ESDRA

Enciclopedia Italiana (1932)

ESDRA (ebraico ‛Ezra'; i Settanta Εσ[δ]ρα[ς] o Εζρας; Volgata Esdras)

Giuseppe RICCIOTTI
Alfredo Vitti

Sacerdote e scriba giudeo, che ebbe grandissima efficacia, insieme con Neemia (v.), nella restaurazione dello stato giudaico in Gerusalemme dopo l'esilio di Babilonia.

L'attività di E. si svolse in circostanze particolarmente difficili. Il primo nucleo di esuli, ritornati in patria sotto la guida di Zorobabel (= Sheshbazzar?) nel 537 a. C., aveva ricominciato il culto e restaurato il tempio, ma la sua opera s'imbatteva in ostacoli esterni e interni sempre maggiori, cosicché dopo un'ottantina d'anni aveva realizzato ben poco: il tempio ricostruito non era che una scadentissima copia di quello distrutto, la sua manutenzione e il culto costavano molto, la comunità di Gerusalemme era povera, la città era riedificata in piccola parte e non protetta da mura, gli ostili e paganeggianti popoli circonvicini s'adoperavano in ogni maniera perché lo stato giudaico non risorgesse né materialmente né spiritualmente. In tali condizioni un senso di sfiducia si era diffuso fra i rimpatriati, e aveva prodotto in essi uno stato d'acquiescenza passiva alle difficoltà che si moltiplicavano, una mentalità quasi d'indifferenza di fronte all'antico caldeggiato progetto di restaurazione nazionale. Ma i neghittosi rimpatriati non rappresentavano l'intera nazione giudaica: la sua maggior parte era rimasta in Babilonia, vi aveva acquistato un notevole grado di prosperità economica, e ciò nonostante - contrariamente a quanto più volte fu ripetuto - non si era punto dimenticata degli antichi ideali nazionali-religiosi, bensì seguiva minutamente con ansia le vicende dei rimpatriati, aiutandoli con incitamenti e con soccorsi materiali. La decadenza dell'impresa di costoro suscitò nei connazionali di Babilonia vive preoccupazioni, le quali poi non rimasero sterili e provocarono la missione di E.

Esdra, in Babilonia, doveva godere particolare autorità presso i connazionali e presso i dominatori Persiani. L'anno 7° del re Artaserse, egli ottenne da costui un decreto (conservato in aramaico, Esdra, VII, 12-26) di tornare a Gerusalemme con quanti seguaci si offrissero per dare nuova vita a quella comunità, munito a tale scopo di ampî poteri civili e religiosi: suo compito era di riformare gli affari di Gerusalemme e della Giudea conforme alla "legge di Dio" che era in sua mano (Esdra, VII, 14), cioè alla legislazione del Pentateuco. Partito con circa 1700 uomini da Babilonia il 12 aprile, E. giunse a Gerusalemme il 1° agosto dello stesso 7° anno di Artaserse. Dopo breve riposo, deposti nel tempio i doni recati e offerti grandi sacrifici, E. cominciò subito l'opera di riforma. La realtà infatti era più grave delle previsioni; il pericolo più stringente erano i matrimonî di Giudei - compresi i sacerdoti - con donne straniere, che minacciavano di corrompere insieme la compagine etnica della comunità e la purità del suo iahvismo. A tale riguardo fu accettata la proposta di un giudeo che suggerì il rimedio radicale di allontanare d'in mezzo al popolo tutte le donne straniere insieme con i loro figli; tuttavia, essendo la stagione avversa, l'esecuzione del rinvio fu affidata a una commissione speciale presieduta da E., che in tre mesi lo portò a compimento.

