cristiani; ma altre disposizioni date in diocesi rivelavano piuttosto il permanere della prospettiva ecumenica intesa unicamente come "ritorno" alla Chiesa cattolica, perché ritenuta rispondente alle categorie dogmatiche di verità. Questo modo di intendere l'ecumenismo era chiaramente esplicitato anche nell'intervento del 21 nov. 1963 in concilio sul tema.

Un aspetto significativo del suo orientamento pastorale è dato anche dal silenzio tenuto in diocesi su atti importanti del magistero di Giovanni XXIII, come la Pacem in terris, o il discorso di apertura dell'assise conciliare. L'atteggiamento di intransigente "difesa della verità" si esprimeva in primo luogo sui temi politico-sociali e relativamente al rapporto autorità-obbedienza nella Chiesa. Su questi temi egli era in sintonia con i toni del contemporaneo Messaggio dei vescovi d'Italia per la vocazione cattolica della patria contro l'insidia del comunismo ateo, che, anche con quel documento rivelavano una certa divaricazione tra una parte consistente e significativa dell'episcopato italiano e le novità introdotte dal magistero pontificio giovanneo. Degli interventi del F. in concilio va ricordato quello del 7 nov. 1963, a nome anche di altri 50 vescovi, che proponeva la creazione di una nuova congregazione romana, superiore a tutte le altre, per attuare la collegialità nella Chiesa universale, mentre riaffermava che la dottrina della collegialità, espressa con un voto largamente maggioritario il 30 ott. 1963, era di difficile acquisizione.

Un ruolo di mediazione sembra aver svolto all'interno della sottocommissione che aveva elaborato i primi due capitoli dello schema De divina revelatione; la discussione su questo testo, nella terza sessione del settembre 1964, aveva registrato una relazione di minoranza (rel. Franic, 7 voti) e quella di maggioranza della quale il F. era relatore (17 voti). Questa redazione era il frutto di una rielaborazione dello schema ad opera di una commissione presieduta da A. Ottaviani e A. Bea, dopo che la prima stesura, dal titolo De fontibus revelationis, era stata rifiutata dalla maggioranza dei padri, perché affermava una "duplice fonte" della rivelazione: la scrittura e la tradizione.

Una sostanziale opposizione più volte ribadita, caratterizzava gli interventi del F. sullo schema di dichiarazione sulla libertà religiosa; egli riteneva, come sostenne nell'intervento del settembre 1965, che la condizione di un non cristiano non potesse essere equiparata a quella di un cristiano che seguiva "l'unica vera" fede.

Analogo intervento nella stessa sessione conciliare sullo schema XIII con particolare riferimento all'ateismo. Il F. riteneva necessaria una chiarezza dottrinale che ribadisse con molta fermezza che l'ateismo era inevitabilmente connesso al materialismo dialettico, mentre a suo parere alcuni cattolici ritenevano "assurdamente" di poter aderire al pensiero economico-sociale derivante da quella filosofia, senza per questo accettame l'ateismo. Il concilio avrebbe dovuto negare decisamente la possibilità di tale distinzione.

Le tesi che il F. sosteneva teoricamente nell'assise conciliare, in particolare su queste ultime tematiche, non erano prive di riscontri e conseguenze nella diocesi fiorentina. Infatti il problema dell'obiezione di coscienza, che divise profondamente la Chiesa e l'opinione pubblica a Firenze in questi anni con i processi Balducci e Milani, era fortemente connesso ai temi della libertà religiosa e del primato della coscienza.

Durante il processo Balducci, tra il 1963 e il '64, nonostante una forte contrapposizione in diocesi, il vescovo aveva mantenuto il silenzio, ma nell'aprile 1965, nel perdurare delle polemiche dovute anche alla Lettera ai cappellani militari di don Milani interveniva sull'argomento con una Lettera al clero fiorentino sull'obiezione di coscienza, nella quale criticava il clamore suscitato da quelle vicende e il fatto che alcuni sacerdoti avessero dato pubblicità, cedendo a "forme di demagogia o di classismo" a posizioni e dibattiti che avrebbero dovuto svolgersi in altra sede, più riservata. Relativamente ai problemi di principio in discussione il F. ribadiva le argomentazioni in favore dell'autorità e i rischi di soggettivismo e di anarchia che sarebbero stati connessi al rifiuto dell'obbedienza. Analogamente l'intervento sull'ateismo poteva riferirsi implicitamente a quei cattolici fiorentini che avevano fatto del "dialogo" con i comunisti una delle loro battaglie ideali.

Nella città in questi anni la questione politica dell'adesione dei cattolici alla Democrazia cristiana diventava sempre di più argomento conflittuale; infatti nel 1966 La Pira, che sembrava rappresentare una linea politica diversa nel partito politico dei cattolici, veniva escluso dalle liste per le elezioni amministrative e questo provocava reazioni molto vivaci e polemiche nella Chiesa fiorentina, dove non pochi ritenevano che la Curia avesse avallato l'iniziativa della segreteria democristiana.