Un altro ciclo dell'attività di E. è quello che si svolse di comune accordo con Neemia. Dopo che costui ebbe finito di riedificare le mura di Gerusalemme, si tenne al 1° ottobre un'adunanza di tutto il popolo, nella quale E. lesse pubblicamente il "libro della legge di Mosè" (Neemia, VIII, 1), e il popolo si obbligò con giuramento di osservarla fedelmente; fu quindi celebrata la festa dei Tabernacoli. Il 24 dello stesso mese, per attenersi fedelmente alle prescrizioni della legge, in pubblica assemblea furono rimandati gli stranieri che avevano preso dimora in mezzo ai Giudei, e, con pubblico atto suggellato, il popolo s'impegnò per il futuro a mantenersi immune da parentele con alienigeni e ad osservare le varie prescrizioni della legge. Tuttavia queste cerimonie, di cui siamo distintamente informati, rappresentano piuttosto l'enunciazione di un programma; della cui attuazione invece non abbiamo ragguagli, quantunque con ogni ragione possiamo supporre essere stata laboriosa e diuturna. In questo tenace lavorio dovette svolgersi l'attività di E., al quale soprattutto si deve il formarsi di quella coscienza giudaica chiusa alle influenze straniere, quasi appartata per secoli dal corso storico dei popoli circonvicini ed affini, che sola riuscì a preservarsi dall'ondata travolgente dell'ellenismo, e fu la occulta animatrice delle maccabaiche lotte d'indipendenza.

Per i rapporti cronologici fra E. e Neemia è stata sollevata recentemente una questione importante. La Bibbia computa l'attività di ambedue secondo gli anni di Artaserse, dei quali tuttavia più d'uno regnò in Persia (v. artaserse). Si era ritenuto per il passato che l'Artaserse in questione fosse esclusivamente Artaserse I Longimano; in tal caso la venuta di E. a Gerusalemme cadrebbe nel 458 a. C. e quella di Neemia nel 445. Ma recentemente, oltre all'opinione che ha pensato esclusivamente ad Artaserse II Memnone, ha incontrato speciale favore quella del van Hoonacker che ha supposto due Artasersi: sotto Artaserse I sarebbe venuto Neemia (445), mentre E. sarebbe parecchio posteriore, essendo venuto (per la seconda volta) soltanto l'anno 7° di Artaserse II (398). Questa opinione - che non è possibile qui discutere - reca in proprio favore parecchie e ingegnose osservazioni sui libri di Esdra e Neemia, la cui consecuzione cronologica è in realtà disseminata di punti oscuri; tuttavia è lungi dall'aver raccolto l'assenso generale degli studiosi.

Nulla si sa della fine di E. Sulla sua figura ricamò poi la leggenda posteriore, specialmente in quanto scriba e custode dei Libri sacri. A lui l'apocrifo IV Esdra, XIV, 18-47, attribuisce il portento di aver dettato per supplire i libri sacri andati distrutti durante l'esilio, 94 libri tutti di seguito; di questi, 24 avrebbero costituito il canone ebraico; gli altri, non pubblicati, erano la segreta fonte della sapienza apocrifa. Il Talmūd (Baba bathra, 15 a) gli attribuisce la paternità del libro che porta il suo nome e delle genealogie contenute nei primi capitoli delle Cronache (v.) fino ai suoi tempi. Dal racconto del IV Esdra dipende la sentenza, già molto diffusa presso autori cristiani, che E. fosse autore o esclusivo o principale del canone dell'Antico Testamento.

Bibl.: Per la questione cronologica, in favore della nuova ipotesi, A. Van Hoonacker, Néhémie et Esdras, in Le Muséon, IX (1890), p. 92 segg., in continuazione; id., Zorobabel et le second temple, ibid., X (1891), p. 72 segg., in continuazione; id., La succession chronologique Néhémie-Esdras, in Revue biblique, XXXII (1923), p. 481 (ivi citazione di altre pubblicazioni dello stesso) segg.; XXXIII (1924), p. 33 segg.; per il personaggio e i suoi tempi, oltre alla bibliografia seguente, G. Rawlinson, Ezra and Nehemiah, their live and times, Londra 1890; S. Jampel, Die Wiederherstellung Israels unter den Achaemeniden, Breslavia 1904; i varî articoli di J. Touzard sul giudaismo al tempo persiano apparsi in Revue biblique dal 1915 al 1927; M. Kegel, Die Kultusreformation des Esra, Gütersloh 1921; H. H. Schaeder, Esra der Schreiber, Tubinga 1930.

Il libro di Esdra.

È uno dei libri storici della Bibbia, che nel canone ebraico fa parte del terzo gruppo detto dei Kĕthūbhīm. Oggi esso risulta diviso dal libro di Neemia ma, come è attestato espressamente da Melitone di Sardi (in Euseb., Hist. eccl., IV, 26), Origene (ibid., VI, 25), Girolamo ed altri, e come risulta dall'argomento, anticamente i due libri formavano uno solo. È chiamato anche I Esdra per distinguerlo sia dal II Esdra, come è chiamato promiscuamente nella Vulgata Neemia, sia dai due apocrifi omonimi (v. appresso). È scritto in ebraico, salvo i tratti IV, 8-VI, 18; VII, 12-26, che sono scritti in aramaico.

Il breve contenuto del libro si divide spontaneamente in due parti; nella prima (capitoli I-VI) è narrato il primo ritorno degli esuli sotto la guida di Sheshbazzar (= Zorobabel?) e del sacerdote Giosue; nella seconda (capitoli VII-X) il ritorno sotto la guida di E. È riportato il decreto di liberazione emanato da Ciro (I, 1-4), che restituì anche gli arredi sacri portati in Babilonia (I, 5-11); si dà il catalogo delle famiglie che tornarono (II); si narrano la restaurazione del culto in Gerusalemme, e gl'inizî della ricostruzione del tempio (III); le ostilità frapposte dai Samaritani (IV); gl'incitamenti dei profeti Aggeo e Zaccaria, mossi dai quali e col beneplacito del re Dario, Zorobabel e Giosue portano a compimento la ricostruzione del tempio e l'inaugurano con solenni feste (V-VI). Passando quindi ai fatti di E. (v. sopra), si narra il suo ritorno (VII-VIII) e la sua attività per la riforma (IX-X).

Un'opinione giudaica, trasmessa nel Talmūd (Baba bathra 15 a, Sanhedrin 93 b) e seguita da qualche moderno, attribuisce a E. stesso la paternità del libro: al quale avrebbe poi fatto delle aggiunte Neemia, essendo stati originariamente i due libri un solo (v. sopra). Tale opinione è oggi comunemente abbandonata; e a buon diritto, giacché sia dalle espressioni usate (cfr. Neemia, XII, 26, 47), sia dalla menzione di "Dario il Persiano" (Neemia, XII, 22, che pare certo essere Dario III Codomano), la composizione del doppio libro Esdra-Neemia risulta posteriore. Inoltre se si considera che Esdra si riattacca cronologicamente e letterariamente alle Cronache, come una naturale prosecuzione dell'argomento di quelle, sembra ancor più raccomandata l'ipotesi che originariamente il gruppo Cronache-Esdra-Neemia formasse un'opera sola, risalente alla stessa epoca (v. cronache). Non è escluso tuttavia che l'autore abbia potuto servirsi di scritti provenienti dallo stesso E., specie ove costui parla in prima persona (Esdra, VII, 27-IX, 15; lo stesso fenomeno per Neemia, I, 1-VII, 73; XI, 3-XIII); egli li avrebbe inseriti di peso nella sua opera, come vi inserì altri documenti, quali la genealogia, i cataloghi dei rimpatriati, i decreti dei re persiani, la corrispondenza dei Samaritani (Esdra, IV, 7-16) e degli ufficiali (V, 6-17) con detti re, le relative risposte (IV, 17-22; VI, 6-12), e infine anche passi di una relazione in aramaico che costituirono i passi aramaici del libro. Il carattere grezzo di tali documenti, e la maniera inelaborata con cui sono stati affastellati insieme dall'autore-compilatore, depongono in favore della loro genuinità. La quale, se fu richiamata in dubbio da alcuni studiosi prima della scoperta dei papiri di Elefantina (v.), dopo il ritrovamento di quei documenti - che mostrano tanta affinità nella lingua, nell'indole letteraria, nei dati di fatto, e persino nei nomi di personaggi, con i documenti incorporati in Esdra - è ora universalmente ammessa.