I primi anni del post-concilio videro anche a Firenze, forse in misura maggiore che in altre diocesi, l'acuirsi di tensioni e contrasti già vivi nei rapporti del vescovo con alcuni esponenti del clero che sembravano al presule percorrere vie non ortodosse. In questo contesto caratterizzato da tensioni scoppiava, nel 1968, il "caso Isolotto"; la contrapposizione ormai superava l'ambito della Chiesa fiorentina per coinvolgere tutta la "Chiesa istituzionale" come dalle comunità di base veniva denominata la struttura ecclesiale.

Le accuse rivolte alla gerarchia erano relative alle connivenze e alle responsabilità politico-sociali dovute all'appoggio alla DC. La risposta del F. fu un puro richiamo all'obbedienza senza alcuna concessione a chi sollecitava una qualche forma di dialogo con la conseguenza di lacerazioni di lungo periodo. In questo clima di polarizzazione drammatica una parte consistente del clero fiorentino, circa un centinaio di sacerdoti, si rivolgeva sia all'arcivescovo sia a don G. Mazzi, parroco dell'Isolotto, invocando "corresponsabilità e dialogo" e rifiutando la modalità e i termini del confronto così come si stavano configurando.

La frattura era ormai insanabile e avrebbe caratterizzato a lungo la vita ecclesiale fiorentina. Per la quaresima del 1969 il vescovo non scriveva una lettera pastorale propria, ma quasi a ribadire una linea di continuità, riproponeva la lettera dell'episcopato italiano su Il laicismo, sottolineando come il paragrafo "Il laicismo ed il clero" esprimesse una diagnosi ancora estremamente attuale.

Ma le difficoltà incontrate in diocesi non impedivano al F. di svolgere un ruolo di rilievo nell'episcopato italiano e all'interno della Curia romana: nominato cardinale del titolo di Regina Apostolorum il 22 feb. 1965, veniva anche costituito membro di alcune congregazioni romane, come quella dei Seminari e quella per le Cause dei santi; dal 1965 faceva inoltre parte della commissione pontificia per la revisione del codice di diritto canonico fino al 1983, anno della sua promulgazione; nel 1967-68 fu anche membro della commissione cardinalizia per l'esame del Catechismo olandese e in quella occasione auspicò la stesura di un Catechismo per tutta la Chiesa. Nell'ambito della conferenza episcopale italiana (CEI) fu copresidente, insieme ai cardinali G. Colombo e G. Urbani, dal 1965 al 1966, strutturando la costituzione stessa della CEI e mettendone a punto lo statuto. Sempre nell'ambito della CEI diresse, dal 1965 al '72 l'opera della traduzione ufficiale della Bibbia in lingua italiana. Nel settembre 1976 il F., secondo le recenti disposizioni sui limiti di età, presentava le dimissioni che diventavano operative il 2 giugno 1977. Gli ultimi anni della sua vita sono caratterizzati da una solitudine vissuta nel silenzio e nella preghiera.

Il F. morì a Firenze l'8 dic. 1985.

Fonti e Bibl.: Notizie biogr. sul F. e sulla sua attività di docente alla pontificia università del Laterano in Mons. E. F., in La pontificia università lateranense, Roma 1963, pp. 150 s.; cfr. inoltre In mem. del cardinale E. F. arcivescovo emerito di Firenze, a cura di P. Ristori, Firenze 1986, con appendice di documenti. Il Bollettino dell'arcidiocesi di Firenze è per ora l'unica fonte disponibile per lo studio dell'azione pastorale del F. durante l'episcopato fiorentino (contiene atti ufficiali, lettere pastorali, omelie e discorsi pronunziati dal F.). Per un profilo della Chiesa fiorentina negli anni Cinquanta cfr. B. Bocchini Camaiani, in La Chiesa di Firenze tra La Pira e Dalla Costa, in Le Chiese di Pio XII, a cura di A. Riccardi, Bari 1986, pp. 283-301; cfr. inoltre A. Riccardi, Il "partito romano" nel secondo dopoguerra, Brescia 1983; Chiese italiane e Concilio. Esperienze pastorali nella Chiesa italiana tra Pio XII e Paolo VI, a cura di G. Alberigo, Genova 1988, in particolare B. Bocchini Camaiani L'episcopato di F. a Firenze. Temi e linee di governo della diocesi fiorentina, pp. 187-215; Id., Il dibattito sull'obiezione di coscienza: il laboratorio fiorentino, in La spada e la croce. I cappellani italiani nelle dueguerre mondiali. Atti del Convegno di Torre Pellice (28-30 ag. 1994), a cura di G. Rochat, in Boll. della Società di studi valdesi, 1995; alcuni documenti del F. di un certo interesse in M. Toschi, Don Lorenzo Milani e la sua Chiesa, Firenze 1994; La Chiesa in Italia 1975-1978, Brescia 1978.

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