Bibl.: C. Siegfried, Esra, Nehemia, Esther, in Handkommentar di W. Nowack, Gottinga 1901; A. Bertholet, Esra und Nehemia, in Kurzer Hand-Kommentar di K. Marsi, Friburgo-Tubinga 1902; B. Neteler, Die Bücher Esdras, Nehemias und Esther 2ª ed., Münster 1907; L. W. Batten, Erza and Nehemiah, in Intern. Crit. Commentary, Edimburgo 1913; O. Dignant, Het Boek Esdras, Bruges 1930.

Gli apocrifi di esdra.

Il III libro di E. - È un centone di passi presi dai testi canonici, senza rigore cronologico. Scopo della raccolta pare essere quello di dar animo ai reduci, confidando nell'assistenza di Dio, ricorrendo talora a straordinarî doni. Sul tempo in cui sarebbe sorta la raccolta non si hanno indizî: certo l'ha usata Giuseppe Flavio, Ant. Iud., XI, 1-5; le attinenze filologiche col II libro dei Maccabei ne segnalerebbero l'origine greca. La questione dei rapporti di questo libro con i due libri canonici di E., che alcuni ritengono addirittura derivati dal nostro apocrifo, è stata molto dibattuta ed è tuttora incerta.

Il IV libro di E. - Fama maggiore ha avuto l'apocrifo che presso i Padri greci ha il nome di Esdra Profeta, come nella versione etiopica e nella seconda araba, mentre nella maggior parte dei manoscritti della versione latina porta il nome di IV Esdra, in rapporto ai precedenti testi, pur non mancando quelli che lo chiamano III e anche II Esdra. La redazione latina ha due manifeste aggiunte, cioè i due primi e i due ultimi capitoli, assenti in tutte le versioni orientali: essi sogliono comunemente, dopo l'esempio del Bensley, chiamarsi ora rispettivamente Esdra V (cc. I-II), ed Esdra VI (cc. XV-XVI); quello tratta dei danni imminenti ai Giudei per non aver voluto credere al cristianesimo, il quale invece a quelli che lo hanno abbracciato apporta pace e luce, e per ragioni convincenti se ne assegna l'origine a Roma, sotto Gallieno (circa 268 d. C.), mentre il secondo brano, che parla degli estremi danni e delle ultime beatitudini, pare doversi ritenere ancora più recente, probabilmente sorto ad Alessandria nel sec. IV; ambedue sono d'origine cristiana. Il IV libro di Esdra ha avuta ottima accoglienza nella Chiesa, sino a essere in parte usato nella liturgia della Messa anche oggi.

La parte più antica (cc. III-IV), riferisce sette visioni o comunicazioni avute da Esdra (in taluni manoscritti detto Salatiel, o filius Cusi) per mezzo dell'angelo Uriel (non noto altrimenti nella Bibbia): l'epoca in cui si suppongono le visioni è l'anno 30 dopo la distruzione di Gerusalemme (III, 1), E. si trovava in Babilonia. Cardine di tutto il libro è il problema come mai Iddio, dopo aver tanto prediletto il popolo d'Israele lo lascia ora in preda a pagani, per nulla superiori; la soluzione è riposta prevalentemente nelle future fortune escatologiche, ora più vicine che mai: allora i malvagi riceveranno il settuplo di pena, e i buoni proporzionata felicità, dopo avvenuta l'universale risurrezione, nel giudizio finale (III, 1-9,25). più studiate sono le tre "visioni" intermedie; quella della donna che piange sul suo unigenito mortole nel giorno delle nozze, che nella spiegazione di Uriel è Sion, presto mutata in segni di gaudio sfarzoso, a dinotare la Gerusalemme nuova che verrà dietro a quella smantellata dai nemici (IX, 26-10, 60); l'altra dell'aquila, simbolo complesso, nei suoi particolari di tre teste, dodici ali, otto alette, della potestà avversa al popolo, che è giudicata dal leone (XI, 1-12, 39); quella dell'Uomo che sale dal mare, il quale col suo alito annienta i nemici, per poi radunare le dieci tribù disperse, in un'ora ancora ignorata (XIII, 1-58).

Si è cercato di ricavare da queste visioni i dati cronologici di composizione del libro, e il cerchio di idee da cui proveniva l'autore. Nel particolare delle tre teste dell'aquila si è notata un'allusione ai tre imperatori Flavî; si assegna cosi il periodo dei Flavî come tempo in cui sorse l'apocrifo, e più strettamente gli anni di Domiziano (81-96 d. C.), la cui fine non fu vista dall'autore che aspettava il Messia prima che il terzo capo finisse; certo Gerusalemme era stata distrutta (XI, 42; XII, 44; X, 71), laonde, ritenendo il nome di E. come una finzione, insieme con la dimora nell'esilio babilonese dopo la deportazione di Nabucodonosor, si spiega l'allegoria applicandola alla caduta di Gerusalemme nel 70 d. C., e l'aquila verrebbe a essere il noto simbolo della potenza di Roma. Minore accordo si è raggiunto circa l'identificazione delle dodici ali: poca accoglienza ha trovata l'opinione di quei che supposero doversi intendere sei imperatori (attribuendo una coppia di ali ad ognuno); la maggior parte, annoverando alcuni pretendenti alla dignità imperiale, vede dodici nomi (Cesare, Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone, Galba, Ottone, Vitellio, Vindex, Ninfidio, Pisone). In un altro punto l'ultima critica si trova concorde: nell'ammettere l'unicità dell'autore con l'omogeneità delle sue fonti, contro le sottodistinzioni in più parti del Kabisch (1889) e in due del Box (1912) che vi voleva trovare un'apocalisse di Salatiel più antica, messa insieme con una storia di E. più recente. Si suol convenire anche che l'originale deve essere stato ebraico o aramaico (Wellhausen, Charles, Gunkel, Violet), contro pochi che suppongono un originale greco (Lücke, Volkmar, Hilgenfeld), pur non essendosi trovato sinora nulla in tale lingua.

Le lingue nelle quali sinora è stato trovato il IV Esdra sono: latina, che pare essere la testimonianza più antica; nelle edizioni della nostra Volgata si dipende da un prototipo, rappresentato dal codice Sangermanensis (sec. IX), ove si ha una lacuna tra VII, 35 e VII, 36, che un altro codice latino coevo ignorava (edito da R.L. Bensley, The missing fragment of the fourth book of Esdra, Cambridge 1875), come l'ignorano le orientali: a questa redazione (detta francese) fanno capo circa 84 manoscritti dispersi nelle varie biblioteche d'Europa; ma ve ne ha un'altra, comunemente detta spagnola, che si riporta al codice Complutensis, ed è seguita da altri quattro manoscritti (Abulensis, Legionensis, Mazarinaeus, Corbeiensis); l'edizione critica è quella, edita dopo la morte dell'autore da M. R. James, di R. L. Bensley, The fourth book of Esdra, in Text a. Studies di A. Robinson, III, 2, 1895; siriaca, contenuta nella versione della Pescitta edita, dopo datane la versione latina (Monum. sacra et profana, I, 2, pp. 1866, 99-124), una volta in trascrizione (Monum. sacra et prof., V, 1, 1868; pp. 41-111), e in seguito in fotolitografia (Translatio Syra Pescitto V.T., II, iv, 1883, p. 267 r. segg.) da mons. Ceriani; arabica, in due recensioni, delle quali la più lunga sembra la più recente, edite rispettivamente da H. Ewald, Das vierte Esrabuch nach seinem Zeitalter, seinen arabischen Übersetzungen u. einer neuen Wiederherstellung (in Abhandl. Götting. Ges., XI, 1893) e da J. Gildemeister, Esdrae liber quartus arabice (Bonn 1877); etiopica, edita la prima volta da R. Laurence, Primi Esrae libri, qui apud Vulgatam appellatur quartus, versio aethiopica (Oxford 1820), e poi su 10 manoscritti da A. Dillmann, Veteris Testamenti aethiopici tom. V, libri apocryphi (Berlino 1894, pp. 153-193); un frammento copto saidico (XIII, 29-46) dal manoscritto del Museo di Berlino P. 9096 fu edito da J. Leipoldt-B. Violet, Ein saidisches Bruchstück des vierten Esrabuches (in Zeitschr. Aeg. Spr., XLI, 1904, pp. 137-140); l'armena fu edita in tempi più remoti dai padri mechitaristi di Venezia, nella Bibbia armena (1805) e nel volume degli apocrifi dell'Antico Testamento (Venezia 1896, p. 251 segg.); da questa dipende la georgiana, edita, da due manoscritti di Gerusalemme e del monte Athos, da R.P. Blake, The Georgian version of fourth Esdras (in Harward theol. Rev., XIX, 1926, pp. 299-375; XXII, 1929, pp. 57-105); tranne quest'ultima, esse furono messe in colonne parallele, ma in versione tedesca, da B. Violet, Die Esra-Apokalypse (IV Esra), I, Die Ueberlieferung (in Griech. Christl. Schriftst., XVIII, Lipsia 1910); II, Die deutsche Textherstellung (ibid., Lipsia 1923).

Bibl.: Per il III libro di Esdra: C. C. Torrey, Portions of first Esdras a. Nehemia in the Syro-hexaplar version, in Amer. Journ. Semit. Lang. Lit., XXIII (1906-07), pp. 66-74; id., The nature a. origin of first Esdras, ibid., pp. 116-141; W. J. Moulton, Über die Überlieferung u. den textkritischen Wert des dritten Esrabuches, in Zeitschr. alttest. Wiss., XIX (1899), pp. 209-58; XX (1900), pp. 1-35; J. Fischer, Das apokryphe u. das kanonische Esrabuch, in Bibl. Zeitschr., 1904, pp. 350-64; R. Reissler, Der textkritische Wert des dritten Esrabuches, ibid., 1907, pp. 350-364; E. Bayer, Das dritte Buch Esdras und sein Verhältnis zu den Büchern Esra und Nehemia, in Bibl. Stud, XVI (1911); B. Walde, Die Esdrabücher der Septuaginta, ihr gegenseitiges Verhältnis untersucht, ibid., XVIII (1913); J. Felten, Neutestamentliche Zeitgeschichte, Regensburg 1925, pp. 597-600.

Per il IV Esdra, v. A. v. Gutschmid, Die Apokalypse des Esra und ihre späteren Bearbeitungen, in Zeits. Wiss. Theol., 1860, pp. 1-24; R. Kabisch, Das vierte Buch Esra auf seine Quellen untersucht, Gottinga 1889; F. W. Schiefer, Die religiösen u. sittlichen Anschauungen des 4. Esrabuches, Lipsia 1901; L. Vaganay, Le problème eschatologique dans le IVe livre d'Esdras, Parigi 1906; J. Labourt, Le cinquième livre d'Esdras, in Rev. bibl., 1909, pp. 412-434; G. H. Box, The Ezra-Apocalypse, Londra 1912; J. Keulers, Die eschotologische Lehre des vierten Esrabuches, in Bibl. Stud., X (1922); W. Mundle, Das religiöse Problem des IV. Esrabuches, in Zeitschr. alttest. Wiss., 1929, pp. 222-49.

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